1 Febbraio 2021

 Lunedì IV Settimana T. O.

Eb 11,32-40; Sal 30 (31); Mc 51-20

Il Santo del Giorno - Severo di Ravenna. Il semplice lanaiolo scelto da una colomba tra la folla di curiosi per diventare vescovo - Non c’è una classe sociale “minima” per mettersi al servizio di Dio, perché chiunque può diventare testimone dell’amore infinito che si è fatto uomo in Cristo. Così capitò a san Severo di Ravenna, che per la tradizione era un lanaiolo, un uomo semplice, dunque, che era accorso, assieme a una nutrita folla, nella Cattedrale di Ravenna dopo la morte del vescovo Marcellino. Tutti si aspettavano di vedere chi sarebbe stato il successore, ma nessuno poteva immaginare che sarebbe stato scelto in quel modo: improvvisamente, infatti, una colomba si posò sul capo di Severo nello stupore generale. Non ci fu dubbio alcuno: quello era il segno che tutti attendevano e che indicava il nuovo pastore della diocesi, il dodicesimo della successione. La vicenda si colloca nel IV secolo e Severo resse la comunità ravennate per una ventina d’anni, partecipando al Concilio di Sardica del 342-343, che condannò definitivamente l’arianesimo. La morte di questo vescovo santo avvenne forse nel 344. (Matteo Liut)

Colletta: Signore Dio nostro, concedi a noi tuoi fedeli di adorarti con tutta l’anima e di amare tutti gli uomini con la carità di Cristo. Egli è Dio, e vive e regna con te. 

Satana “origine e causa di ogni peccato”: Benedetto XVI (Angelus, 13 Marzo 2011): Di fronte al male morale, l’atteggiamento di Dio è quello di opporsi al peccato e salvare il peccatore. Dio non tollera il male, perché è Amore, Giustizia, Fedeltà; e proprio per questo non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Per salvare l’umanità, Dio interviene: lo vediamo in tutta la storia del popolo ebraico, a partire dalla liberazione dall’Egitto. Dio è determinato a liberare i suoi figli dalla schiavitù per condurli alla libertà. E la schiavitù più grave e più profonda è proprio quella del peccato. Per questo Dio ha mandato il suo Figlio nel mondo: per liberare gli uomini dal dominio di Satana, “origine e causa di ogni peccato”. Lo ha mandato nella nostra carne mortale perché diventasse vittima di espiazione, morendo per noi sulla croce. Contro questo piano di salvezza definitivo e universale, il Diavolo si è opposto con tutte le forze, come dimostra in particolare il Vangelo delle tentazioni di Gesù nel deserto, che viene proclamato ogni anno nella Prima Domenica della Quaresima. Infatti, entrare in questo Tempo liturgico significa ogni volta schierarsi con Cristo contro il peccato, affrontare - sia come singoli, sia come Chiesa - il combattimento spirituale contro lo spirito del male

Gesù è in terra pagana, la mandria dei porci lo evidenzia, e si imbatte in un uomo posseduto da un nugolo di demoni. L’esorcismo di Gesù libera l’uomo posseduto dai demoni mettendo bene in chiaro che Egli è il dominatore dei demoni: il regno di Satana è già crollato, la Croce ha sbaragliato l’Inferno ed ha aperto le porte del regno di Dio, l’uomo guarda quindi con fiducia il suo futuro, anche se per permissione divina dovrà sentire la rivoltante presenza di Satana, e tutta la sua nefanda azione.

Dal Vangelo secondo Marco 5,1-20: In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!». E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione -  gli rispose  - perché siamo in molti». E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese. C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare. I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.

L’intento dell’evangelista Marco nel raccontare la liberazione dell’uomo posseduto da uno spirito impuro è quello di dimostrare la potenza straordinaria di Gesù persino dinanzi all’Inferno: la Legione, all’ordine imperioso di Gesù, il Figlio del Dio Altissimo, deve arrendersi e abbandonare precipitosamente il campo. Il racconto della liberazione dell’uomo posseduto dalla Legione mette in risalto anche la missione di Gesù: “Figlioli, nessuno v’inganni. Chi pratica la giustizia è giusto come egli è giusto. Chi commette il peccato viene dal diavolo, perché da principio il diavolo è peccatore. Per questo si manifestò il Figlio di Dio: per distruggere le opere del diavolo” (1Gv 3,8). La violenza incontrollata dello spirito impuro, il suo dominio dispotico sull’uomo stanno a caratterizzare la forza demoniaca come potenza di morte e di distruzione disgregatrice della dignità e libertà umana. Ma se la forza di Satana è grandiosa, spettacolare, non è invincibile: infatti, noi «crediamo che Gesù ha vinto definitivamente Satana e ci ha sottratti così alla paura nei suoi confronti»; però, se «in Gesù è avvenuta la sconfitta del maligno, la sua vittoria tuttavia dev’essere liberamente accettata da ciascuno di noi, finché il male non sia completamente eliminato. La lotta contro il male richiede quindi impegno e continua vigilanza. La liberazione definitiva è intravista solo in una prospettiva escatologica [cfr. Ap 21, 4]. Al di là delle nostre fatiche e degli stessi nostri fallimenti rimane questa consolante parola di Cristo: “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo” [Gv 16, 33]» (Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 18 agosto 1999).

La possessione diabolica: Secondo una prassi consolidata, i segni per riconoscere la possessione diabolica sono “parlare correntemente lingue sconosciute o capire chi le parla; rivelare cose occulte e lontane; manifestare forze superiori all’età o alla condizione fisica. Si tratta però di segni che possono costituire dei semplici indizi e, quindi, non vanno necessariamente considerati come provenienti dal demonio. Occorre perciò fare attenzione anche ad altri segni, soprattutto di ordine morale e spirituale, che rivelano, sotto forma diversa, l’intervento diabolico. Possono essere: una forte avversione a Dio, alla Santissima Persona di Gesù, alla Beata Vergine Maria, ai Santi, alla Chiesa, alla Parola di Dio, alle realtà sacre, soprattutto ai sacramenti, alle immagini sacre. Occorre fare attenzione al rapporto tra tutti questi segni con la fede e l’impegno spirituale nella vita cristiana; il Maligno, infatti, è soprattutto nemico di Dio e di quanto mette in contatto i fedeli con l’agire salvifico divino” (Rito degli Esorcismi 16). In ogni caso è necessario un serio discernimento per dimostrare in modo certo che si tratti di possessione diabolica. Si può seguire anche la traccia indicata da Paolo VI: “Potremo supporre la sua sinistra azione là dove la negazione di Dio si fa radicale, sottile ed assurda, dove la menzogna si afferma ipocrita e potente contro la verità evidente, dove l’amore è spento da un egoismo freddo e crudele, dove il nome di Cristo è impugnato con odio cosciente e ribelle, dove lo spirito del Vangelo è mistificato e smentito, dove la disperazione si afferma come ultima parola... Ma è diagnosi troppo ampia e difficile, per noi che non osiamo ora approfondire e autenticare, non però priva per tutti di drammatico interesse, cui anche la letteratura moderna ha dedicato pagine famose” (Udienza Generale, 15 novembre 1972). Il Vangelo di oggi se da una parte presenta Gesù come il dominatore dei demoni, dall’altra parte ci assicura che l’azione diabolica sull’uomo, pur con la permissione di Dio, non è una fiaba.

Chi cerca Satana, l’ha già trovato: CdA 384: Le rappresentazioni letterarie e artistiche dei secoli passati sono diventate estranee alla cultura del nostro tempo. Sarebbe però un errore pericoloso relegare il demonio nel mondo della pura fantasia: la più fine astuzia del diavolo, secondo un detto famoso, sta proprio nel persuadere la gente che lui non esiste. D’altra parte non bisogna vedere la sua presenza dappertutto e alimentare paure irrazionali o un interesse malsano. Satana esercita un certo fascino sull’uomo moderno, che all’efficienza tecnica tende ad associare l’efficienza magica, cioè la manipolazione a proprio vantaggio delle forze preternaturali. Di qui la diffusione di pratiche superstiziose e culti satanici. Chi cerca Satana, l’ha già trovato. La sete di potere ad ogni costo si oppone radicalmente all’atteggiamento di fede, che è abbandono fiducioso alla volontà di Dio.

Francesco (Udienza Generale, 3 Settembre 2014): Nella sua sollecitudine materna, la Chiesa si sforza di mostrare ai credenti la strada da percorrere per vivere un’esistenza feconda di gioia e di pace. Illuminati dalla luce del Vangelo e sostenuti dalla grazia dei Sacramenti, specialmente l’Eucaristia, noi possiamo orientare le nostre scelte al bene e attraversare con coraggio e speranza i momenti di oscurità e i sentieri più tortuosi. Il cammino di salvezza, attraverso il quale la Chiesa ci guida e ci accompagna con la forza del Vangelo e il sostegno dei Sacramenti, ci dà la capacità di difenderci dal male. La Chiesa ha il coraggio di una madre che sa di dover difendere i propri figli dai pericoli che derivano dalla presenza di satana nel mondo, per portarli all’incontro con Gesù. Una madre sempre difende i figli. Questa difesa consiste anche nell’esortare alla vigilanza: vigilare contro l’inganno e la seduzione del maligno. Perché se anche Dio ha vinto satana, questi torna sempre con le sue tentazioni; noi lo sappiamo, tutti noi siamo tentati, siamo stati tentati e siamo tentati. Satana viene «come leone ruggente» (1Pt 5,8), dice l’apostolo Pietro, e sta a noi non essere ingenui, ma vigilare e resistere saldi nella fede. Resistere con i consigli della madre Chiesa, resistere con l’aiuto  della madre Chiesa, che come una buona mamma sempre accompagna i suoi figli nei momenti difficili.

