1 SETTEMBRE 2023
VENERDÌ DELLA XXI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
1Ts 4,1-8; Salmo Responsoriale Dal Salmo 96 (97); Mt 25,1-13
Colletta
O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli,
concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi
e desiderare ciò che prometti,
perché tra le vicende del mondo
là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Ecco lo sposo! Andategli incontro! - Papa Francesco (Angelus 12 Novembre 2017): Che cosa vuole insegnarci Gesù con questa parabola? Ci ricorda che dobbiamo tenerci pronti all’incontro con Lui. Molte volte, nel Vangelo, Gesù esorta a vegliare, e lo fa anche alla fine di questo racconto. Dice così: «Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora» (v. 13). Ma con questa parabola ci dice che vegliare non significa soltanto non dormire, ma essere preparati; infatti tutte le vergini dormono prima che arrivi lo sposo, ma al risveglio alcune sono pronte e altre no. Qui sta dunque il significato dell’essere saggi e prudenti: si tratta di non aspettare l’ultimo momento della nostra vita per collaborare con la grazia di Dio, ma di farlo già da adesso. Sarebbe bello pensare un po’: un giorno sarà l’ultimo. Se fosse oggi, come sono preparato, preparata? Ma devo fare questo e questo … Prepararsi come fosse l’ultimo giorno: questo fa bene.
La lampada è il simbolo della fede che illumina la nostra vita, mentre l’olio è il simbolo della carità che alimenta, rende feconda e credibile la luce della fede. La condizione per essere pronti all’incontro con il Signore non è soltanto la fede, ma una vita cristiana ricca di amore e di carità per il prossimo. Se ci lasciamo guidare da ciò che ci appare più comodo, dalla ricerca dei nostri interessi, la nostra vita diventa sterile, incapace di dare vita agli altri, e non accumuliamo nessuna scorta di olio per la lampada della nostra fede; e questa – la fede – si spegnerà al momento della venuta del Signore, o ancora prima. Se invece siamo vigilanti e cerchiamo di compiere il bene, con gesti di amore, di condivisione, di servizio al prossimo in difficoltà, possiamo restare tranquilli mentre attendiamo la venuta dello sposo: il Signore potrà venire in qualunque momento, e anche il sonno della morte non ci spaventa, perché abbiamo la riserva di olio, accumulata con le opere buone di ogni giorno. La fede ispira la carità e la carità custodisce la fede.
Prima Lettura: Poiché i richiami alla pudicizia e alla castità sono a piè sospinto nelle lettere paoline, Paolo per molti è un bigotto. Ma in verità in lui parla il Cristo. L’ennesimo richiamo a diventare santi e a conservarsi casti, che si trova nel brano odierno, è un monito sempre attuale, per i cristiani di ieri e per i cristiani di oggi. Impurità e santità non si accordano.
Vangelo
Ecco lo sposo! Andategli incontro!
Felipe F. Ramos: La parabola si riferisce alla seconda venuta di Cristo e descrive la situazione di coloro che vivono, nella speranza, il tempo intermedio fra la risurrezione e la parasta del Signore.
Il contesto nel quale Matteo ha inquadrato la parabola mette in chiara evidenza la sua intenzione; e, come se questa non fosse abbastanza chiara, aggiunge le parole finali: «Vigilale, perché non sapete il giorno né l’ora» (v. 13).
Per comprendere questa parabola, dobbiamo partire dal presupposto che il regno dei cieli non è paragonato a dieci vergini, ma alla celebrazione solenne d’un banchetto nuziale, solennità che è messa in evidenza all’ultimo momento. È un banchetto nel quale la fine del mondo e il giudizio finale hanno un ruolo decisivo anche se, naturalmente, non esclusivo (ma ora si fa riferimento a quel momento). Per questo il regno può essere paragonato alla sala del banchetto nella quale entrano le vergini sagge.
L’introduzione della parabola potrebbe dunque essere questa: «Avviene del regno dei cieli quello che avviene di dieci vergini... invitate a un banchetto nuziale».
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 25,1-13
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».
Parola del Signore.
Presso gli Ebrei le nozze venivano celebrate di notte. Il buio della notte era rischiarato da torce e da lampade ad olio portate dagli invitati. La sposa, nella casa del padre, in compagnia di giovani non maritate, attendeva la venuta dello sposo. Nel racconto di Gesù lo sposo arrivò in ritardo, per cui l’olio delle lampade incominciò a scarseggiare. Solo coloro che avevano portato olio in abbondanza furono in grado di rifornire le lampade e di accogliere lo sposo.
