1 Gennaio 2019

Maria santissima Madre di Dio


Oggi Gesù ci dice: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace.» (I Lettura).

I Lettura - Num 6,22-27: Ti benedica il Signore e ti custodisca: la preghiera sacerdotale ricordata dal libro dei Numeri trova ricchezza e compimento nel nome di Gesù: nel mistero del Dio umanato, e nella sua dolcezza, tutti gli uomini saranno benedetti da Dio. In Gesù ogni uomo ha trovato grazia e salvezza.

Salmo Responsoriale 66 [67]: Paolino Beltrame-Quattrocchi (I Salmi Preghiera Cristiana): Tre brevi strofe, intercalate da un ritornello alleluiatico. L’esperienza delle benedizioni ricevute dal Signore induce a lodarlo non solo nel canto festoso del ritornello, ma in una preghiera universale che è autentica apertura evangelica di carità. La manifestazione più genuina di amore riconoscente verso il Signore è nel far proprio l’anelito del Cristo: che anche su tutti gli altri popoli, sino ai confini della terra, splenda la luce del volto di Dio, ed essi ne accolgano esultanti la via di salvezza, ne ricevano la pienezza di benedizioni, e si uniscano in un solo coro di lode: ... «Venga il tuo regno!».

Atanasio di Alessandria d’Egitto: Questo salmo annuncia che il Verbo di Dio si manifesterà tra gli uomini. Il profeta prega per affrettare l’incarnazione che porterà tutte le benedizioni messianiche e soprattutto la conoscenza di Dio. Cita Gv 14,9: Chi vede me, vede il Padre, e aggiunge che, chiedendo la manifestazione del volto, chiede di vedere Dio faccia a faccia.

II Lettura - Gal 4,4-7: Quando venne la pienezza del tempo: questa espressione designa la venuta dei tempi messianici o escatologici, che colmano la lunga attesa dei secoli come una misura finalmente piena. Inoltre, in modo mirabile, Paolo mette in risalto “i due aspetti, negativo e positivo della redenzione: divenendo figlio, lo schiavo acquista la libertà. Lo schiavo liberato è adottato come figlio, non solamente per l’accesso legale all’eredità, ma con il dono reale della vita divina, nella quale le tre Persone sono associate” (Bibbia di Gerusalemme).

Vangelo: Dal Vangelo secondo Luca 2,16-21: I pastori entrano nella grotta e vedono tutto ciò che era stato loro annunciato dall’angelo e, colmi di gioia, trasmettono il messaggio angelico, udendolo la gente si meraviglia, come si erano meravigliati i parenti di Zaccaria e si meraviglieranno il padre e la madre di Gesù. Il brano si chiude con la presentazione del bambino al Signore: “Gesù entra nel tempio non per essere consacrato ma per consacrare, non per essere purificato ma per purificare, non per essere assorbito e dissolto dalla nostra creaturalità ma per assumere e salvare la nostra umanità così da renderci come lui figli ed eredi” (Messale Quotidiano, Ed. Paoline).

La Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, la prima festa mariana comparsa nella Chiesa occidentale, proclama il mirabile mistero della divina Maternità di Maria. Maria è vera Madre di Cristo, che è vero Figlio di Dio: una verità tanto cara al popolo cristiano. Nestorio aveva negato questa verità e sfrontatamente aveva dichiarato: “Dio ha dunque una madre? Allora non condanniamo la mitologia greca, che attribuisce una madre agli dèi”. San Cirillo di Alessandria però aveva replicato: “Si dirà: la Vergine è madre della divinità? Al che noi rispondiamo: il Verbo vivente, sussistente, è stato generato dalla sostanza medesima di Dio Padre, esiste da tutta l’eternità... Ma nel tempo egli si è fatto carne, perciò si può dire che è nato da donna”. Gesù, Figlio di Dio, è nato da Maria: è da questa eccelsa ed esclusiva prerogativa che derivano alla Vergine tutti i titoli di onore che le attribuiamo. Con il sì, Maria, si è consacrata totalmente al mistero della redenzione: “figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù e, abbracciando con tutto l’animo e senza peso alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui e con Lui, con la grazia di Dio onnipotente” (Lumen Gentium, 56). Ma la liturgia esalta anche la verginità feconda e l’umiltà di Maria e per questa sua virtù diventa per noi un modello affinché, imitandola accogliamo in noi il Verbo fatto uomo, nell’interiore ascolto delle Scritture e nella partecipazione più viva ai misteri della salvezza, onde poi testimoniarla con opere di giustizia e di santità, nella vita di ogni giorno.

Maria Madre di Dio - Redemptoris Mater n. 4: Maria è la Madre di Dio (= Theotókos), poiché per opera dello Spirito Santo ha concepito nel suo grembo verginale e ha dato al mondo Gesù Cristo, il Figlio di Dio consostanziale al Padre. «Il Figlio di Dio..., nascendo da Maria Vergine, si è fatto veramente uno di noi», si è fatto uomo. Così dunque, mediante il mistero di Cristo, sull’orizzonte della fede della Chiesa risplende pienamente il mistero della sua Madre. A sua volta, il dogma della maternità divina di Maria fu per il Concilio Efesino ed è per la Chiesa come un suggello del dogma dell’incarnazione, nella quale il Verbo assume realmente nell’unità della sua persona la natura umana senza annullarla.

Maria Madre di Cristo: Gesù nacque da Maria Vergine - Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 486-487: Il Figlio unigenito del Padre, essendo concepito come uomo nel seno della Vergine Maria, è «Cristo», cioè unto dallo Spirito Santo, sin dall’inizio della sua esistenza umana, anche se la sua manifestazione avviene progressivamente: ai pastori, ai magi, a Giovanni Battista, ai discepoli. L’intera vita di Gesù Cristo manifesterà dunque «come Dio [lo] consacrò in Spirito Santo e potenza» (At 10,38). Ciò che la fede cattolica crede riguardo a Maria si fonda su ciò che essa crede riguardo a Cristo, ma quanto insegna su Maria illumina, a sua volta, la sua fede in Cristo.

Maria, Madre di Cristo, Madre della Chiesa - Catechismo della Chiesa Cattolica n. 963: Dopo aver parlato del ruolo della beata Vergine Maria nel mistero di Cristo e dello Spirito, è ora opportuno considerare il suo posto nel mistero della Chiesa. «Infatti la Vergine Maria [...] è riconosciuta e onorata come la vera Madre di Dio e del Redentore. [...] Insieme però [...] è veramente “Madre delle membra” (di Cristo), [...] perché ha cooperato con la sua carità alla nascita dei fedeli nella Chiesa, i quali di quel Capo sono le membra». « Maria, [...] Madre di Cristo, Madre della Chiesa».