L’origine del male risiede nella cattiva volontà: Donde proviene il male? Donde ravvisare la causa di tanti mali? Tu domandi: Donde provengono le malattie? Donde viene il delirio frenetico? Qual è lorigine del sonno pesante? Non forse lapatia? Se le malattie naturali hanno inizio dalla volontà che le sceglie, molto di più quelle che provengono dal libero arbitrio. Donde proviene lubriachezza? Non forse dallintemperanza? La frenesia, non è forse una conseguenza della febbre troppo alta? La febbre, daltronde, non deriva dalla sovrabbondanza di qualche elemento che si trova in noi? Questultima, a sua volta, non è forse una conseguenza della nostra smoderatezza? Quando, infatti, per difetto o per eccesso, abbiamo prodotto la situazione disordinata dei nostri umori, allora accendiamo quel fuoco. Poi, se esitiamo a spegnere la fiamma accesa, produciamo in noi stessi un rogo, che alla fine non riusciamo più ad estinguere. Così accade anche nel vizio: quando non lo freniamo e non lo sradichiamo sul nascere, alla fine non riusciamo più a stroncarlo, poiché esso supera le nostre forze” (Giovanni Crisostomo, Omelie sulla prima lettera ai Tessalonicesi, 9,4).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Un grande profeta è sorto tra noi, e Dio ha visitato il suo popolo. (Lc 7,16) 
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Signore, che ci hai nutriti con il dono della redenzione,
fa’ che per la forza di questo sacramento di eterna salvezza
cresca sempre più la vera fede.
Per Cristo nostro Signore.

 

1 Febbraio 2021 

Beata Anna Michelotti (Giovanna Francesca della Visitazione)

Fondatrice: Piccole Serve del S. Cuore di Gesù

 

Anna Michelotti è nata ad Annecy nell’Alta Savoia (all’epoca territorio del Regno di Sardegna), il 29 agosto 1843, terzogenita di Gian Michele Telesforo Michelotti, emigrato piemontese di Almese e di Pierina Mugnier-Serand di Annecy. Viene battezzata il giorno dopo nel Duomo di Notre-Dame de Liesse.
A cinque anni rimane orfana di padre, cresce alla scuola della mamma, donna di saldi principi cristiani che si prodigava nell’aiutare il prossimo, in particolare visitava e assisteva gli ammalati nelle loro case.
A 12 anni, il 25 marzo 1855 Anna fa la prima comunione. Il 25 marzo è il giorno che Anna ricordò sempre con emozione e gratitudine.
Il dono provvidenziale che mamma Pierina in quel giorno fa ad Anna è la visita a un povero infermo per confortarlo e porgergli aiuto. Con quel gesto di delicata carità la mamma voleva che Anna restituisse la grande Visita di Gesù ricevuta al mattino, un regalo veramente singolare.
Fin dall’adolescenza Anna sente forte il desiderio di consacrare la vita a Dio nel servizio dei malati poveri perché in lei viva era la parola di San Francesco di Sales: “... non accontentarti di essere povera come i poveri, ma sii più povera dei poveri, va a servirli quando giacciono a letto infermi e servili con le tue proprie mani. Questa servitù è più gloriosa di un regno.
In Francia Anna non trova un Istituto che risponda alle sue attese. Un giorno mentre era raccolta in preghiera nella Basilica della Visitazione ad Annecy presso gli altari di S. Francesco di Sales e di S. Giovanna Francesca di Chantal, percepisce chiaramente una voce che le dice: “Va a Torino e fonda il tuo Istituto”. Anna, senza porre indugio, lascia la Savoia e viene definitivamente in Italia: è l’anno 1871. Prima tappa Almese, in Val di Susa, dove si ferma per un breve periodo di tempo per salutare i parenti paterni e poi si avvia verso Torino.
Affitta una stanzetta presso le sorelle Lupis a Moncalieri, cittadina vicina a Torino, dalla quale ogni giorno parte, a piedi, per recarsi in città provvista di una scopa e di una macchinetta a spirito, questo dice la povertà che regnava nelle soffitte e negli scantinati dei poveri dove presta le sue cure disinteressate agli ammalati. Da Moncalieri Anna si trasferisce ben presto nel centro storico della città di Torino, per svolgere la sua opera con più efficienza e accogliere le prime giovani desiderose di condividere il suo ideale. Nel 1873 affitta tre stanze in Via Santa Maria di Piazza, 5, nel cuore di Torino, vicino alla chiesa di S. Maria di Piazza.
L’8 agosto 1875 l’arcivescovo di Torino mons. Lorenzo Gastaldi approva il nascente istituto, mentre il 2 ottobre Anna, con il nome di Suor Giovanna Francesca della Visitazione e le sue prime compagne emettono la professione religiosa, col quarto voto di servire gli infermi poveri gratuitamente.
Nasce così l’Istituto delle Piccole Serve del S. Cuore di Gesù, per l’assistenza gratuita ai malati poveri a domicilio.
Nel 1876 si trasferisce con la piccola comunità in Piazzetta del Corpus Domini,16. Donna di grande virtù si ritira dal 14 al 23 giugno 1878 presso il monastero della Visitazione in Via delle Orfane a Torino per scrivere le prime regole.
Settembre 1880, l’arcivescovo di Milano,  Mons. Nazari di Calabiana accoglie le prime Piccole Serve nella sua diocesi. La Fondatrice inizia la spola tra Torino e Milano, per aiutare la nascente comunità.
Anno 1882, fidandosi solo della Provvidenza e “... mettendo l’affare in mano a S. Giuseppe” sono sue testuali parole, acquistò Villa Pruss, in zona Valsalice, attuale Casa Madre e Casa Generalizia della Congregazione. L’opera di Anna Michelotti nella città di Torino si svolge lungo un arco di 15 anni, dal 1872 fino alla sua morte.
Muore il 1° febbraio 1888, il giorno dopo Don Bosco. Poche ore prima della morte permise, cedendo alle ripetute insistenze delle suore, di farsi fotografare. Colei che per tutta la vita, dimentica di se stessa, aveva servito i più indifesi, fu sepolta, con ai fianchi il cingolo francescano, in una poverissima bara, nella terra bagnata dalla pioggia di un piccolo cimitero. “Il chicco di grano” era morto ma una luce di amore avrebbe continuato a brillare attraverso le sue figlie, oggi attive anche in terra di missione.
Le sue reliquie sono venerate a Torino nella casa madre di Valsalice.
 

Una misteriosa e continua chiamata alla sofferenza: Paolo VI, Omelia 1 novembre 1975
 
Una misteriosa e continua chiamata alla sofferenza: ecco sintetizzata la vita, breve e intensa, di Anna Michelotti, Giovanna Francesca della Visitazione, nata ad Annecy nel 1843, e morta a Torino nel 1888, a 44 anni; la spiritualità salesiana l’accompagna in questa traiettoria, segnata dalla povertà, dall’umiltà, dalle incomprensioni, dalle croci. I suoi amori, fin dalla fanciullezza, inculcati poi alle sue Piccole Serve del S. Cuore di Gesù, furono: il tabernacolo e gli ammalati poveri, per i quali fondò la sua Congregazione. È una luce di amore che brilla e si accende nei tuguri della grande città, che spesso ignora chi soffre; questa luce indica a noi tutti il puro amore di Dio che si immola per i più poveri e abbandonati.
 
Pratica: «Nel corso del giorno, quando non ti è permesso di fare altro, chiama Gesù, anche in mezzo a tutte le tue occupazioni, con gemito rassegnato dell’anima, ed egli verrà e resterà sempre unito con l’anima mediante la sua grazia e il suo santo amore. Vola con lo spirito dinanzi al Tabernacolo, quando non ci puoi andare col corpo, e là sfoga le ardenti brame ed abbraccia il Diletto delle anime meglio che se ti fosse dato di riceverlo sacramentalmente… Se gli uomini comprendessero il valore della Santa Messa, ad ogni Messa ci vorrebbero i carabinieri per tenere in ordine le folle di gente nelle Chiese». (San Pio da Pietrelcina)
 
Preghiera: O Dio, che oggi ci allieti con la festa della beata Anna, fa’ che il ricordo della sua testimonianza evangelica segni un rinnovamento nella nostra vita. Per il nostro Signore.
 
 31 Gennaio 2021
 
IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B
 
Dt 18,15-20; Sal 94 (95); 1Cor 7,32-35; Mc 1,21-28
 
 
Il Santo del Giorno - San Giovanni Bosco: Dal Martirologio: Memoria di san Giovanni Bosco, sacerdote: dopo una dura fanciullezza, ordinato sacerdote, dedicò tutte le sue forze all’educazione degli adolescenti, fondando la Società Salesiana e, con la collaborazione di santa Maria Domenica Mazzarello, l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, per la formazione della gioventù al lavoro e alla vita cristiana. In questo giorno a Torino, dopo aver compiuto molte opere, passò piamente al banchetto eterno.
 
