1 Maggio 2019

Mercoledì della II Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto.” (Gv 12,24-25).

Dal Vangelo secondo Giovanni 3,16-21: Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui: la salvezza sgorga dal cuore di Dio come fontana di acque cristalline, ogni uomo può accostarvi la bocca e bere in abbondanza. La salvezza esige però la risposta dell’uomo e l’Incarnazione ha indicato il percorso: chi crede in Gesù non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato. La questione della salvezza può essere risolta unicamente o nella fede e quindi nella vita eterna oppure nel rifiuto e quindi nella perdizione; non esiste una terza via alternativa. L’uomo ha ricevuto il dono della libertà, un dono preziosissimo, un dono fattoci da Dio, ma nello stesso tempo anche tanto gravido di responsabilità. L’uomo può accogliere il dono della salvezza, ma può anche opporsi alla volontà di Dio. La libertà umana è una stupenda realtà, e la salvezza, dono gratuito di Dio, è posta nelle mani dell’uomo, una verità così meravigliosamente formulata da sant’Agostino: “Chi ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te”. La salvezza di ciascuno è frutto dell’indissolubile cooperazione tra la grazia di Dio e la libera volontà dell’uomo.

Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna: il colloquio con Nicodemo, uno dei capi dei Giudei (v.1), mette in evidenza l’amore misericordioso del Padre, che si fa dono di salvezza nella carne crocifissa del Figlio unigenito. La misericordia sta al vertice del piano divino e informa tutte le azioni benefiche di Dio a favore degli uomini.
Dio è «creatore perché ha creato dal nulla tutte le cose, effondendo le sue stupende meraviglie. È anche giustizia di fronte all’uomo peccatore, rivendicando la gloria e l’onore conculcato. Tuttavia Dio è soprattutto amore; e la giustizia, la sapienza, la potenza sono da Lui impegnate per fare risplendere il suo più grande amore» (P. Massimo Biocco).
Dio rivela la sua onnipotenza verso l’umanità non col punire i colpevoli distruggendoli con raffinate morti, non con l’annientare i nemici precipitandoli nell’Inferno, ma manifestando la sua pazienza, il suo perdono (Cf. 2Pt 3,9). Anche se questo suo agire lo può far apparire quasi un debole, come se dovesse sempre perdere dinanzi alla prepotenza dell’uomo.
Dà il massimo donando il Figlio e non poteva né dare né fare di più. L’umanità poteva essere salvata in altri modi. Ma Dio ama gli uomini in modo infinito, perciò ha voluto dare e fare il massimo possibile. In questo modo, la croce è il segno dell’amore smisurato di Dio: nel mistero della croce l’albero della vita ritorna a fiorire e si manifesta pienamente l’amore dello Sposo alla sposa (Cf. Ef 5,25); attraverso il cuore trafitto di Cristo Gesù, l’uomo può attingere alle «imperscrutabili ricchezze» (Ef 3,8) dell’amore di Dio.

Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito - Catechismo degli Adulti: 247 Nel suo amore sempre fedele, nella sua misericordia senza limiti, «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Lo ha mandato, uomo tra gli uomini; gli ha ispirato e comunicato il suo amore misericordioso per i peccatori, lo ha consegnato nelle loro mani, donandolo incondizionatamente, nonostante il rifiuto ostinato e omicida.
L’iniziativa è del Padre: «È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo» (2Cor 5,19). È lui che ama per primo; è lui che per primo «soffre una passione d’amore», «la passione dell’impassibile»; è lui che infonde nel Cristo la carità e suscita la sua mediazione redentrice, da cui derivano a noi tutti i benefici della salvezza. «Questo imperscrutabile e indicibile “dolore” di Padre» suscita «l’ammirabile economia dell’amore redentivo di Gesù Cristo»
248 Il Cristo accoglie liberamente l’iniziativa del Padre: «Il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa» (Gv 5,19). Condivide l’atteggiamento misericordioso del Padre, la sua volontà e il suo progetto: «Ha dato se stesso per i nostri peccati..., secondo la volontà di Dio e Padre nostro» (Gal 1,4). Si è donato agli uomini senza riserve, si è consegnato nelle loro mani, senza tirarsi indietro di fronte alla loro ostilità, prendendo su di sé il peso del loro peccato: «Uno è morto per tutti» (2Cor 5,14). Così ha vissuto e testimoniato nella sua carne la fedeltà incondizionata di Dio all’umanità peccatrice. Questa è la sua obbedienza e la sua offerta sacrificale a Dio: «Ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (Ef 5,2).
249 Si è offerto «con uno Spirito eterno» (Eb 9,14). Come il fuoco consumava le vittime sacrificali degli antichi sacrifici rituali, così «lo Spirito Santo agì in modo speciale in questa assoluta autodonazione del Figlio dell’uomo, per trasformare la sofferenza in amore redentivo». Lo Spirito Santo era la forza divina della carità che il Padre ispirava nel Figlio e il Figlio accoglieva, offrendosi per noi.

