1 SETTEMBRE 2023
 
VENERDÌ DELLA XXI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
 
1Ts 4,1-8; Salmo Responsoriale Dal Salmo 96 (97); Mt 25,1-13
 
Colletta
O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli,
concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi
e desiderare ciò che prometti,
perché tra le vicende del mondo
là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Ecco lo sposo! Andategli incontro! - Papa Francesco (Angelus 12 Novembre 2017): Che cosa vuole insegnarci Gesù con questa parabola? Ci ricorda che dobbiamo tenerci pronti all’incontro con Lui. Molte volte, nel Vangelo, Gesù esorta a vegliare, e lo fa anche alla fine di questo racconto. Dice così: «Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora» (v. 13). Ma con questa parabola ci dice che vegliare non significa soltanto non dormire, ma essere preparati; infatti tutte le vergini dormono prima che arrivi lo sposo, ma al risveglio alcune sono pronte e altre no. Qui sta dunque il significato dell’essere saggi e prudenti: si tratta di non aspettare l’ultimo momento della nostra vita per collaborare con la grazia di Dio, ma di farlo già da adesso. Sarebbe bello pensare un po’: un giorno sarà l’ultimo. Se fosse oggi, come sono preparato, preparata? Ma devo fare questo e questo … Prepararsi come fosse l’ultimo giorno: questo fa bene.
La lampada è il simbolo della fede che illumina la nostra vita, mentre l’olio è il simbolo della carità che alimenta, rende feconda e credibile la luce della fede. La condizione per essere pronti all’incontro con il Signore non è soltanto la fede, ma una vita cristiana ricca di amore e di carità per il prossimo. Se ci lasciamo guidare da ciò che ci appare più comodo, dalla ricerca dei nostri interessi, la nostra vita diventa sterile, incapace di dare vita agli altri, e non accumuliamo nessuna scorta di olio per la lampada della nostra fede; e questa – la fede – si spegnerà al momento della venuta del Signore, o ancora prima. Se invece siamo vigilanti e cerchiamo di compiere il bene, con gesti di amore, di condivisione, di servizio al prossimo in difficoltà, possiamo restare tranquilli mentre attendiamo la venuta dello sposo: il Signore potrà venire in qualunque momento, e anche il sonno della morte non ci spaventa, perché abbiamo la riserva di olio, accumulata con le opere buone di ogni giorno. La fede ispira la carità e la carità custodisce la fede.
 
Prima Lettura: Poiché i richiami alla pudicizia e alla castità sono a piè sospinto nelle lettere paoline, Paolo per molti è un bigotto. Ma in verità in lui parla il Cristo. L’ennesimo richiamo a diventare santi e a conservarsi casti, che si trova nel brano odierno, è un monito sempre attuale, per i cristiani di ieri e per i cristiani di oggi. Impurità  e santità non si accordano.
 
Vangelo
Ecco lo sposo! Andategli incontro!
 
Felipe F. Ramos: La parabola si riferisce alla seconda venuta di Cristo e descrive la situazione di coloro che vivono, nella speranza, il tempo intermedio fra la risurrezione e la parasta del Signore.
Il contesto nel quale Matteo ha inquadrato la parabola mette in chiara evidenza la sua intenzione; e, come se questa non fosse abbastanza chiara, aggiunge le parole finali: «Vigilale, perché non sapete il giorno né l’ora» (v. 13).
Per comprendere questa parabola, dobbiamo partire dal presupposto che il regno dei cieli non è paragonato a dieci vergini, ma alla celebrazione solenne d’un banchetto nuziale, solennità che è messa in evidenza all’ultimo momento. È un banchetto nel quale la fine del mondo e il giudizio finale hanno un ruolo decisivo anche se, naturalmente, non esclusivo (ma ora si fa riferimento a quel momento). Per questo il regno può essere paragonato alla sala del banchetto nella quale entrano le vergini sagge.
L’introduzione della parabola potrebbe dunque essere questa: «Avviene del regno dei cieli quello che avviene di dieci vergini... invitate a un banchetto nuziale».
  
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 25,1-13
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. 
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».
 
Parola del Signore.

Presso gli Ebrei le nozze venivano celebrate di notte. Il buio della notte era rischiarato da torce e da lampade ad olio portate dagli invitati. La sposa, nella casa del padre, in compagnia di giovani non maritate, attendeva la venuta dello sposo. Nel racconto di Gesù lo sposo arrivò in ritardo, per cui l’olio delle lampade incominciò a scarseggiare. Solo coloro che avevano portato olio in abbondanza furono in grado di rifornire le lampade e di accogliere lo sposo.
Le dieci vergini sono presentate con un aggettivo, cinque sono dette stolte, insensate, moraì; e cinque sagge, accorte, frónimoi.
L’aggettivo moròs, nella terminologia biblica, non indica soltanto lo sciocco, ma anche l’empio che è così insensato da opporsi alla legge di Dio e giunge fino a negare l’esistenza di Dio. Ecco perché nella sacra Scrittura, il «concetto di stolto acquista il significato di empio, bestemmiatore [passi tipici sono: Sal 14,1 e 53,2; però anche Sal 74,18.22; Gb 2,10; Is 32,5s; cf. Sir 50,26]. Lo stolto si ribella a Dio, distrugge in pari tempo la comunità umana: fa mancare il necessario agli affamati [Is 32,6], accumula ricchezze ingiuste [Ger 17,11] e calunnia il suo prossimo [Sal 39,9]. Anche nella letteratura sapienziale posteriore, dove il concetto è meno duro, rimane il senso della colpevolezza» (J. Goetzmann). Se accettiamo anche questa sfumatura, allora le cinque vergini stolte della parabola non sono soltanto delle sempliciotte, o ragazzotte sprovvedute, ma veri e propri oppositori della legge divina; sono coloro che non entrano nel Regno di Dio a motivo della loro empietà e così l’accusa contro i farisei si fa più pesante: essi sono religiosi nelle parole, ma empi perché di fatto ribelli alla volontà divina, «dicono e non fanno» (Mt 23,3), e tanto stolti da respingere la proposta di salvezza che Dio fa loro nella persona del suo Figlio unigenito.
La parabola nel mettere in evidenza l’incertezza del tempo della venuta gloriosa del Cristo, vuole instillare nei cuori degli uomini la necessità della vigilanza, senza fidarsi di calcoli in base ai segni dei tempi: «Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo e né il Figlio, ma solo il Padre» (Mt 24,36).
Questa venuta improvvisa deve indurre gli uomini ad assumere un serio atteggiamento di vigilanza e un comportamento saggio al quale nessuno può sottrarsi se non vuole essere escluso dal regno di Dio. Poi, alla vigilanza e al comportamento saggio va aggiunto il timore: «Comportatevi con timore nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri. Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia» (1Pt 1,17-19). Se Cristo Gesù, «nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero» (Credo), per salvarci si è annichilito nel mistero dell’Incarnazione, se è morto su una croce come un volgare malfattore, «è segno che la nostra anima è assai preziosa e dobbiamo perciò affaticarci “con timore e tremore per la nostra salvezza”, per non distruggere in noi l’opera della grazia di Dio. Tutto infatti viene dalla “grazia”: la redenzione di Cristo è opera di grazia e anche l’accettazione della redenzione da parte nostra è opera di grazia, poiché è Dio stesso colui “che opera in noi il volere e l’agire” secondo i suoi disegni di benevolenza e di amore» (Settimio Cipriani).
Le vergini, le stolte e le sagge, non sopportando il tedio dell’attesa vengono colte dal sonno al quale cedono ben volentieri. Questo particolare suggerisce che il progetto di Dio, «ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra» (Ef 1,10), andrà a buon fine, lo voglia o non lo voglia l’uomo e sarà svelato all’intelligenza degli uomini quando Dio vorrà, anche senza il loro apporto. Gesù aveva suggerito la stessa cosa nella parabola del seme che spunta da solo anche mentre il contadino dorme (Mc 4,26): c’è, quindi, nella crescita e nella diffusione del Regno di Dio una componente che non dipende dall’uomo. Il regno di Dio porta in sé un principio di sviluppo, una forza segreta che lo condurrà al pieno compimento.
 
