10 AGOSTO 2019
Sabato XVIII Settimana T. O.
2Cor 9,6-10; Sal 111 (112); Gv 12,24-26
Dal Martirologio: Festa di san Lorenzo, diacono e martire, che, desideroso, come riferisce san Leone Magno, di condividere la sorte di papa Sisto anche nel martirio, avuto l’ordine di consegnare i tesori della Chiesa, mostrò al tiranno, prendendosene gioco, i poveri, che aveva nutrito e sfamato con dei beni elemosinati. Tre giorni dopo vinse le fiamme per la fede in Cristo e in onore del suo trionfo migrarono in cielo anche gli strumenti del martirio. Il suo corpo fu deposto a Roma nel cimitero del Verano, poi insignito del suo nome.
Colletta: O Dio, che hai comunicato l'ardore della tua carità al diacono san Lorenzo e lo hai reso fedele nel ministero e glorioso nel martirio, fa' che il tuo popolo segua i suoi insegnamenti e lo imiti nell'amore di Cristo e dei fratelli. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
Nella logica pasquale «non c’è vita senza morte: ce lo suggerisce la piccola parabola del chicco di grano nel Vangelo di oggi. Il chicco si realizza in frutto di vita solo accettando il passaggio attraverso la morte / caduta in terra. È un momento dialettico e vitale, senza il quale non passa ad un livello superiore di vita. Se mi salvo come chicco, non porto frutti; se viceversa, muoio e mi nego come chicco porto molto frutto» (P. Rosario Scognamiglio). La sorte del chicco di grano che deve cadere in terra, che deve marcire e morire per portare frutto, è la sorte del Figlio di Dio, è la via che Egli ha scelto per raggiungere gli uomini per salvarli dal peccato e liberarli dall’oscuro dominio della morte. È la via della Croce percorsa dal Figlio di Dio, obbediente alla volontà del Padre «fino alla morte e a una morte di Croce» (Fil 2,8) ed è la via che i discepoli, sull’esempio del loro Maestro, devono percorrere se vogliono che la loro vita porti abbondanti frutti di santità e di salvezza (cfr. Rom 8,17).
Dal Vangelo secondo Giovanni 12,24-26: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà».
In verità, in verità, io vi dico - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): versetto 24 Se il chicco di grano non cade in terra e non muore...; l’immagine, molto chiara in sé, era assai nota (cf. 1Corinti, 15,36-37; 1 Clemente, 24, 4-5); la novità della metafora consiste nella diretta applicazione che Cristo fa di essa a se stesso. Senza la morte non si dà né fecondità, né produttività. L’immagine tuttavia intende illustrare due particolari aspetti: il seme morendo produce qualcosa di nuovo e rivela una fecondità meravigliosa; la morte di Gesù è preparazione di una vita meravigliosamente nuova e feconda. Il Maestro enunzia un principio: la vita nuova, cioè la salvezza dell’uomo, è conseguenza del suo sacrificio e della sua morte; l’immagine giovannea del chicco che deve morire si ricollega con l’espressione sinottica: bisogna che Cristo soffra e muoia (cf. Mc., 8,31; Lc., 17,25; 24,26).
versetto 25 Chi ama la propria vita la perde...; le proposizioni sono strutturate in forma antitetica (amare-perdere; odiare-conservare); lo stesso principio che vale per Cristo e spiega la sua vita (versetto precedente), vale anche per i suoi discepoli e per la loro esistenza: bisogna esser disposti a sacrificare tutto nella vita terrena per ottenere la vita eterna. Chi odia la propria vita...; iperbole semitica che significa: non amare. Giovanni dà una formulazione incisiva e generale al detto di Cristo, riferito anche dai sinottici (cf. Mt., 10,39; 16,25; Mc., 8,35; Lc., 9,24; 17,33); il principio vale per ogni discepolo di Gesù e per ogni tempo.
versetto 26 Chi mi vuol servire mi segua; l’espressione «chi mi vuol servire» designa il discepolo di Cristo, come risulta dai testi paralleli (cf. Mt., 16,24 e paralleli); il servo e il discepolo si equivalgono. «Mi segua» è una formula compendiosa che significa: mi deve seguire portando la croce, imitando la mia morte. Dove io sono,là sarà anche il mio servo; Gesù si considera nella sua gloria (cf. 14,3; 17,24); quivi, cioè nella gloria del Padre, egli attende i suoi discepoli («il mio servo»). Se qualcuno mi serve, il Padre lo onorerà; il discepolo di Cristo sarà glorificato dal Padre, cioè sarà associato alla gloria di Cristo.