Le dieci vergini sono presentate con un aggettivo, cinque sono dette stolte, insensate, moraì; e cinque sagge, accorte, frónimoi.
L’aggettivo moròs, nella terminologia biblica, non indica soltanto lo sciocco, ma anche l’empio che è così insensato da opporsi alla legge di Dio e giunge fino a negare l’esistenza di Dio. Ecco perché nella sacra Scrittura, il «concetto di stolto acquista il significato di empio, bestemmiatore [passi tipici sono: Sal 14,1 e 53,2; però anche Sal 74,18.22; Gb 2,10; Is 32,5s; cf. Sir 50,26]. Lo stolto si ribella a Dio, distrugge in pari tempo la comunità umana: fa mancare il necessario agli affamati [Is 32,6], accumula ricchezze ingiuste [Ger 17,11] e calunnia il suo prossimo [Sal 39,9]. Anche nella letteratura sapienziale posteriore, dove il concetto è meno duro, rimane il senso della colpevolezza» (J. Goetzmann). Se accettiamo anche questa sfumatura, allora le cinque vergini stolte della parabola non sono soltanto delle sempliciotte, o ragazzotte sprovvedute, ma veri e propri oppositori della legge divina; sono coloro che non entrano nel Regno di Dio a motivo della loro empietà e così l’accusa contro i farisei si fa più pesante: essi sono religiosi nelle parole, ma empi perché di fatto ribelli alla volontà divina, «dicono e non fanno» (Mt 23,3), e tanto stolti da respingere la proposta di salvezza che Dio fa loro nella persona del suo Figlio unigenito.
La parabola nel mettere in evidenza l’incertezza del tempo della venuta gloriosa del Cristo, vuole instillare nei cuori degli uomini la necessità della vigilanza, senza fidarsi di calcoli in base ai segni dei tempi: «Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo e né il Figlio, ma solo il Padre» (Mt 24,36).
Questa venuta improvvisa deve indurre gli uomini ad assumere un serio atteggiamento di vigilanza e un comportamento saggio al quale nessuno può sottrarsi se non vuole essere escluso dal regno di Dio. Poi, alla vigilanza e al comportamento saggio va aggiunto il timore: «Comportatevi con timore nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri. Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia» (1Pt 1,17-19). Se Cristo Gesù, «nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero» (Credo), per salvarci si è annichilito nel mistero dell’Incarnazione, se è morto su una croce come un volgare malfattore, «è segno che la nostra anima è assai preziosa e dobbiamo perciò affaticarci “con timore e tremore per la nostra salvezza”, per non distruggere in noi l’opera della grazia di Dio. Tutto infatti viene dalla “grazia”: la redenzione di Cristo è opera di grazia e anche l’accettazione della redenzione da parte nostra è opera di grazia, poiché è Dio stesso colui “che opera in noi il volere e l’agire” secondo i suoi disegni di benevolenza e di amore» (Settimio Cipriani).
Le vergini, le stolte e le sagge, non sopportando il tedio dell’attesa vengono colte dal sonno al quale cedono ben volentieri. Questo particolare suggerisce che il progetto di Dio, «ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra» (Ef 1,10), andrà a buon fine, lo voglia o non lo voglia l’uomo e sarà svelato all’intelligenza degli uomini quando Dio vorrà, anche senza il loro apporto. Gesù aveva suggerito la stessa cosa nella parabola del seme che spunta da solo anche mentre il contadino dorme (Mc 4,26): c’è, quindi, nella crescita e nella diffusione del Regno di Dio una componente che non dipende dall’uomo. Il regno di Dio porta in sé un principio di sviluppo, una forza segreta che lo condurrà al pieno compimento.
Giuseppe Barbaglio: Il racconto non si attarda a descrivere il cerimoniale delle nozze. Non menziona neppure la sposa. L’attenzione è concentrata sul comportamento delle dieci fanciulle che attendono il corteo dello sposo. Di esse cinque sono dette sagge, le altre stolte, in quanto le prime, a differenza delle compagne, si procurarono l’olio di riserva per alimentare le lampade. Soltanto questo elemento le distingue. Di fatto tutte dormirono nella lunga attesa. Non si tratta dunque di vegliare. La loro saggezza è consistita nell’essere pronte ed equipaggiate per seguire con le lampade accese lo sposo nella sala del banchetto nuziale.