Giuseppe Barbaglio: Il racconto non si attarda a descrivere il cerimoniale delle nozze. Non menziona neppure la sposa. L’attenzione è concentrata sul comportamento delle dieci fanciulle che attendono il corteo dello sposo. Di esse cinque sono dette sagge, le altre stolte, in quanto le prime, a differenza delle compagne, si procurarono l’olio di riserva per alimentare le lampade. Soltanto questo elemento le distingue. Di fatto tutte dormirono nella lunga attesa. Non si tratta dunque di vegliare. La loro saggezza è consistita nell’essere pronte ed equipaggiate per seguire con le lampade accese lo sposo nella sala del banchetto nuziale.
Se ora ci domandiamo in che cosa consisteva per la chiesa di Matteo l’essere pronti ad andare incontro al Signore nel giorno della sua venuta finale, la risposta emerge dalla duplice analogia di questa parabola con la parte terminale del discorso della montagna. Le fanciulle sagge e stolte trovano l’esatta corrispondenza nei due costruttori di casa della parabola omonima, dove si dice che la saggezza dell’uno e la stoltezza dell’altro dipendono dall’agire o meno in conformità della parola di Cristo (7,24.26). Inoltre la risposta dello sposo alle stolte risuona negli stessi termini della condanna inflitta nel giudizio finale ai credenti che nella liturgia hanno acclamato Gesù come loro Signore e sono stati dotati di carismi straordinari, ma non hanno fatto la volontà del Padre (7,21-23). La comunità cristiana deve dunque prepararsi al futuro salvifico con il compimento fedele delle esigenze di Dio rivelate da Cristo. La vigilanza non consiste in una attesa inerte e contemplativa, ma si incarna nel fare, nell’attuare opere concrete che traducano in atto il volere di Dio, cioè la sua suprema esigenza di amore. Ma l’obbedienza ai comandamenti di Dio e alle parole di Gesù vuol dire amare il prossimo come amiamo noi stessi (7,12). Dunque la verifica dell’autentica speranza cristiana avviene ora sul piano prassistico, nel compiere gesti di amore. La carità esprime nell’oggi il dinamismo della speranza. Le evita così di degenerare in una fuga dal presente, nell’esilio da questo mondo, nella evasione dalle responsabilità attuali della storia, in un quietismo di comodo.
 
Ilario di Poitiers, In Matth. 27, 3-5: Le vergini sagge sono le anime che, cogliendo il momento favorevole in cui sono nei corpi per fare delle opere buone, si sono preparate per presentarsi per prime alla venuta del Signore. Le stolte sono le anime che, rilassate e negligenti, si sono curate solo delle cose presenti e, dimentiche delle promesse di Dio, non sono arrivate fino alla speranza della risurrezione. E poiché le vergini stolte non possono andare incontro con le loro lampade spente, domandano in prestito alle sagge dell’olio (cf. Mt 25,8). Ma quelle risposero che non potevano darne loro, perché forse non ce ne sarebbe stato abbastanza per tutte (cf. Mt 25,9), il che vuol dire che nessuno deve appoggiarsi sulle opere e sui meriti altrui, perché è necessario che ognuno compri olio per la propria lampada. Le sagge le invitano a tornare indietro a comprarne, qualora obbedendo sia pure in ritardo alle prescrizioni di Dio, esse si rendano degne d’incontrare lo sposo con le loro lampade accese. Ma mentre esse indugiavano, entrò lo sposo e, insieme a lui, le sagge velate e munite della loro lampada tutta pronta entrano alle nozze (cf. Mt 25,10), cioè penetrano nella gloria celeste appena giunto il Signore nel suo splendore. E poiché non hanno più tempo per pentirsi, le stolte accorrono, chiedono che si apra loro la porta (cf. Mt 25,11). Al che lo sposo risponde loro: “Non vi conosco” (Mt 25,12). Esse, infatti, non erano state là per compiere il loro dovere verso colui che arrivava, non si erano presentate all’appello del suono della tromba, non si erano aggiunte al corteo di quelle che entravano, ma, per il loro ritardo e il loro comportamento indegno, avevano lasciato passare l’ora di entrare alle nozze.
 