Maternità divina - Catechismo degli Adulti n. 773: Fin dalle origini la dignità della divina maternità ha attirato lattenzione e lo stupore della Chiesa. Levangelista Luca onora Maria come la Madre del Signore, tenda della divina presenza, arca della nuova alleanza. I cristiani cominciano presto a invocarla come Madre di Dio. Lo attesta già una bella preghiera del III secolo: «Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta». Più tardi, nel 431, il concilio di Efeso definisce che Maria è Madre di Dio. Ovviamente con ciò non intende affermare che Maria è stata principio della divinità, cosa evidentemente assurda; ma che ha generato nella sua umanità il Figlio eterno, che è vero Dio e veramente è diventato uomo. Per ogni donna la maternità comporta un legame personale permanente con il figlio. La maternità di Maria integra questa dimensione umana ordinaria in una comunione con Dio senza pari. Il Padre celeste le comunica lo Spirito di infinita tenerezza, con cui egli si compiace del Figlio generandolo nelleternità; la fa partecipare alla propria fecondità perché il Figlio nasca anche nella storia, come uomo e come primogenito di molti fratelli. Madre di Dio è «il nome proprio dellunione con Dio, concessa a Maria Vergine», «che realizza nel modo più eminente la predestinazione soprannaturale... elargita a ogni uomo». Maria vive questa grazia singolarissima con atteggiamento di accoglienza grata, amante e adorante, in modo simile a tutti i credenti, ma con una radicalità e pienezza inaudita. Questo è il suo modo di ricevere la Parola e di partecipare alla vita divina. Allo stesso tempo è il modo più sublime di attuare la femminilità, come accoglienza e donazione di vita.
n. 774 «Vergine Madre di Dio, colui che il mondo non può contenere facendosi uomo si chiuse nel tuo grembo» 

Maria vera Madre di Dio - Lumen gentium n. 52: Volendo Dio misericordiosissimo e sapientissimo compiere la redenzione del mondo, «quando venne la pienezza dei tempi, mandò il suo Figlio, nato da una donna... per fare di noi dei figli adottivi» (Gal 4,4-5), «Egli per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso dal cielo e si è incarnato per opera dello Spirito Santo da Maria vergine». Questo divino mistero di salvezza ci è rivelato e si continua nella Chiesa, che il Signore ha costituita quale suo corpo e nella quale i fedeli, aderendo a Cristo capo e in comunione con tutti i suoi santi, devono pure venerare la memoria «innanzi tutto della gloriosa sempre vergine Maria, madre del Dio e Signore nostro Gesù Cristo».
n. 53 Infatti Maria vergine, la quale all’annunzio dell’angelo accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio e portò la vita al mondo, è riconosciuta e onorata come vera madre di Dio e Redentore. Redenta in modo eminente in vista dei meriti del Figlio suo e a lui unita da uno stretto e indissolubile vincolo, è insignita del sommo ufficio e dignità di madre del Figlio di Dio, ed è perciò figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo; per il quale dono di grazia eccezionale precede di gran lunga tutte le altre creature, celesti e terrestri. Insieme però, quale discendente di Adamo, è congiunta con tutti gli uomini bisognosi di salvezza; anzi, è «veramente madre delle membra (di Cristo)... perché cooperò con la carità alla nascita dei fedeli della Chiesa, i quali di quel capo sono le membra». Per questo è anche riconosciuta quale sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa, figura ed eccellentissimo modello per essa nella fede e nella carità; e la Chiesa cattolica, istruita dallo Spirito Santo, con affetto di pietà filiale la venera come madre amatissima.

Papa Francesco (Omelia 1 Gennaio 2018): L’anno si apre nel nome della Madre di Dio. Madre di Dio è il titolo più importante della Madonna. Ma una domanda potrebbe sorgere: perché diciamo Madre di Dio e non Madre di Gesù? Alcuni, in passato, chiesero di limitarsi a questo, ma la Chiesa ha affermato: Maria è Madre di Dio. Dobbiamo essere grati perché in queste parole è racchiusa una verità splendida su Dio e su di noi. E cioè che, da quando il Signore si è incarnato in Maria, da allora e per sempre, porta la nostra umanità attaccata addosso. Non c’è più Dio senza uomo: la carne che Gesù ha preso dalla Madre è sua anche ora e lo sarà per sempre. Dire Madre di Dio ci ricorda questo: Dio è vicino all’umanità come un bimbo alla madre che lo porta in grembo.
La parola madre (mater), rimanda anche alla parola materia. Nella sua Madre, il Dio del cielo, il Dio infinito si è fatto piccolo, si è fatto materia, per essere non solo con noi, ma anche come noi. Ecco il miracolo, ecco la novità: l’uomo non è più solo; mai più orfano, è per sempre figlio. L’anno si apre con questa novità. E noi la proclamiamo così, dicendo: Madre di Dio! È la gioia di sapere che la nostra solitudine è vinta. È la bellezza di saperci figli amati, di sapere che questa nostra infanzia non ci potrà mai essere tolta. È specchiarci nel Dio fragile e bambino in braccio alla Madre e vedere che l’umanità è cara e sacra al Signore. Perciò, servire la vita umana è servire Dio e ogni vita, da quella nel grembo della madre a quella anziana, sofferente e malata, a quella scomoda e persino ripugnante, va accolta, amata e aiutata.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  Nella sua Madre, il Dio del cielo, il Dio infinito si è fatto piccolo, si è fatto materia, per essere non solo con noi, ma anche come noi.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Padre buono, che in Maria, vergine e madre, benedetta fra tutte le donne, hai stabilito la dimora del tuo Verbo fatto uomo tra noi, donaci il tuo Spirito, perché tutta la nostra vita nel segno della tua benedizione si renda disponibile ad accogliere il tuo dono. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio...






31 Dicembre 2018

Tempo di Natale - Ottava


Oggi Gesù ci dice: «Cantate al Signore un canto nuovo, cantate al Signore, uomini di tutta la terra.» (Salmo Responsoriale).

Vangelo: Dal Vangelo secondo Giovanni 1,1-18: Al termine dell’anno la Liturgia proclama il prologo del vangelo di Giovanni, già solennemente proclamato nella Messa del giorno di Natale. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi: l’evangelista afferma che la Parola stessa di Dio è venuta ad abitare in mezzo a noi, letteralmente piantò una tenda. È un’allusione alla tenda dove Dio dimora (cfr. Es 40,34-35; 1Re 8,10-13; Ez 37,27). L’Incarnazione è piena manifestazione della bontà salvifica di Dio e di fronte a tale mistero d’amore Giovanni sottolinea, con amarezza, la mancata accoglienza degli uomini: la Parola era la luce, eppure gli uomini hanno preferito le tenebre. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. Per colui che Gesù amava sono parole colme di tristezza, ma vengono suggerite perché impariamo ad aprire il Vangelo giorno dopo giorno, pagina dopo pagina. Solo così possono diradare le tenebre che assediano la nostra mente e il nostro cuore. Solo accogliendo la Luce potremo crescere nella conoscenza e nell’amore del Signore. La Parola che oggi ascoltiamo deve diventare carne anche nella nostra vita.

Il Verbo incarnato manifesta il Dio di amore - Salvatore Alberto Panimolle ( Lettura Pastorale del vangelo di Giovanni): Gesù è la rivelazione vivente del Padre. Dio infatti si è manifestato solo parzialmente nella legge mosaica. Il Verbo incarnato, pieno della grazia della verità, rivela in modo pieno e perfetto quel Dio che è amore (cf. lGv 4,8.16) e padre delle misericordie (cf. 1Cor 1,3). Gesù Cristo è la manifestazione più elo­quente e più concreta dell’amore infinito del Padre celeste per il mondo, ossia per l’umanità peccatrice: «Così Dio ha amato il mondo, che ha dato il suo Figlio, l’unigenito, affinché chiunque crede in lui, non (perisca ma abbia la vita eterna. Dio infatti non ha inviato il Figlio nel mondo, per giudicare il mondo, ma affinché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3,16s).
A noi incombe il dovere di accogliere questo amore di Dio, credendo esistenzialmente nel suo Figlio e amando i fratelli: «Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha man­dato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.
Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi... E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato suo Figlio come salvatore del mondo. Chiunque riconosce che Gesù è il figlio di Dio, dimora in lui ed egli in Dio. Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui » (1Gv 4,7-16).
Il concilio Vaticano II ci ricorda che Dio si rivela agli uomini per mezzo del Verbo incarnato, parlando loro come ad amici, per invitarli alla comunione della sua vita:
«Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e manifestare il mistero della sua volontà (cf. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito santo hanno ‘accesso al Padre e sono resi partecipi della natura divina (cf. Ef 2,18; 2Pt 1,4). Con questa rivelazione infatti Dio invisibile (cf. Col 1,15; lTm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici... e s’intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé» (Dei Verbum, 2).

