1 Maggio 2020
Venerdì III Settimana di Pasqua
At 9,1-20; Sal 116 (117); Gv 6,52-59
Colletta: Dio onnipotente, che ci hai dato la grazia di conoscere il lieto annunzio della risurrezione, fa’ che rinasciamo a vita nuova per la forza del tuo Spirito di amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
Ecclesia De Eucharistia - Mistero della fede n. 11: «Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito» (1Cor 11,23), istituì il Sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue. Le parole dell’apostolo Paolo ci riportano alla circostanza drammatica in cui nacque l’Eucaristia. Essa porta indelebilmente inscritto l’evento della passione e della morte del Signore. Non ne è solo l’evocazione, ma la ri-presentazione sacramentale. È il sacrificio della Croce che si perpetua nei secoli. Bene esprimono questa verità le parole con cui il popolo, nel rito latino, risponde alla proclamazione del «mistero della fede» fatta dal sacerdote: «Annunziamo la tua morte, Signore!».
La Chiesa ha ricevuto l’Eucaristia da Cristo suo Signore non come un dono, pur prezioso fra tanti altri, ma come il dono per eccellenza, perché dono di se stesso, della sua persona nella sua santa umanità, nonché della sua opera di salvezza. Questa non rimane confinata nel passato, giacché «tutto ciò che Cristo è, tutto ciò che ha compiuto e sofferto per tutti gli uomini, partecipa dell’eternità divina e perciò abbraccia tutti i tempi».
Quando la Chiesa celebra l’Eucaristia, memoriale della morte e risurrezione del suo Signore, questo evento centrale di salvezza è reso realmente presente e «si effettua l’opera della nostra redenzione».Questo sacrificio è talmente decisivo per la salvezza del genere umano che Gesù Cristo l’ha compiuto ed è tornato al Padre soltanto dopo averci lasciato il mezzo per parteciparvi come se vi fossimo stati presenti. Ogni fedele può così prendervi parte e attingerne i frutti inesauribilmente. Questa è la fede, di cui le generazioni cristiane hanno vissuto lungo i secoli. Questa fede il Magistero della Chiesa ha continuamente ribadito con gioiosa gratitudine per l’inestimabile dono. Desidero ancora una volta richiamare questa verità, ponendomi con voi, miei carissimi fratelli e sorelle, in adorazione davanti a questo Mistero: Mistero grande, Mistero di misericordia.
Che cosa Gesù poteva fare di più per noi? Davvero, nell’Eucaristia, ci mostra un amore che va fino «all’estremo» (cfr Gv 13,1), un amore che non conosce misura.
Il cannibalismo è una pratica odiosa e disgustosa, e tale verità vale anche per i Giudei che si misero a “discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare»”. L’equivoco nasce purtroppo dalla poca comprensione degli insegnamenti di Gesù, e dalla poca attenzione alle sue parole che rivelano la vera identità del Figlio dell’uomo. Non comprendendo e come usano gli uomini ignoranti e presuntuosi, si irritano “aspramente”. Ma Gesù non è un “uomo” da arrendersi dinanzi a tali provocazioni, e così accresce la durezza e il realismo del suo discorso parlando non solo di mangiare “la carne del Figlio dell’uomo”, ma anche di bere il suo sangue. Per i Giudei quest’ultima proposta, quella di bere il sangue del Figlio dell’uomo, suonava estremamente ributtante e scandalosa in quanto la Legge proibiva severamente, per motivi religiosi, di bere in qualsiasi modo il sangue (cfr. Lv 17,10-14). In poche parole, Gesù è il pane disceso dal cielo, di cui la manna era una pallida idea. Gli ebrei nel deserto avevano mangiato la manna ed erano morti, chi mangia la carne del Figlio dell’uomo e beve il suo sangue avrà la vita eterna. È una chiara allusione al significato redentore e sacrificale dell’Eucarestia.
Dal Vangelo secondo Giovanni 6,52-59: In quel tempo, i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.