Colletta: O Padre, che hai inviato il tuo Figlio a insegnare con autorità la tua via e a liberarci dalle potenze del male, fa’ che sperimentiamo l’intima gioia di affidarci unicamente a te, per testimoniare con la vita la nostra fede. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Giovanni Paolo II (Omelia 24 Maggio1987): il Demonio è tuttora vivo ed operante nel mondo. Infatti il male che è in esso, il disordine che si riscontra nella società, l’incoerenza dell’uomo, la frattura interiore della quale è vittima non sono solo le conseguenze del peccato originale, ma anche effetto dell’azione infestatrice ed oscura del Satana, di questo insidiatore dell’equilibrio morale dell’uomo, che San Paolo non esita a chiamare «il dio di questo mondo», in quanto si manifesta come astuto incantatore, che sa insinuarsi nel gioco del nostro operare per introdurvi deviazioni tanto nocive, quanto all’apparenza conformi alle nostre istintive aspirazioni. Per questo l’Apostolo delle Genti mette i cristiani in guardia dalle insidie del Demonio e dei suoi innumerevoli satelliti, quando esorta gli abitanti di Efeso a rivestirsi «dell’armatura di Dio per poter affrontare le insidie del Diavolo, poiché la nostra lotta non è soltanto col sangue e con la carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i Dominatori delle tenebre, contro gli spiriti maligni dell’aria».
 
I lettura: Mosè attribuisce a Dio l’istituzione del profetismo durante la teofania dell’Oreb (Cf. Es 20,19-21 e Dt 5,23-28). Basandosi su tale testo del Deuteronomio, Israele ha atteso il Messia come un nuovo Mosè (Cf. Gv 1,21). Nella pienezza dei tempi, in Gesù si compirà tale attesa: Egli «è il nuovo grande profeta, è il nuovo Mosè [...]. Gesù insegnava una dottrina nuova e con autorità, perché era il “Santo di Dio”, era il Profeta per eccellenza, era anzi Dio stesso che si manifestava. Il canto al Vangelo mette a fuoco l’idea centrale: “Un grande profeta è sorto tra noi, Dio ha visitato il suo popolo”» (Vincenzo Raffa).
 
II lettura: Ai cristiani di Corinto, una città nota nell’antichità per il suo lusso e la dissoluzione dei costumi, Paolo spiega perché si debba preferire la verginità. L’apostolo non disprezza il matrimonio, oltre tutto da lui creduto come carisma o dono di Dio, ma vede nella verginità un rimando alle ultime realtà che soppianteranno le effimere realtà terrene, destinate a scomparire. In questo senso, Paolo vede nella verginità lo stato più conforme a un cristiano che vuole dedicarsi totalmente, senza distrazioni alle «cose del Signore». Il pensiero di Paolo risulterebbe incomprensibile se, sganciandolo da una prospettiva di fede e di speranza escatologica, lo si ancorasse esclusivamente a mere motivazioni ascetiche o morali.
 
Vangelo: Il brano marciano sembra subito suggerire al lettore dove spostare la sua attenzione: Gesù è «apparso per distruggere le opere del diavolo» (Gv 3,8). Ma mette anche in evidenza come Gesù ami insegnare. Nel ministero di Gesù, i miracoli hanno la funzione di illustrare, di mostrare e di autenticare il senso, l’efficacia e la veridicità della sua predicazione, realizzando in questo modo la promessa di Mosè fatta al suo popolo (I lettura). In altre parole: Gesù è il profeta, l’unico e il vero, suscitato da Dio per condurre a salvezza il suo popolo. Da qui l’autorità con la quale Gesù insegnava, suscitando ammirazione e stupore in chi lo ascoltava senza pregiudizi.
 
Dal Vangelo secondo Marco 1,21-28: In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.
 
Taci! Esci da lui! - Per un approfondimento del racconto evangelico si può fare ricorso al Magistero della Chiesa. L’uomo, incapace di superare efficacemente da sé gli assalti del male, è come se fosse incatenato (Cf. GS 13). Questa estrema povertà è il frutto amaro del peccato originale, in conseguenza del quale «il diavolo ha acquisito un certo dominio sull’uomo, benché questi rimane libero. Il peccato originale comporta “la schiavitù sotto il dominio di colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo”» (Catechismo della Chiesa Cattolica 407). Per cui ignorare che l’uomo «ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della politica, dell’azione sociale e dei costumi» (ibidem).
Sempre per il Catechismo, le «conseguenze del peccato originale e di tutti i peccati personali degli uomini conferiscono al mondo nel suo insieme una condizione peccaminosa, che può essere definita con l’espressione di san Giovanni “il peccato del mondo” [Gv 1,29]. Con questa espressione viene anche significata l’influenza negativa esercitata sulle persone dalle situazioni comunitarie e dalle strutture sociali che sono frutto dei peccati degli uomini» (408). Ecco perché è necessario aprirsi a Cristo che con la sua morte e risurrezione ha liberato l’uomo dal potere di Satana, sottraendolo alla sua schiavitù: «Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita, e in lui Dio ci ha riconciliato con se stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l’apostolo: il Figlio di Dio “ha amato me e ha sacrificato se stesso per me” [Gal 2,20]» (GS 22).
Una liberazione già in atto, ma che si farà piena soltanto quando il Cristo «consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza» (1Cor 15,24).
Ecco perché oggi «tutta  la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre» (GS 13). Così come tutta «intera la storia umana è pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno» (GS 37).
L’uomo inserito in questa battaglia «deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio» (GS 33).
Per stare saldi contro gli assalti del demonio si può fare ricorso all’autorità della Parola di Dio. Per esempio Ef 6,10-18, con dovizia di particolari, enumera le varie armi che compongono l’armatura spirituale necessaria a rintuzzare gli assalti di Satana. Ma potrebbe servire il monito di Friedrich Wilhelm Nietzsche rivolto all’uomo: «Diventa ciò che sei». E l’uomo non è un animale. L’uomo è immagine di Dio (Cf. Gen 1,27), trono della sua gloria, tempio della santa Trinità creato «per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore, e mediante questo salvare l’anima sua» (Ignazio di Loyola).
Chi ha il coraggio di essere uomo, e di vivere come tale, ha già vinto Satana!
 
Il profetismo nel Nuovo Testamento - Giorgio Fornasari (Profeta, in Schede Bibliche Pastorali, Vol. VIII): Gesù ebbe modo, in due occasioni, di attribuirsi personalmente il titolo di profeta: nel discorso di Nazaret (Mt 15,53-57; Mc 6,1-6; Lc 4,16-24) e nel lamento su Gerusalemme (Mt 23,37; Lc 13,33-34). In ambedue i casi, egli lascia chiaramente intendere l’unicità dello spirito profetico che lega lui ai profeti precedenti, e inaugura i tempi messianici. Spetterà comunque al Vangelo di Giovanni e alla predicazione di Pietro, in occasione della guarigione dello storpio davanti alla porta Bella, di mettere in evidenza in modo inequivocabile il reciproco legame della figura del profeta e dell’era messianica, usando nei riguardi di Gesù il termine «profeta» come sinonimo di «messia». At 3,21-23 attribuisce a Gesù risorto la realizzazione della promessa di Dt 18,15.19 sul profeta che sorgerà in Israele pari a Mosè. E Giovanni testimonia che la reazione della folla di fronte alla moltiplicazione dei pani è stata di proclamare Gesù «il profeta che deve venire nel mondo» (6,14).
Il carisma profetico non poteva mancare alla chiesa primitiva; se il regno messianico aveva avuto il suo inizio ufficiale, lo spirito profetico doveva diffondersi abbondantemente per testimoniare l’attuazione delle promesse e garantire concretamente per tutti la presenza della benedizione di Dio. È quanto lascia intendere Pietro nel discorso della pentecoste, riferendo direttamente la profezia di Gioele sull’effusione dello Spirito su tutti i membri del popolo di Dio, capaci così di profetizzare; profezia che Pietro dichiara compiuta nella pentecoste cristiana (At 2,14-18; Cf. con Gv 3,1-5).
Non tutti i membri comunque della primitiva comunità cristiana posseggono abitualmente il dono della profezia, ma soltanto alcuni direttamente scelti dallo Spirito. Gli Atti ricordano i nomi di alcuni: Agabo (11,27; 21,10), Giuda e Sila (15,32) e le quattro figlie di Filippo «uno dei sette» (21,9).
Luca parla ancora di alcuni appartenenti alla comunità di Antiochia (At 13,1) e di altri di Efeso che profetizzano dopo il battesimo impartito loro da Paolo (19,6).
Anche Paolo conosce il carisma della profezia e lo considera un dono prezioso dato da Dio per l’edificazione della chiesa (1Cor 14 da leggere per intero). Anzi, egli stima talmente i profeti, e tiene in così alto conto la loro opera, da metterli in secondo posto in ordine di importanza tra le autorità della comunità, dopo gli apostoli (1Cor 12,28-29).
«Profetare» ha comunque, per Paolo, un significato ben preciso; la profezia infatti consiste sempre in un discorso intellegibile, fatto per costruire e mantenere l’unità della fede nella chiesa (Cf. Rom 12,6), perché il dono della profezia introduce nei misteri di Dio e permette di conoscere i suoi piani (Cf. 1Cor 13,2).
Secondo la prima lettera di Pietro (1,10) sembrerebbe che ai profeti spettasse anche il compito di leggere le Scritture, interpretarle, e cogliere le tipologie cristologiche.
I profeti dovettero senz’altro avere un’enorme influenza nel primo periodo della chiesa primitiva; Paolo nomina frequentemente i profeti assieme agli apostoli (Ef 2,20; 3,5; 4,11).
Il fatto però che l’istituzione profetica neotestamentaria sia, nella lettera agli Efesini, messa quasi sullo stesso piano dell’istituto apostolico, potrebbe far pensare che Paolo abbia voluto riservare il carisma profetico,  come  quello  apostolico,  ai tempi della fondazione della chiesa.
Il pericolo dei falsi profeti, già presente nell’insegnamento di Gesù (Mt 7,15; 24,11.24; Mc 13,22) e rimesso in evidenza da Giovanni nella sua prima lettera e nell’Apocalisse (1Gv 4,1-2; Ap 16,13; 19,20; 20,10), sembrerebbe confermare la nostra interpretazione.
Questo fatto comunque non impedì che nella chiesa post-apostolica continuasse ancora il carisma profetico, come confermano il Pastore di Erma, le lettere di Ignazio, il racconto del martirio di Policarpo, e la Didachè.
 
