IL PENSIERO DEL GIORNO

1 Dicembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (Cfr. Lc 21,28 - Acclamazione al Vangelo).  


Vangelo secondo Luca 21,29-33: La similitudine del fico vuole insegnare all’uomo ad essere più accorto, a saper leggere i segni dei tempi: «Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?» (Lc 12,56-57). È un invito alla vigilanza, lo stesso invito che Gesù rivolgerà a Pietro, a Giacomo e a Giovanni nell’orto del Getsemani (cfr. Mc 14,34.37.38). Questi eventi sono così vicini che «non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute». Queste parole di Gesù, che dai più vengono riferite alla distruzione del tempio di Gerusalemme, si realizzeranno alla lettera appena quarant’anni dopo questo annuncio quando le truppe romane raderanno la città santa al suolo. L’affermazione - Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno - ribadisce l’evidente eternità e immutabilità divina della Parola di Dio (cfr. Is 51,6): «Le parole di Cristo, che traggono origine dall’eternità, possiedono tale forza e tale potere da durare per sempre» (Sant’Ilario)
  

Compostella, Messale per la vita Cristiana - Quando si chiede ad un bambino della seconda metà del ventesimo secolo che cosa sia per lui la fine del mondo, risponde in termini di catastrofe e di annientamento, così come suggeriscono la bomba atomica e l’inquinamento. Ma quando si interroga Gesù sulla fine dei tempi, risponde in termini di pienezza e di ritorno. Egli afferma con forza che il Figlio dell’uomo ritornerà; non, come è già venuto, per annunciare il regno (Mc 1,15) e il tempo della misericordia (Gv 3,17), ma perché tutto si compia (1Cor 15,28). Allora ognuno troverà il proprio posto ( Cor 14,2-3) e otterrà la sua ricompensa in funzione delle proprie opere (Mt 16,27). La predicazione di Gesù è carica di questa preoccupazione: aprire gli occhi agli uomini sui segni premonitori di questa fine del mondo che non sarà una caduta nel nulla, ma un ingresso nella gloria.
Ma ciò che resta e resterà nascosto, è la data di questo istante. Questo è un segreto del Padre. Egli non l’ha ancora svelato. Ecco perché la Parola (il Figlio) non lo sa. Il Padre non ha ancora espresso questo pensiero, per via della sua pazienza infinita e della sua bontà illimitata (2Pt 3,9). Inutile insistere (At 1,6-7) e chiedere: «Perché?». Per il momento, questo non ci riguarda e non è nemmeno utile per noi saperlo. La sola cosa che conta è sapere che questo ritorno di Cristo ci sarà e che bisogna prepararsi ad esso, altrimenti ci si ritroverà irrimediabilmente esclusi dal Regno (Mt 25,11-12; Lc 13,25).


La parusia - Giuseppe Barbaglio (Parusia in Schede Bibliche Ed. Dehoniane - Bologna): Nell’Antico Testamento il libro di Daniele aveva annunciato la venuta gloriosa del Figlio dell’uomo. Si trattava di una figura celeste e regale. Da Dio avrebbe ricevuto un regno eterno (Dan 7,13-14). Il Nuovo Testamento scopre l’identità tra il Figlio dell’uomo di Daniele e dell’apocalisse giudaica e la persona di Cristo. Alla fine della storia Gesù si ammanterà di gloria, si rivelerà come re maestoso, apparirà circondato dai santi e dagli angeli che formeranno la sua corte celeste.
Le descrizioni fantastiche di Matteo e di Marco non vogliono significare altro (Mt 25,31; Mc 13,26). La tradizione cristiana più antica è testimoniata dalle prime lettere di Paolo (1Tess 4,16; 2Tess 1,6). L’apostolo Pietro trova nella gloriosa trasfigurazione di Gesù sul monte un segno profetico dell’apparizione gloriosa del Signore nell’ultimo giorno (2 Pt 1,16).
L’accento è posto sulla gloria, la maestà, lo splendore celeste della apparizione di Cristo alla fine. Il contrasto con la prima venuta in terra è evidente. Il Verbo si era fatto carne (Gv 1,14). Lo splendore della divinità era nascosto dall’umanità fragile, debole, mortale di Gesù di Nazareth. Gesù era il Figlio di Dio diventato in tutto uguale agli uomini, di cui aveva assunto l’aspetto servile (Fil 2,7-8). La gloria divina della sua persona era apparsa, per un istante, sulla montagna della trasfigurazione. Nella risurrezione Dio Padre lo aveva glorificato e lo aveva costituito messia e Signore (Atti 2,36). La fine dei tempi rivelerà davanti a tutti, in forma ufficiale, la gloria divina di Gesù. La sua regalità, acquisita nella risurrezione, sarà proclamata e realizzata pienamente. Gesù apparirà come il Figlio dell’uomo, intronizzato re messianico dal Padre. La storia della rivelazione divina si concluderà nella manifestazione chiara di Cristo alla fine (1Tim 6,14-15).
Il tutto, però, non riguarda esclusivamente Cristo.
Egli non è separato dai suoi, anzi vi è unito indissolubilmente. La glorificazione regale del Signore è accompagnata dalla rivelazione gloriosa dei santi.
La fine dei tempi è manifestazione cristologica e, insieme, ecclesiologica. La Chiesa di Cristo parteciperà alla gloriosa apparizione del suo Signore. Il popolo santo sarà glorificato, insieme con il suo messia.
Già il libro di Daniele parlava di «santi dell’Altissimo», beneficiari del Regno. La figura del figlio dell’uomo non è separata dal popolo di Dio (Dan 7,27).
La tradizione evangelica conosce l’entrata delle vergini sagge nella sala delle nozze dello sposo (Mt 25,1-13). La grandiosa pagina del giudizio finale è significativa (Mt 25,34). Le lettere ai Tessalonicesi notano la partecipazione dei credenti alla glorificazione di Cristo. Neppure la morte toglierà loro la possibilità di prender parte alla grande festa della venuta maestosa e trionfale del Signore (1Tess 4,15-17; 2Tess 1,6ss.). L’apostolo Paolo si dice certo di ricevere la corona del trionfo dalle mani del Signore che ritornerà; e con lui saranno coronati i fedeli (2Tim 4,8; cf. 1Pt 5,4).
La prima lettera di Pietro mette in rapporto causale la partecipazione alle sofferenze di Cristo e la partecipazione alla sua gloria finale (1Pt 4,13).
Il rapporto sofferenze-gloria non è di perfetta uguaglianza: Paolo afferma che c’è sproporzione a favore della gloria: questa sarà assai superiore alle sofferenze (Rom 8,17-18). Sempre in forza del parallelismo Cristo-cristiano l’apostolo parla della rivelazione gloriosa dei cristiani in unione alla rivelazione gloriosa di Cristo (Col 3,3-4).
Il tema porta, infine, alle due immagini celebri della Chiesa vista da Giovanni nell’Apocalisse come Gerusalemme celeste e come sposa adorna per le nozze (Ap 21,2.9-12). Alla fine dei tempi, insieme con Cristo, anche il popolo messianico avrà la sua rivelazione di gloria. Apparirà nello splendore di popolo purificato dal sangue del suo Signore e santificato dal suo Spirito. La sposa di Cristo risplenderà bella e immacolata, senza macchia né ruga (Ef 5,27).