Se ora ci domandiamo in che cosa consisteva per la chiesa di Matteo l’essere pronti ad andare incontro al Signore nel giorno della sua venuta finale, la risposta emerge dalla duplice analogia di questa parabola con la parte terminale del discorso della montagna. Le fanciulle sagge e stolte trovano l’esatta corrispondenza nei due costruttori di casa della parabola omonima, dove si dice che la saggezza dell’uno e la stoltezza dell’altro dipendono dall’agire o meno in conformità della parola di Cristo (7,24.26). Inoltre la risposta dello sposo alle stolte risuona negli stessi termini della condanna inflitta nel giudizio finale ai credenti che nella liturgia hanno acclamato Gesù come loro Signore e sono stati dotati di carismi straordinari, ma non hanno fatto la volontà del Padre (7,21-23). La comunità cristiana deve dunque prepararsi al futuro salvifico con il compimento fedele delle esigenze di Dio rivelate da Cristo. La vigilanza non consiste in una attesa inerte e contemplativa, ma si incarna nel fare, nell’attuare opere concrete che traducano in atto il volere di Dio, cioè la sua suprema esigenza di amore. Ma l’obbedienza ai comandamenti di Dio e alle parole di Gesù vuol dire amare il prossimo come amiamo noi stessi (7,12). Dunque la verifica dell’autentica speranza cristiana avviene ora sul piano prassistico, nel compiere gesti di amore. La carità esprime nell’oggi il dinamismo della speranza. Le evita così di degenerare in una fuga dal presente, nell’esilio da questo mondo, nella evasione dalle responsabilità attuali della storia, in un quietismo di comodo.
Ilario di Poitiers, In Matth. 27, 3-5: Le vergini sagge sono le anime che, cogliendo il momento favorevole in cui sono nei corpi per fare delle opere buone, si sono preparate per presentarsi per prime alla venuta del Signore. Le stolte sono le anime che, rilassate e negligenti, si sono curate solo delle cose presenti e, dimentiche delle promesse di Dio, non sono arrivate fino alla speranza della risurrezione. E poiché le vergini stolte non possono andare incontro con le loro lampade spente, domandano in prestito alle sagge dell’olio (cf. Mt 25,8). Ma quelle risposero che non potevano darne loro, perché forse non ce ne sarebbe stato abbastanza per tutte (cf. Mt 25,9), il che vuol dire che nessuno deve appoggiarsi sulle opere e sui meriti altrui, perché è necessario che ognuno compri olio per la propria lampada. Le sagge le invitano a tornare indietro a comprarne, qualora obbedendo sia pure in ritardo alle prescrizioni di Dio, esse si rendano degne d’incontrare lo sposo con le loro lampade accese. Ma mentre esse indugiavano, entrò lo sposo e, insieme a lui, le sagge velate e munite della loro lampada tutta pronta entrano alle nozze (cf. Mt 25,10), cioè penetrano nella gloria celeste appena giunto il Signore nel suo splendore. E poiché non hanno più tempo per pentirsi, le stolte accorrono, chiedono che si apra loro la porta (cf. Mt 25,11). Al che lo sposo risponde loro: “Non vi conosco” (Mt 25,12). Esse, infatti, non erano state là per compiere il loro dovere verso colui che arrivava, non si erano presentate all’appello del suono della tromba, non si erano aggiunte al corteo di quelle che entravano, ma, per il loro ritardo e il loro comportamento indegno, avevano lasciato passare l’ora di entrare alle nozze.
Il santo del giorno - 1 Settembre 2023 - San Giosuè, Patriarca: Il giovane Giosuè fa il suo tirocinio al servizio di Mosè. Accumula esperienza e conoscenza, diventa un uomo pieno dello spirito di saggezza. Per questa sua sapienza e docilità merita di diventare il successore di Mosè, che guiderà il popolo nell’ingresso nella terra promessa. Il passaggio del Giordano più che un’azione bellica è una processione liturgica da lui guidata.
Al centro dell’evento vi è l’Arca trasportata dai sacerdoti. Non appena essi toccano l’acqua, questa si divide per lasciar passare il popolo all’asciutto. Anche la conquista di Gerico viene presentata come un’azione liturgica di cui sono protagonisti i sacerdoti. Per sei giorni essi aprono il corteo intorno alle mura della città. Il settimo giorno compiono il giro per ben 7 volte, e al termine dell’ultimo, al suono delle trombe, le mura crollano. I due episodi sono accomunati da una premessa teologica: la conquista della terra è un dono di Dio, Giosuè ne è lo strumento. (Avvenire)
Porta a compimento in noi, o Signore,
l’opera risanatrice della tua misericordia
e fa’ che, interiormente rinnovati,
possiamo piacere a te in tutta la nostra vita.
Per Cristo nostro Signore.