Quello che il demonio può fare col permesso di Dio - Royo Marin (Teologia di perfezione cristiana, 575): 1) Produrre visioni e locuzioni corporali e immaginarie (non quelle intellettuali).
2) Falsificare l’estasi.
3) Produrre splendori nel corpo e ardori sensibili nel cuore. Ci sono molti esempi di «incandescenza diabolica».
4) Produrre tenerezze e soavità sensibili.
5) Guarire, anche istantaneamente, certe strane malattie prodotte dall’azione diabolica. È chiaro che non si tratta propriamente di guarigione, ma soltanto di una cessazione di azioni lesive, come dice Tertulliano: «Laedunt enim primo, dehinc remedia praecipiunt, ad miraculum, nova sive contraria; post quae desinunt laedere, et curasse creduntur». Siccome la pretesa malattia era dovuta esclusivamente all’azione di Satana, cessando la causa, scompare istantaneamente anche l’effetto.
6) Produrre le stigmate e gli altri fenomeni corporali e sensibili della mistica, tali come i soavi odori, le corone, gli anelli, cc. Nulla di tutto ciò sorpassa, come vedremo, le forze naturali dei demoni.
7) Il demonio non può derogare alle leggi della gravità, però può simulare miracoli di questo genere mediante il concorso invisibile delle sue forze naturali. Si tenga presente per la questione della levitazione: si possono dare levitazioni diaboliche come nel caso di Simon Mago.
8) Può sottrarre i corpi alla nostra vista interponendo tra essi e la nostra retina un ostacolo che devia la rifrazione della luce o producendo nel nostro apparato visuale una impressione soggettiva completamente differente da quella che verrebbe dall’oggetto.
9) Può produrre la incombustione di un corpo interponendo un ostacolo invisibile tra esso e il fuoco.
In breve, dobbiamo dire che qualunque sia la natura del fenomeno prodotto per mezzo delle forze diaboliche, non sorpasserà mai l’ordine puramente naturale.
 
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Oggi Gesù ci dice: “Susciterò un profeta e gli porrò in bocca le mie parole” (I Lettura).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
 
O Signore, che ci hai nutriti con il dono della redenzione,
fa’ che per la forza di questo sacramento di eterna salvezza
cresca sempre più la vera fede.
Per Cristo nostro Signore.
 
31 Gennaio 2021
 
 San Giovanni Bosco, Sacerdote e Fondatore
 
 
Giovanni Bosco, al secolo Giovanni Melchiorre Bosco, meglio noto come Don Bosco, nasce il 16 agosto 1815 al Colle dei Becchi, una località presso Castelnuovo d’Asti, ora Castelnuovo Don Bosco. Di famiglia povera si preparò, fra stenti ed ostacoli, lavorando e studiando, alla missione che gli era stata indicata attraverso un sogno fatto all’età di nove anni e confermata più volte in seguito, in modo straordinario.
Studiò a Chieri, a pochi chilometri da Torino. Tra le belle chiese di Chieri, Santa Maria della Scala (il duomo) fu la più frequentata da Giovanni Bosco, ogni giorno, mattino e sera. Pregando e riflettendo davanti all’altare della Cappella della Madonna delle Grazie egli decise il suo avvenire.
A 19 anni voleva farsi religioso francescano. Informato della decisione, il parroco di Castelnuovo, don Dassano, avvertì Mamma Margherita con queste parole molte esplicite:
Cercate di allontanarlo da questa idea. Voi non siete ricca e siete avanti negli anni. Se vostro figlio va in convento, come potrà aiutarvi nella vostra vecchiaia?. Mamma Margherita si mise addosso uno scialle nero, scese a Chieri e parlò a Giovanni: “Il parroco è venuto a dirmi che vuoi entrare in convento. Sentimi bene. Io voglio che tu ci pensi e con calma. Quando avrai deciso, segui la tua strada senza guardare in faccia nessuno. La cosa più importante è che tu faccia la volontà del Signore. Il parroco vorrebbe che io ti facessi cambiare idea, perché in avvenire potrei avere bisogno di te. Ma io ti dico. In queste cose tua madre non c’entra. Dio è prima di tutto. Da te io non voglio niente, non mi aspetto niente. Io sono nata povera, sono vissuta povera, e voglio morire povera. Anzi, te lo voglio subito dire: se ti facessi prete e per disgrazia diventassi ricco non metterò mai più piede in casa tua. Ricordatelo bene.
Giovanni Bosco quelle parole non le avrebbe dimenticate mai. Dopo molta preghiera, ed essersi consultato con amici e con il suo confessore Don Giuseppe Cafasso, entrò in seminario per gli studi della teologia. Fu poi ordinato sacerdote a Torino nella chiesa dell’Immacolata Concezione il 5 giugno del 1841.
Don Bosco prese con fermezza tre propositi: “Occupare rigorosamente il tempo. Patire, fare, umiliarsi in tutto e sempre quando si tratta di salvare le anime. La carità e la dolcezza di San Francesco di Sales mi guideranno in ogni cosa”.
Venuto a Torino, fu subito colpito dallo spettacolo di centinaia di ragazzi e giovani allo sbando, senza guida e lavoro: volle consacrare la sua vita per la loro salvezza.
L’8 dicembre 1841, nella chiesa di S. Francesco d’Assisi, ebbe l’incontro con il primo dei moltissimi ragazzi che l’avrebbero conosciuto e seguito: Bartolomeo Garelli. Incomincia così l’opera dell’Oratorio, itinerante al principio, poi dalla Pasqua 1846, nella sua sede stabile a Valdocco, Casa Madre di tutte le opere salesiane.
I ragazzi sono già centinaia: studiano e imparano il mestiere nei laboratori che Don Bosco ha costruito per loro. Nella sua opera educativa fu aiutato da sua madre Mamma Margherita, che fece venire dai Becchi, per sostenerlo e perché facesse da mamma a tanti suoi ragazzi che avevano perso i propri genitori.
Nel 1859, poi, invita i suoi primi collaboratori ad unirsi a lui nella “Congregazione Salesiana”: rapidamente si moltiplicheranno ovunque oratori, scuole professionali, collegi, centri vocazionali, parrocchie, missioni. Nel 1872 fonda l’“Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) che lavoreranno in svariate opere per la gioventù femminile. Cofondatrice e prima superiora fu Maria Domenica Mazzarello (1837-1881) che verrà proclamata santa il 21 giugno 1951, dal Venerabile Pio XII (Eugenio Pacelli, 1939-1958). Ma Don Bosco seppe chiamare anche numerosi laici a condividere con i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice la stessa sua ansia educativa.
Fin dal 1869 aveva dato inizio alla “Pia Unione dei Cooperatori” che fanno parte a pieno titolo della Famiglia Salesiana e ne vivono lo spirito prodigandosi nel servizio ecclesiale.
A 72 anni, sfinito dal lavoro, secondo quanto aveva detto: “Ho promesso a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani”, Don Bosco muore a Torino-Valdocco, all’alba del 31 gennaio 1888, lasciando al suo successore Don Michele Rua (proclamato beato il 29 ottobre 1972 dal Beato Paolo VI), 700 religiosi in 64 case disseminate in 6 paesi.
Fu beatificato il 2 giugno 1929 e dichiarato santo da Pio XI (Ambrogio Damiano Achille Ratti, 1922-1939) il 1° aprile 1934, domenica di Pasqua.
In seguito, molti altri sono venuti a gettare nei solchi semi di vita: San Domenico Savio, il Beato Don Rua, il Beato Don Rinaldi… affinché il terreno continuasse ed essere fertile, anche dopo Don Bosco.
Fonte: www.vangelodel giorno.org
 