Catechismo della Chiesa Cattolica

La venuta gloriosa di Cristo, speranza di Israele

673 Dopo l’ascensione, la venuta di Cristo nella gloria è imminente, anche se non spetta a noi «conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta» (At 1,7). Questa venuta escatologica può compiersi in qualsiasi momento anche se essa e la prova finale che la precederà sono «impedite».

674 La venuta del Messia glorioso è sospesa in ogni momento della storia al riconoscimento di lui da parte di «tutto Israele» (Rm 11,26) a causa dell’indurimento di una parte nella «mancanza di fede» (Rm 11,20) verso Gesù. San Pietro dice agli Ebrei di Gerusalemme dopo la pentecoste: «Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati e così possano giungere i tempi della consolazione da parte del Signore ed egli mandi quello che vi aveva destinato come Messia, cioè Gesù. Egli dev’essere accolto in cielo fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose, come ha detto Dio fin dall’antichità, per bocca dei suoi santi profeti» (At 3,19-21). E san Paolo gli fa eco: «Se infatti il loro rifiuto ha segnato la riconciliazione del mondo, quale potrà mai essere la loro riammissione se non una risurrezione dai morti?» (Rm 11,15). La partecipazione totale degli Ebrei 635 alla salvezza messianica a seguito della partecipazione totale dei pagani 636 permetterà al popolo di Dio di arrivare «alla piena maturità di Cristo» (Ef 4,13) nella quale «Dio sarà tutto in tutti» (1Cor 15,28).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Vedrete come fra poco la fioritura della primavera spirituale inonderà il mondo, perché andiamo verso momenti splendidi della storia. Non andiamo verso la catastrofe, ricordatevelo. Quindi gioite!” (Mons. Tonino Bello, Testamento Spirituale).
 Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Ridesta, Signore, la volontà dei tuoi fedeli perché, collaborando con impegno alla tua opera  di salvezza, ottengano in misura sempre più abbondante i doni della tua misericordia.  Per il nostro Signore...


IL PENSIERO DEL GIORNO

30 Novembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini» (Cfr. Mt 4,19 - Acclamazione al Vangelo).  


Vangelo secondo Matteo 4,18-22: Simone chiamato Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono convocati autorevolmente da Gesù ed essi rispondono alla chiamata con generosità lasciando immantinente lavoro, beni, affetti... La dedizione immediata di questi apostoli è ben messa in evidenza dal Vangelo: Simone e Andrea subito lasciarono le reti e seguirono il Maestro, allo stesso modo, Giacomo e Giovanni subito lasciarono la barca e il padre andando dietro al giovane Rabbi. Dio «passa e chiama. Se non gli rispondi immediatamente, può proseguire il cammino e allontanarsi da noi. Il passo di Dio è rapido; sarebbe triste se restassimo indietro, attaccati a molte cose che sono di peso e d’impaccio» (Bibbia di Navarra).


La chiamata di Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello avviene lungo il mare di Galilea: altro nome del lago di Genesaret (o Tiberiade), situato nella parte settentrionale della valle del Giordano.
Simone, chiamato Pietro. Il nome di Pietro, qui anticipato, sarà dato a Simone da Gesù in occasione della sua “confessione” (Cf. Mt 16,18). Nel mondo antico, soprattutto nella mentalità biblica, v’era la tendenza di trovare sempre un significato funzionale ai nomi delle persone o anche delle cose. Imporre il nome o cambiare il nome stava ad indicare il potere di potere di chi prendeva tale iniziativa. Adamo che era stato posto nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse (Gen 2,15), impone nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, segno indubbio di esercizio di sovranità (Gen 2,19-20), Abram da Dio sarà chiamato Abraham, per significare che tutti i popoli saranno benedetti in lui, loro padre (Gen 17,5). Giacobbe sarà chiamato Israele, perché ha lottato con Dio (Gen 48,20), così Simone sarà chiamato Pietro perché sarà la pietra sulla quale Gesù edificherà e renderà salda la sua Chiesa (Mt 16,18).
E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». L’immagine usata dall’evangelista Matteo per indicare la futura missione degli Apostoli si radica nelle credenze del tempo. Era sentire comune credere che il mare fosse il regno delle potenze infernali, trarre fuori gli uomini dal mare assumeva quindi il significato profondo di liberare gli uomini dal peccato; liberare gli uomini dal potere di Satana sarà appunto la missione specifica degli Apostoli prima, della Chiesa dopo.
Nella chiamata di Simone e Andrea, suo fratello, vi è una novità sorprendente: infatti, a differenza «dei discepoli dei maestri ebrei che scelgono il loro maestro, qui è Gesù che sceglie quelli che vuole che lo seguano. C’è una forza e un’autorità misteriosa in lui se basta questo semplice invito a seguirlo per ottenere da parte dei discepoli una risposta pronta e l’altrettanto immediata rinuncia a tutto [Cf. Anche Mc 1,16-20]» (Il Nuovo Testamento, Vangeli e Atti degli Apostoli, Ed. Paoline).
La scuola di Gesù non vuole trasmettere nozioni o scibile umano, ma vuole creare una comunione di vita tra il Maestro e i discepoli: «Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui» (Mc 3,13; Cf. Gv 1,39).
Una comunione di fede di carità che diventerà inscindibile sulla Croce, segno infallibile del grande amore con cui Dio ha amato tutti gli uomini.