Chi crede in lui non è condannato - Il brano evangelico conclude il dialogo di Gesù con Nicodemo, «uno dei capi dei Giudei» (Gv 3,1). Nella prima parte del colloquio era stata sottolineata la necessità del Battesimo per entrare nel regno di Dio: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio» (Gv 3,3). Ora, in quest’ultima parte del dialogo, si afferma la necessità della fede per fruire del dono della salvezza: «Chi crede in lui (in Cristo) non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio» (Gv 3,18).
Battesimo e fede inscindibili dunque, ma con alcune precisazioni. Innanzi tutto, la fede scaturisce dal Battesimo: infatti, in questo lavacro salutare, «sorgente della vita nuova in Cristo», la «Santissima Trinità dona al battezzato la grazia santificante, la grazia della giustificazione che lo rende capace di credere in Dio» (Catechismo della Chiesa Cattolica 1254.1266); ma il Battesimo introduce l’uomo nel regno di Dio solo quando si ha l’adesione personale per mezzo della fede.
Una esplicitazione necessaria perché si comprenda che il Battesimo da solo non costituisce una garanzia per la giustificazione.
Quindi, per salvarsi, è necessario che al battesimo si accompagni la fede: «La fede è necessaria alla salvezza. Il Signore stesso lo afferma: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato” [Mc 16,16]» (Catechismo della Chiesa Cattolica 83). O come recita il n. 161: «Credere in Gesù Cristo e in colui che l’ha mandato per la nostra salvezza, è necessario per essere salvati. “Poiché senza la fede è impossibile essere graditi a Dio” [Eb 11,6] e condividere la condizione di suoi figli, nessuno può essere mai giustificato senza di essa e nessuno conseguirà la vita eterna se non “persevererà in essa sino alla fine” [Mt 10,22; 24,13]».
Va sottolineato ancora che la fede pur essendo un «atto personale», una «libera risposta dell’uomo all’iniziativa di Dio che si rivela» (Catechismo della Chiesa Cattolica 166) ha due tratti inconfondibili. Innanzi tutto, è «impossibile credere senza la grazia e gli aiuti interiori dello Spirito Santo» (Catechismo della Chiesa Cattolica 154); poi, rimane sempre nell’ambito dei doni divini, soprannaturali, un «dono che Dio fa all’uomo gratuitamente» (Catechismo della Chiesa Cattolica 162). Un dono che deve essere accolto dal credente con grande responsabilità: giorno dopo giorno, con l’aiuto della grazia, deve far sì che in lui la fede cresca, fruttifichi e così, con insonne impegno, sia portato a compimento il progetto di salvezza iniziato nel fonte battesimale (Cf. 2Tm 4,7-8).
La fede è «un dono di Dio [Cf. Gv 3,3.5-8], al quale dobbiamo chiedere di fortificarla e di accrescerla, come fecero gli apostoli: Signore, “aumenta la nostra fede!” [Lc 17,6]. Anche se la fede è un dono divino, soprannaturale e gratuito, essa è in pari tempo una virtù, una buona consuetudine, che ogni persona può esercitare e, dunque, irrobustire vivendola. Ne segue che il cristiano, già in possesso del dono divino della fede, è tenuto con l’aiuto della grazia a fare atti espliciti di fede, in modo che quella virtù cresca sempre in lui» (La Bibbia di Navarra).

.. ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie: Benedetto XVI, (Omelia, 22 marzo 2009): Nel Vangelo di oggi vi sono parole pronunciate da Gesù che suscitano una certa impressione: Egli ci dice che la sentenza di Dio sul mondo è già stata emessa (cfr. Gv 3,19ss). La luce è già venuta nel mondo. Ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Quanto grandi sono le tenebre in tante parti del mondo! Tragicamente, le nuvole del male hanno ottenebrato anche l’Africa, compresa questa amata Nazione di Angola. Pensiamo al flagello della guerra, ai frutti feroci del tribalismo e delle rivalità etniche, alla cupidigia che corrompe il cuore dell’uomo, riduce in schiavitù i poveri e priva le generazioni future delle risorse di cui hanno bisogno per creare una società più solidale e più giusta – una società veramente ed autenticamente africana nel suo genio e nei suoi valori. E che dire di quell’insidioso spirito di egoismo che chiude gli individui in se stessi, divide le famiglie e, soppiantando i grandi ideali di generosità e di abnegazione, conduce inevitabilmente all’edonismo, all’evasione in false utopie attraverso l’uso della droga, all’irresponsabilità sessuale, all’indebolimento del legame matrimoniale, alla distruzione delle famiglie e all’eliminazione di vite umane innocenti mediante l’aborto? La parola di Dio, però, è una parola di speranza senza limiti. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito ... perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3,16-17). Dio non ci dà mai per spacciati! Egli continua ad invitarci ad alzare gli occhi verso un futuro di speranza e ci promette la forza per realizzarlo.

