1 Febbraio 2024
 
Lunedì IV Settimana T. O.
 
1Re 2,1-4.10; Salmo Responsoriale 1Cr 29,10-12; Mc 6,7-13
 
Colletta
Signore Dio nostro,
concedi a noi tuoi fedeli
di adorarti con tutta l’anima
e di amare tutti gli uomini con la carità di Cristo.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
Un sacramento degli infermi - Catechismo della Chiesa cattolica 1511 La Chiesa crede e professa che esiste, tra i sette sacramenti, un sacramento destinato in modo speciale a confortare coloro che sono provati dalla malattia: l’Unzione degli infermi:
«Questa Unzione sacra dei malati è stata istituita come vero e proprio sacramento del Nuovo Testamento dal Signore nostro Gesù Cristo. Accennato da Marco,  è stato raccomandato ai fedeli e promulgato da Giacomo, apostolo e fratello del Signore».
1512 Nella tradizione liturgica, tanto in Oriente quanto in Occidente, si hanno fin dall’antichità testimonianze di unzioni di infermi praticate con olio benedetto. Nel corso dei secoli, l’Unzione degli infermi è stata conferita sempre più esclusivamente a coloro che erano in punto di morte. Per questo motivo aveva ricevuto il nome di «Estrema Unzione». Malgrado questa evoluzione, la liturgia non ha mai tralasciato di pregare il Signore affinché il malato riacquisti la salute, se ciò può giovare alla sua salvezza.
1513 La Costituzione apostolica «Sacram Unctionem infirmorum» (30 novembre 1972), in linea con il Concilio Vaticano II 123 ha stabilito che, per l’avvenire, sia osservato nel rito romano quanto segue:
«Il sacramento dell’Unzione degli infermi viene conferito ai malati in grave pericolo, ungendoli sulla fronte e sulle mani con olio debitamente benedetto - olio di oliva o altro olio vegetale - dicendo una sola volta: “Per questa santa Unzione e per la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo e, liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi”». 
 
I Lettura: Davide consegna a Salomone il regno. Il re aveva vissuto mille pericoli, sfiorato tragedie e provocato rovine, aveva amato intensamente Dio e si era sempre fidato di Lui, ora si fida di un uomo, di suo figlio. Lo sa intelligente, ponderato, ma non sa di aver consegnato il popolo d’Israele alla rovina. Davide muore con gli occhi pieni di gloria, e con le mani sporche di sangue, ora tocca a Salomone consolidare ulteriormente il regno d’Israele.
 
Vangelo
Prese a mandarli.
 
La povertà degli apostoli è necessaria, ma molto più essenziale è la povertà della stessa missione: quando la Chiesa fa dipendere il suo annuncio unicamente dai mezzi, «è una Chiesa che si è indebolita nella sua fede» (José Maria Gonzáles-Ruiz). Essere mandati a due a due è in sintonia con la tradizione biblica, secondo la quale solo la testimonianza di due testimoni (o più) garantisce la veridicità di un fatto (cf. Dt 19,15). Il potere sugli spiriti, che Gesù conferisce ai Dodici, è un potere teso a liberare l’uomo nella sua totalità come persona umana: in modo specifico è finalizzato a liberarlo dal peccato, dalla morte corporale e da quella spirituale. Scuotere la polvere dai piedi era un gesto con il quale gli Ebrei esprimevano il distacco dal mondo pagano e la messa sotto accusa di chi si chiudeva al messaggio del vero e unico Dio. L’unzione con l’olio è bene testimoniata nel mondo pagano e in quello biblico. In quest’ultimo l’unzione compare come segno messianico con il quale si evidenzia quanto la forza di Dio è capace di operare sul corpo e sullo spirito dell’uomo.
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6,7-13
 
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri.
E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
 