Catechismo della Chiesa Cattolica

La Chiesa è apostolica

857 La Chiesa è apostolica, perché è fondata sugli Apostoli, e ciò in un triplice senso:
- essa è stata e rimane costruita sul “fondamento degli Apostoli” (Ef 2,20), testimoni scelti e mandati in missione da Cristo stesso;
- custodisce e trasmette, con l’aiuto dello Spirito che abita in essa, l’insegnamento, il buon deposito, le sane parole udite dagli Apostoli;
- fino al ritorno di Cristo, continua ad essere istruita, santificata e guidata dagli Apostoli grazie ai loro successori nella missione pastorale: il collegio dei vescovi, “coadiuvato dai sacerdoti ed unito al successore di Pietro e supremo pastore della Chiesa”.
Pastore eterno, tu non abbandoni il tuo gregge, ma lo custodisci e proteggi sempre per mezzo dei tuoi santi Apostoli, e lo conduci attraverso i tempi, sotto la guida di coloro che tu stesso hai eletto vicari del tuo Figlio e hai costituito pastori.

La missione degli Apostoli

858 Gesù è l’Inviato del Padre. Fin dall’inizio del suo ministero, “chiamò a sé quelli che egli volle. . . Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare” (Mc 3,13-14). Da quel momento, essi saranno i suoi “inviati” [questo il significato del termine greco “apostoloi”]. In loro Gesù continua la sua missione: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv 20,21). Il loro ministero è quindi la continuazione della sua missione: “Chi accoglie voi, accoglie me”, dice ai Dodici (Mt 10,40).

859 Gesù li unisce alla missione che ha ricevuto dal Padre. Come “il Figlio da sé non può fare nulla” (Gv 5,19.30), ma riceve tutto dal Padre che lo ha inviato, così coloro che Gesù invia non possono fare nulla senza di lui, dal quale ricevono il mandato della missione e il potere di compierla. Gli Apostoli di Cristo sanno di essere resi da Dio “ministri adatti di una Nuova Alleanza” (2Cor 3,6), “ministri di Dio” (2Cor 6,4), “ambasciatori per Cristo” (2Cor 5,20), “ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio” (1Cor 4,1).

860 Nella missione degli Apostoli c’è un aspetto che non può essere trasmesso: essere i testimoni scelti della Risurrezione del Signore e le fondamenta della Chiesa. Ma vi è anche un aspetto permanente della loro missione. Cristo ha promesso di rimanere con loro sino alla fine del mondo. La “missione divina, affidata da Cristo agli Apostoli, dovrà durare sino alla fine dei secoli, poiché il Vangelo che essi devono trasmettere è per la Chiesa principio di tutta la sua vita in ogni tempo. Per questo gli Apostoli... ebbero cura di costituirsi dei successori”.


Pastores dabo vobis 36: «Chiamò quelli che volle ed essi andarono da lui ». Questo «andare», che s’identifica con il «seguire» Gesù, esprime la risposta libera dei 12 alla chiamata del Maestro. Così è stato di Pietro e di Andrea: «E disse loro: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”. Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono».Identica è stata l’esperienza di Giacomo e di Giovanni. Così sempre: nella vocazione risplendono insieme l’amore gratuito di Dio e l’esaltazione più alta possibile della libertà dell’uomo: quella dell’adesione alla chiamata di Dio e dell’affidamento a lui.
In realtà, grazia e libertà non si oppongono tra loro. Al contrario, la grazia anima e sostiene la libertà umana, liberandola dalla schiavitù del peccato, sanandola ed elevandola nelle sue capacità di apertura e di accoglienza del dono di Dio. E se non si può attentare all’iniziativa assolutamente gratuita di Dio che chiama, neppure si può attentare all’estrema serietà con la quale l’uomo è sfidato nella sua libertà. Così al «vieni e seguimi» di Gesù il giovane ricco oppone un rifiuto, segno - sia pure negativo - della sua libertà: «Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni».
La libertà, dunque, è essenziale alla vocazione, una libertà che nella risposta positiva si qualifica come adesione personale profonda, come donazione d’amore, o meglio come ri-donazione al Donatore che è Dio che chiama, come oblazione. «La chiamata - diceva Paolo VI - si commisura con la risposta. Non vi possono essere vocazioni, se non libere; se esse non sono cioè offerte spontanee di sé, coscienti, generose, totali... Oblazioni, diciamo: qui sta praticamente il vero problema... È la voce umile e penetrante di Cristo, che dice, oggi come ieri, più di ieri: vieni. La libertà è posta al suo supremo cimento: quello appunto dell’oblazione, della generosità, del sacrificio». L’oblazione libera, che costituisce il nucleo intimo e più prezioso della risposta dell’uomo a Dio che chiama, trova il suo incomparabile modello, anzi la sua radice viva nell’oblazione liberissima di Gesù Cristo, il primo dei chiamati, alla volontà del Padre: «Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato... Allora ho detto: Ecco, io vengo... per fare, o Dio, la tua volontà”».
In intima comunione con Cristo, Maria, la Vergine Madre, è stata la creatura che più di tutte ha vissuto la piena verità della vocazione, perché nessuno come lei ha risposto con un amore così grande all’amore immenso di Dio


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****Così sempre: nella vocazione risplendono insieme l’amore gratuito di Dio e l’esaltazione più alta possibile della libertà dell’uomo: quella dell’adesione alla chiamata di Dio e dell’affidamento a lui.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.



Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente, esaudisci la nostra preghiera nella festa dell’apostolo sant’Andrea; egli che fu annunziatore del Vangelo e pastore della tua Chiesa, sia sempre nostro intercessore nel cielo. Per il nostro Signore...


IL PENSIERO DEL GIORNO

29 Novembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto» (Vangelo).  


Vangelo secondo Luca 21,12-19: L’essere cristiani pone nella condizione di essere perseguitati, calunniati, odiati per il nome di Cristo, anche dal padre o dal fratello. Il martirio, affrontare la morte per la fede, per il cristiano non è un incidente di percorso o qualcosa di molto improbabile, infatti, il «Battesimo impegna i cristiani a partecipare con coraggio alla diffusione del Regno di Dio, cooperandovi se necessario col sacrificio della stessa vita» (Benedetto XVI).
Essere cristiani non significa non subire alcun danno o offesa, ma che ogni sofferenza verrà ricompensata e niente andrà perduto, neppure un capello. Essere discepoli di Cristo è una scelta che riserva un calice amaro: è il prezzo della verità.
Il mondo del male, coalizzato contro i cristiani, potrà fare a pezzi i loro corpi, ma essi non devono temere perché sono già nella gioia del possesso del regno dei cieli (Mt 5,11-12).
«Gesù chiama alla gioia, paradossalmente, i discepoli vittime di ogni angheria. Essi pagano un prezzo alto l’adesione a Cristo. Ma grande sarà anche la ricompensa celeste ed escatologica. Nessuna meraviglia per questo destino di persecuzione, perché già i profeti sono stati perseguitati; così sarà dei discepoli di Gesù» (G. B.).
Che i profeti e i discepoli di Gesù siano accomunati al suo destino di persecuzione è attestato da Luca 11,49-50: «Per questo la sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno”, perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo».
Una comunanza di morte che con la sua lunga scia di sangue ha lambito ben duemila anni di storia cristiana! Il cristiano sa attendere con pazienza la venuta del suo Salvatore. Sa essere paziente imitando la pazienza di Dio. Sa essere perseverante nella fede perché la perseveranza è la porta della salvezza. La perseveranza è la carta di identità del cristiano e allo stesso tempo la carta vincente: «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».


La gioia della sofferenza: l’avvento cristiano - Maria Ignazia Danieli (Persecuzione in Schede Bibliche Pastorali, Ed. Dehoniane): Leggiamo in Matteo: «Godete e rallegratevi, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt. 5,12a): il primo verbo usato, khairo, gioire, essere gioiosi, è quello impiegato più frequentemente per esprimere il sentimento che si prova in una situazione favorevole; il secondo termine, agalliao, ha un uso più direttamente riserbato al giudaismo e al cristianesimo, e designa non soltanto la gioia che si prova intimamente, ma una gioia che si esteriorizza e si manifesta: sembra cioè che i due vocaboli convergano ad esprimere la completezza della gioia. I cristiani dunque sono chiamati a gioire nel momento stesso in cui soffrono da parte di quelli che li circondano: questo è un tema proprio del cristianesimo primitivo (Cf. 1Pt. 4,12ss.; Giac. 1; Ebr. 10,32-36; Rom. 5,3-5; 2Cor. 4,17; 8,2).

Giac. 1,2.12: Considerate letizia perfetta, o miei fratelli, quando subite prove d’ogni genere... Beato l’uomo che sopporta la prova, perché una volta approvato riceverà la corona della vita che il Signore ha promesso a quelli che lo amano...

Il paradosso cristiano della gioia nella sofferenza viene dalla immersione nella vita stessa di Gesù: Lui è stato respinto e messo a morte, pur tuttavia è il Cristo fedele, umile, risuscitato dopo le sue sofferenze innocenti, quale hanno predetto i profeti. Nel Cristo la rivolta dell’«empio» contro il creatore, di cui parlava il salterio, si denuncia apertamente: ogni discepolo dovrà tenerne conto (Cf. Lc. 14,26-33) e non credersi al di sopra del suo maestro: «Un discepolo non è più del maestro, né un servo più del suo padrone... Se hanno chiamato Beelzebul il padrone di casa, quanto più chiameranno così i familiari!» (Mt. 10,24-25).
Attraverso le persone dei cristiani, la persecuzione ha di mira la persona viva del Cristo risuscitato. È Gesù che Saulo perseguita a Gerusalemme e Damasco (Atti 9); è il suo corpo - la chiesa - in particolare gli apostoli, che sono colpiti a causa di lui.

Atti 9,1ss.: Saulo... chiese delle lettere per le sinagoghe di Damasco affinché, se trovasse seguaci di questa via, uomini e donne, li potesse condurre in catene a Gerusalemme ... e cadendo a terra, udì una voce che gli diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Rispose: Chi sei, Signore? E quello: Io sono Gesù che tu perseguiti! ...