Preghiera a San Giuseppe artigiano - Pio XII (11 Marzo 1958): O glorioso Patriarca S. Giuseppe, umile e giusto artigiano di Nazareth, che hai dato a tutti i cristiani, ma specialmente a noi, l’esempio di una vita perfetta nell’assiduo lavoro e nell’ammirabile unione con Maria e Gesù, assistici nella nostra fatica quotidiana, affinché anche noi, artigiani cattolici, possiamo trovare in essa il mezzo efficace di glorificare il Signore, di santificarci e di essere utili alla società in cui viviamo, ideali supremi di tutte le nostre azioni.
Ottienici dal Signore, o Protettore nostro amatissimo, umiltà e semplicità di cuore, affezione al lavoro e benevolenza per quelli che ci sono in esso compagni, conformità ai divini voleri nei travagli inevitabili di questa vita e letizia nel sopportarli, consapevolezza della nostra specifica missione sociale e senso della nostra responsabilità, spirito di disciplina e di orazione, docilità e rispetto verso i superiori, fraternità verso gli uguali, carità e, indulgenza coi dipendenti. Accompagnaci nei momenti prosperi, quando tutto c’invita a gustare onestamente i frutti delle nostre fatiche; ma sostienici nelle ore tristi, allorché il cielo sembra chiudersi per noi e perfino gli strumenti del lavoro paiono ribellarsi nelle nostre mani.
Fa’ che, a tua imitazione, teniamo, fissi gli occhi sulla Madre nostra Maria, tua sposa dolcissima, che in un angolo della tua modesta bottega silenziosa filava, lasciando scorrere sulle sue labbra il più soave sorriso; e non allontaniamo lo sguardo da Gesù, che si affannava teco al tuo banco di falegname; affinché in tal guisa possiamo condurre sulla terra una vita pacifica e santa, preludio di quella eternamente felice che ci attende nel cielo, per tutti i secoli dei secoli. Così sia!

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.” (Vangelo).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che nella Pasqua del tuo Figlio hai ristabilito l’uomo nella dignità perduta e gli hai dato la speranza della risurrezione, fa’ che accogliamo e viviamo nell’amore il mistero celebrato ogni anno nella fede. Per il nostro Signore Gesù Cristo ...



30 Aprile 2019

Martedì II Settimana di Pasqua


Oggi Gesù ci dice: “Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.” (Cfr. Gv 3,15).

Vangelo - Dal Vangelo secondo Giovanni 3,7-15: Il colloquio con Nicodemo (Gv 3,1-21), maestro di Israele, procede tra lo scetticismo e lo stupore del visitatore notturno, e le rivelazioni di Gesù, che preannunciano il battesimo cristiano, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio (Gv 3,5) e la sua offerta vittimale per la salvezza del mondo, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna (Gv 3,14-15). Gesù ricordando a Nicodemo l’episodio del serpente di bronzo che salvò gli ebrei dal morso dei serpenti brucianti, vuol suggerire che per essere salvati bisognerà «guardare» il Cristo «innalzato» sulla croce (cfr. Num 21,8; Zac 12,10; Gv 19,37), cioè credere che egli è il Figlio unigenito (cfr. Gv 3,18; Zac 12,10). La vita eterna promessa ai credenti (cfr. 2Cor 4,18), è già data loro (cfr. Gv 3,36; 5,24; 6,40.68; 1Gv 2,25), ma si compirà pienamente nella sua morte e risurrezione (cfr. Gv 6,39-40.54; 11,25-26; Mt 7,14; 18,8; 19,16).
La tradizione cristiana con l’espressione vita eterna indica la condizione di pace, di gioia, di beatitudine perfetta di chi, conclusa la vita eterna, è accolto nella comunione con Dio. Il termine vita riassume tutti i beni  derivano dall’essere in ineffabile comunione con Dio, e l’aggettivo eterna indica che sarà un bene irreversibile: un “appagamento eterno”, perpetuo e definitivo.