In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto: Giovanni Paolo: (Omelia, 8 agosto 1985): Queste parole furono pronunciate dal Signore Gesù mentre pensava alla sua morte. È lui in primo luogo quel “chicco di grano” che “cade in terra e muore” Il Figlio di Dio, della stessa sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, fu fatto uomo. Egli entrò nella vita degli uomini e delle donne comuni come il Figlio della Vergine Maria di Nazaret. E infine egli accettò la morte sulla croce come sacrificio per i peccati del mondo. Precisamente in questo modo il chicco di grano muore e produce molto frutto. È il frutto della redenzione del mondo, il frutto della salvezza delle anime, la potenza della verità e dell’amore come principio di vita eterna in Dio. In questo senso la parabola del chicco di grano ci aiuta a capire il vero mistero di Cristo. Nello stesso tempo, il chicco di grano che “cade in terra e muore” diventa la promessa del pane. Un uomo raccoglie dai suoi campi le spighe di grano che sono cresciute dal semplice chicco e, trasformando il grano raccolto in farina, con essa fa il pane che è nutrimento per il suo corpo. In questo modo la parabola di Cristo sul chicco di grano ci aiuta a capire il mistero dell’Eucaristia.
Chi ama la propria vita… - Marida Nicolaci (I vangeli): La scelta stilistica di frasi antitetiche e paradossali, come quelle dei vv. 24 e 25, svela la modalità necessaria perché la sequela si realizzi conforme alle scelte del Figlio quando l'ora è giunta. «Amare la propria vita» / «odiarla», «perderla» / «custodirla»; «restare solo» / «portare molto frutto»: tutte le antitesi sono riconducibili alla sola opzione necessaria tra il rifiutare o l'accettare il «morire» come luogo in cui si effonde e si comunica efficacemente la vita. La comprensione di ciò costituisce la chiave di volta della sequela e la condizione per il suo realizzarsi compiuto. L'imperativo «mi segua» (v. 26) che, dopo quello asciutto e non preparato di 1,43, costituisce il primo appello vero e proprio di Gesù alla sequela nel vangelo, è rivolto individualmente - in terza persona - ad ogni eventuale discepolo («se qualcuno ... », cf Mt 16,24; Mc 8,34; Lc 9,23) e ciò, significativamente, non quando il ministero di Gesù è agli inizi ma quando esso è alla sua svolta cruciale, quando sta per concludersi violentemente in un apparente fallimento. L'invito alla sequela libera, in questo contesto, non è che un invito a prolungare fino in fondo il percorso iniziato, scegliendo di condividere con Gesù l’«ora» universalmente feconda della passione e morte. La sequela vera e propria, degna di questo nome, che corona il servire distintivo del discepolo, non può darsi che nella misura e nelle forme imposte dall'«ora»!