Preparazione della Rivelazione evangelica: Dei verbum 3: Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (cfr. Gv 1,3), offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé (cfr. Rm 1,19-20); inoltre, volendo aprire la via di una salvezza superiore, fin dal principio manifestò se stesso ai progenitori. Dopo la loro caduta, con la promessa della redenzione, li risollevò alla speranza della salvezza (cfr. Gen 3,15), ed ebbe assidua cura del genere umano, per dare la vita eterna a tutti coloro i quali cercano la salvezza con la perseveranza nella pratica del bene (cfr. Rm 2,6-7). A suo tempo chiamò Abramo, per fare di lui un gran popolo (cfr. Gen 12,2); dopo i patriarchi ammaestrò questo popolo per mezzo di Mosè e dei profeti, affinché lo riconoscesse come il solo Dio vivo e vero, Padre provvido e giusto giudice, e stesse in attesa del Salvatore promesso, preparando in tal modo lungo i secoli la via all’Evangelo.

La missione del Figlio: Ad gentes 3: Cristo Gesù fu inviato nel mondo quale autentico mediatore tra Dio e gli uomini. Poiché è Dio, in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 2,9); nella natura umana, invece, egli è il nuovo Adamo, è riempito di grazia e di verità (cfr. Gv 1,14) ed è costituito capo dell’umanità nuova. Pertanto il Figlio di Dio ha percorso la via di una reale incarnazione per rendere gli uomini partecipi della natura divina; per noi egli si è fatto povero, pur essendo ricco, per arricchire noi con la sua povertà. Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita in riscatto dei molti, cioè di tutti. I santi Padri affermano costantemente che non fu redento quel che da Cristo non fu assunto. Ora egli assunse la natura umana completa, quale essa esiste in noi, infelici e poveri, ma una natura che in lui è senza peccato. Di se stesso infatti il Cristo, dal Padre consacrato ed inviato nel mondo (cfr. Gv 10,36), affermò: «Lo Spirito del Signore è su di me, per questo egli mi ha consacrato con la sua unzione, mi ha inviato a portare la buona novella ai poveri, a guarire quelli che hanno il cuore contrito, ad annunziare ai prigionieri la libertà ed a restituire ai ciechi la vista» (Lc 4,18); ed ancora: «Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare quello che era perduto» (Lc 19,10). Ora tutto quanto il Signore ha una volta predicato o in lui si è compiuto per la salvezza del genere umano, deve essere annunziato e diffuso fino all’estremità della terra, a cominciare da Gerusalemme. In tal modo quanto una volta è stato operato per la salvezza di tutti, si realizza compiutamente in tutti nel corso dei secoli.

E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi: Spe salvi 49: Con un inno dell’VIII/IX secolo, quindi da più di mille anni, la Chiesa saluta Maria, la Madre di Dio, come «stella del mare»: Ave maris stella. La vita umana è un cammino. Verso quale meta? Come ne troviamo la strada? La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine - di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata. E quale persona potrebbe più di Maria essere per noi stella di speranza - lei che con il suo «sì» aprì a Dio stesso la porta del nostro mondo; lei che diventò la vivente Arca dell’Alleanza, in cui Dio si fece carne, divenne uno di noi, piantò la sua tenda in mezzo a noi (cfr. Gv 1,14)?

Giovanni gli rese testimonianza - Marco Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): L’esperienza di Gesù, per l’evangelista, è iniziata quand’era discepolo del Battista il quale diceva: «Colui che viene dopo di me, è più grande di me, perché era prima di me». Gesù come Parola, come Luce, come Unigenito dal Padre, preesisteva a Giovanni Battista. E tutti, anche il Battista, e anche noi, dalla sua pienezza abbiamo ricevuto grazia su gra­zia. In Gesù di Nazaret, Parola fattasi uomo, abbiamo ricevuto una pienezza sovrabbondante dei doni divini.
L’evangelista, che è un Ebreo, non può, a questo punto, non confrontare la nuova esperienza di discepolo del Cristo con l’esperienza avuta, quando viveva sotto la Legge di Mosè che è pure un dono di Dio. La sua constatazione è questa: La legge fu data da Dio per mezzo di Mosè; la grazia e la verità lo furono per mezzo di Gesù Cristo. È in Gesù di Nazaret che si incontra pienamente «la grazia e la verità» di Dio (1,14) e che è dato all’uomo di essere, in relazione a Dio e agli altri uomini, «grazia e fedeltà», nel senso di «amore, bontà, fedeltà».
Ora, questo dono è possibile ai credenti perché hanno nel Figlio Unigenito la possibilità di conoscere veramente Dio: Nessuno ha mai visto Dio. Il Figlio Unigenito che è sempre accanto al Padre lo ha rivelato. Noi che ci accingiamo a leggere il vangelo secondo Giovanni, possiamo usare il futuro: ce lo rivelerà. Solo il Figlio darà a chi crede la vera conoscenza del Padre. È una importante chiave di lettura del vangelo: se nella fede ascolteremo Gesù, egli ci farà veri figli di Dio, ci aiuterà ad avere nella nostra vita il «senso di Dio», e ci condurrà al Padre.
La linea della catechesi di Giovanni è quella della sua stessa esperienza: dalla contemplazione del Gesù uomo, a poco a poco, penetreremo nel mistero della sua divinità. Ci innalzeremo con lui dalla terra al cielo e ci renderemo ancor più capaci di penetrare a fondo questa pagina di vangelo, il cui senso nel contesto dell’opera giovannea, è stato appena abbozzato.

La festa del tempo - Antonio Busetto: Ultimo giorno dell’anno. La liturgia ci saluta con le parole della prima lettera dell’apostolo Giovanni. L’ultima ora è drammatica, perché è l’ora dell’Anticristo, cioè dell’opposizione diretta e speculare al Signore. L’Anticristo gli assomiglia al rovescio: “Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri”. Il Vangelo ci consola riprendendo l’annuncio del Verbo di Dio che viene ad abitare tra gli uomini. Il Vangelo fa risuonare per l’ultimo giorno dell’anno il grande inno di Giovanni, che proclama il Verbo di Dio creatore delle cose e del tempo, venuto ad abitare tra gli uomini. “Un momento di tempo, ma il tempo fu fatto da quel momento’, come ci ricorda il grande poeta Eliot. Il tempo non è vuoto, non si consuma nella insignificanza di giorni che non contengono nulla e non portano a nulla, ma vive nella pienezza della presenza del Signore. La vita non prende significato dalle nostre costruzioni, ma dalla novità della sua tenda posta tra le nostre case. Il riconoscimento di questa presenza non è pacifico. Con la venuta del Verbo di Dio si svela il dramma del tempo. Il tempo deve essere redento: non solo dal suo vuoto, ma dal male che lo abita. Quando l’uomo si innalza al di sopra di Dio e contro Dio e avanza la pretesa di costruirsi da solo, come se lui stesso fosse Dio, allora sostituisce la sua propria immagine a quella del Figlio di Dio venuto nella carne: questa presunzione è la maschera di Cristo; questo è l’Anticristo. Il tempo dunque patisce la lotta per il riconoscimento e l’affermazione di Cristo: “Venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto”. Questo è il nucleo e l’essenza della fede cristiana. Il destino dell’uomo e la sua felicità, si giocano nell’accoglienza o nel rifiuto del Signore Gesù, Dio venuto in carne umana. Infatti, solo dalla pienezza del Figlio di Dio incarnato, l’uomo riceve grazia su grazia, e gli viene donata la verità del suo essere. Diventando consanguinei e familiari di Gesù realizziamo la nostra vita e siamo avviati al compimento della nostra vocazione. I giorni, le settimane, i mesi, gli anni, ci vengono donati perché la gloria di Cristo si manifesti e cresca nel mondo, e gli occhi di ogni uomo, riconoscendo il Signore, vedano la sua salvezza. Vieni, Signore Gesù. Per l’ultima ora, per ogni ora, per ogni giorno. Vieni a redimere il mio tempo, il tempo del mondo, occupandolo con la tua presenza. Te Deum laudamus, per quanto ci hai donato. Nella festa dell’ultimo anno, non manchi la gratitudine al Signore per il dono della sua presenza nel tempo della nostra vita, poiché Egli è venuto ad abitare in mezzo a noi. Questa è la festa del tempo, la nostra festa!