Come può accadere questo? - Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): Nicodemo non ha più parole; solo riesce a balbettare: «Com’è possibile che ciò avvenga?» (3,9). Qui cade il rimprovero di Gesù, che suona come una triste constatazione della situazione dei primari e privilegiati destinatari del regno: «Tu sei il maestro d’Israele e ignori queste cose?» (3,10). Nicodemo si era presentato come un maestro competente: «sap­piamo», e si sente dire: «ignori?». Il maestro d’Israele, che sempre aveva tra le mani la Scrittura, «ignorava queste cose». Preoccupato della morale, ignorava che la Scrittura annunzia anche, e soprattutto, il libero agire di Dio mediante Spirito che, simile al vento, si muove e agisce come vuole. Ne parlano abbondantemente i profeti, e in particolare il profeta Ezechiele.
Il profeta annunzia che Dio, mediante lo Spirito trasforma le ossa aride in esseri viventi (c. 37) e profetizza ciò che avverrà un giorno sui monti di Israele: «Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli. Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò da voi cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti...» (36,25-27).
Per Gesù lo Spirito fa qualcosa di più: trasforma radicalmente l’uomo: lo fa rinascere, lo fa diventare «figlio di Dio» (1,12). È di questo dono che ha bisogno l’uomo, se vuol vedere, sperimentare, cioè entrare nel regno di Dio per partecipare alla nuova vita.

Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Come Mosè innalzò il serpente nel deserto; l’evangelista afferma una nuova verità che viene a integrare la prima; tra le due affermazioni non vi è un nesso logico stretto, ma piuttosto un richiamo vicendevole. Giovanni, dopo aver parlato della nascita dall’alto che si ottiene per mezzo dall’acqua e dello Spirito (battesimo), passa a indicare per mezzo di quale prezzo l’uomo ha ricevuto tale dono. Le dichiarazioni di Cristo usano un linguaggio allusivo pieno di dottrina (innalzare).
«Mosè innalzò il serpente nel deserto»; si richiama l’episodio del serpente di bronzo elevato come un vessillo da Mosè, durante la peregrinazione del popolo eletto nel deserto, per la guarigione di quegli israeliti che erano stati morsi dai serpenti (cf. Numeri, 21,4-9; Sapienza, 16,6-7). Così deve essere innalzato il Figlio dell’uomo; «innalzare» (ὑψόω) è il verbo scelto dal quarto evangelista per indicare la crocifissione di Gesù (cf. Giov., 8,26; 12,32,34); il verbo tuttavia insinua anche l’idea della glorificazione del Figlio dell’uomo, cioè dell’elevazione di Cristo alla gloria presso il Padre (cf. Atti, 2, 33; 5, 31). Il libro della Sapienza afferma che il serpente elevato da Mosè nel deserto rappresenta «un segno di salvezza»(σύμβολον σωτηρίας; Sapienza, 16,6-7); Gesù applica a sé questo segno salvifico. Non si può precisare fino nei più minuti particolari il parallelo che corre tra il serpente del deserto (tipo) e Gesù innalzato sulla croce (anti-tipo). Per avere una corrispondenza tra il serpente del deserto e Gesù innalzato sulla croce basta pensare che i due fatti sono considerati come segni apportatori di salvezza. Come si vede chiaramente dal testo, l’annunzio della passione è fatto in termini ancora velati; più avanti Gesù parlerà con un linguaggio più esplicito ed anche più crudo intorno al destino che lo attende; tale linguaggio richiama le predizioni della passione, riferite dai sinottici. Affinché ognuno che credeper mezzo di lui abbia la vita eterna; altri traducono: «affinché ognuno che crede in lui abbia la vita eterna»; preferiamo la versione indicata, perché più rispondente al contesto in cui si trova. La croce appare come il mezzo della rigenerazione e della salvezza dell’uomo. È necessario credere al sacrificio della croce come anche all’efficacia della nascita per mezzo dell’acqua e dello Spirito. Le due verità si trovano giustapposte nel presente discorso; la loro vicinanza dimostra che l’efficacia del battesimo (nascita dall’alto) proviene dal sacrificio della croce.