Mons. Alberto Maria Careggio, Vescovo, Omelia 31 gennaio 2011
 
Vallecrosia - “Prima di essere un dono preziosissimo alla Chiesa, amico, fratello e padre dei giovani, caro a tutto il mondo per essere “Educator princeps”, il primo, il più grande educatore di tutti i tempi, Don Bosco è un capolavoro della grazia di Dio”.
“Grande figlio della Chiesa”, “Padre e Maestro dei giovani”, “Educatore santo”… Con queste e con mille altre definizioni potremmo ricordare oggi San Giovanni Bosco. Amo citare soprattutto queste di Giovanni Paolo II che tra pochi mesi sarà proclamato “beato”. Sono tratte dalla sua lunga e magistrale Lettera scritta alla Famiglia salesiana il 31 gennaio 1988, in occasione del centenario della morte del Santo (Giovanni Paolo II, Lettera Iuvenum Patris, 31 gennaio 1988). Quella che vorrei sottolineare, perché mi sembra particolarmente stimolante, è l’ultima, dove il Papa lo riconosce come “educatore santo”. «In questa lettera - scriveva il Papa - mi piace considerare di don Bosco soprattutto il fatto che egli realizza la sua personale santità mediante l’impegno educativo vissuto con zelo e cuore apostolico, e che sa proporre, al tempo stesso, la santità quale meta concreta della sua pedagogia» (Giovanni Paolo II, Lettera, cit., n. 5).
Prima di essere un dono preziosissimo alla Chiesa, amico, fratello e padre dei giovani, caro a tutto il mondo per essere quello che Pio XI definì “Educator princeps”, il primo, il più grande educatore di tutti i tempi, Don Bosco è un vero capolavoro della grazia di Dio. Santi si diventa quando si lascia agire in noi Dio perché formi l’uomo nuovo, lo plasmi, lo trasformi su immagine di Gesù Cristo, suo figlio.
La fede di Don Bosco era vivissima, la sua speranza era accesa e fioriva ben oltre i comuni atteggiamenti. Era penetrato dal pensiero della presenza di Dio; la sua era la Messa di un santo; era devoto, raccolto, calmo e naturale: virtù umane, quest’ultime, acquisite sì, anche con fatica, con l’aiuto di Dio per vincere una natura forte e a volte ribelle; illimitata era poi la sua devozione verso la Vergine Santissima: «Noi siam figli di Maria», cantava con gioia e, per questo, Maria SS.ma fu la fondatrice e la sostenitrice di tutte le sue Opere.
Ma don Bosco era veramente un Santo? Ecco quanto dice di lui San Leonardo Murialdo, il fondatore dei Giuseppini: «Per molti anni io vedevo in Don Bosco un buon sacerdote molto zelante, senza vedere in lui un santo. Cominciai a sospettarlo santo, e la mia stima andò via via crescendo, quando cominciarono a parlare in favore di lui le sue opere, che rivelavano in lui un uomo non ordinario, opere tali che ricordavano in qualche maniera almeno le parole di Gesù: “Le opere che io faccio nel nome del Padre, queste danno testimonianza di me”. D’altra parte, Don Bosco fu uno di quei servi di Dio che concretizzano la santità nel sacrificarsi per la salvezza delle anime e la gloria di Dio, secondo il motto di san Giuseppe Calasanzio: “Chi prega, fa bene; chi aiuta, fa meglio”. A me - continua il Murialdo - non constano di Don Bosco né prolungate orazioni, né penitenze straordinarie; ma mi consta il lavoro instancabile, incessante per lunga serie di anni in opere di gloria di Dio, con fatiche non interrotte fra croci e contraddizioni di ogni genere, con una calma e tranquillità del tutto unica, e con un risultato per la gloria divina e il bene delle anime del tutto prodigioso». In tal senso è autorevole quanto lo stesso Beato Giovanni Paolo II -permettetemi questa anticipazione - scrisse nella sua “lettera” richiamata all’inizio: «Mi piace considerare di don Bosco soprattutto il fatto che egli realizza la sua personale santità mediante l’impegno educativo vissuto con zelo e cuore apostolico, e che sa proporre, al tempo stesso, la santità quale meta concreta della sua pedagogia. Proprio un tale interscambio tra “educazione” e “santità” è l’aspetto caratteristico della sua figura: egli è un “educatore santo”, si ispira a un “modello santo” - Francesco di Sales -, è un discepolo di un “maestro spirituale santo” - Giuseppe Cafasso -, e sa formare tra i suoi giovani un “educando santo”: Domenico Savio» (Lettera, cit. n. 5).
Il percorso che vi ha preparati alla solennità odierna è stato ispirato a citazioni importanti, sulle quali sviluppare le riflessioni. La frase di oggi è luminosa quanto la vita di don Bosco che l’ha scritta: «Basta che siate giovani perché vi ami assai» (Il giovane provveduto, n. 7). Potremmo dare sviluppo a questa affermazione, con molte altre. Nella prima conferenza che tenne a Torino il 16 maggio 1878, nella chiesa di S. Francesco di Sales, per esempio, indugiò sul tema dell’educazione della gioventù e terminò con l’appassionato appello: «Volete fare una cosa buona? Educate la gioventù. Volete fare una cosa santa? Educate la gioventù. Volete fare una cosa santissima? Educate la gioventù. Volete fare una cosa divina? Educate la gioventù ».
Entrando nel merito di quella “urgenza educativa”, già richiamata da Giovanni Paolo II nella Lettera citata (cit. n. 14) e che Benedetto XVI ha trasformato in “emergenza educativa” (cfr. Benedetto XVI, Lettera alla diocesi e alla città di Roma, 21 gennaio 2008), si sono dette molte cose, si sono già tenute conferenze, scritti diversi libri e documenti importanti tra cui quello recente, del 27 maggio 2010, della CEI dal titolo “Educare alla vita buona del Vangelo - Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il decennio 2010 – 2020, Roma”.
Oggi più che mai siamo convinti che i giovani vanno sempre più alla deriva, privi come sono di guide affidabili, a partire dalla famiglia, tanto in crisi da privare spesso i figli del naturale e vero clima di amore in cui deve crescere la vita, chiamata ad aprirsi ai valori morali e spirituali. Le formule educative non mancano, a partire dal “Sistema preventivo” di Don Bosco, basato sulla constatazione che si ottiene più con la carità e l’incoraggiamento, che con rimproveri i quali creano inquietudine. Tuttavia va pur detto che anche don Bosco, se non rimproverava, non tralasciava comunque dall’indicare ai suoi ragazzi le mete alte della virtù e, questo, con richiami molto forti anche a quello del giudizio di Dio, quel famoso “timore di Dio”, mal capito e oggi del tutto disatteso. L’amore per i ragazzi, era, dunque, nel Santo, pari all’amore che egli nutriva per Dio. Era innamorato dei ragazzi, perché era profondamente innamorato di Dio. Questo è stato il vero segreto del più grande educatore dei giovani di tutti i tempi.
Ciò va detto in quanto ogni buon progetto educativo si trova, oggi più che mai, a scontrarsi sempre più con forme di pensiero perverse, come il relativismo, lo scetticismo, l’eclettismo, nefasti come virus. La sfida dell’ateismo è, dunque, aperta. Essa non è tanto verso i ragazzi, più vittime che protagonisti, quanto verso tutti noi, specie verso coloro che vivono con i ragazzi, come i genitori, i sacerdoti, gli educatori. Non riempiamoci la testa soltanto di metodologie e di scienze pedagogiche o di dissertazioni accademiche, utili, ma non indispensabili. Viviamo da santi, noi, i primi, ed amiamo con intelligenza e responsabilità  i nostri ragazzi: sanno loro a chi credere e di chi fidarsi! Se sgarrano, il male è più fuori che dentro a loro. In ogni giovane c’è un cuore che batte e può amare.
Non dobbiamo scoraggiarci. Mamma Margherita è stata una maestra del cuore. Povera contadina, non sapeva né leggere, né scrivere, ma conosceva a memoria tutta la dottrina cristiana; era lodata come una madre veramente buona, pia, virtuosa, ricca di tanta fede. Era considerata dalle sue coetanee “La regina della madri cristiane” (Don Secondo Marchisio). Quanti, soprattutto sacerdoti e religiose, possono dire altrettanto della proprie madri! Per questo dobbiamo andare avanti con tanta fiducia in Gesù che, quale Maestro divino, ha detto: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). Cari cristiani e fedeli tutti: L’amore di Dio è la nostra speranza, San Giovanni Bosco la nostra guida.
 
 
Alcune massime di san Giovanni Bosco
 
1. La carità è quella che distingue i figlioli di Dio dai figlioli del demonio e del mondo.
 
2. Colui che dà buoni consigli ai suoi compagni fa grande opera di carità.
 
3. Chi vuol vivere da buon cattolico deve guardarsi da quelli che parlano male della religione, dei suoi ministri e specialmente del Papa che è il padre di tutti i cattolici. Dite pur sempre essere un cattivo figlio chi parla male di suo padre.
 
4. Le cose che sogliono allontanare il giovane dalla virtù sono i cattivi compagni, l’eccesso del bere, l’attaccamento al gioco, l’abitudine al fumare tabacco.
 
5. Per cattivi compagni s’intendono: quelli che cercano di parlare di cose disoneste, o fanno cose contrarie alla virtù della modestia; che parlano con disprezzo della religione; che vi allontanano dalle funzioni di chiesa o vi invitano a trasgredire i vostri doveri.
 
6. Fuggite l’ozio e gli oziosi, lavorate secondo il vostro stato; quando siete disoccupati siete in gravissimo pericolo di cadere in peccato. L’oziosità insegna ogni sorta di vizi.
 7. Vivete pure nella massima allegria, purché non facciate il peccato.
 
8. Dovunque vi troviate, mostratevi sempre buoni cristiani e uomini probi.
 
9. Il più efficace comando di un superiore é il buon esempio ed il precedere i sussidi nell’adempimento dei rispettivi doveri
 
10. L’esempio delle azioni virtuose vale assai più di un elegante discorso.
 
11. Cerchiamo di vivere in modo che gli uomini abbiano argomento di parlar bene di noi.
 
12. Chi cammina coi buoni, coi buoni andrà in paradiso. Fate ogni possibile per dare buon esempio.

Pratica: Viviamo da santi.
 