Il santo del giorno - 1 Settembre 2023 - San Giosuè, Patriarca: Il giovane Giosuè fa il suo tirocinio al servizio di Mosè. Accumula esperienza e conoscenza, diventa un uomo pieno dello spirito di saggezza. Per questa sua sapienza e docilità merita di diventare il successore di Mosè, che guiderà il popolo nell’ingresso nella terra promessa. Il passaggio del Giordano più che un’azione bellica è una processione liturgica da lui guidata.
Al centro dell’evento vi è l’Arca trasportata dai sacerdoti. Non appena essi toccano l’acqua, questa si divide per lasciar passare il popolo all’asciutto. Anche la conquista di Gerico viene presentata come un’azione liturgica di cui sono protagonisti i sacerdoti. Per sei giorni essi aprono il corteo intorno alle mura della città. Il settimo giorno compiono il giro per ben 7 volte, e al termine dell’ultimo, al suono delle trombe, le mura crollano. I due episodi sono accomunati da una premessa teologica: la conquista della terra è un dono di Dio, Giosuè ne è lo strumento. (Avvenire)
 
Porta a compimento in noi, o Signore,
l’opera risanatrice della tua misericordia
e fa’ che, interiormente rinnovati,
possiamo piacere a te in tutta la nostra vita.
Per Cristo nostro Signore.
 

31 AGOSTO 2023
 
GIOVEDÌ DELLA XXI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO DISPARI)

1Ts 3,7-13; Salmo Responsoriale Dal Salmo 89 (90); Mt 24,42-51
 
Colletta
O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli,
concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi
e desiderare ciò che prometti,
perché tra le vicende del mondo
là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Catechismo della Chiesa Cattolica 678 In linea con i profeti e con Giovanni Battista Gesù ha annunziato nella sua predicazione il giudizio dell’ultimo giorno. Allora saranno messi in luce la condotta di ciascuno e il segreto dei cuori. Allora verrà condannata l’incredulità colpevole che non ha tenuto in alcun conto la grazia offerta da Dio. L’atteggiamento verso il prossimo rivelerà l’accoglienza o il rifiuto della grazia e dell’amore divino. Gesù dirà nell’ultimo giorno: « Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).
679 Cristo è Signore della vita eterna. Il pieno diritto di giudicare definitivamente le opere e i cuori degli uomini appartiene a lui in quanto Redentore del m nd. gli ha « acquisito» questo diritto con la sua croce. Anche il Padre « ha rimesso ogni giudizio al Figlio» (Cv 5,22).
Ora, il Figlio non è venuto per giudicare, ma per salvare m e per donare la vita che è in lui. È per il rifiuto della grazia nella vita presente che ognuno si giudica già da se stesso, riceve secondo le sue opere e può anche condannarsi per l’eternità rifiutando lo Spirito d’amore.
 
Prima Lettura: Il pastore non dà soltanto, ma riceve anche - José Maria González-Ruiz: Il pastore d’una comunità non è solo un uomo che dà agli altri. ma riceve anche da essi: «per la vostra fede ... ci sentiamo consolati». Un fenomeno costante nella pastorale di Paolo, specialmente come è presentata nel C. 12 della prima Lettera ai Corinzi. In un corpo, non vi sono membra inutili, e persino le membra che parrebbero meno nobili sono utili a quelle che sono considerate come più nobili: «l’occhio non può dire alla mano: non ho bisogno di te; né la testa ai piedi: non ho bisogno di voi. Anzi, quelle membra del corpo che sembrano più deboli, sono più necessarie» (1Cor 12,21-22).
Quando, subito dopo, Paolo desidera «completare ciò che manca ancora alla fede» dei tessalonicesi, non pare che si riferisca al contenuto teologale della fede.
Anzi, molte volte, nelle lettere paoline (come, più tardi, nei padri apostolici), certe parole astratte - come «agape», «amore» - sono usate per indicare la comunità religiosa. E così, Paolo potrebbe riferirsi qui, quando parla della «fede» dei tessalonicesi, alla loro «comunità di credenti», come è probabilmente il caso di 2Cor 1,24. In più, l’espressione «ciò che manca» (nel testo originale: «hysterémata» = «deficienze») ha in Paolo (come nel greco ellenistico) una chiara connotazione economica (2Cor 8,14; 12; 11,9; Fil 2,30). Per conseguenza, Paolo desidera poter contribuire economicamente alle indubbie deficienze economiche d’una comunità povera come quella di Tessalonica. È chiaro che Paolo conta anche su donativi offerti d’altre comunità solidali con quella di Tessalonica.
Paolo termina questo brano della sua lettera rimettendosi, come sempre, a Dio: «il Signore vi faccia crescere e abbondare nell’amore vicendevole». Un pastore è solo un intermediario e mai un surrogato del Cristo risuscitato e realmente presente nelle comunità di fede.
 
Vangelo
Tenetevi pronti.
 
Ancora un monito, bisogna essere sempre pronti, e tale vigilanza ha inevitabili ripercussioni nella vita di ogni giorno. Austerità, penitenza, radicalità, preghiera, sguardo sempre rivolto al Cielo, in sostanza una vita retta o meglio una vera vita cristiana. Il cristiano deve spazzare via almeno due illusioni: la prima è che il giudizio, con conseguente Paradiso o Inferno, è una favola per tenere buoni i bambini cattivi, la seconda che alla fine della vita Dio è tanto buono da perdonare tutto e tutti. Chi ragiona così alla fine dei suoi giorni troverà delle sorprese non sempre dolci o gratificanti. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 24,42-51

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.
Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni.
Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti».
 
Parola del Signore.
 
Nel mondo antico il servo non era soltanto adibito ai lavori manuali, più o meno gravosi, infatti, a volte, poteva ricevere incarichi di fiducia, come amministrare i beni del padrone o avere una certa autorità sulla servitù. Così quando il padrone si allontanava da casa per periodi più o meno lunghi, poteva affidare a un servo la responsabilità di tutta la casa. Il servo fidato e prudente è consapevole della responsabilità. In questo modo si prende cura dei beni e anche di tutti coloro che abitano nella casa del padrone. È un impegno che non nasce dal timore di essere castigato, ma dall’essere onesto e dall’amore che porta verso il suo padrone, cosicché quando questi ritorna viene lodato, e naturalmente esaltato al di sopra di tutta la servitù: “Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni”.
Il comportamento del servo malvagio invece va verso un’altra direzione, approfitta dell’assenza del padrone per percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, ma la sua sorte è segnata, quando ritornerà il padrone in un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti.
Naturalmente la parabola non ha un messaggio morale, non vuole suggerire ai servi come devono comportarsi, ma vuole suggerire come il credente deve attendere la venuta del Signore. Le parole di Gesù vogliono suggerire al credente la vigilanza che è rappresentata dalla fedeltà e dalla prudenza. Chi vive il tempo presente per mangiare e a ubriacarsi con gli ubriaconi, alla fine dei tempi il Giudice divino lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti, una drammatica immagine che rivela l’esistenza dell’Inferno, luogo di perdizione e di eterna infelicità. 
 