E come Mosè innalzò il serpente nel deserto - Henri van de Bussche (Giovanni): [...] la morte di Gesù non è più un dramma per Giovanni, essa è elevazione (hupsósis) nel duplice significato di elevazione sulla croce e di elevazione alla gloria. Questo duplice significato può essere attribuito alla parola greca, perché può essere attribuito al verbo aramaico corrispondente. Infine Giovanni si ispira forse al quarto canto del Servo sofferente, benché quest’ultimo non sia innalzato e glorificato se non dopo la sua morte (Is. 52,13). Per Giovanni il Gesù crocifisso è il Gesù glorificato.
Questo aspetto dell’Ora indivisibile che è la croce contiene una rivelazione escatologica così paradossale che sarà incomprensibile per il rabbino e per i giudei. Il paradosso della croce sigillerà definitivamente l’incredulità giudaica. Se ne trova una prefigurazione nell’Antico Testamento: i giudei nel deserto dovevano innalzare gli sguardi verso il serpente elevato per essere liberati dalla piaga dei serpenti; così quando comincerà il tempo fi­nale, si dovranno innalzare gli sguardi verso l’Ucciso per essere liberati dalla morte e possedere la vita. Così è stabilito nel piano della salvezza divina: dovrà essere innalzato il Figlio dell’uomo. Questo dovrà lo si ritrova nelle profezie sinottiche della passione (per esempio Mc. 8,31), ma la sorte dolorosa riservata al Figlio dell’Uomo là è descritta in funzione della sofferenza del Servo sofferente e del fatto reale della passione di Gesù. Qui la sofferenza è anche glorificazione, e il «dei» (occorre) divino della profezia si realizza attraverso l’ironia dell’errore. Infatti i giudei daranno corso alla elevazione (in croce), ma senza rendersi conto che colui che essi mettono a morte diventa sorgente di vita. Questo paradosso non può essere compreso da nessuno, se lo Spirito non lo illumina (15,26; 16,8-11).

Chiunque crede in lui abbia la vita eterna: Benedetto XVI (Omelia 4 Novembre 2010): L’espressione «vita eterna» ... designa il dono divino concesso all’umanità: la comunione con Dio in questo mondo e la sua pienezza in quello futuro. La vita eterna ci è stata aperta dal Mistero Pasquale di Cristo e la fede è la via per raggiungerla. È quanto emerge dalle parole rivolte da Gesù a Nicodemo e riportate dall’evangelista Giovanni: «E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,14-15). Qui vi è l’esplicito riferimento all’episodio narrato nel libro dei Numeri (21,1-9), che mette in risalto la forza salvifica della fede nella parola divina. Durante l’esodo, il popolo ebreo si era ribellato a Mosè e a Dio, e venne punito con la piaga dei serpenti velenosi. Mosè chiese perdono, e Dio, accettando il pentimento degli Israeliti, gli ordina: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque dopo esser stato morso lo guarderà, resterà in vita». E così avvenne. Gesù, nella conversazione con Nicodemo, svela il senso più profondo di quell’evento di salvezza, rapportandolo alla propria morte e risurrezione: il Figlio dell’uomo deve essere innalzato sul legno della Croce perché chi crede in Lui abbia la vita. San Giovanni vede proprio nel mistero della Croce il momento in cui si rivela la gloria regale di Gesù, la gloria di un amore che si dona interamente nella passione e morte. Così la Croce, paradossalmente, da segno di condanna, di morte, di fallimento, diventa segno di redenzione, di vita, di vittoria, in cui, con sguardo di fede, si possono scorgere i frutti della salvezza.

Il valore incomparabile della persona umana - Evangelium vitae 2: L’uomo è chiamato a una pienezza di vita che va ben oltre le dimensioni della sua esistenza terrena, poiché consiste nella partecipazione alla vita stessa di Dio.
L’altezza di questa vocazione soprannaturale rivela la grandezza e la preziosità della vita umana anche nella sua fase temporale. La vita nel tempo, infatti, è condizione basilare, momento iniziale e parte integrante dell’intero e unitario processo dell’esistenza umana. Un processo che, inaspettatamente e immeritatamente, viene illuminato dalla promessa e rinnovato dal dono della vita divina, che raggiungerà il suo pieno compimento nell’eternità (cf. 1Gv 3,1-2). Nello stesso tempo, proprio questa chiamata soprannaturale sottolinea la relatività della vita terrena dell’uomo e della donna. Essa, in verità, non è realtà «ultima», ma «penultima»; è comunque realtà sacra che ci viene affidata perché la custodiamo con senso di responsabilità e la portiamo a perfezione nell’amore e nel dono di noi stessi a Dio e ai fratelli.
La Chiesa sa che questo Vangelo della vita, consegnatole dal suo Signore, ha un’eco profonda e persuasiva nel cuore di ogni persona, credente e anche non credente, perché esso, mentre ne supera infinitamente le attese, vi corrisponde in modo sorprendente. Pur tra difficoltà e incertezze, ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore (cf. Rm 2,14-15) il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine, e ad affermare il diritto di ogni essere umano a vedere sommamente rispettato questo suo bene primario. Sul riconoscimento di tale diritto si fonda l’umana convivenza e la stessa comunità politica.
Questo diritto devono, in modo particolare, difendere e promuovere i credenti in Cristo, consapevoli della meravigliosa verità ricordata dal Concilio Vaticano II: «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo». In questo evento di salvezza, infatti, si rivela all’umanità non solo l’amore sconfinato di Dio che «ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16), ma anche il valore incomparabile di ogni persona umana.
E la Chiesa, scrutando assiduamente il mistero della Redenzione, coglie questo valore con sempre rinnovato stupore e si sente chiamata ad annunciare agli uomini di tutti i tempi questo «vangelo», fonte di speranza invincibile e di gioia vera per ogni epoca della storia. Il Vangelo dell’amore di Dio per l’uomo, il Vangelo della dignità della persona e il Vangelo della vita sono un unico e indivisibile Vangelo.
È per questo che l’uomo, l’uomo vivente, costituisce la prima e fondamentale via della Chiesa.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Per Gesù lo Spirito fa qualcosa di più: trasforma radicalmente l’uomo: lo fa rinascere, lo fa diventare «figlio di Dio» (1,12). È di questo dono che ha bisogno l’uomo, se vuol vedere, sperimentare, cioè entrare nel regno di Dio per partecipare alla nuova vita.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Concedi al tuo popolo, Dio misericordioso, di proclamare la potenza del Signore risorto, perché in lui, sacramento universale di salvezza, manifesti al mondo la pienezza della vita nuova. Per il nostro Signore Gesù Cristo...