I Giudei si misero a discutere - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 52 Discutevano... i giudei; queste parole richiamano il rilievo espresso dall’evangelista al vers. 41 («mormoravano... i giudei di lui»); la disputa sorta tra gli ascoltatori da occasione a Gesù di chiarire maggiormente la sua affermazione. Come può costui darci la sua carne da mangiare?; i giudei comprendono perfettamente il senso della solenne affermazione di Gesù, ma essi non possono ammetterla perché a loro ripugna il pensiero di mangiare la carne con il sangue.
53 Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo... non avrete in voi la vita; il Maestro non ritira, né attenua la solenne dichiarazione compiuta, ma la accentua più vigorosamente precisando che è necessario mangiare la sua carne e bere il suo sangue. La carne ed il sangue indicano tessere umano compiuto; in tal modo l’Eucaristia richiama l’incarnazione del Verbo ed è in stretta relazione con essa; l’uomo si nutre del Verbo fatto carne. La chiara precisazione di bere il sangue del Figlio dell’uomo era particolarmente urtante per gli ebrei, per i quali vigeva il divieto legale di cibarsi del sangue degli animali (cf. Levitico, 7, 26; 17, 10-14; Atti, 15, 20). «Non avrete in voi la Vita», cioè la vita eterna (cf. verss. 54, 58). La necessità dell’Eucaristia è indicata con una formula analoga a quella con la quale Gesù parla della necessità del battesimo (cf. Giov., 3, 5). Il quarto vangelo mostra un particolare interesse per la vita sacramentaria della Chiesa.
54 Chi mangia la mia carne... ha la vita eterna; è formulato in termini positivi il principio proposto in forma negativa al vers. precedente. L’evangelista usa qui il verbo τρώγω (rodere, masticare, mangiare), che originariamente era detto degli animali ed in seguito fu applicato agli uomini; tale verbo esclude ogni interpretazione metaforica delle parole di Gesù. Al vers. 53 è usato il verbo ἐσθίω. Il cibarsi della carne e del sangue di Cristo è condizione necessaria per avere la vita, per possedere il dono della vita eterna. Io lo risusciterò nell’ultimo giorno; la vita eterna si inizia nella esistenza terrena e trova il suo ultimo e glorioso compimento nella risurrezione finale del corpo. L’insistenza con la quale nel discorso eucaristico si ritorna sui concetti di «vita», «vita eterna», «non morire» rivela un particolare interesse dottrinale. Questa immortalità, causata dall’Eucaristia, rappresenta la restaurazione escatologica del piano divino iniziale, secondo cui l’uomo era immortale (cf. Sapienza, 2, 23); l’immortalità fu perduta per il peccato commesso dall’uomo per istigazione del diavolo (cf. ibid., 2, 24). Sant’Ignazio di Antiochia, riecheggiando questo insegnamento evangelico, chiama l’Eucaristia «il farmaco dell’immortalità» (Efesini, 20, 2).
55 Poiché la mia carne è vero cibo...; l’Eucaristia è un cibo reale, non un alimento metaforico. Molti codici hanno l’avverbio ἀληθῶς, invece dell’aggettivo ἀληθής (la Volgata ha l’avverbio: vere est cibus; vere est potus). L’aggettivo ἀληθής significa «vero» nel senso che tale verità è manifestata dalla rivelazione; i termini «vero» e «verità» nel quarto vangelo si rifanno ad un contesto di rivelazione.
Lo scandalo degli abitanti di Cafarnao - Basilio Caballero (La Parola per ogni Giorno): Con il vangelo di oggi entriamo nella seconda parte del discorso di Gesù sul pane della vita, che spiega e sviluppa l’affermazione conclusiva del brano evangelico proclamato ieri: «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Oggi passa in primo piano il tema eucaristico, che continua e completa quello del pane vivo disceso dal cielo. «In quel tempo, i giudei si misero a discutere tra di loro: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”». Questa discussione permette a Gesù di tornare sul tema, ma nella risposta di chiarimento Cristo non spiega il modo, né attenua l’affermazione, che per gli abitanti di Cafarnao suonava come un invito all’antropofagia.