In attesa del ritorno del Signore - Stefano Virgulin (Vegliare in Schede Biliche Pastorali Vol VIII): Il tema della vigilanza compare nel NT soprattutto nel contesto dell’avvento del Signore nell’ultimo giorno. La veglia costituisce il caratteristico atteggiamento di quanti sono pronti ad accogliere il Signore che viene nella gloria.
Per descrivere la subitaneità e l’imprevedibilità della parusia, Gesù usa nei Vangeli paragoni e immagini tratti dalla vita ordinaria dell’uomo. La sua venuta sarà improvvisa come quella di un padrone che ritorna nel corso della notte senza aver prevenuto i servi (Mc 13,35-36), o come quella di un ladro nella notte (Mt 24,43-44).
Perciò il cristiano deve stare in guardia, non lasciarsi vincere dalla noncuranza simboleggiata dal sonno. L’esortazione alla vigilanza escatologica è spesso sottolineata nei Vangeli: «State attenti, vegliate, perché non sapete quando sarà il momento preciso. È come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare. Vigilate dunque, poiché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera a a mezzanotte a al canto del gallo a al mattino, perché non giunga all’improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: Vegliate!» (Mc 13,33-34 cf. Mt 24,42-44; Lc 21,34-36). A conclusione della parabola delle dieci vergini Mt presenta la seguente esortazione: «Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora» (25,13). Luca ha questa beatitudine: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli» (12,37).
L’apostolo ricorda al cristiano che, in quanto figlio del giorno e della luce, deve vegliare e resistere alle tenebre, se non vuole essere sorpreso dalla parusia ( Ts 5,6-8). Di qui l’esortazione alla sobrietà, alla rinuncia agli eccessi notturni, il consiglio insistente a ricorrere a tutte le armi della fede. E necessario essere ben svegli per accogliere la salvezza definitiva (Rm 13,11-14).
Lo stato di «all’erta» richiede la rinuncia almeno il distacco dai beni e piaceri della vita, come sottolinea Luca in 21,34-36: «State ben attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».
Nell’ Apocalisse si trova un’esortazione alla vigilanza rivolta alla comunità di Sardi, con annessa una minaccia (Ap 3,2-3); è promessa inoltre la beatitudine a coloro che accettano l’avvertimento dell’era escatologica (Ap 16,15).
Siamo ormai in attesa che spunti il giorno definitivo e si levi nei cuori la stella del mattino (2Pt 1,19).
 
Vivere nell’attesa - Anonimo, Opera incompleta su Matteo omelia 51: Perché la data della morte ci è celata? Chiaramente questo ci viene fatto, affinché facciamo sempre del bene, visto che possiamo aspettarci di morire in ogni momento. La data del secondo avvento di Cristo è sottratta al mondo per lo stesso motivo, cioè affinché ogni generazione viva nell’ attesa del ritorno di Cristo.
Per questo, quando i suoi discepoli gli chiesero: Signore, restituirai il regno ad Israele in questo tempo? Gesù rispose: Non vi compete di conoscere i tempi e le stagioni che il Padre ha stabilito con la sua autorità (At l,6-7). Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Il padrone di casa rappresenta l’anima umana, il ladro è il diavolo, la casa è il corpo, le porte sono la bocca e le orecchie, e le finestre sono gli occhi. Come il ladro che riesce a entrare attraverso le porte e le finestre per saccheggiare il padrone di casa, così anche il diavolo trova facile accesso all’anima dell’uomo attraverso la bocca, le orecchie e gli occhi per farlo prigioniero. […] Se dunque vuoi essere sicuro, metti un catenaccio alla tua porta, cioè metti la legge del timore di Dio nella tua bocca.
 
Il Santo del giorno - 31 Agosto 2023 - San Aidano di Lindsfarne, Vescovo: Di Aidano ci è giunta una descrizione a opera del monaco anglosassone Beda il Venerabile, che nacque 20 anni dopo la sua morte.
È sconosciuto il luogo e la data di nascita di Aidano, ma si crede che fosse irlandese. Nel 635 fu nel monastero di Iona nell’omonima isola e centro missionario dell’epoca. In quell’anno il re di Northumbria, Oswald desideroso di diffondere il cristianesimo nel suo regno, si rivolse all’abate di Iona, dove era stato convertito e battezzato, affinché mandasse un missionario. Dopo il fallimento del vescovo Cormano, fu mandato lo stesso Aidano, che intanto era stato consacrato vescovo missionario. Accolto dal re Oswald gli concesse l’isola di Lindsfarne nel Mare del Nord per fondarvi un monastero e una sede episcopale. Aidano ebbe un aiuto costante da parte del re Oswald e quando questi morì nel 642, il successore Oswin, continuò ad appoggiarlo nella sua opera di apostolato missionario. Undici giorni dopo la morte del re Oswin assassinato, anche Aidano morì a Bambourgh il 31 agosto 651 e sepolto nel suo monastero. (Avvenire)
 
Porta a compimento in noi, o Signore,
l’opera risanatrice della tua misericordia
e fa’ che, interiormente rinnovati,
possiamo piacere a te in tutta la nostra vita.
Per Cristo nostro Signore.
 