29 Aprile 2019

SANTA CATERINA DA SIENA
VERGINE E DOTTORE DELLA CHIESA,
PATRONA D’ITALIA E D’EUROPA



Oggi Gesù ci dice: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.» (Vangelo).


Vangelo - Dal Vangelo secondo Matteo 11,25-30: Nel brano evangelico si possono mettere in evidenza almeno tre temi. Il primo è quello dei piccoli, i quali proprio per la loro umiltà riescono a cogliere il mistero del Cristo. Il secondo tema è la rivelazione della divinità di Gesù: il Figlio conosce il Padre con la medesima conoscenza con cui il Padre conosce il Figlio. Il terzo tema è quello del giogo di Gesù che è dolce e sopportabile a differenza di quello imposto dai Farisei, insopportabile perché reso pesante da minuziose norme di fatto impraticabili.

Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra... - L’espressione Signore del cielo e della terra, evoca l’azione creatrice di Dio (Cf. Gen 1,1). Il motivo della lode sta nel fatto che il Padre ha «nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le ha rivelate ai piccoli». Le cose nascoste «non si riferiscono a ciò che precede; si devono intendere invece dei “misteri del regno” in generale [Mt 13,11], rivelati ai “piccoli”, i discepoli [Cf. Mt 10,42], ma tenuti nascosti ai “sapienti”, i farisei e i loro dottori» (Bibbia di Gerusalemme).
Molti anni dopo Paolo ricorderà queste parole di Gesù ai cristiani di Corinto: «Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (1Cor 1,26-29).
... nessuno conosce il Figlio... La rivelazione della mutua conoscenza tra il Padre e il Figlio pone decisamente il brano evangelico in relazione «con alcuni passi della letteratura sapienziale riguardanti la sophia. Solo il Padre conosce il Figlio, come solo Dio la sapienza [Gb 28,12-27; Bar 3,32]. Solo il Figlio conosce il Padre, così come solo la sapienza conosce Dio [Sap 8,4; 9,1-18]. Gesù fa conoscere la rivelazione nascosta, come la sapienza rivela i segreti divini [Sap 9,1-18; 10,10] e invita a prendere il suo giogo su di sé, proprio come la sapienza [Prov 1,20-23; 8,1-36]» (Il Nuovo Testamento, Vangeli e Atti degli Apostoli).
... nessuno conosce il Padre se non il Figlio... Gesù è l’unico rivelatore dei misteri divini, in quanto il Padre ne ha comunicato a lui, il Figlio, la conoscenza intera. Da questa affermazione si evince che Gesù è uguale al Padre nella natura e nella scienza, è Dio come il Padre, di cui è il Figlio Unico.
Venite a me... Gesù nell’offrire ai suoi discepoli il suo giogo dolce fa emergere la «nuova giustizia» evangelica in netta contrapposizione con la giustizia farisaica fatta di leggi e precetti meramente umani (Mt 15,9); una giustizia ipocrita, ma strisciante da sempre in tutte le religioni. Il ristoro che Gesù dona a coloro che sono stanchi e oppressi, in ogni caso, non esime chi si mette seriamente al suo seguito di accogliere, senza tentennamenti, le condizioni che la sequela esige: rinnegare se stessi e portare la croce dietro di lui, ogni giorno, senza infingimenti o accomodamenti: «Poi, a tutti, diceva: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”» (Lc 9,23). È la croce che diventa, per il Cristo come per il suo discepolo, motivo discriminante della vera sapienza, quella sapienza che agli occhi del mondo è considerata sempre stoltezza o scandalo (1Cor 1,17-31). Un carico, la croce di Cristo, che non soverchia le forze umane, non annienta l’uomo nelle sue aspettative, non lo umilia nella sua dignità di creatura, anzi lo esalta, lo promuove, lo avvia, «di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito Santo» (2Cor 3,18) ad un traguardo di felicità e di beatitudine eterna. La croce va quindi piantata al centro del cuore e della vita del credente.
Invece, molti, anche cristiani, tendono a porre al centro di tutta la loro vita, spesso disordinata, le loro scelte, non sempre in sintonia con la morale; o avvinti dai loro gusti e programmi, tentano di far ruotare attorno a questo centro anche l’intero messaggio evangelico, accettandolo in parte o corrompendolo o assoggettandolo ai propri capricci; da qui la necessità capricciosa di imporre alla Bibbia, distinguo, precetti o nuove leggi, frutto della tradizione umana; paletti issati come muri di protezione per contenere la devastante e benefica azione esplosiva della Parola di Dio (Cf. Mc 7,8-9).
Gesù è mite e umile di cuore: è la via maestra per tutti i discepoli, è la via dell’annichilimento (Cf. Fil 2,5ss), dell’incarnarsi nel tempo, nella storia, nel quotidiano dei fratelli, non come maestri arroganti o petulanti, ma come servi (Cf. 1Cor 9,22).