Gesù, però, precisa l’effetto di tale cibo: la vita nella pienezza e nella comunione con lui. «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui».
Queste affermazioni si capiscono molto meglio nel contesto dell’ultima cena di Gesù con i suoi apostoli, piuttosto che nell’ambiente della sinagoga di Cafarnao.
Sebbene s’inquadrino perfettamente nel discorso sul pane della vita, « sembra impossibile che le parole dei versetti 51-58, che si riferiscono esclusivamente all’eucaristia, potessero essere capite dalla folla o anche dai discepoli. Sono parole che non collimano con nessuna fase del ministero pubblico di Gesù, a eccezione dell’ultima cena» (R. E. Brown).
Il crudo realismo delle espressioni «mangiare la mia carne e bere il mio sangue», che scandalizza gli abitanti di Cafarnao, esclude qualsiasi simbolismo o spiritualizzazione dei termini «carne» e « sangue». Non ci serve né la visione degli abitanti di Cafarnao, improntata al materialismo, né l’interpretazione metaforica e simbolica dei protestanti, ma la visione «sacramentale» che è quella reale e autentica.
Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda - Stefano Virgulin: Il «sangue di Gesù» indica metaforicamente la morte cruenta di Cristo, di cui sono colpevoli Giuda (Mt 27,4), Pilato (Mt 27,24) e i Giudei (Mt 27,25; At 5,28). Da questo significato derivano anche le frasi «prezzo del sangue» (Mt 27,6) e «campo del sangue» (Mt 26,8).
In senso teologico, «il sangue di Cristo» significa la sua morte in quanto ha un valore salvifico. Gesù accetta liberamente il supplizio della croce, offrendo se stesso al Padre in spirito di obbedienza e di infinito amore per gli uomini (Rm 3,25; 1Pt 1).
Talvolta come pars pro toto la frase «sangue di Cristo» indica tutta l’opera salvifica compiuta da Gesù, non esclusa la sua risurrezione e l’applicazione della salvezza al credente (Ef 1,7; Ap 19,13).
I benefici effetti dell’opera salvifica di Cristo sono variamente presentati: remissione dei peccati, redenzione, giustificazione, santificazione, purificazione della coscienza, accesso presso Dio, vittoria sulle potenze del demonio e sulle forze inique (1Gv 1,7; 1Pt 1,19; Rm5,9; Eb 9,14; 10).
La morte sacrificale di Cristo ha un valore profondamente unitivo: essa non solo aduna in un solo corpo le due parti in cui era divisa l’umanità antica, cioè giudei e pagani, ma anche stabilisce la pace tra le potenze celesti e la terra: «Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo» (Ef 2,13); «Piacque a Dio... per mezzo di lui riconciliare a se tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli›› (Col 1,19-20).
Nel calice eucaristico il sangue di Cristo viene proposto ai fedeli come bevanda nutritiva e sacrificale presentata nel contesto dell’oracolo del servo di JHWH (Mc 14,23; Mt 26,27; Lc 22,20; Gv 6,54-56; 1Cor 10,16s; 11,25-28).
Tra Cristo redentore e il fedele si stabilisce una profonda unione nel ricordo della morte del Signore e nell’annuncio del suo ritorno. In 1Cor 11,27 Paolo afferma che comunicandosi indegnamente al pane e al calice del Signore si pecca contro il corpo e il sangue di Cristo. I sinottici e Paolo poi testimoniano la promessa di Gesù che nell’ultima cena, ha promesso di rivedere i suoi discepoli nel suo regno, assisi al banchetto celeste (Mt 26,29 e par; 1Cor 11,26).
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui, dice il Signore. (Gv 6,56)
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Santifica e rinnova, o Padre, i tuoi fedeli,
che hai convocato a questa mensa,
ed estendi a tutti gli uomini la libertà
e la pace conquistata sulla croce.
Per Cristo nostro Signore.
che hai convocato a questa mensa,
ed estendi a tutti gli uomini la libertà
e la pace conquistata sulla croce.
Per Cristo nostro Signore.