 MERCOLEDÌ 30 AGOSTO 2023
 
MERCOLEDÌ DELLA XXI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO DISPARI)
 
1Ts 2,9-13; Salmo Responsoriale Dal Salmo 138 (139); Mt 23,27-32
 
Colletta
O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli,
concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi
e desiderare ciò che prometti,
perché tra le vicende del mondo
là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Il lavoro umano - Catechismo della Chiesa Cattolica 2427: Il lavoro umano proviene immediatamente da persone create ad immagine di Dio e chiamate a prolungare, le une con le altre e per le altre, l’opera della creazione sottomettendo la terra. Il lavoro, quindi, è un dovere: «Chi non vuol lavorare, neppure mangi» (2Ts 3,10). Il lavoro esalta i doni del Creatore e i talenti ricevuti. Può anche essere redentivo. Sopportando la penosa fatica del lavoro in unione con Gesù, l’artigiano di Nazaret e il crocifisso del Calvario, l’uomo in un certo modo coopera con il Figlio di Dio nella sua opera redentrice. Si mostra discepolo di Cristo portando la croce, ogni giorno, nell’attività che è chiamato a compiere. Il lavoro può essere un mezzo di santificazione e un’animazione delle realtà terrene nello Spirito di Cristo.
2428 Nel lavoro la persona esercita e attualizza una parte delle capacità iscritte nella sua natura. Il valore primario del lavoro riguarda l’uomo stesso, che ne è l’autore e il destinatario. Il lavoro è per l’uomo, e non l’uomo per il lavoro. Ciascuno deve poter trarre dal lavoro i mezzi di sostante mento per la propria vita e per quella dei suoi familiari, e per servire la comunità umana.
 
Prima Lettura: Paolo ha lavorato notte e giorno per non essere di peso alla comunità, un monito ai fannulloni che scialacquando nell’ozio hanno la sola preoccupazione di creare disordini e seminare malumori (cfr. 2Ts 3,6ss). Oltre a lavorare Paolo si è preoccupato della fede dei Tessalonicesi e le cose sono andate così bene che dalla penna di Paolo esce un ottimo elogio dei cristiani tessalonicesi: l’Apostolo in un moto di gioia e di esultanza rende grazie a Dio perché i Tessalonicesi ricevendo la parola di Dio che era stata loro annunciata, l’hanno accolta non come parola di uomini, ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in tutti i credenti. Ancora un monito per i tanti sedicenti teologi ed esegeti che presi dal prurito della novità spesso e volentieri stravolgono la parola di Dio asservendola alla loro fantasia.
 
Vangelo
Siete figli di chi uccise i profeti.
 
Guai a voi…, ancora guai che scendono in profondità mettendo a nudo falsità e ipocrisia. Due denunce: l’apparire, l’ostentazione, praticamente il mostrarsi all’esterno belli, ma dentro pieni di ossa di morti e di ogni marciume. E infine, la stupida recriminazione dei Giudei contemporanei di Gesù i quali accusavano i loro antenati di essere stati ribelli e di avere ammazzati i profeti. Ottuso rimpianto perché i detrattori non capivano che in questo modo ammettevano di essere figli di assassini. Loro non sarebbero da meno. La cosa peggiore è il voler apparire diversi da quello che si è!
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 23,27-32

In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, ma dentro siete pieni di ipocrisia e di iniquità. 
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, e dite: “Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti”.
Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti. Ebbene, voi colmate la misura dei vostri padri».
 
Parola del Signore.

Rosalba Manes (Vangelo secondo Matteo): - Sesto «guai» (vv. 27-28). Dopo il tema della purità, Gesù affronta quello della giustizia che tocca l’ambito della qualità dei rapporti, denunciando l’incoerenza dei suoi avversari che si mostrano giusti davanti agli uomini, ma sono interiormente pieni d’ipocrisia e completamente svincolati dalla legge. Si tratta di una giustizia di “facciata” che serve a mascherare le intenzioni reali e occulta il male. Questo atteggiamento merita ai farisei e agli scribi l’epiteto di «sepolcri imbiancati», espressione che richiama la prassi di imbiancare i sepolcri per impedire ai fedeli in pellegrinaggio a Gerusalemme di contaminarsi per contatto ed essere così esclusi dal culto (cf Nm 19,16). Il sepolcro, pur se imbiancato, cambia l’aspetto ma non la sua natura che è quella di custodire comunque una realtà morta e in stato di decomposizione. Scribi e farisei, malgrado il loro desiderio di apparire «giusti», sono accusati i avere una coscienza morta e putrefatta.
- Settimo «guai» (vv. 29-33). Nell’ultimo dei «guai» Gesù denuncia il grande affronto che scribi e farisei commettono ai danni dei profeti e dei giusti e la loro ipocrisia nel manifestare per questi una venerazione del tutto inesistente. I suoi avversari esaltano a parole i profeti e i giusti, con finalità demagogiche per accattivarsi le simpatie del popolo, ma nella pratica sono simili all’Israele ribelle che ha messo a morte i profeti. Gesù li dichiara «figli di quelli che uccisero i profeti» e con un accrescimento peggiorativo li considera persino ancora più responsabili nel male rispetto ai propri padri, e li accusa di eccedere quindi nella violenza contro i profeti.
Questa efferatezza attira anche l’insulto di «serpenti» e «razza di vipere», appellativo che in Mt 3,7 il Battista indirizza a farisei e sadducei spronandoli a fare frutti degni di conversione, e che in Mt 12,34 Gesù indirizza sempre ai farisei che lo accusano di scacciare i demoni in nome di Beelzebul. A questo punto Gesù annuncia l’arrivo di una sentenza inevitabile: la condanna (krisis) all’inferno.
 
Lavoro - Testimonianza del Nuovo Testamento - Mario Barbero: Ogni considerazione circa il lavoro nel Nuovo Testamento deve anzitutto tenere presente questo fatto preciso: Gesù fu un lavoratore nel senso più concreto e immediato del termine. La maggior parte della sua vita egli la spese nel lavoro quotidiano duro e assillante, compito giornaliero dell’uomo.
La lettera agli Ebrei ricorda che Gesù, al fine di essere sacerdote misericordioso e fedele, doveva rendersi simile ai fratelli «in tutto» (2,17). Il lavoro - assieme alle sofferenze e alla morte - fa parte di questo «tutto» che pone Gesù come fratello di ogni uomo.
All’inizio della sua predicazione autorevole e nuova, sarà proprio il suo stato di lavoratore che solleverà stupore e dubbi e scandalo circa la sua missione di profeta, come testimonia Marco: «E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi? E si scandalizzavano di lui» (6,2-3; cf. Mt 13,55).
Tale scandalo popolare sulla possibilità che un fabbro possa essere sapiente, rispecchia la mentalità che la sapienza debba venire solo dallo studio: mentalità già osservata a proposito di Eccli 38,25ss che opponeva la varietà dei lavori manuali all’attività contemplativa dello scriba, a tutto vantaggio della sapienza dello scriba.
Il fatto che Gesù abbia abbracciato la professione più semplice e umile, tra le tante possibili del suo tempo, non starà a significare che ogni lavoro ha la propria dignità e nello stesso tempo che il valore dell’uomo è superiore al tipo di attività che egli svolge e che la sapienza non è prerogativa dell’intellettuale? «Gesù ha santificato il lavoro non dotandolo di perfezionamenti tecnici, ma compiendolo con amore. L’amore di Cristo illumina il nostro lavoro e ci insegna a servire il prossimo con serietà e fedeltà professionale» (Schoonenberg).
Lavoratore egli stesso, Gesù sceglie i suoi apostoli tra i lavoratori. Primi fra tutti i pescatori, chiamati proprio mentre erano al lavoro (Mc 1,16-18).
Tra coloro che seguono Gesù, vi è anche Levi, il quale esercitava un’attività detestata dai benpensanti: egli infatti «sedeva al banco della dogana» (Mc 2,13), posizione facile per frodare coloro che venivano per cambiare denaro.
 