Imparate da me - Catechismo della Chiesa Cattolica 520-521: Durante tutta la sua vita, Gesù si mostra come nostro modello: è «l’uomo perfetto» che ci invita a diventare suoi discepoli e a seguirlo; con il suo abbassamento, ci ha dato un esempio da imitare, con la sua preghiera, attira alla preghiera, con la sua povertà, chiama ad accettare liberamente la spogliazione e le persecuzioni.
Tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa sì che noi possiamo viverlo in lui e che egli lo viva in noi. «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo». Siamo chiamati a formare una cosa sola con lui; egli ci fa comunicare come membra del suo corpo a ciò che ha vissuto nella sua carne per noi e come nostro modello: «Noi dobbiamo sviluppare continuamente in noi e, in fine, completare gli stati e i misteri di Gesù. Dobbiamo poi pregarlo che li porti lui stesso a compimento in noi e in tutta la sua Chiesa. [...] Il Figlio di Dio desidera una certa partecipazione e come un’estensione e continuazione in noi e in tutta la sua Chiesa dei suoi misteri mediante le grazie che vuole comunicarci e gli effetti che intende operare in noi attraverso i suoi misteri. E con questo mezzo egli vuole completarli in noi».

La bontà, la mitezza e la clemenza richieste ai credenti - Giuseppe Barbaglio (Mitezza, Schede Bibliche Pastorali): Anzitutto è doveroso analizzare la beatitudine matteana: «Beati i miti (hóipraéìs), perché erediteranno la terra» (Mt 5,5). Il riferimento al salmo 37,11 [...], la mancanza di questa beatitudine nella versione di Luca, la constatazione che essa costituisce un doppione con la prima beatitudine («Beati i poveri in spirito») inducono a credere che si tratti di un passo redazionale, non privo di legittimazione storica. Matteo ha collocato la mitezza nell’elenco delle condizioni necessarie per poter entrare nel regno dei cieli.
Di grande rilievo è poi il passo di Gal 5,22-23 in cui la bontà e la mitezza sono presentate come frutto dello Spirito. Non siamo dunque di fronte, come nel mondo greco, a comportamenti etici e nobili e virtuosi in cui la persona eccelle, ma al risultato dell’animazione dello Spirito. Essere «buoni» e «miti» è grazia, dono: natu­ralmente grazia che responsabilizza e impe­gna. Ecco le parole dell’apostolo: «Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé».
Inoltre 1Cor 13,4 connette così stretta­mente l’agape con la mitezza da attribuire al dinamismo dell’agape la specificazione della mitezza: «La carità è paziente, è benigna la carità». Si noti che per l’apostolo l’agape non è una virtù tra le altre, ma il principio fontale, il dinamismo soprannaturale che abilita il soggetto ad agire in maniera coerente, nel nostro caso in maniera mansueta.
In questo profondo e vasto orizzonte si devono interpretare le numerose e molteplici esortazioni alla bontà e alla mitezza presenti nel Nuovo Testamento.
Le realtà implicate dello Spirito e dell’agape escludono che sia un discorso puramente moralistico. In Col 3,12 l’autore indica questi comportamenti come doverosi per l’esistenza della comunità cri­stiana: «Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudi­ne, di pazienza» (Cf. anche il passo parallelo di Ef 4,2, che però collega l’esortazione con il motivo della vocazione cristiana). In Gal 6,1 l’apostolo afferma che l’ammonizione fraterna nella chiesa deve avvenire «con dolcezza». Fil 4,5 esorta all’affabilità.
Tra le doti spirituali e morali necessarie ai ministri della comunità, le lettere pastorali elencano anche la benevolenza, la mitezza: «(l’episcopo) sia benevolo e non litigioso» (1Tm 3,3); «Un servo del Signore non dev’essere litigioso, ma mite con tutti» (2Tm 2,25); Timoteo è esortato, come uomo di Dio, a tendere alla mitezza (2Tm 6,11) e Tito a farsi efficace maestro dei credenti perché questi siano mansueti e dimostrino ogni dolcezza con tutti (Tt 3,2).
Gc 1,21 sollecita ad accogliere «con docilità (en praytétì) la parola che è stata seminata» in loro. La stessa lettera afferma che la mitezza e la sapienza superiore sono strettamente connesse (3,13; 3,17).
Ancora una volta emerge che gli autori del Nuovo Testamento restano racchiusi in prospettive puramente moralistiche.
La 1Pt fa obbligo ai domestici di stare sottomessi ai padroni, non solo a quelli miti, ma pure a coloro che sono difficili (2,18). La mitezza poi per lo stesso scritto è preziosa dote dell’anima incorruttibile (3,4). Infine l’autore della 1Pt sollecita i credenti a farsi testimoni autentici della speranza da essi vissuta, ma senza alterigia «con dolcezza» (metà praytètos) (3,15-16).