La chiesa è chiamata in causa per il suo annuncio del Cristo e per questo non deve rattristarsi (cf. 1Pt. 4,15-16): essa sa bene che i suoi persecutori sono alle prese non con lei, ma con il Signore onnipotente, e per questo deve pregare per loro (Mt. 5,44; Rom. 12), pronta ad accoglierli senza timore e senza trionfo nella sua comunione di salvezza (Atti 9,10-17). Vi è poi un altro elemento a fondamento della gioia cristiana nella persecuzione: Gesù parla di «ricompensa grande nei cieli». Bisogna intendere bene il senso di questa «ricompensa» (alla lettera «misthós» = salario): certo con nessuna opera l’uomo si acquisisce dei meriti in senso stretto presso Dio; le sofferenze non conferiscono un diritto alla beatitudine, ma sono un «titolo» in virtù della predilezione di cui Dio si compiace di circondare quelli che soffrono (Cf. 1Pt. 1,4-5). La ricompensa promessa ai perseguitati è nei cieli, presso Dio, assegnata da lui, «preparata prima» (Cf. Mt. 10,40; Mt. 20,23; 25; 1Cor. 2,9; 1Pt. 1,5) e tenuta come «in riserva» per gli eletti (Cf. 1Pt. 1,4; Col. 1,5).

Rom. 12,14: Benedite quelli che vi perseguitano, benedite e non maledite!

Mt. 25,34: Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, voi benedetti del Padre mio, e ricevete il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo.


Papa Francesco (Angelus, 17 Novembre 2013): Gesù preannuncia prove dolorose e persecuzioni che i suoi discepoli dovranno patire, a causa sua. Tuttavia assicura: «Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto» (v. 18). Ci ricorda che siamo totalmente nelle mani di Dio! Le avversità che incontriamo per la nostra fede e la nostra adesione al Vangelo sono occasioni di testimonianza; non devono allontanarci dal Signore, ma spingerci ad abbandonarci ancora di più a Lui, alla forza del suo Spirito e della sua grazia.
In questo momento penso, e pensiamo tutti. Facciamolo insieme: pensiamo a tanti fratelli e sorelle cristiani, che soffrono persecuzioni a causa della loro fede. Ce ne sono tanti. Forse molti di più dei primi secoli. Gesù è con loro. Anche noi siamo uniti a loro con la nostra preghiera e il nostro affetto; abbiamo ammirazione per il loro coraggio e la loro testimonianza. Sono i nostri fratelli e sorelle, che in tante parti del mondo soffrono a causa dell’essere fedeli a Gesù Cristo. Li salutiamo di cuore e con affetto.
Alla fine, Gesù fa una promessa che è garanzia di vittoria: «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita» (v. 19). Quanta speranza in queste parole! Sono un richiamo alla speranza e alla pazienza, al saper aspettare i frutti sicuri della salvezza, confidando nel senso profondo della vita e della storia: le prove e le difficoltà fanno parte di un disegno più grande; il Signore, padrone della storia, conduce tutto al suo compimento. Nonostante i disordini e le sciagure che turbano il mondo, il disegno di bontà e di misericordia di Dio si compirà! E questa è la nostra speranza: andare così, in questa strada, nel disegno di Dio che si compirà. È la nostra speranza.
Questo messaggio di Gesù ci fa riflettere sul nostro presente e ci dà la forza di affrontarlo con coraggio e speranza, in compagnia della Madonna, che sempre cammina con noi.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Catechismo degli Adulti 864: «Beati i perseguitati per causa della giustizia» (Mt 5,10). Si tratta di chi subisce insulti, discriminazioni e violenze a motivo della nuova giustizia evangelica, e quindi a motivo della sua identità cristiana: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia» (Mt 5,11). L’amore appassionato per Cristo e il fascino del suo vangelo danno il coraggio, e anche la gioia, di affrontare le prove, quotidiane o eccezionali che siano, nella consapevolezza di seguire più da vicino il Maestro, ingiustamente perseguitato.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Ridesta, Signore, la volontà dei tuoi fedeli  perché, collaborando con impegno alla tua opera di salvezza, ottengano in misura sempre più abbondante i doni della tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


IL PENSIERO DEL GIORNO

28 Novembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Sii fedele fino alla morte, dice il Signore, e ti darò la corona della vita» (Ap 2,10 - Canto al Vangelo).  


Vangelo secondo Luca 21,5-11:  Nelle comunità cristiane vi saranno falsi profeti che pretenderanno di parlare nel nome di Gesù. Annunceranno imminente la fine del mondo, ma i veri discepoli non devono farsi ingannare, devono restare ancorati alle parole del loro Maestro. Non devono cedere alle previsioni apocalittiche di chi pretende conoscere il futuro. Per orientarsi nella storia dell’umanità bastano le parole del Signore. Se il tempo è vicino questo non significa che il ritorno del Figlio dell’uomo sia oggi o domani, perché i segni premonitori, guerre e rivoluzioni, sono fenomeni presenti in ogni momento della storia. Il discepolo non si farà prendere dal prurito di udire qualcosa di nuovo (cfr. 2Tm 4,3), ma vigilerà per non farsi sorprendere dal sonno quando il Signore Gesù verrà a giudicare i vivi e i morti.


Catechismo della Chiesa Cattolica

585 Non sarà lasciata pietra su pietra: Alla vigilia della sua passione, Gesù ha però annunziato la distruzione di questo splendido edificio, di cui non sarebbe rimasta pietra su pietra. In ciò vi è l’annunzio di un segno degli ultimi tempi che stanno per iniziare con la sua pasqua. Ma questa profezia ha potuto essere riferita in maniera deformata da falsi testimoni al momento del suo interrogatorio presso il sommo sacerdote e ripetuta come ingiuria mentre era inchiodato sulla croce.