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Nella festa dell’ultimo anno, non manchi la gratitudine al Signore per il dono della sua presenza nel tempo della nostra vita, poiché Egli è venuto ad abitare in mezzo a noi. Questa è la festa del tempo, la nostra festa!
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente ed eterno, che nella nascita del tuo Figlio hai stabilito l’inizio e la pienezza della vera fede, accogli anche noi come membra del Cristo, che compendia in sé la salvezza del mondo. Per il nostro Signore Gesù Cristo...




30 Dicembre 2018

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe


Oggi Gesù ci dice: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Vangelo).

Vangelo: Dal Vangelo secondo Luca 2,41-52: L’episodio del ritrovamento di Gesù nel tempio serve ad indicare la vera identità di Gesù e la sua missione. La nostra attenzione va posta alla frase profetica di Gesù rivolta a Maria, sua madre: Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? Con queste parole, “Gesù afferma, in presenza di Giuseppe, di avere Dio per Padre [cfr. Lc 10,22.29; Gv 20,17) e rivendica nei suoi riguardi rapporti che oltrepassano quelli della famiglia umana [cfr. Gv 2,4]. E la prima manifestazione della sua coscienza di essere «il Figlio» [cfr. Mt 4,3]” (Bibbia di Gerusalemme).

Gesù tra i dottori del tempio - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): vv. 46-47 II ritrovamento di Gesù dopo tre giorni secondo alcuni commentatori allude alla risurrezione (Laurentin), mentre altri lo negano (Fitzmyer, p. 441). I rabbini approfittavano dei pellegrinaggi per istruire gli ebrei nelle prescrizioni della Legge. L’accenno all’intelligenza straordinaria di Gesù forse si collega al brano del Siracide (24,1-24), dove si celebra la Sapienza, che ha stabilito la sua dimora in Sion, la città diletta al Signore.
v. 48 Il rimprovero di Maria suggerisce l’attendibilità storica del racconto. I genitori non avevano ancora compreso il mistero del figlio. «La fede, anche la più fedele e la più profonda, rimane sempre superata dalla realtà insondabile del mistero» (G. Rosse, p. 108). Maria con delicatezza accenna dapprima al dolore di Giuseppe per la scomparsa di Gesù.
v. 49 «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo essere nelle cose del Padre mio?». Sono le prime parole poste in bocca a Gesù, con cui viene anticipato l’atteggiamento globale della sua vita, interamente consacrata al Padre in un’adesione totale al suo volere, sino alla morte in croce. Il dei (devo) è un termine significativo, che esprime la dipendenza di Gesù dal disegno salvifico del Padre, contenuto nelle Scritture. Ciò determinerà il suo distacco dalla famiglia, per svolgere in piena autonomia la missione affidatagli. La seconda domanda viene tradotta in due modi diversi: «Io devo essere nella casa del Padre mio», oppure: «Io devo occuparmi delle cose del Padre mio» (lett. «essere nelle cose del Padre mio»). Comunque, il senso è identico. Gesù esprime «la radicalità della sua obbedienza di Figlio nei confronti del Padre» (Schurmann. p. 266).
È inutile domandarsi se Gesù con questa espressione manifesti la coscienza della sua filiazione divina io senso reale. Certo, per l’evangelista queste parole anticipano tale rivelazione, che fu recepita dalla comunità cristiana soltanto dopo la Pasqua di risurrezione. In effetti, venne «costituito Figlio di Dio» (Rm 1,4) con li glorificazione pasquale alla sua destra, quando entrò il possesso di tutti i privilegi soprannaturali che gli spettavano anche come uomo.

La Famiglia - Christa Thomassen: Nell’Antico Testamento la famiglia in quanto “casa paterna” è la più piccola forma di vita comune delimitata di fronte al clan, alla “tribù” e al “popolo”. Della famiglia fanno parte padre, madre, figli, nipoti, servi e ospiti temporanei. Il capo della famiglia, secondo la struttura sodalo patriarcale di quel tempo, è il padre che la rappresenta all’esterno e la edifica assieme alla moglie. Nel tempo più arcaico egli si occupa anche degli affari giuridici della famiglia, e fino alla riforma del culto del Deuteronomio (che gli imponi anche altri limiti, per es. l’aggravio del divorzio) esercita anche funzioni sacerdotali (per es. Es 12,3ss).
Massimo onore è considerato l’allargamento della famiglia con il maggior numero possibile di figli maschi. Ai genitori sono dovuti ubbidienza e rispetto (Es 20,12). Solidarietà, amore e fedeltà alla famiglia sono un comandamento sacro. Nel Nuovo Testamento le famiglie cristiane vengono descritte come i primissimi luoghi nei quali si svolgevano le celebrazioni liturgiche e come nucleo centrale della vita della comunità (At 2,46; 16,15). Il legame della famiglia, tuttavia, viene relativizzato nella misura in cui colui che è raggiunto dalla par­ticolare chiamata di Cristo, deve esser pronto ad abbandonare tutto, anche i parenti più prossimi, per seguire la chiamata ad una sequela particolare. Una tale sequela radicale è vista come facente parte della “perfe­zione” (Mt 19,21).
In senso figurato anche la comunità dei credenti è chiamata famiglia. I cristiani sono la “casa di Cristo” perché possono riportare in lui la loro speranza (Eb 3,6). Perciò essi non sono più stranieri, ma “famigliari di Dio”, uniti a vicenda per mezzo di Cristo (Ef 2,19s).