Benedetto XVI (Angelus, 3 Luglio 2011): “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,28-30). Quando Gesù percorreva le strade della Galilea annunciando il Regno di Dio e guarendo molti malati, sentiva compassione delle folle, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore” (cfr Mt 9,35-36). Quello sguardo di Gesù sembra estendersi fino ad oggi, fino al nostro mondo. Anche oggi si posa su tanta gente oppressa da condizioni di vita difficili, ma anche priva di validi punti di riferimento per trovare un senso e una meta all’esistenza. Moltitudini sfinite si trovano nei Paesi più poveri, provate dall’indigenza; e anche nei Paesi più ricchi sono tanti gli uomini e le donne insoddisfatti, addirittura malati di depressione. Pensiamo poi ai numerosi sfollati e rifugiati, a quanti emigrano mettendo a rischio la propria vita. Lo sguardo di Cristo si posa su tutta questa gente, anzi, su ciascuno di questi figli del Padre che è nei cieli, e ripete: “Venite a me, voi tutti…”.
Gesù promette di dare a tutti “ristoro”, ma pone una condizione: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore”. Che cos’è questo “giogo”, che invece di pesare alleggerisce, e invece di schiacciare solleva? Il “giogo” di Cristo è la legge dell’amore, è il suo comandamento, che ha lasciato ai suoi discepoli (cfr Gv 13,34; 15,12). Il vero rimedio alle ferite dell’umanità, sia quelle materiali, come la fame e le ingiustizie, sia quelle psicologiche e morali causate da un falso benessere, è una regola di vita basata sull’amore fraterno, che ha la sua sorgente nell’amore di Dio. Per questo bisogna abbandonare la via dell’arroganza, della violenza utilizzata per procurarsi posizioni di sempre maggiore potere, per assicurarsi il successo ad ogni costo. Anche verso l’ambiente bisogna rinunciare allo stile aggressivo che ha dominato negli ultimi secoli e adottare una ragionevole “mitezza”. Ma soprattutto nei rapporti umani, interpersonali, sociali, la regola del rispetto e della non violenza, cioè la forza della verità contro ogni sopruso, è quella che può assicurare un futuro degno dell’uomo.
Cari amici, ieri abbiamo celebrato una particolare memoria liturgica di Maria Santissima lodando Dio per il suo Cuore Immacolato. Ci aiuti la Vergine a “imparare” da Gesù la vera umiltà, a prendere con decisione il suo giogo leggero, per sperimentare la pace interiore e diventare a nostra volta capaci di consolare altri fratelli e sorelle che percorrono con fatica il cammino della vita.  

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Vangelo).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che in santa Caterina da Siena, ardente del tuo spirito di amore, hai unito la contemplazione di Cristo crocifisso e il servizio della Chiesa, per sua intercessione concedi a noi tuoi fedeli, partecipi del mistero di Cristo, di esultare nella rivelazione della sua gloria. Per il nostro Signore Gesù Cristo...