674 Badate di non lasciarvi ingannare: La venuta del Messia glorioso è sospesa in ogni momento della storia al riconoscimento di lui da parte di «tutto Israele» (Rm 11,26) a causa dell’indurimento di una parte nella «mancanza di fede» (Rm 11,20) verso Gesù. San Pietro dice agli Ebrei di Gerusalemme dopo la pentecoste: «Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati e così possano giungere i tempi della consolazione da parte del Signore ed egli mandi quello che vi aveva destinato come Messia, cioè Gesù. Egli dev’essere accolto in cielo fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose, come ha detto Dio fin dall’antichità, per bocca dei suoi santi profeti» (At 3,19-21). E san Paolo gli fa eco: «Se infatti il loro rifiuto ha segnato la riconciliazione del mondo, quale potrà mai essere la loro riammissione se non una risurrezione dai morti?» (Rm 11,15). La partecipazione totale degli Ebrei alla salvezza messianica a seguito della partecipazione totale dei pagani permetterà al popolo di Dio di arrivare «alla piena maturità di Cristo» (Ef 4,13) nella quale «Dio sarà tutto in tutti» (1Cor 15,28).


La Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): I discepoli vantano alla presenza dl Signore la bellezza e la grandiosità del tempio. Prendendo spunto dalle loro parole Gesù svolge una lunga dissertazione, nota come il “discorso escatologico” perché verte sugli avvenimenti finali della storia. Il passo ci è stato conservato anche dagli altri Vangeli sinottici (cfr Mt 24,1-51; Mc 13.1-37), con espressioni pressoché simili. Nelle parole del Signore s'intrecciano tre temi connessi tra di loro: la distruzione di Gerusalemme - avvenuta circa quarant'anni dopo -, la fine del mondo e la seconda venuta di Cristo in gloria e maestà.
Gesù, che nel passo preannunzia anche le persecuzioni contro la Chiesa, esorta insistentemente alla pazienza. alla preghiera e alla vigilanza.
II Signore parla con lo stile e il linguaggio propri dei profeti, con immagini desunte dallAntico Testamento; inoltre. in questo discorso si alternano profezie che si adempiranno tra breve tempo con altre la cui attuazione è rimandata alla fine della storia. Con tali profezie il Signore Gesù non intende appagare la curiosità degli uomini intorno agli avvenimenti futuri. ma si preoccupa di evitare lavvilimento e lo scandalo che potrebbero insorgere innanzi alle difficoltà in arrivo. È per questa ragione che il Maestro esorta: «Guardate di non lasciarvi ingannare» (v. 8): «non vi terrorizzate» (v. 9): «state bene attenti» (v. 34).


Compostella - (Messale per la vita cristiana): I discepoli ammirano larchitettura del tempio. Gli occhi di Gesù si spingono più in là: egli vede la distruzione di Gerusalemme, i cataclismi naturali, i segni dal cielo, le persecuzioni della Chiesa e lapparizione di falsi profeti. Sono manifestazioni della decomposizione del vecchio mondo segnato dal peccato e dalle doglie del parto di nuovi cieli e di una terra nuova. In tutte le pressioni e le estorsioni esercitate sulla Chiesa, noi non dovremmo vedere qualche cupa tragedia, perché esse purificano la nostra fede e confortano la nostra speranza. Esse sono altrettante occasioni per testimoniare Cristo. Altrimenti il mondo non conoscerebbe il suo Vangelo né la forza del suo amore. Ma un pericolo più grande incombe su di noi: si tratta dei falsi profeti che si fanno passare per Cristo o che parlano in suo nome. Approfittando delle inquietudini e dei rivolgimenti causati dalla storia, i falsi profeti guadagnano alle loro ideologie, alle loro idee pseudo-scientifiche sul mondo e alle loro pseudo-religioni. La vera venuta di Cristo sarà invece così evidente che nessuno ne dubiterà. Gesù incoraggia i suoi discepoli di ogni tempo a rimanere al suo fianco sino alla fine. Egli trasformerà tutte le infelicità, tutti i fallimenti e persino la morte del martire in risurrezione gloriosa e in adorazione.


La Gloria eterna - Francesco Pollien (La pianta di Dio - Ed. Fiorentina, Firenze, 1957): In paradiso ciò che trionferà sarà la vita; la vita del Cristo in tutti i suoi eletti, la vita degli eletti nel Cristo. Essa sarà lassù pura e piena, senza interruzione di sonno, né di sofferenza, senza mescolanza di amarezze, né di incertezza.
Si vivrà, non più isolati o ignorati, ma tutti nella luce e nella concordia. Si vivrà non più nelle alternative instabili di riposo e di attività, ma in un atto che si riposa in se stesso o piuttosto che si riposa in Dio, senza bisogno di ristoro perché non si logora.
La legge di morte, che ci corrode ora in tanti modi, sarà scomparsa e non esisterà più nulla di ciò che è noia, stanchezza, infermità.
Potremo finalmente saziare il nostro infinito desiderio di lodare senza fine: vivremo, ad ogni istante, tutta la nostra vita, perché non la possederemo più a parti incomplete o successive, ma la esplicheremo nella pienezza, senza ostacoli da parte della nostra capacità.
[...]
Conosceremo Dio così come egli è: lo vedremo faccia a faccia nel lume di gloria e, rapiti nel suo amore, esalteremo tutto ciò che conosceremo.
Ci rallegreremo in lui, perché egli è ciò che è, nella vita ineffabile della sua Trinità ...
Saremo introdotti nel mistero adorabile della vita divina e la nostra vita non si stancherà mai di ammirare, di cantare e di esaltare. Non dovremo servirei di altre lodi per completare e sostenere la debolezza della nostra, perché questa, raggiunta la sua totale pienezza, sarà fusa nella lode universale del Cristo, della Vergine, degli Angeli e dei Santi.
Saremo «uno» tutti insieme e avremo la felicità di cantare gloria ciascuno con tutte le voci alle quali la nostra sarà unita.
Conosceremo tutto ciò che Dio ha fatto per noi: ad una ad una e tutte insieme vedremo le meraviglie operate a nostro vantaggio, il loro concatenamento divino, i frutti ottenuti.
Ma come esprimere le meraviglie della nostra speranza, che possiamo a stento supporre e che niente quaggiù ci rivela? Niente ce la fa presentire, tranne il nostro bisogno i infinito e le parole di fede che al nostro Dio è piaciuto rivolgerei ...
E noi, se anche ora gemiamo e piangiamo, siamo però sotto la mano di Colui che ci purifica, ci santifica e ci riconduce al luogo delle nostre immortali speranze. Pellegrini della vita, ogni passo ci avvicina a casa nostra.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  Pellegrini della vita, ogni passo ci avvicina a casa nostra.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Ridesta, Signore, la volontà dei tuoi fedeli  perché, collaborando con impegno alla tua opera di salvezza, ottengano in misura sempre più abbondante i doni della tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