L’avete accolta non come parola di uomini … - Ispirazione e verità della Scrittura: Dei Verbum 11: Le verità divinamente rivelate, che sono contenute ed espresse nei libri della sacra Scrittura, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo. La santa madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo (cfr. Gv 20,31; 2Tm 3,16); hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa per la composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte.
Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, bisogna ritenere, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture. Pertanto «ogni Scrittura divinamente ispirata è anche utile per insegnare, per convincere, per correggere, per educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia perfetto, addestrato ad ogni opera buona».
 
Apparite giusti allesterno: «Come, in precedenza, erano dallinterno pieni di rapina e intemperanza [Mt 23,25], così ora sono pieni dipocrisia e diniquità, paragonate ad ossa di morti e di ogni specie di putridume. In realtà lipocrisia, essendo una simulazione del bene, non ha niente di vitale di quel bene che simula; ha solo le ossa di quella virtù che simula ... Se però con sapienza ascoltiamo che cosa voglia indicare il presente discorso, comprendiamo che ogni giustizia simulata non è che giustizia morta, anzi non è neppure giustizia. Come un morto sembra essere un essere umano, così una castità morta non è neppure castità; ed è castità morta quella che si pratica non per amore di Dio, ma per finzione e rispetto umano. E come avviene nel caso . dei mimi che prendono ad imitare le sembianze di alcuni, ma loro non sono ma sembrano essere quelli che imitano, così in chi finge di vivere la giustizia, la sua non è giustizia che in apparenza. Non è giustizia; è finzione di giustizia» (Origene, Commento a Matteo 24).
 
Il Santo del giorno - 30 Agosto 2023 - Beato Alfredo Ildefonso Schuster, Vescovo: Nacque a Roma il 18 gennaio 1880, divenne monaco esemplare e, il 19 marzo 1904, venne ordinato sacerdote nella basilica di San Giovanni in Laterano. Gli furono affidati incarichi gravosi, che manifestavano però la stima e la fiducia nei suoi confronti. A soli 28 anni era maestro dei novizi, poi procuratore generale della Congregazione cassinese, poi priore claustrale e infine abate ordinario di San Paolo fuori le mura. L’amore per lo studio, che fanno di lui un vero figlio di san Benedetto, non verrà meno a causa dei suoi impegni che sempre più occuperanno il suo tempo e il suo ministero. Grande infatti fu la sua passione per l’archeologia, l’arte sacra, la storia monastica e liturgica. Il 15 luglio 1929 fu creato cardinale da papa Pio XI e il 21 luglio fu consacrato arcivescovo di Milano nella suggestiva cornice della Cappella Sistina.
Ebbe inizio così il suo ministero di vescovo nella Chiesa ambrosiana fino al 30 agosto 1954, data della sua morte, avvenuta presso il seminario di Venegono, da lui fatto costruire come un’abbazia in cima ad un colle. Fu proclamato beato da Giovanni Paolo II il 12 maggio 1996. (Avvenire)
 
Porta a compimento in noi, o Signore,
l’opera risanatrice della tua misericordia
e fa’ che, interiormente rinnovati,
possiamo piacere a te in tutta la nostra vita.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 MARTEDÌ 29 AGOSTO 2023
 
MARTIRIO DI SAN GIOVANNI BATTISTA – MEMORIA
 
Ger 1,17-19; Salmo Responsoriale Dal Salmo 70 (71); Mc 6,17-29
 
Giovanni Battista - Alice Baum: Secondo il Nuovo Testamento è il precursore di Gesù. Consacrato a Dio sin dall’infanzia, fu destinato ad annunciare l’irruzione della signoria di Dio. La sua comparsa pubblica fu preceduta da una lunga permanenza “nel deserto”. Sono possibili relazioni con Qumran.
Verso il 28 d.C. (Lc 3,1ss) è raggiunto dalla chiamata di Dio. Predica un battesimo per la remissione dei peccati ed esorta insistentemente alla conversione radicale, perché il giudizio di Dio è imminente.
L’affluenza della gente è massiccia, molti si convertono e si fanno battezzare. Giovanni però è rifiutato nelle cerchie dei farisei e dei sacerdoti. Quando stigmatizza pubblicamente l’adulterio del re Erode, viene da questi arrestato e poi decapitato. Anche Giovanni, che dal popolo era considerato un profeta e che Gesù chiama il “più grande fra i nati di donna” dovette sperimentare la lotta interiore per la fede (Mt 11,2-6). Alcuni dei suoi discepoli seguirono Gesù, altri si fecero battezzare più tardi “nel nome di Gesù” (At 19,5). Un gruppo di discepoli di Giovanni, che vedevano nel Battista il messia, sopravvisse come setta fino al II sec. I brani neotestamentari sull’opera di Giovanni e sul suo rapporto con Gesù vanno compresi sullo sfondo della controversia della comunità cristiana con questi discepoli di Giovanni Se i discepoli del Battista potevano richiamarsi al fatto che Gesù si era fatto battezzare da Giovanni - secondo loro - e sottomettendosi in tal modo a lui, la chiesa replicava che lo stesso Giovanni non considerava se stesso messia, ma sviando da sé, indirizzava verso il più grande che doveva venire (Mc 1,7-8 par.), e che egli stesso proclamò espressamente Gesù come questo “più grande” (Mt 13,14; Gv 1,19.34).
 