La famiglia cristiana - Gianni Colzani: La famiglia esiste prima e indipendentemente dalla comunità cristiana. Questa, tuttavia, ha una sua modalità originale nel rapportarsi alla famiglia: la considera non solo in base alla felicità o all’infelicità dei suoi membri, ma soprattutto in base al rapporto con la grazia di Cristo e con il servizio al suo Regno. Questa prospettiva comporta di sicuro una certa relativizzazione di alcune dimensioni umane: il Regno è più importante degli affetti familiari (Lc 14,26) e dei beni materiali (Mt 19,21). Ma non è tutto. Tale modo di considerare le cose appella a ripensare la famiglia sulla base della storia della salvezza e dell’impegno per il Regno: la Chiesa lo fa legando profondamente la famiglia al sacramento del matrimonio e alimentandone la vita con il sacramento dell’eucaristia. La comunione familiare si apre agli orizzonti dell’amore di Gesù: la sua presenza ridefinisce il senso e il compito dei legami familiari. Questa visione non sconfessa la sensibilità psicologica, oggi così diffusa, ma certamente la oltrepassa: indicando una più profonda visione dell’amore, chiede alla famiglia credente di assumerla come proprio criterio di vita.
Sul modello dell’amore di Cristo per il Padre e per gli uomini suoi fratelli, l’amore familiare, che apre la vita di una persona al coniuge, ai figli e alla società, appare il luogo dove la fede si fa vita e dove avviene il Regno di Dio. Originale espressione dell’amore coniugale, la famiglia cristiana si configura come espressione adulta della fede e ambito delle sue responsabilità storiche. La vita familiare è quindi una reale via di santità, un originale cammino di spiritualità.
Questa concezione della famiglia trova espressione sia nel decreto del concilio Vaticano II Gaudium et spes, nn. 47-52 (1965), sia nella esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Familiaris consortio (v.) del 1981. Il primo risultato è la presentazione della famiglia come comunità di vita: integrando l’antico discorso sulla fecondità e sul bene della prole, la teologia presenta oggi la famiglia come una comunità di vita, come una comunità totale dove i coniugi (e i figli quando ci sono) si accettano nella loro individualità e nelle loro differenze. La famiglia non è il luogo di una affermazione di sé e di una strumentalizzazione dell’altro, ma di una originale sintesi tra la dimensione personale e quella istituzionale. La comunione familiare non livella i coniugi, ma li pone in un rapporto profondo che ha il compito di concretizzare l’ideale biblico “i due saranno una sola carne” (Gn 2,24). In questa comunità di vita l’uomo e la donna si sperimentano ordinati l’uno all’altra in un dono e in una fedeltà che si modella sull’amore indefettibile di Cristo per l’umanità. Così intesa la comunità di vita è una comunità unita, fedele e feconda: non è un contratto o una somma di condizioni economiche, ma è una pienezza di vita costruita sul modello dell’amore di Cristo. Anche tribolata, la fedeltà rimane capace di misericordia e di perdono, rimane irreversibile; testimoni di una vita che li supera anche quando nasce da loro, i coniugi vivono una fecondità che è partecipazione all’opera creatrice del Padre. L’ideale cristiano non è né la grande famiglia né la famiglia chiusa, ma il responsabile servizio del Regno.
Il ministero familiare. Infine il compito della famiglia è quello di un reale servizio alla vita: sta qui sia la vocazione sociale di una famiglia capace di educare, di accogliere e di servire, sia l’originale partecipazione della famiglia alla vita e alla missione della Chiesa. Questi compiti permettono di configurare un vero e proprio mi­nistero familiare: fondato su una chiamata, si realizza in un servizio alle persone sulla base dell’amore di Cristo. Il ministero familiare si sviluppa attorno a un inserimento della coppia nella vita e nei compiti della società e della Chiesa: questo non avviene per una specie di delega, o come conseguenza dell’attuale clima demo­cratico, ma per una migliore comprensione della struttura della vita cristiana. La famiglia diventa così piccola Chiesa, “Chiesa domestica” (Lumen gentium, 11), in cui non si tratta di rivendicare qualcosa, ma di vivere meglio il dono del Signore.

La Famiglia e la Società: Catechismo della Chiesa Cattolica 2009-2011: La famiglia deve essere aiutata e difesa con appropriate misure sociali. Là dove le famiglie non sono in grado di adempiere alle loro funzioni, gli altri corpi sociali hanno il dovere di aiutarle e di sostenere l’istituto familiare. In base al principio di sussidiarietà, le comunità più grandi si guarderanno dall’usurpare le loro prerogative o di ingerirsi nella loro vita. L’importanza della famiglia per la vita e il benessere della società, comporta per la società stessa una particolare responsabilità nel sostenere e consolidare il matrimonio e la famiglia. Il potere civile consideri «come un sacro dovere rispettare, proteggere e favorire la loro vera natura, la moralità pubblica e la prosperità domestica». La comunità politica ha il dovere di onorare la famiglia, di assisterla, e di assicurarle in particolare: - la libertà di costituirsi, di procreare figli e di educarli secondo le proprie convinzioni morali e religiose; - la tutela della stabilità del vincolo coniugale e dell’istituto familiare; - la libertà di professare la propria fede, di trasmetterla, di educare in essa i figli, avvalendosi dei mezzi e delle istituzioni necessarie; - il diritto alla proprietà privata, la libertà di intraprendere un’attività, di procurarsi un lavoro e una casa, il diritto di emigrare; - il diritto, in conformità alle istituzioni dei paesi, alle cure mediche, all’assistenza per le persone anziane, agli assegni familiari; - la difesa della sicurezza e della salute, particolarmente in ordine a pericoli come la droga, la pornografia, l’alcolismo, ecc.; - la libertà di formare associazioni con altre famiglie e di essere in tal modo rappresentate presso le autorità civili.

L’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia - Catechismo degli Adulti 1069-1070: È necessario riscoprire e valorizzare pienamente il ruolo della famiglia, comunità intermedia tra individuo e società. Occorre sollecitare la sua responsabilità e sostenere il suo impegno specialmente in campo educativo e assistenziale. La politica dovrebbe rivolgerle un’attenzione privilegiata e servirla con iniziative di sostegno e di integrazione. Oggi gli interventi di maggior rilievo potrebbero avere i seguenti contenuti: tutela della vita e sostegno alla maternità, aiuto economico alle famiglie con figli, agevolazioni per la casa, organizzazione del lavoro rispettosa delle esigenze della vita familiare, equità fiscale in base ai carichi familiari, organizzazione della scuola in modo che le famiglie abbiano effettiva libertà di scelta e possibilità di partecipazione, strutturazione dei servizi assistenziali tale da coinvolgere le famiglie specialmente riguardo ai disabili e agli anziani. Valorizzare la famiglia significa prevenire molti mali della società. Una politica per la famiglia è una politica per la libertà nella solidarietà. La famiglia è diretta emanazione delle persone e base della società. Deve essere valorizzata come comunità prioritaria rispetto ad ogni altra formazione sociale. «L’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia».

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «La famiglia cristiana è il primo luogo dell’educazione alla preghiera.» (CCC 2694).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, nostro creatore e Padre, tu hai voluto che il tuo Figlio, generato prima dell’aurora del mondo, divenisse membro dell’umana famiglia; ravviva in noi la venerazione per il dono e il mistero della vita, perché i genitori si sentano partecipi della fecondità del tuo amore, e i figli crescano in sapienza, età e grazia, rendendo lode al tuo santo nome. Per il nostro Signore Gesù Cristo...



29 Dicembre 2018

Tempo di Natale - Ottava


Oggi Gesù ci dice: «Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo unico Figlio, perché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna.» (Gv 3,16 - Antifona).

Vangelo: Dal Vangelo secondo Lc 2,22-35: Gesù è posto come segno di contraddizione: chi respinge Cristo, da Cristo sarà giudicato (cfr. Lc 11,23), chi, invece, accoglie Cristo per amore, per libera scelta, a sua volta diventa luce per rivelarlo alle genti, perché Cristo è la luce del mondo (Gv 9,5). Ora, la luce non si può non vedere. Peccare contro la luce è il rifiuto dell’Amore crocifisso, è il rifiuto di amare il mondo come lo ama il Padre di Gesù (cfr. Gv 3,16): Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. Chi ama suo fratello, rimane nella luce e non vi è in lui occasione di inciampo. Ma chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi (1Gv 2,9-11).