Preghiera: O Dio, che in san Giovanni Bosco hai dato alla tua Chiesa un padre e un maestro dei giovani, suscita anche in noi la stessa fiamma di carità a servizio della tua gloria per la salvezza dei fratelli. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
 
 30 Gennaio 2021
 
SABATO DELLA III SETTIMANA TEMPO ORDINARIO
 
Eb 11,1-2.8-19; Cant. Lc 1,68-75; Mc 4,35-41
 
 
Il Santo del Giorno - Martina - Il coraggio di opporsi alla cultura dominante e di mandare in frantumi le mire dei potenti: I martiri dei primi secoli oggi mantengono intatto il fascino di una testimonianza che va controcorrente, con la loro capacità di dire no alle mode del tempo e ai poteri forti. Viene da chiedersi se noi oggi sapremmo fare altrettanto se fossimo “messi alle strette” da una cultura dominante che volesse esplicitamente ridurre al silenzio il Vangelo. La forza dell’immagine delle statue degli dei pagani che vanno in pezzi all’apparire di santa Martina, martire del III secolo, ben ci ricorda che l’annuncio del Risorto ha un effetto dirompente sul mondo, ma richiede coraggio. Lo stesso che ebbe Martina, che secondo la tradizione era una diaconessa, figlia di nobili, arrestata e portata davanti al tribunale dell’imperatore Alessandro Severo. Alla richiesta di sacrificare al dio Apollo Martina oppose un netto rifiuto e le statue delle divinità romane andarono in frantumi. Venne quindi portata al X miglio della via Ostiense per essere decapitata. (Matteo Liut)
 
Colletta: Dio onnipotente ed eterno, guida le nostre azioni secondo la tua volontà, perché nel nome del tuo diletto Figlio portiamo frutti generosi di opere buone. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Chi è costui?: Paolo VI (Omelia, 29 novembre 1970): Io devo confessare il suo nome: Gesù è il Cristo, Figlio di Dio vivo (Matth. 16,16); Egli è il rivelatore di Dio invisibile, è il primogenito d’ogni creatura, è il fondamento d’ogni cosa; Egli è il Maestro dell’umanità, è il Redentore; Egli è nato, è morto, è risorto per noi; Egli è il centro della storia e del mondo; Egli è Colui che ci conosce e che ci ama; Egli è il compagno e l’amico della nostra vita; Egli è l’uomo del dolore e della speranza; è Colui che deve venire e che deve un giorno essere il nostro giudice e, noi speriamo, la pienezza eterna della nostra esistenza, la nostra felicità. Io non finirei più di parlare di Lui: Egli è la luce, è la verità, anzi: Egli è «la via, la verità e la vita» (Io. 14,6); Egli è il Pane, la fonte d’acqua viva per la nostra fame e per la nostra sete; Egli è il Pastore, la nostra guida, il nostro esempio, il nostro conforto, il nostro fratello. Come noi, e più di noi, Egli è stato piccolo, povero, umiliato, lavoratore, disgraziato e paziente. Per noi, Egli ha parlato, ha compiuto miracoli, ha fondato un regno nuovo, dove i poveri sono beati, dove la pace è principio di convivenza, dove i puri di cuore ed i piangenti sono esaltati e consolati, dove quelli che aspirano alla giustizia sono rivendicati, dove i peccatori possono essere perdonati, dove tutti sono fratelli. Gesù Cristo: voi ne avete sentito parlare; anzi voi, la maggior parte certamente, siete già suoi, siete cristiani. Ebbene, a voi cristiani io ripeto il suo nome, a tutti io lo annuncio: Gesù Cristo è il principio e la fine; l’alfa e l’omega; Egli è il Re del nuovo mondo; Egli è il segreto della storia; Egli è la chiave dei nostri destini; Egli è il mediatore, il ponte, fra la terra e il cielo; Egli è per antonomasia il Figlio dell’uomo, perché Egli è il Figlio di Dio, eterno, infinito; è il Figlio di Maria, la benedetta fra tutte le donne, sua madre nella carne, e madre nostra nella partecipazione allo Spirito del Corpo mistico.
 
Questo racconto di Marco è testimone delle sue riconosciute qualità di abile narratore. L’intero dramma, sostenuto da una costante tensione, mira a porre in rilievo la domanda finale: «Chi è dunque questo Gesù?». Da dove gli viene questo potere prodigioso che gli permette di placare il tumulto delle onde scatenate e di salvare gli uomini sulla barca?” (Jacques Hervieux (Vangelo di Marco).
Gesù, comandando con autorità al vento e alla tempesta, rivela di essere Dio. Nella sua Persona si manifesta la potente sovranità di Dio sugli elementi cosmici. Il timore, che l’intervento miracoloso di Cristo suscita nei discepoli, è il timore riverenziale dell’uomo di fronte alla presenza di Dio: la paura in questo modo lascia il posto alla preghiera e alla fede.
 
Dal Vangelo secondo Marco 4,35-41: In quel medesimo giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Prima la fede, poi il miracolo - José Maria Gonzalez-Ruiz (Vangelo secondo Marco): La proclamazione del regno di Dio non si riduce all’annunzio della buona notizia, ma include anche i benefici di questa proclamazione. Per quanto l’annunzio si riferisca alla liberazione da tutto quello che minaccia l’esistenza umana, vediamo che, immediatamente dopo l’accenno all’insegnamento, il secondo evangelista solleva rapidamente il sipario, e ci offre l’immagine d’un Gesù che salva e guarisce miracolosamente gli uomini dalle più svariate minacce che sono sul punto di «spianare» la loro vita.
Un’apologetica tardiva, fortemente razionalizzata, ha fatto dei «miracoli» di Gesù un argomento quasi matematico per «dimostrare» l’origine divina delle sue opere, dei suoi discorsi e persino della sua persona. Ma, prescindendo da questo tentativo razionalista (in qualche modo potrebbe essere considerato come sacrilego), dobbiamo mettere in evidenza un duplice aspetto.
In primo luogo, è quasi impossibile distinguere un avvenimento miracoloso da quello che non è miracoloso, ricorrendo ai limiti della potenza umana, poiché questi limiti ci sono ancora sconosciuti e le nuove scoperte hanno dimostrato che quello che ieri era considerato come effetto di forze estranee e soprannaturali, oggi è ben definito quanto alla sua causalità concreta.
In più, nei vangeli, questi fatti «straordinari» non sono necessariamente nell’ordine della capacità dell’uomo o della natura, poiché, quando accenna ai «segni» o «miracoli», Gesù mette sullo stesso piano la guarigione dei malati e l’annunzio della buona notizia ai poveri (Mt 11,4). Anche il secondo aspetto è molto importante: il racconto è giunto a noi, come a tutti i lettori del vangelo, solo come testimonianza d’un credente, cioè: il narratore ha preso posizione, col suo racconto, per una cosa che non può essere dimostrata, ma solo testimoniata, vale a dire che, in quest’avvenimento, Dio si rivolgeva e si rivolge agli uomini e cerca la loro fede. E, in effetti, il secondo evangelista, seguito sempre dagli altri due sinottici, non inganna sé e i suoi lettori, poiché mette esplicitamente la fede come fattore essenziale del beneficio miracoloso (5.34; 9.23; 10,52; 11,22; 16,11.14). In una parola, non è propriamente il miracolo che, mediante un meccanismo razionalista, produce la fede, ma è la fede che, mediante un meccanismo divino gratuito, produce il miracolo.
A parte questo, la cosa che maggiormente impressiona nella lettura di questo passo evangelico è l’innegabile sfondo dell’immagine divina così come appariva nell’Antico Testamento. Allora, Dio appariva in atto di dominare le forze contrarie del mare (Sal 74,13; 89,10-14; 104,5-9; Gb 38,8-11; Ger 5,22; 31,35). Così si spiega la domanda dei discepoli: «Chi è costui...?». Gesù non è come i profeti che elevavano lunghe preghiere a Dio, perché calmasse le acque del mare: le calma egli stesso. Ecco un altro punto essenziale e ripetuto del secondo vangelo: Gesù è il Figlio di Dio, anzi, è Dio stesso.
 