Colletta
O Dio, che a Cristo tuo Figlio hai dato come precursore,
nella nascita e nella morte, san Giovanni Battista,
concedi anche a noi di lottare con coraggio
per la testimonianza della tua parola,
come egli morì martire per la verità e la giustizia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
La vita non è un bene assoluto: Evangelium viate 47: ... la vita del corpo nella sua condizione terrena non è un assoluto per il credente, tanto che gli può essere richiesto di abbandonarla per un bene superiore; come dice Gesù, «chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8,35). Diverse sono, a questo proposito, le testimonianze del Nuovo Testamento. Gesù non esita a sacrificare sé stesso e, liberamente, fa della sua vita una offerta al Padre (cfr. Gv 10,17) e ai suoi (cfr. Gv 10,15). Anche la morte di Giovanni il Battista, precursore del Salvatore, attesta che l’esistenza terrena non è il bene assoluto: è più importante la fedeltà alla parola del Signore anche se essa può mettere in gioco la vita (cfr. Mc 6,17-29). E Stefano, mentre viene privato della vita nel tempo, perché testimone fedele della risurrezione del Signore, segue le orme del Maestro e va incontro ai suoi lapidatori con le parole del perdono (cfr. At 7,59-60), aprendo la strada all’innumerevole schiera di martiri, venerati dalla Chiesa fin dall’inizio.
 
Prima Lettura: I  nemici sono numerosi e i prepotenti tramano per uccidere il giusto. Questo fa tremare di paura il profeta Geremia. Egli “si sente un semplice uomo, e vorrebbe essere come uno fra i tanti, come un bambino che non sa parlare. Timido per natura, egli è molto lontano dall’offrirsi volontario come Isaia; ma l’imperativo divino è al di sopra di tutti i suoi sentimenti naturali. «Io sono con te per proteggerti». Che esperienza preziosa di intimità e di presenza del divino nell’umano” (Epifanio Callego).
 
Vangelo
«Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista».
 
La morte cruenta di Giovanni Battista, uomo giusto e santo, fedele al suo mandato e messo a morte per la sua libertà di parola, fa presentire l’arresto e la condanna ingiusta di Gesù. Giovanni muore per la malvagità di una donna e la debolezza di un sovrano, ma la sua morte non è uno dei tanti fatti di cronaca che da sempre fanno parte della storia umana, è invece una Parola che Dio rivolge a tutti gli uomini: morire per la Verità è farsi discepolo del Cristo, ed è offrire la propria vita per la salvezza degli uomini: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando.” (Gv 15,12-14).
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6,17-29
In quel tempo, Erode aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.
E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.
 
Parola del Signore.

La Chiesa non è opera d’un grande profeta, ma di Dio - José Maria González-Ruiz (commento della Bibbia Liturgica): Lo storico giudaico Giuseppe Flavio narra, nel libro diciottesimo della sua «Archeologia giudaica», che Erode Antipa, per timore dei disordini politici che avrebbe potuto causare il movimento suscitato dal Battista, lo imprigionò nella fortezza di Macheronte, nel sud della Perea, dove lo fece decapitare. Il racconto del secondo vangelo riferisce evidentemente l’aspetto più soggettivo dell’avvenimento che Giuseppe Flavio racconta oggettivamente. Ecco dunque quello che diceva il popolo: quest’uomo di Dio è stato vittima della vendetta d’una donna irritata. Ha dovuto pagare con la morte il coraggio d’aver parlato chiaro ai grandi di questo mondo.
Del resto, il racconto è ricco delle inesattezze che sono caratteristiche delle storie trasmesse di bocca in bocca. La seconda moglie di Antipa, Erodiade, non aveva sposato Filippo, come dice Marco, ma un altro fratello del re, chiamato Erode, che per il resto non ebbe nulla a che vedere con questa storia. È anche possibile che questo Erode avesse il soprannome di Filippo; e, in questo caso, il nostro testo non sarebbe in contraddizione con quello che sappiamo da altre fonti.
Una cosa è sicura: la donna che vediamo ballare e che si chiama Salomè - come riferisce con maggior precisione Giuseppe Flavio, mentre i vangeli ne tacciono il nome - era figlia del primo matrimonio di Erodiade e divenne moglie di Filippo, fratello di Antipa, che regnò nel nord della Palestina fino all’anno 34. L’incertezza dei dati cronologici che abbiamo non consente di stabilire se essa era già sposata al momento della scena descritta. Nel nostro testo, è chiamata «ragazza», e pare che, al tempo della festa qui ricordata, avesse vent’anni.
Antipa aveva spinto Erodiade a lasciare suo fratello Erode e l’aveva sposata dopo essersi liberato della sua prima moglie, figlia del principe arabo Areta. Questo matrimonio era dunque il risultato d’un adulterio, anche se coperto dalle formalità giuridiche. In più, andava contro le prescrizioni della legge giudaica (Lv 18,16) secondo le quali il matrimonio fra cognati era invalido.
Perché l’evangelista ha inserito nel suo scritto questo vivace racconto popolare? In primo luogo, per mettere in rilievo l’atteggiamento ridicolo di quel discusso monarca, schiavo, da una parte, delle sue passioni, e dall’altra, interessato alla figura austera del Battista. In fin dei conti, quell’Erode era più coerente con se stesso che non i farisei benpensanti i quali collaboravano con lui, simulando un’estrema dignità morale.
In secondo luogo possiamo pensare che l’evangelista, inserendo questo racconto nel contesto teologico della proclamazione del regno di Dio (4,1-6.29), abbia voluto presentare lo scioglimento del gruppo del Battista per indicare che la comunità creata da Gesù era totalmente nuova, pur conservando la veneranda memoria del grande profeta scomparso.
 