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale: secondo la legge mosaica (cfr. Lev 12,2-8) la donna che dava «alla luce un maschio», a motivo della sua impurità, non doveva toccare «alcuna cosa santa» né doveva entrare nel santuario per quaranta giorni. Al termine di questo periodo doveva portare «al sacerdote all’ingresso della tenda del convegno un agnello di un anno come olocausto e un colombo o una tortora in sacrificio di espiazione» per essere purificata «dal flusso del suo sangue». Le donne povere che non avevano mezzi per offrire un agnello offrivano, come Maria qui, due colombi. In quanto primogenito, Gesù viene portato al tempio per essere consacrato al Signore, come richiesto dalla legge di Mosé (Es 13,1-2). In tutte le lingue, presso tutti i popoli, il primo nato è sempre detto primogenito, seguano o no altri figli. Presso gli Ebrei il primo nato era sempre detto e rimaneva sempre primogenito perché al primo nato erano riservati particolari diritti di famiglia (cfr. Gen 27; Num 3,12-13; 18,15-16; Dt 21,15-17). Lo Spirito Santo aveva promesso a Simeone, che «non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo Signore». Il vegliardo, «uomo giusto e pio», rappresenta «l’Israele fedele, che attendeva con fiducia illimitata la comparsa del Messia per l’attuazione del regno di Dio. In questo incontro la religiosità sincera dell’Antico Testamento si salda direttamente con quella del Nuovo Testamento, in una meravigliosa continuazione del progetto salvifico di Dio» (Angelico Poppi). L’attesa di Simeone si fonda su alcune profezie che predominano in tutto il Secondo o il Terzo Isaia (Is 40-55; 56-66). Il Nunc Dimittis sembra un cantico proveniente dall’ambiente giudaico-cristiano, anche se, come suggerisce la Bibbia di Gerusalemme, a differenza del Magnificat e del Benedictus, potrebbe essere «stato composto dallo stesso Luca, con il particolare aiuto di testi di Isaia. Dopo i primi tre versi che riguardano Simeone e la sua morte vicina, gli altri tre descrivono la salvezza universale portata dal Messia Gesù: una illuminazione del mondo pagano che ha avuto inizio dal popolo eletto e ridonderà a sua gloria» (vedi nota a Lc 2,29-32). Gesù sarà «come segno di contraddizione»: la sua missione sarà accompagnata da ostilità e da persecuzioni da parte del suo popolo. Maria, sua Madre, parteciperà a questo destino di dolore. Tutti i cristiani, come Maria, sono chiamati a partecipare a questo destino di dolore.

La Parola di Dio commentata dal Magistero: Quando furono compiuti i giorni ...: Catechismo della Chiesa Cattolica 529: La presentazione di Gesù al Tempio lo mostra come il Primogenito che appartiene al Signore. In Simeone e Anna è tutta l’attesa di Israele che viene all’incontro con il suo Salvatore (la tradizione bizantina chiama così questo avvenimento). Gesù è riconosciuto come il Messia tanto a lungo atteso, «luce delle genti» e «gloria di Israele», ma anche come «segno di contraddizione». La spada di dolore predetta a Maria annunzia l’altra offerta, perfetta e unica, quella della croce, la quale darà la salvezza «preparata da Dio davanti a tutti i popoli».

La presentazione di Gesù al Tempio - Giovanni Paolo II (Udienza Generale 11 Dicembre 1996):  Nell’episodio della presentazione di Gesù al tempio, san Luca sottolinea il destino messianico di Gesù. Scopo immediato del viaggio della Santa Famiglia da Betlemme a Gerusalemme è, secondo il testo lucano, l’adempimento della Legge: “Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore” (Lc 2,22-24).
Con questo gesto, Maria e Giuseppe manifestano il proposito di obbedire fedelmente al volere di Dio, rifiutando ogni forma di privilegio. Il loro convenire nel tempio di Gerusalemme assume il significato di una consacrazione a Dio, nel luogo della sua presenza.
Indotta dalla sua povertà ad offrire tortore o colombi, Maria dona in realtà il vero Agnello che dovrà redimere l’umanità, anticipando con il suo gesto quanto era prefigurato nelle offerte rituali dell’Antica Legge.
2. Mentre la Legge richiedeva soltanto alla madre la purificazione dopo il parto, Luca parla del “tempo della loro purificazione” (Lc 2,22), intendendo, forse, indicare insieme le prescrizioni riguardanti la madre e il Figlio primogenito.
L’espressione “purificazione” ci può sorprendere, perché viene riferita ad una Madre che aveva ottenuto, per grazia singolare, di essere immacolata fin dal primo istante della sua esistenza, e ad un Bambino totalmente santo. Bisogna, però, ricordarsi che non si trattava di purificarsi la coscienza da qualche macchia di peccato, ma soltanto di riacquistare la purità rituale, la quale, secondo le idee del tempo, era intaccata dal semplice fatto del parto, senza che ci fosse alcuna forma di colpa.
L’evangelista approfitta dell’occasione per sottolineare il legame speciale che esiste tra Gesù, in quanto “primogenito” (Lc 2,7.23) e la santità di Dio, nonché per indicare lo spirito di umile offerta che animava Maria e Giuseppe (cf. Lc 2,24). Infatti, la “coppia di tortore o di giovani colombi” era l’offerta dei poveri (Lv 12,8).

Ora puoi lasciare che il tuo servo vada in pace: Giovanni Leonardi (L’infanzia di Gesù, EMP): II profeta Simeone è noto solo da questo episodio. Non è detto che fosse sacerdote: dal testo (v. 29) traspare invece che era una persona anziana. Qualcuno recentemente ha voluto identificarlo con Simeone figlio di Hillel, di cui si parla nel Talmud e il cui ritratto corrisponde a quello del Simeone di Luca. Daniélou ricorda che anche alcune tradizioni giudeo-cristiane sono favorevoli a questa interpretazione. Simeone è presentato «giusto e pio», al modo dei personaggi precedenti: giusto esternamente e praticamente, pio o timorato di Dio internamente. Egli attendeva «il conforto di Israele», cioè quel Messia (astratto per il concreto) il cui compito - secondo Isaia 61,2s - era «di confortare i piangenti di Sion», cioè di consolare e riportare alla gioia. Lo Spirito Santo, in premio di tali buone disposizioni e della intemerata condotta, gli aveva promesso (Luca non dice come) che avrebbe visto con i suoi occhi il Messia. Ed è appunto lo Spirito che, non solo lo fa salire al tempio in coincidenza con la venuta della sacra Famiglia, ma anche gli fa riconoscere nel Bambino il Messia. Simeone non si accontenta di contemplarlo: lo prende nelle sue braccia venerande e, nonostante la commozione, trova la forza di benedire Dio, cioè di uscire, come già Zaccaria, in un inno di lode e ringraziamento a Dio. II cantico è, come il Magnificat e il Benedictus, un mosaico di testi tolti dall’Antico Testamento. Vi predominano però i riferimenti al Deutero-Isaia, il profeta della consolazione di Israele (40,1; 42,6; 46,13; 49,6; 52,10; cfr. 46,30); per cui Daniélou pensa che si tratti di un arcaico inno giudeo-cristiano della Chiesa post-pentecostale e da Luca messo in bocca a Simeone per esprimerne sentimenti simili. Simeone si pone (vv. 29-32) nell’atteggiamento del servo verso il padrone ed esprime la sua soddisfazione al Signore per aver mantenuta la parola promessa: gli dice che lo lasci pur andare (lett. salpare) verso il porto dell’aldilà con la pace messianica ormai raggiunta; i suoi occhi infatti hanno visto la sua salvezza (astratto per il concreto): quella salvezza - continua a dire - che Dio ha preparato - quale mensa imbandita - davanti a tutti i popoli, perché sia luce alle genti pagane e gloria (cioè onore o vanto) del suo popolo Israele; oppure meglio perché sia la presenza specialissima e benefica di Dio in mezzo al suo popolo. Questo è l’unico accenno espressamente universalistico che troviamo nel Vangelo dell’infanzia di Luca: per giunta i pagani vengono messi al primo posto, anche se considerati avvolti dalle tenebre dell’idolatria e quindi bisognosi della luce della rivelazione cristiana.