Non avete ancora fede? - Catechismo degli Adulti 87: La fede è atteggiamento esistenziale: ci dà la convinzione di essere amati, ci libera dalla solitudine e dall’angoscia del nulla, ci dispone ad accettare noi stessi e ad amare gli altri, ci dà il coraggio di sfidare l’ignoto. Ecco come si presenta in alcune figure emblematiche.
Abramo, il padre dei credenti, «ebbe fede sperando contro ogni speranza» (Rm 4,18); si fidò di Dio e delle sue promesse; lasciò la propria patria e la propria parentela; affrontò, lui vecchio e senza figli, un lungo viaggio «senza sapere dove andava» (Eb 11,8), per poter ricevere dal Signore una nuova terra e una numerosa discendenza. La sua figura esprime e sintetizza la fede del popolo di Dio: «Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia» (Gen 15,6).
La Vergine Maria, colei che è beata perché ha creduto nel modo più puro e totale, all’annuncio dell’angelo uscì dal suo piccolo mondo di promessa sposa, aprendosi al progetto di Dio: «Eccomi, sono la serva del Signore» (Lc 1,38). Divenuta madre del Messia, avanzò nell’oscurità della fede fino al dramma angoscioso del Calvario.
I due discepoli di Giovanni Battista, che videro passare Gesù, gli andarono dietro, fecero amicizia con lui, corsero ad annunciarlo ad altri, iniziarono una nuova esistenza
 
Due livelli di lettura - Basilio Caballero (La Parola per Ogni giorno): Due sono i livelli di lettura dell’evento evangelico di oggi: quello cristologico e quello ecclesiale. Entrambi sono intimamente collegati. Non possiamo limitarci a una lettura puramente « miracolistica » di questa scena insolita, dimenticando che i vangeli furono scritti sulla base della fede e dell’esperienza pasquale degli apostoli e della primitiva comunità cristiana.
In primo luogo, il miracolo della tempesta placata è un segno della divinità di Gesù che, come il Dio biblico, appare mentre domina gli elementi ostili della natura, in questo caso il mare infuriato. Dall’origine del mondo, il potere creatore di Dio si manifesta nel dominio sulle acque e nella signoria sul cosmo e sui mostri marini, come il mitico Leviatan ricordato nei Salmi e nel libro di Giobbe. Di questo potere partecipa Cristo, che oggi si rivela come Dio. È il primo livello.
E da qui dobbiamo passare alla lettura ecclesiale dell’episodio. Da sempre la tradizione patristica ha visto l’immagine della Chiesa nel gruppo di discepoli che remano disperatamente dentro la barca sbattuta dalla tempesta. Se non cola a picco nella burrasca è perché è Cristo che l’accompagna, anche se a volte non afferriamo i segni della sua presenza attraverso lo Spirito, e crediamo che Dio «faccia la siesta», lasciandoci soli davanti al pericolo. Ma non è così. Il Passeggero che salito sulla nostra nave non l’abbandonerà mai è di posto a condividere la nostra sorte fino alla fine. È Gesù, il capitano, che prende con forza il timone nelle sue mani e, nonostante tutti gli scogli, condurrà in porto la barca della Chiesa. «Dio è morto, largo al superuomo», gridava Zarathustra in mezzo alla piazza della città, dopo essere sceso dal monte con l’aquila in mano.
Vana illusione di Friedrich Nietzsche! Il Gesù addormentato in mezzo alla tempesta simboleggia il Cristo sprofondato nella crisi della sua passione e morte; ma il suo svegliarsi con forza e potenza sul vento e sulle onde dimostra la gloria e il dominio della sua risurrezione. Il cambiamento dalla tempesta alla calma è il passaggio, la Pasqua, dalla morte alla vita gloriosa, tanto per lui che per il suo popolo, la Chiesa pellegrina in mezzo alle vicissitudini della vita. Perché dubitare, uomini e donne di poca fede? «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
 
Il Creatore di tutte le cose visibili - Prudenzio (Apoteosi 650-669): La stessa potenza delle sue azioni e dei suoi miracoli proclamano che Gesù è Dio. Vedo calmarsi improvvisamente gli agitati venti quando Cristo lo comanda; vedo le acque, mosse in increspate onde, tornare calme al comando di Cristo; vedo come il mare consenta il cammino di Cristo, rendendo solide le acque sotto il suo piede. Egli procede sulle fluide acque con passo veloce e sull’ acqua immobile imprime le sue orme. Egli sgrida i venti e impone all’aria il silenzio. Chi può imporre ai porci violenti: Andate in silenzio nelle vostre carceri e gettatevi nell’ampio mare, se non lo stesso Creatore onnipotente dei venti? ... Chi poteva calcare le acque del mare, chi, procedendo per i mari azzurri e lasciando su di essi le impronte dei propri piedi, poteva calcare senza sommergersi l’umido cammino, alzato sulle proprie piante e con il passo veloce, se non il Creatore delle acque marine, lo Spirito che, salendo dalla bocca del Padre, volava sopra le acque, non separate tuttavia e non chiuse nel sicuro litorale?
 
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Io sono la luce del mondo, dice il Signore; chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
 
O Dio, che in questi santi misteri
ci hai nutriti con il Corpo e il Sangue del tuo Figlio,
fa’ che ci rallegriamo sempre del tuo dono,
sorgente inesauribile di vita nuova.
Per Cristo nostro Signore.
 
30 Gennaio 2021
 
Beato Columba Giuseppe Marmion O. S. B., Abate
 
Joseph-Aloysius Marmion nacque a Dublino da padre irlandese, William Marmion, e da madre francese, Herminie Cordier, il 1° aprile 1858. Tre delle sue sorelle diventeranno religiose presso le Suore della Misericordia. Considerato dai genitori come un dono di Dio, dopo la morte prematura di altri due fratelli, Joseph “viene promesso a Dio”.
Entra nel Seminario diocesano di Dublino all’età di 16 anni (nel 1874) e finirà brillantemente i suoi studi di teologia al Collegio di Propaganda Fide a Roma. È ordinato sacerdote nella chiesa di Sant’Agata dei Goti,il 16 giugno 1881. Egli sognava di essere monaco-missionario in Australia, ma rimane affascinato dall’atmosfera liturgica della “neonata” Abbazia di Maredsous in Belgio (fondata dai fratelli Wolter, di Beuron, nel1872) dove era passato a salutare un compagno di studi, tornando da Roma nel 1881. Voleva entrare in questo monastero, ma il suo Vescovo gli chiede di aspettare e lo nomina vicario a Dundrun, poi professore al Seminario Maggiore di Clonliffe (1882-1886). Cappellano di un convento di Suore Redentoriste e cappellano presso una prigione femminile, impara a guidare le anime, a confessare, a consigliare, e perfino, ad aiutare le moribonde.
A metà novembre dell’86, ottiene dal Vescovo il permesso di partire per farsi monaco; si stacca così volontariamente da una carriera ecclesiastica che si annunciava promettente. A Maredsous viene accolto da Dom Placido Wolter, primo Abate di questo monastero ancora in costruzione.
Il suo noviziato, vissuto sotto la guida austera di Dom Benoît D’Hondt, Maestro dei novizi severo e rigido, e con un bel gruppo di novizi giovani (mentre Marmion aveva già quasi 30 anni), sarà tanto più arduo per il fatto che egli si trova a cambiare abitudini, cultura, lingua. Ma dato che affermava di essere entrato in monastero per cercarvi l’ubbidienza, non può fare a meno di stringere i denti e di lasciarsi formare alla disciplina monastica, alla vita fraterna e alla preghiera corale fino alla professione solenne, emessa il 10 febbraio 1891. Da allora egli aiuta il Maestro dei novizi, dà lezioni nel Collegio, e soprattutto comincia a predicare con successo quando gli è permesso di andare in aiuto al clero nelle parrocchie vicine a Maredsous. La sua prima grande ubbidienza, egli la riceve quando è nominato a far parte del gruppetto di monaci che devono fondare l’Abbazia del Mont-César a Lovanio. Anche se questa separazione è uno strazio per lui, egli vi si dona completamente, in nome dell’ubbidienza. Presto si vede affidato il ruolo di Priore, accanto al Padre Abate de Kerchove, nonché di rettore responsabile spirituale e di professore di tutti i giovani monaci che si recano a Lovanio per studiare filosofia e teologia.
È lì che si dedica a una fitta predicazione di ritiri, in Belgio e in Gran Bretagna, e nello stesso tempo a un gran numero di direzioni spirituali (soprattutto presso comunità di Carmelitane). Diventerà presto confessore del Vescovo Mons. Joseph Mercier, il futuro Cardinale. Columba Marmion avrà pure un’intensa corrispondenza di direzione spirituale. Egli rappresenta anche un punto di riferimento significativo presso alcune facoltà ed istituti dell’Università di Lovanio, dove viene consultato per la sua autorevolezza. In questo periodo, l’Abbazia di Maredsous è sotto il governo di Dom Hildebrand de Hemptine, suo secondo Abate, che diventerà nel 1893, su domanda di Leone XIII, il primo Primate della Confederazione benedetta. Per le frequenti permanenze a Roma si finirà poi col richiedere la sua sostituzione come Abate. E Dom Columba Marmion viene eletto terzo Abate di Maredsous il 28 settembre 1909 e benedetto il 3 ottobre. Egli si trova dunque a capo di una comunità di più di 100 monaci, con una Scuola di Umanesimo, una Scuola di Arti applicate, una grande fattoria e una fama consolidata nelle ricerche e negli studi sulle origini della fede, con la “Revue Bénédictine” in particolare,e con varie altre pubblicazioni. Queste molteplici attività locali costringeranno Columba Marmion, nonostante il suo zelo missionario, a rinunciare all’offerta avanzata dal Governo Belga a Maredsous di aprire una missione nel Katanga. La cura della comunità non impedisce tuttavia a Dom Marmion di portare avanti sia il suo intenso apostolato con la predicazione di ritiri quanto le numerose e regolari direzioni spirituali. Non c’è da stupirsi dunque che gli si chieda di aiutare i monaci anglicani di Caldey desiderosi di diventare cattolici e di assicurare spiritualmente e canonicamente questa migrazione.
La grande prova dell’Abate Marmion (che in questo periodo ha 56 anni e accusa diversi problemi di salute) sarà la guerra del ‘14-’18. La sua decisione di mettere i giovani monaci al riparo in Irlanda, in modo che possano proseguire tranquillamente nella loro formazione, provocherà gravosi impegni, viaggi pericolosi, preoccupazioni e incomprensioni fra le due generazioni di una comunità scossa e divisa dalla guerra. Nel 1920 fu necessario creare la Congregazione belga dell’Annunciazione (Maredsous, Mont-César, St-Andié de Zevenkerken). Dom Marmion è considerato inoltre come un grande Abate e un punto di riferimento spirituale e dottrinale. Quando muore, durante un’epidemia d’influenza, il 30 gennaio 1923 alle 10 di sera, la sua fama di santità si è già affermata presso numerosi contemporanei. Un nuovo monastero prende il suo nome già nel 1933: Marmion Abbey (U.S.A.).
Per tutta una generazione di cattolici, ma più particolarmente di sacerdoti, religiosi e religiose, Dom Columba Marmion è stato un maestro di vita spirituale. Riportando i cattolici alle fonti bibliche (soprattutto a s. Paolo), e liturgiche della loro fede, li ha resi coscienti realmente della loro vita di figli di Dio, animati dallo Spirito, umili e semplici nel ricorrere alla misericordia e all’amore del Padre. Questa visione si accompagna a un grande senso della partecipazione al Corpo di Cristo nell’Eucaristia e a una forte pietà mariana che chiede alla Madre di Gesù di formare Cristo in tutti coloro che a lei ricorrono. Oggi la Chiesa attira l’attenzione di tutti i fedeli sulla fecondità spirituale della dottrina di Columba Marmion.
Fonte: Santa Sede
 