Il martire cristiano - C. Augrain (Dizionario di Teologia Biblica): Il glorioso martirio di Cristo ha fondato la Chiesa: «Quando sarò innalzato da terra, aveva detto Gesù, attirerò a me tutti gli uomini» (Gv 12,32). La Chiesa, corpo di Cristo, è chiamata a sua volta a dare a Dio la testimonianza del sangue per la salvezza degli uomini. La comunità ebraica aveva già avuto i suoi martiri, specialmente all’epoca dei Maccabei (2Mac 6-7). Ma nella Chiesa cristiana il martirio assume un senso nuovo, che Gesù stesso rivela: è la piena imitazione di Cristo, la partecipazione perfetta alla sua testimonianza ed alla sua opera di salvezza: «Il servo non è maggiore del padrone; se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi!» (Gv 51,20). Ai suoi tre intimi Gesù annunzia che lo seguiranno nella passione (Mc 10,39 par.; Gv 21,18ss); ed a tutti rivela che soltanto il seme che muore in terra porta molto frutto (Gv 12,24). Così il martirio di Stefano - che evoca con tanta forza la passione - determinò la prima espansione della Chiesa (Atti 8,4s; 11,19) e la conversione di Paolo (22,20). L‘Apocalisse, infine, è veramente il Libro dei Martiri, di coloro che sulle orme del Testimone fedele e veridico (Apoc 3,14) hanno dato alla Chiesa e al mondo la testimonianza del loro sangue. L’intero libro ne celebra la prova e la gloria, di cui la passione e la glorificazione dei due testimoni del Signore sono il simbolo (Apoc 6,9s; 7,14-17; 11,11s; 20,4ss).
L’immagine del seme è usata molte volte nelle parabole dei vangeli sinottici, Matteo, Marco e Luca: il seme che cade in diversi terreni (cfr. Mt 12,3-8; Mc 4,3-9; Lc 8,5-8), il grano di senapa (cf Mt 12,31-32; Mc 4,30-32; Lc 13,18-21), il seme che spunta da solo (Mc 4,26-29). Per i tre evangelisti il seme è la parola di Dio oppure il Regno di Dio, ma per il quarto vangelo il seme è Gesù stesso. Con queste parole Gesù illustra la sua drammatica morte e dà inizio all’ora dell’abbandono. Sarà abbandonato dal suo popolo da lui tanto amato e beneficato (cfr. At 10,38); sarà abbandonato alla nequizia dei capi del Sinedrio, ubriachi e travolti da una ferocia bestiale che li rende incapaci di vedere nei segni compiuti da Gesù il dito di Dio (cfr. Lc 11,20). Sarà abbandonato dai suoi discepoli che lo lasceranno solo, immerso in una mortale agonia, a lottare contro il terrore della morte (cfr. Mt 26,36-46). Gesù si sentirà abbandonato anche dal Padre: «Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora?» (Gv 12,27). È l’ora delle tenebre. Il mistero dell’iniquità (cfr. 2Ts 2,7) sembra palesarsi in tutta la sua bruttura. Viscido, come un torrente di liquami, sembra scivolare nelle coscienze degli uomini, violentandole, catturandole, rendendole schiave di progetti infernali: Gesù «intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui [...]. Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte» (Gv 13,27-30). Gesù sa che il Sinedrio ha emesso già una sentenza di morte, ma lui non cessa di amare. Anzi, parla della sua morte come “una necessità”: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. E la sua dolorosissima morte porterà molto frutto. Questa è la lezione più bella che viene dall’intero brano evangelico. La sua morte, la sua elevazione sulla Croce, sarà la prova suprema del suo amore e della sua fedeltà al Padre e agli uomini. Egli morirà crocifisso, elevato su una Croce si siederà su un trono di amore e di là, dall’alto della Croce, epifania della misericordia della santissima Trinità, Gesù riaccenderà l’amore là dove era spento e irradierà misericordia, comunione e bontà dove c’era solo odio, inimicizia, peccato e maledizione. Questo il frutto del seme caduto in terra!
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** La parabola di Cristo sul chicco di grano ci aiuta a capire il mistero dell’Eucaristia. (Giovanni Paolo II)
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Signore, che ci hai nutriti alla tua mensa,
fa' che il servizio sacerdotale,
che abbiamo celebrato in memoria del diacono san Lorenzo,
ci inserisca più profondamente nel mistero della redenzione.
Per Cristo nostro Signore.
fa' che il servizio sacerdotale,
che abbiamo celebrato in memoria del diacono san Lorenzo,
ci inserisca più profondamente nel mistero della redenzione.
Per Cristo nostro Signore.