IL PENSIERO DEL GIORNO

27 Novembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Vegliate e tenetevi pronti, perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo» (Mt 24,42).  


Vangelo secondo Luca 21,1-4: La piccola offerta della vedova è gradita a Dio perché nel dono vi è tutta la sua sussistenza, al contrario l’offerta del ricco è meno gradita perché l’uomo ricco non rischia nulla con i suoi doni. Luca ama mette in prima fila i poveri, la vedova così diventa per i discepoli modello da seguire: nella sequela cristiana il discepolo deve saper offrire tutto, anche la vita.


Pierre Sandevoir: Sola (Bar 4,12-16), la vedova rappresenta un caso tipico di sventura (Is 47,9). La sua condizione rende manifesto un duplice lutto: a meno di contrarre un nuovo matrimonio, essa ha perduto la speranza della fecondità; è rimasta senza difesa.
1. L’assistenza alle vedove. - Come l’orfano e lo straniero, la vedova è oggetto di una particolare protezione da parte della legge (Es 22,20-23; Deut 14,28-29; 24,17-22) e di Dio (Deut l0,17s) che ascolta il suo lamento (Eccli 35,14 s) e si fa il suo difensore e vendicatore (Sal 96,6-10). Guai a coloro che abusano della sua debolezza (Is 10,2; Mt 12,40 par.). Gesù, come Elia, restituisce a una vedova il suo unico figlio (Lc 7,11-15; 1Re 17, 17-24) e affida Maria al discepolo prediletto (Gv 19,26s). Nel servizio quotidiano della Chiesa primitiva, ci si preoccupa di sovvenire alle necessità delle vedove (Atti 6,1). Se non hanno più parenti (1Tim 5,16; cfr. Atti 9,36-39), la comunità deve assumersene la responsabilità, come esige la pietà autentica (Giac 1,27; cfr. Deut 26,12s; Giob 31,16).
2. Valore riconosciuto alla vedovanza. - Già verso la fine del Vecchio Testamento, si assiste alla nascita di una particolare stima per la vedovanza definitiva di Giuditta (Giudit 8,4-8; 16,22) e di Anna la profetessa (Lc 2,36s), consacrata a Dio nella preghiera e nella penitenza. In Giuditta balza agli occhi il contrasto tra la naturale debolezza e la forza attinta in Dio.
Allo stesso modo Paolo, pur tollerando un secondo matrimonio, per evitare i pericoli di una cattiva condotta (1Cor 7,9.39), e arrivando fino ad auspicarlo per le giovani vedove (1Tim 5,13-15), considera però migliore la vedovanza (1Cor 7,8) e vi vede una provvidenziale indicazione della necessità di rinunciare al matrimonio (7,17.24). Infatti, la vedovanza, al pari della verginità, è un ideale spirituale che apre all’azione di Dio e libera per il suo servizio (7,34).
3. L’istituzione delle vedove. - Nella Chiesa, tutte le vedove devono essere irreprensibili (1Tim 5,7.14). Certune, veramente sole, libere da ogni impegno familiare e aliene da ogni dissipazione, si dedicheranno alla preghiera (5,5s). Esiste anche un impegno ufficiale alla vedovanza permanente (5,12). Vi sono ammesse solo vedove che siano state sposate una volta sola e abbiano raggiunto i sessant’anni (5,9); è probabile che esercitassero funzioni caritative, perché dovevano fornire per il passato garanzie di dedizione (5,10).
L’ideale proposto alle vedove all’ultima tappa della loro esistenza si riassume quindi nella preghiera, nella castità, nella carità.