Cristo luce del mondo: A. Feuillet e P. Grelot: 1. Compimento della promessa. - Nel Nuovo Testamento la luce escatologica promessa dai profeti è diventata realtà: quando Gesù incomincia a predicare in Galilea, si compie l’oracolo di Is 9,1 (Mt 4,16). Quando risorge secondo le profezie, si è per «annunziare la luce al popolo ed alle nazioni pagane» (Atti 26, 23). Perciò i cantici conservati da Luca salutano in lui sin dall’infanzia il sole nascente che deve illuminare coloro che stanno nelle tenebre (Lc 1,78 s; cfr. Mal 3,20; Is 9,1; 42,7), la luce che deve illuminare le nazioni (Le 2,32; cfr. Is 42,6; 49,6). La vocazione di Paolo, annunziatore del vangelo ai pagani, si inserirà nella linea degli stessi testi profetici (Atti 13,47; 26,18). 2. Cristo rivelato come luce. - Tuttavia vediamo che Gesù si rivela come luce del mondo soprattutto con i suoi atti e le sue parole. Le guarigioni di ciechi (cfr. Mc 8,22-26) hanno in proposito un significato particolare, come sottolinea Giovanni riferendo l’episodio del cieco nato (Gv 9). Gesù allora dichiara: «Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo» (9,5). Altrove commenta: «Chi mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (8,12); «io, la luce, sono venuto nel mondo affinché chiunque crede in me non cammini nelle tenebre» (12,46). La sua azione illuminatrice deriva da ciò che egli è in se stesso: la parola stessa di Dio, vita e luce degli uomini, luce vera che illumina ogni uomo venendo in questo mondo (1,4.9). Quindi il dramma che si intreccia attorno a lui è un affrontarsi della luce e delle tenebre: la luce brilla nelle tenebre (l,4), ed il mondo malvagio si sforza di spegnerla, perché gli uomini preferiscono le tenebre alla luce quando le loro opere sono malvagie (3,19). Infine, al momento della passione, quando Giuda esce dal cenacolo per tradire Gesù, Giovanni nota intenzionalmente: «Era notte» (13,30); e Gesù, al momento del suo arresto, dichiara: «È l’ora vostra, ed il potere delle tenebre» (Lc 22,53).
  
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Gesù sarà «come segno di contraddizione»: la sua missione sarà accompagnata da ostilità e da persecuzioni da parte del suo popolo. Maria, sua Madre, parteciperà a questo destino di dolore. Tutti i cristiani, come Maria, sono chiamati a partecipare a questo destino di dolore.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio invisibile ed eterno, che nella venuta del Cristo vera luce hai rischiarato le nostre tenebre, guarda con bontà questa tua famiglia, perché possa celebrare con lode unanime la nascita gloriosa del tuo unico Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te...



28 Dicembre 2018

Tempo di Natale - Ottava

Santi Innocenti Martiri


Oggi Gesù ci dice: «Chi dona la sua vita risorge nel Signore.» (Salmo responsoriale).

Vangelo: Dal Vangelo secondo Mt 2,33-18: Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?... All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Erode il Grande, re della Giudea, uomo sanguinario, è sconvolto, teme di perdere il trono e avendo saputo dai capi dei sacerdoti e dagli scribi del popolo che Betlemme di Giudea era il luogo dove doveva nascere il re dei Giudei, cerca il bambino per ucciderlo. Erode è la personificazione della forza violenta del male. Nel suo cuore c’è la furia omicida che scatena lutti, dolore, pianto, rovine, grida e lamenti. A tanta violenza umana risponde la Provvidenza dell’amore divino: un angelo appare a Giuseppe invitandolo a fuggire in Egitto: lo sposo di Maria ancora una volta ascolta l’angelo che gli parla e obbedisce senza indugi alla sua parola. Questa pagina evangelica ci interpella, mette in agitazione il nostro cuore perché non è relegata al passato; ancora oggi continua la strage degli innocenti, dei piccoli e degli inermi. Milioni di bambini sono falcidiati dall’aborto, dalla fame e dalla malattia; molti sono oggetto di violenza, di rapina e di sfruttamento. C’è bisogno di uomini e di donne che ascoltino oggi, come Giuseppe, l’angelo del Signore e prendano con sé i piccoli e i deboli per salvarli dalla furia omicida di questo mondo.

La strage dei bambini di Betlemme - Giuseppe Barbaglio (Il Vangelo di Matteo): Scoppia la violenza del persecutore: un tempo il faraone contro i figli maschi degli ebrei in Egitto (Es 1,15-16), ora Erode contro i bambini di Betlemme. Continua il parallelismo tra Mosè e Cristo sullo schema fisso: come il primo liberatore, così il secondo. Ma Matteo inserisce, ancora una volta, il principio teologico del compimento profetico della storia dell’Antico Testamento. Qui cita un testo del profeta Geremia (31,15) che aveva presentato la tragedia degli israeliti condotti in esilio, raffigurandola plasticamente nel pianto disperato di Rachele, antenata del popolo; essa esce dalla tomba in Rama per vedere le colonne dei suoi discendenti deportati e piangere sconsolatamente. L’evangelista ha reinterpretato il racconto di carattere haggadico della tradizione giudeo-cristiana per sottolineare un tema teologico a lui caro: i figli d’Israele hanno rifiutato in Gesù di Nazaret il loro messia, firmando la propria rovina. Sono morti come popolo di Dio. Per infedeltà ostinata escono dalla storia della salvezza; subentra la chiesa, il popolo che nella fede accoglie Gesù come messia e figlio di Dio. I bambini di Betlemme raffigurano appunto gli israeliti increduli e perciò perduti. Il dramma della vita pubblica di Cristo, legato a quello del suo popolo, trova in questa pagina una simbolica raffigurazione.

Alzàti, prendi con te il bambino e sua madre... - Angelo Lancellotti (Matteo): v. 13 il bambino e sua madre, il binomio che ricorre ben cinque volte in questo vangelo dell’infanzia (2,11.13.14.20.21) sembra una formula coniata appositamente da Matteo per mettere al loro giusto posto i personaggi che sono all’origine della salvezza messianica. Viene in primo luogo il «bambino» su cui si concentra l’attenzione di tutti, potenze terrestri e celesti, e verso il quale sono orientate le speranze dei giusti come le gelosie dei tiranni. Poi viene «sua madre» che lo generò. Giuseppe, il cui ufficio di «custode» occupa un posto centrale in tutta la narrazione, è come lasciato in disparte. Fuggi in Egitto: l’Egitto, da poco diventato una prefettura imperiale, ospitava una numerosa e potente colonia giudaica che contava oltre 250 mila immigrati; lungo il corso della storia biblica appare più volte come il sicuro rifugio di perseguitati politici (cf 1Re 11,40; 2Re 26,26).
v. 15 per mezzo del profeta: la citazione, fatta non in base al senso letterale, ma per modo di applicazione, è tratta dal profeta Osea (11,1) che rievoca il «ritorno» del popolo eletto, «figlio primogenito» di Dio, dall’esilio egiziano; l’evangelista ravvisa una stretta analogia fra lo scampo del divino infante alla persecuzione di Erode e la liberazione del popolo eletto dall’oppressione dei faraoni. Infatti, come Erode, anche il crudele faraone aveva ordinato la soppressione di tutti i bambini ebrei (cf Es 1,16). Allora la paterna provvidenza di Dio, per mezzo del suo inviato Mosè, strappò allo sterminio il suo popolo; ora Giuseppe, nuovo Mosè, ha il compito di proteggere Gesù nella furiosa tempesta scatenata contro di lui dall’ira di Erode, per poterlo poi ricondurre sano e salvo alla sua terra, la «terra d’Israele» (v. 20).