 
Negli ultimi anni di vita dell’abate, videro la luce gli scritti che lo avrebbero reso celebre in tutto il mondo cristiano: Cristo vita dell’anima (1917), Cristo nei suoi misteri (1919) e Cristo ideale del monaco (1922). Ebbero subito un enorme successo, tanto da ottenere i più grandi elogi da parte dei pontefici Benedetto XV, Pio XI e Pio XII.
 
Cristo vita dell’anima: Cristo vita dell’anima è una presentazione generale della vita cristiana in tutti gli elementi essenziali che la compongono: l’autore vi espone in una prima parte il piano divino della nostra santificazione, che ha al suo centro Gesù Cristo e che si realizza attraverso la storia nella Chiesa, mentre nella seconda parte tratta di come l’uomo, tramite la grazia di Dio e la sua propria collaborazione, si adatta praticamente a tale piano. E allora parla della fede e del battesimo, della crescita nella santità, dei mezzi predisposti a tale scopo, quali l’Eucaristia, la preghiera liturgica e personale, della carità e del culto mariano.
 
Cristo nei suoi misteri: La seconda opera è un’esposizione dettagliata dell’anno liturgico, ma in una prospettiva ben precisa: partendo dalla profonda convinzione che i misteri, cioè gli eventi salvifici che costellarono la vita di Gesù, sono anche nostri e che, rivissuti nella liturgia, ci assimilano a Cristo, Marmion studia i punti più decisivi della parabola storica del Verbo incarnato e si preoccupa di evidenziare quale è la “grazia” propria di ciascuno di essi e quindi quale è la particolare conformazione al Salvatore alla quale ci chiama.
 
Cristo ideale del monaco: Cristo ideale del monaco raccoglie gli insegnamenti fondamentali dell’abate di Maredsous sulla vita monastica; lo schema bipartito ricalca quello di Cristo vita dell’anima, così che dopo aver tracciato l’ideale monastico contenuto nella Regola di san Benedetto, passa ad enumerare le virtù e le attività basilari che lo definiscono.
 
Spose di Cristo: Ma oltre la ben nota trilogia, di Marmion ci rimangono altre pagine: si tratta anzitutto di una serie di conferenze spirituali tenute alle monache di Maredret e pubblicate postume nel 1923 col titolo di Spose di Cristo. Tali conferenze nacquero dalla meditazione del loro Autore sul Commento al Cantico dei Cantici di san Bernardo.
 
Cristo ideale del sacerdote: Rimangono poi appunti, note e conferenze circa il sacerdozio ministeriale e le esigenze etiche che ne risultano per chi vi è investito, raccolte in un volume uscito nel 1951 e recante il titolo Cristo ideale del sacerdote. La pubblicazione di questa serie di riflessioni dopo quelle relative alla vita cristiana in generale e a quella monastica in specie, d’altronde, corrispondeva ad un espresso desiderio di dom Marmion.
 
 Lettere: Fonte inoltre importantissima per attingere il suo pensiero sono le sue numerosissime lettere, quasi duemila, notevoli anche perché ci rivelano l’uomo, i suoi stati d’animo, i suoi affetti, le sue aspirazioni profonde.

Columba Marmion: Cristo nei suoi misteri
IV. Disposizioni che bisogna avere perché la venuta di Cristo produca nelle anime nostre la pienezza dei suoi frutti: purezza di cuore, umiltà, fiducia e santi desideri. - Unirci ai sentimenti della Vergine Maria, madre di Gesù. Quali sono queste disposizioni? Possono ridursi a quattro: La purezza del cuore. - Osservate: chi era meglio disposto alla venuta del Verbo sulla terra? Senza alcun dubbio la Vergine Maria. Quando il Verbo venne in questo mondo, trovò il cuore di questa Vergine perfettamente preparato e capace di ricevere le larghezze divine di cui la voleva colmare. E quali erano le disposizioni di quest’anima? Senza dubbio le possedeva tutte in un modo perfetto; ma una brilla, tra queste, di particolare splendore: la verginità e la purezza. Maria è vergine; la sua verginità è per lei così preziosa che non può a meno di fare un’osservazione all’angelo quando questi le propone il mistero della maternità divina. Non solo ella è vergine, ma la sua anima è senza macchia. La liturgia ci rivela che il disegno proprio di Dio, accordando a Maria il privilegio unico dell’immacolata Concezione, era «di preparare al suo Verbo una dimora degna di lui» (Preghiera della festa dell’Immacolata Concezione). Maria doveva essere la Madre di Dio; e questa eminente dignità esigeva che fosse non solo vergine, ma che la sua purità sorpassasse quella degli angeli e fosse un riflesso degli splendori santi nei quali l’eterno Padre genera il Figlio (Ps, CIX, 3). Dio é santo, tre volte santo, gli angeli, gli arcangeli, i serafini cantano questa infinita purezza (Is. VI. 3). Il seno di Dio, di uno splendore immacolato, é la dimora naturale del Figlio unico di Dio; il Verbo è ognora in sinu Patris; ma, incarnandosi, egli ha voluto essere altresì, per una ineffabile condiscendenza, in sinu Virginis Matris; occorreva che il tabernacolo che le offriva la Vergine gli rammentasse, con la sua incomparabile purezza, l’indefettibile chiarezza della luce eterna ove, come Dio, egli vive sempre (Serm. XII in app. alle Opere di S. Ambrogio). Ecco la prima disposizione che attira Gesù: una grande purezza. Ma noi siamo peccatori, noi non possiamo offrire al Verbo, a Cristo Gesù, questa purezza immacolata che egli tanto ama. Come potrà essere sostituita in noi? Dall’umiltà. Dio possiede nel suo seno il Figlio delle sue compiacenze; ma egli stringe sul suo cuore anche un altro figlio, - il figliuol prodigo. - Lo stesso nostro Signore ce lo assicura. Quando, dopo i suoi errori, il prodigo ritorna a suo padre, si umilia nella polvere, si riconosce un miserabile, un indegno; e allora, il padre suo, immediatamente lo riceve tra le braccia della sua misericordia (Luc. XV, 20). Non dimentichiamoci che il Figlio non vuole se non ciò che vuole suo Padre; se egli si incarna ed appare sulla terra lo fa per cercare i peccatori e condurli al Padre (Matth. IX, 13; Marc. II, 17; Luc. V, 32). Questo è così vero che nostro Signore ostenterà, più tardi, con grande scandalo dei Farisei, di trovarsi in compagnia dei peccatori, di sedersi alla loro medesima tavola, e permetterà alla Maddalena di baciargli i piedi e di bagnarglieli di lacrime. Se noi non abbiamo la purezza della Vergine Maria, domandiamo almeno l’umiltà della Maddalena, l’amore del pentimento e della penitenza. «O Cristo Gesù, io non sono degno che voi entriate in me; il mio cuore non sarà per voi un soggiorno di purezza perché la miseria vi ha sua dimora; ma questa miseria io la riconosco; la confesso; venite a liberarmene voi che siete la stessa misericordia e la stessa potenza!» Questa preghiera, in unione con lo spirito di penitenza, attira Gesù, perché l’umiltà che s’abbassa nel suo niente rende omaggio con ciò stesso alla bontà e alla potenza di Gesù. (cfr. Joan. VI, 37)
 
Pratica: «O Cristo Gesù, io non sono degno che voi entriate in me; il mio cuore non sarà per voi un soggiorno di purezza perché la miseria vi ha sua dimora; ma questa miseria io la riconosco; la confesso; venite a liberarmene voi che siete la stessa misericordia e la stessa potenza!» (Beato Columba Giuseppe Marmion O. S. B.)
 
Preghiera: O Dio, che nel beato abate Columba hai offerto alla tua Chiesa un modello di perfezione evangelica, concedi a noi, nelle mutevoli situazioni della vita, di aderire con tutte le forze al regno dei cieli. Per il nostro Signore.