I due spiccioli della vedova - Basilio Caballero (La Parola per ogni giorno): La povertà e l’altruismo, incarnati dalla povera vedova del vangelo di oggi, che Gesù addita come esempio ai suoi discepoli, costituiscono il cammino di una religiosità autentica, come ci mostrò ripetutamente Cristo. La scena è riferita anche da Marco (12,38ss). Il comportamento generoso della povera vedova che dà a Dio tutto quello che ha per vivere, depositandolo nel tesoro del tempio, contrasta con l’atteggiamento egoistico e indifferente di tanti altri che pensano solo ad accumulare beni e denaro per se stessi.
Nella conclusione della parabola del ricco insensato, Gesù diceva: ugualmente stolto è chi accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio (cfr. Lc 12,21). Per questo la povera vedova che offre due spiccioli è molto ricca davanti a lui. Nella rivelazione biblica, ricchezza e povertà non sono concetti puramente quantitativi; vale anche l’atteggiamento di attaccamento o distacco nei confronti di quello che si ha. Questo ci fa poveri o ricchi in spirito davanti a Dio.
Il denaro, insieme al consumismo che su di esso si basa, è giunto a costituire per molti il surrogato dell’autentica religione. Da sempre, e oggi più che mai, si rende culto al dio denaro con un vero rituale sacrificale all’idolo tiranno. Tutto è immolato sul suo altare: lavoro e salute, principi morali, famiglia e amicizia; tutto, pur di trionfare, apparire socialmente, avere potere di consumo, divertirsi e godersi la vita.
Una società del consumo, in un mondo che adora il mito del progresso illimitato, sfortunatamente favorisce la tendenza che tutti portiamo dentro e trasmettiamo ai bambini e ai giovani: avere e consumare. Per questo tutti ammirano e invidiano i vincenti, quelli che fanno soldi e raggiungono una posizione agiata.
Il tema della povertà e gli avvertimenti di Gesù sui pericoli della ricchezza sono frequenti nel vangelo, specialmente in Luca. Anche se in molti brani dell’Antico Testamento la ricchezza è reputata un segno della benedizione di Dio per chi lo serve fedelmente, come nel caso dei patriarchi e dei re (cfr. libri storici e del Pentateuco), in molte altre parti vengono formulate delle riserve sulla ricchezza e sono apertamente denunciati i ricchi cattivi (cfr. salmi, profeti e libri sapienziali).

  
Giovanni Paolo II (Messaggio alle vedove del Movimento “Speranza e Vita”, 17 Maggio 1982): La maggior preoccupazione deve essere quella di sostenere le vedove nella vita della loro propria famiglia secondo la missione affidata da Dio dalle origini a tutte le famiglie. Una cura particolare deve essere rivolta ai bambini. La donna deve rappresentare per loro insieme la tenerezza e l’affetto materno, e la forza e la sicurezza paterne. Le vedove sono diventate i veri capi-famiglia: alle autorità civili spetta di riconoscere loro e di far pienamente rispettare questa condizione, per evitare che i loro diritti siano gravemente lesi. L’esortazione apostolica Familiaris Consortio (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 22-24) parla in modo speciale del posto delle donne nella comunità familiare. L’esperienza che vivono a questo proposito le donne vedove deve arricchire quella degli altri, la pastorale familiare deve tenerne conto. Così la pienezza della personalità femminile potrà manifestarsi nel mondo e nella Chiesa.
Ma a loro volta, le famiglie delle vedove devono offrire senso e gioia alla loro vita. Grande è la responsabilità di ragazzi divenuti adulti di fronte alla loro madre vedova! Sono loro che portano la prima e principale responsabilità di vegliare su di essa. “Se qualcuno non si prende cura dei suoi, soprattutto di coloro che vivono con lui, egli ha rinnegato la fede: egli è peggio di un infedele” (1Tm 5,8). Colgo dunque l’occasione di ricordare specialmente ai figli la cui madre è vedova questo dovere filiale così importante che costituisce uno dei comandamenti della legge divina: “Onora tuo padre e tua madre”. Troppo spesso si constata, soprattutto nei paesi ricchi, la triste situazione di vedove anziane che, non potendo più restare nella casa dei propri figli, passano i loro ultimi anni nella solitudine, frammezzata da rare visite, anche se le case per anziani che le accolgono sono confortevoli.
“La vera vedova, dice l’apostolo Paolo, mette la sua speranza nel Signore” (cf. 1Tm 5,5). Con lo sguardo volto spesso verso l’Aldilà, verso la Casa del Padre che il loro sposo ha già raggiunto, le donne vedove possono portare questa speranza in un mondo che molto spesso l’ha perduta o l’ha posta in idoli effimeri incapaci di colmare la sete di amore e di comunione che alberga nel cuore dell’uomo. “Speranza e vita”, sono i termini stessi con i quali avete voluto definire il vostro movimento e questa è già una potente testimonianza per molti.
Avete, più che chiunque altro, la missione di testimoniare la vostra fede nella vita perché ne conoscete la destinazione trascendente e la dimensione d’eternità. E voi restate allo stesso tempo al servizio della vita cercando di illuminare quella di ciascun membro della vostra famiglia. È un impegno che la morte del vostro sposo non abolisce, ma trasforma.
La vedova, continua l’apostolo, “persevera notte e giorno nella preghiera e nell’orazione” (cf. 1Tm 5,5). È un magnifico richiamo a coltivare in profondità la vostra vita interiore fino ad intrattenere un contatto vitale e intimo con il Cristo, lo Sposo della Chiesa e delle anime. che abita in voi e nel quale ritrovate tutti coloro che a lui sono uniti nella comunione dei santi. Vi trasmette la sua propria vita, e con essa la forza e la gioia. La Vergine Santissima si presenta a voi come modello ed educatrice della vera preghiera, ella che “conservava tutte queste parole e le meditava nel suo cuore” (Lc 2,51).
Sì, c’è in voi una notevole capacità di preghiera. A volte, in ragione delle stesse circostanze della vostra vita, avete dei lunghi momenti di solitudine, e alcune possono essere tentate di colmare questo pesante vuoto con attività simili a quelle che San Paolo ricorda nella sua lettera a Timoteo (cf. 1Tm 5,13). Ma questa solitudine esteriore vinta talvolta in un lavoro assorbente e in molteplici servizi, può anche trasformarsi in una preghiera più frequente, alimentata dalla lettura della Sacra Scrittura e esprimentesi nella partecipazione alla celebrazione eucaristica e in altri impegni di fede. La semplice e bella preghiera del rosario può essere per voi una compagnia inestimabile, come anche la preghiera delle Ore (cf. Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 60-61).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  La semplice e bella preghiera del rosario può essere per voi una compagnia inestimabile, come anche la preghiera delle Ore.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Ridesta, Signore, la volontà dei tuoi fedeli  perché, collaborando con impegno alla tua opera di salvezza, ottengano in misura sempre più abbondante i doni della tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...