La fuga in Egitto - Redemptoris custos 14: Dopo la presentazione al tempio l’evangelista Luca annota: «Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui» (Lc 2,39-40).
Ma, secondo il testo di Matteo, prima ancora di questo ritorno in Galilea, è da collocare un evento molto importante, per il quale la divina Provvidenza ricorre di nuovo a Giuseppe. Leggiamo: «Essi (i magi) erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”» (Mt 2,13). In occasione della venuta dei magi dall’Oriente, Erode aveva saputo della nascita del «re dei Giudei» (cfr. Mt 2,2). E quando i magi partirono, egli «mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù» (Mt 2,16). In questo modo, uccidendo tutti, voleva uccidere quel neonato «re dei Giudei», del quale era venuto a conoscenza durante la visita dei magi alla sua corte. Allora Giuseppe, avendo udito in sogno l’avvertimento, «prese con  il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”» (Mt 2,14-15; cfr. Os 11,1). In tal modo la via del ritorno di Gesù da Betlemme a Nazaret passò attraverso l’Egitto. Come Israele aveva preso la via dell’esodo «dalla condizione di schiavitù» per iniziare l’antica alleanza, così Giuseppe, depositario e cooperatore del mistero provvidenziale di Dio, custodisce anche in esilio colui che realizza la nuova alleanza.

La fuga in Egitto - Claude Tassin (Vangelo di Matteo): Nell’antichità l’Egitto era il tradizionale luogo di rifugio per chiunque doveva fuggire dalla Palestina. Ma, riferendo a Gesù questa situazione, l’evangelista persegue il suo insegnamento teologico. La struttura del racconto si presenta così: a) un ordine dato dall’angelo a Giusep­pe (v. 13); b) l’esecuzione dell’ordine (vv. 14-15a); e) un passaggio dell’Antico Testamento che rivela il senso dell’episodio (v. 15b). Anche se breve, il racconto gioca su due piani:
La figura di Mosè continua a proiettare la sua ombra sull’episodio: anch’egli ha dovuto fuggire, poiché il faraone «cercò di ucciderlo» (Es 2,15). E ugualmente, Erode «è in cerca del bambino per ucciderlo»; ecco quindi stabilito un parallelo tra Gesù e Mosè nella persecuzione, benché in questo caso la storia subisca una strana in­versione: mentre Mosè fuggiva da un Egitto ostile, Gesù è invece minacciato dalla terra di Israele. Il fatto è che al tempo in cui Matteo redige il suo vangelo l’ostilità verso i cristiani proviene più dalla Giudea che dalle terre pagane. Notiamo l’espressione: «Giuseppe partì». Questo termine ritornerà ripetutamente in Matteo: è l’umile appartarsi di Gesù davanti ai suoi nemici, un isolamento che gli permette in genere nuovi e fruttuosi incontri.
Si ricordi che, nella storia di Israele, l’Egitto rappresenta l’oppressione. E il punto di partenza dell’esodo, del cammino di liberazione verso la terra promessa. Con questo breve racconto, Gesù si separa dal suo popolo, assumendo la storia delle sue prove, come evidenzia la citazione del profeta Osea (Os 11,1) al v. 15b. È però necessario acquistare familiarità con il modo ebraico di citare qui la Scrittura. Se qualcuno dice: «I topi ballano», noi ribattiamo spontaneamente la parte iniziale del proverbio: «Quando manca il gatto...». Così, i lettori ebrei di Matteo completavano a memoria il testo di Osea: «Israele era giovane ed io lo amai e dall’Egitto io chiamai mio figlio». Il senso allora assume dimensioni più vaste: il bambino Gesù è il bambino Israele; egli riassume nella propria persona la vocazione e il destino del popolo eletto, prima che il seguito del vangelo non riveli che egli è Figlio, ancor più di quel popolo oppresso di cui Dio diceva al faraone: «Israele è il mio figlio primogenito... Manda mio figlio!» (Es 4,22-23).

I bambini innocenti di Betlemme, uccisi per ordine di Erode, sono diventati partecipi della nascita e della passione redentrice di Cristo: Giovanni Paolo II (Gratissimam sane, Lettera alle Famiglie): Il breve racconto della infanzia di Gesù ci riferisce in maniera molto significativa, quasi contemporaneamente, la sua nascita e il pericolo che Egli deve subito affrontare. Luca riporta le parole profetiche pronunciate dal vecchio Simeone quando il Bambino viene presentato al Signore nel Tempio, quaranta giorni dopo la nascita. Egli parla di «luce » e di «segno di contraddizione»; a Maria, poi, predice: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima» (cfr. Lc 2,32-35). Matteo, invece, si sofferma sulle insidie tramate nei confronti di Gesù da parte di Erode: informato dai Magi, giunti dall’Oriente per vedere il nuovo re che doveva nascere (cfr. Mt 2,2), egli si sente minacciato nel suo potere e, dopo la loro partenza, ordina di uccidere tutti i bambini di Betlemme e dei dintorni dai due anni in giù. Gesù sfugge alle mani di Erode grazie ad un particolare intervento divino e grazie alla sollecitudine paterna di Giuseppe, che lo porta insieme a sua Madre in Egitto, dove soggiornano fino alla morte di Erode. Tornano poi a Nazaret, loro città natale, dove la Santa Famiglia inizia il lungo periodo di un’esistenza nascosta, scandita dall’adempimento fedele e generoso dei doveri quotidiani (cfr. Mt 2,1-23; Lc 2,39-52). Appare di un’eloquenza profetica il fatto che Gesù, sin dalla nascita, sia stato posto di fronte a minacce e pericoli. Già come Bambino Egli è «segno di contraddizione». Un’eloquenza profetica riveste inoltre il dramma dei bambini innocenti di Betlemme, uccisi per ordine di Erode e diventati, secondo l’antica liturgia della Chiesa, partecipi della nascita e della passione redentrice di Cristo. Attraverso la loro «passione», essi completano «quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Nei Vangeli dell’infanzia, dunque, l’annuncio della vita, che si compie in modo mirabile nell’evento della nascita del Redentore, viene fortemente contrapposto alla minaccia alla vita, una vita che abbraccia nella sua interezza il mistero dell’Incarnazione e della realtà divino-umana di Cristo.

Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini... - L’aborto - Chiarificazione della Congregazione per la Dottrina della Fede  sull’aborto procurato: La vita umana deve essere rispettata e protetta in modo assoluto fin dal momento del concepimento. Dal primo istante della sua esistenza, l’essere umano deve vedersi riconosciuti i diritti della persona, tra i quali il diritto inviolabile di ogni essere innocente alla vita. “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato” (Ger 1,5). “Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra” (Sal 139,15).Fin dal primo secolo la Chiesa ha dichiarato la malizia morale di ogni aborto provocato. Questo insegnamento non è mutato. Rimane invariabile. L’aborto diretto, cioè voluto come un fine o come un mezzo, è gravemente contrario alla legge morale: “Non uccidere il bimbo con l’aborto, e non sopprimerlo dopo la nascita” (Didaché, 2,2). "Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l’altissima missione di proteggere la vita, missione che deve essere adempiuta in modo degno dell’uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; e l’aborto come pure l’infanticidio sono abominevoli delitti” (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 51).
La cooperazione formale a un aborto costituisce una colpa grave. La Chiesa sanziona con una pena canonica di scomunica questo delitto contro la vita umana. “Chi procura l’aborto, se ne consegue l’effetto, incorre nella scomunica latae sententiae” (Cic, can. 1398), “per il fatto stesso d’aver commesso il delitto” (Cic, can. 1314) e alle condizioni previste dal diritto (cfr. Cic, cann. 1323-1324). La Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia. Essa mette in evidenza la gravità del crimine commesso, il danno irreparabile causato all’innocente ucciso, ai suoi genitori e a tutta la società.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** La vita umana deve essere rispettata e protetta in modo assoluto fin dal momento del concepimento.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Signore nostro Dio, che oggi nei santi Innocenti sei stato glorificato non a parole, ma col sangue, concedi anche a noi di esprimere nella vita la fede che professiamo con le labbra. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.