Il martirio di san Giovanni Battista -  Messaggio e attualità - Enzo Lodi (I Santi del Calendario Liturgico): Le orazioni della Messa sono un richiamo alla grandezza di questo che «è il più grande fra i nati di donna» (cfr. prefazio) e che è chiamato pure «giusto e santo» (cfr. seconda antifona alle lodi).
a) Anzitutto nella colletta si sottolinea che «Dio ha dato al Cristo suo Figlio come precursore nella nascita e nella morte san Giovanni Battista». Questa tematica del martirio profetico è sviluppata nell”omelia di san Beda, nell’ufficio di lettura, quando scrive: «Mentre predicando e battezzando offriva la testimonianza a lui che stava per nascere, che avrebbe predicato, che avrebbe battezzato, soffrendo per primo indicò che quegli pure avrebbe sofferto... Riteneva cosa desiderabile, dopo aver reso manifesto il nome di Cristo, ricevere, assieme con la palma della vita eterna, la morte che per l’ordine immutabile della natura pendeva inevitabile sul suo capo». L’intercessione della colletta invoca «anche per noi da Dio, di impegnarci generosamente nella testimonianza del suo Vangelo, come egli immolò la sua vita per la giustizia e la verità». Queste due virtù sono dunque le insegne del grande testimone, come canta lo stesso Beda nell’inno dei vespri (quarta strofa): «Con il presagio del suo sangue, il Battista martire ha segnato la morte innocente di Cristo, con la quale è stata restituita la vita al mondo».
b) Nell’orazione sulle offerte, viene posto in rilievo l’annuncio della predicazione del Battista, chiedendo «a Dio che camminiamo sempre nella via della santità, che san Giovanni Battista proclamò con voce profetica nel deserto e confermo col suo sangue». L’antifona del Magnificat, ai vespri, ricorda l’umiltà di colui che ha affermato di non essere il Cristo, ma soltanto di essere stato inviato davanti a lui, perché «egli doveva diminuire davanti al Cristo che doveva crescere». La santità del profeta di Cristo, che nel deserto richiamava la voce di Isaia quasi per annunciare che tutto si stava per compiere con la venuta del Messia, è dunque un atto di verità totale, nella sua umiltà di precursore destinato a scomparire come una lucerna ardente e luminosa davanti alla verità splendente del sole (cfr. responsorio breve alle lodi).
c) L’ orazione dopo la comunione sembra generica, perché chiede che nella venerazione del mistero celebrato possiamo «raccogliere con gioia il frutto di salvezza».
Ma di fatto il tema della gioia evoca il tema dell’antifona al Benedictus nelle lodi, cioè dell’amico dello sposo che ama ascoltarlo e gode per la voce dello sposo, perché in tale ascolto la sua gioia è piena. Anche per noi l’Eucaristia può essere un’esperienza di comunione intima e nuziale, dove attingiamo la gioia profonda di essere salvati.
d) Nel prefazio si riassumono i quattro eventi che hanno caratterizzato la missione del Precursore, profeta del giudice universale, che il quarto Vangelo ha fatto testimone del Messia. Anzitutto il concepimento e la nascita, come un preannunzio profetico immediato della gioia della redenzione. Poi il privilegio unico di indicare, solo fra tutti i profeti, l’Agnello del nostro riscatto. Inoltre il battesimo di Cristo nelle acque del Giordano, che diventa il protoevento simbolico dello stesso sacramento del battesimo, di cui Cristo è autore. Infine il sigillo della sua testimonianza a Cristo con l’effusione del sangue.
L’attualità per noi di tale martirio può essere colta nel collegamento inscindibile, posto da Gesù stesso nel Vangelo (Mc 10,38; Lc 12,50), fra il battesimo e la sua morte sacrificale per noi. Ora «il più grande dei profeti, il martire potente e il cultore dell’eremo, che non ha conosciuto la macchia del candido pudore», come canta la prima strofa dell’inno delle lodi (di Paolo Diacono), ci invita a vivere il nostro battesimo come un’offerta permanente di vita, fino al sacrificio di noi stessi.
 
Cipriano di Cartagine (Lettere, 12 [ai presbiteri e diaconi]): Si abbia grande cura e grandi attenzioni anche per i corpi di tutti coloro che, sebbene non torturati, in carcere giungono al glorioso passo della morte. Il loro valore infatti e il loro onore non sono troppo piccoli, perché anche essi non vengano annoverati fra i beati martiri. Per quanto fu in loro, sostennero tutto ciò che erano pronti e preparati a sostenere. Chi sotto gli occhi di Dio si è offerto ai tormenti e alla morte, ha sofferto tutto ciò che intendeva soffrire. Non furono essi che vennero meno ai tormenti, ma i tormenti vennero meno a loro. Chi mi confesserà davanti agli uomini, io lo confesserò davanti al Padre mio [Mt 10,32], dice il Signore: essi lo hanno confessato. Chi persevererà sino alla fine questi si salverà [Mt 10,22]; dice ancora il Signore: hanno perseverato, e hanno conservati integri e immacolati sino alla fine i loro meriti e il loro valore. Sta scritto ancora: Sii fedele sino alla morte, e ti darò la corona della vita [Ap 2,10]: sono giunti fino alla morte fedeli, saldi e inespugnabili. Quando alla nostra volontà e alla nostra confessione di fede si aggiunge anche la morte in carcere e tra i ceppi, allora la gloria del martirio è perfetta. Perciò prendete nota del giorno in cui essi ci lasciano, perché ci sia dato di celebrare il loro ricordo tra le memorie dei martiri.
 
Il Santo del Giorno - 29 Agosto 2023 - Martirio di Giovanni Battista. Il coraggio di affrontare la prepotenza del mondo: Giovanni Battista è l’icona del coraggio dei cristiani, che non temono la prepotenza del mondo, forti dell’annuncio del Regno di Dio portato prima dai profeti e poi da Cristo. Eppure anche i battezzati non possono non riconoscersi in Erode Antipa, che ascoltava Giovanni ma restava sempre perplesso. A vincere le resistenze è il martirio del cugino di Gesù, ultimo dei profeti e primo degli apostoli. La storia è nota: il re si sentì minacciato dal Battista, che lo accusò di aver compiuto un atto illecito sposando Erodiade, moglie di suo fratello. Erode lo imprigionò a Macheronte ma in qualche modo continuava a sentirne il fascino. A eliminare il “pericolo” ci pensò la stessa Erodiade che, alla festa di compleanno del sovrano, spinse la figlia, che aveva ammaliato Erode con la sua danza, a chiedere la testa di Giovanni, ottenendola. «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista», fu la richiesta. «Il re si rattristò - annota il Vangelo di Matteo -, ma a motivo del giuramento e dei commensali lo mandò a decapitare». (Avvenire)
 
Dopo la comunione
O Dio, che ci hai riuniti alla tua mensa
nel glorioso ricordo
del martirio di san Giovanni Battista,
donaci di venerare con fede viva
il mistero che abbiamo celebrato
e di raccoglierne con gioia il frutto di salvezza.
Per Cristo nostro Signore.