E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: Se il missionario deve essere povero, anche la missione deve essere povera, soprattutto di mezzi umani: «E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone» (Mc 6,8). Il missionario che pensa di procurarsi tutti i mezzi umani necessari per una buona riuscita della missione la vota al più sicuro fallimento: «La missione si prepara, sì, ma non più di quanto è necessario. L’attenzione non è rivolta principalmente alla povertà dei missionari, ma più ancora alla povertà della missione. La missione è solo questo: un ‘invio’, un essere inviato da colui che è l’unico responsabile del suo successo» (José Maria Gonzáles-Ruiz). A questo punto si comprende a cosa miri l’ordine di Gesù: il Vangelo vuole testimoni di vita e non un annuncio che si basi su dottrina e scienza umane (cfr. 1Cor 1,17). Gesù vuole una Chiesa povera, che non abbia fiducia sui mezzi umani, ma che si abbandoni fidente a Dio. Quindi le parole di Gesù vanno al di là del puro significato letterale: quello che conta «per l’apostolo è “la passione” per la sua missione, per cui non trova tempo neppure per progettare ciò che è strettamente necessario per il viaggio; e soprattutto è la immensa fiducia in Dio che non gli farà mancare l’indispensabile per vivere» (Settimio Cipriani). Quando la Chiesa apostolica incominciò a praticare la carità verso i più poveri, ad interessarsi delle vedove (cfr. At 6,1ss), a condividere beni ed eucaristia (cf. At 2,42-47), quando mostrò i segni inequivocabili della povertà (cfr. At 3,6), della carità e della solidarietà, la risposta del popolo fu immediata ed entusiasta (cfr. At 4,33). Come il fallimento deve essere preventivato, così deve essere registrato; cioè deve essere messo in evidenza con un gesto molto forte al di là del puro significato simbolico: «Se in qualche luogo non vi accogliessero... andatevene e scuotete la polvere sotto ai vostri piedi» (Mc 6,11). Per chi si ostina a non ascoltare o a non accogliere la parola di salvezza l’appuntamento con la giustizia divina è soltanto rimandato: la polvere dei sandali dei missionari sarà un capo d’accusa indelebile dinanzi agli occhi del Cristo redentore e giusto giudice.
 
Gli inviati del Figlio - Joseph Perron e Pierre Grelot: La missione di Gesù si prolunga con quella dei suoi inviati, i Dodici, che per questo stesso motivo portano il nome di apostoli. Già durante la sua vita Gesù li manda innanzi a sé (cfr. Lc 10,1) a predicare il vangelo ed a guarire (Lc 9,1s par.), il che costituisce l’oggetto della sua missione personale. Essi sono gli operai mandati dal padrone alla messe (Mt 9,38 par.; cfr. Gv 4,38); sono i servi mandati dal re per condurre gli invitati alle nozze del figlio suo (Mt 22,3 par.). Non devono farsi nessuna illusione sul destino che li attende: l’inviato non è maggiore di colui che lo manda (Gv 13,16); come hanno trattato il padrone, così tratteranno i servi (Mt 10,24s). Gesù li manda «come pecore in mezzo ai lupi» (10,16 par.). Egli sa che la «generazione perversa» perseguiterà i suoi inviati e li metterà a morte (23,34 par.). Ma ciò che sarà fatto loro, sarà fatto a lui stesso, e in definitiva al Padre: «Chi ascolta voi, ascolta me, chi rigetta voi, rigetta me, e chi rigetta me, rigetta colui che mi ha mandato» (Lc 10,16); «Chi accoglie voi, accoglie me, e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato» (Gv 13,20). Di fatto la missione degli apostoli si collega nel modo più stretto a quella di Gesù: «Come il Padre ha mandato me, così io mando voi» (20,21). Questa frase illumina il senso profondo dell’invio finale dei Dodici in occasione delle apparizioni di Cristo risorto: «Andate...». Essi andranno dunque ad annunziare il vangelo (Mc 16,15), a reclutare discepoli di tutte le nazioni (Mt 28,19), a portare dovunque la loro testimonianza (Atti 1,8). Così la missione del Figlio raggiungerà effettivamente tutti gli uomini, grazie alla missione dei suoi apostoli e della sua Chiesa.
Questo appunto intende il libro degli Atti quando racconta la vocazione di Paolo. Riprendendo i termini classici delle vocazioni profetiche, Cristo risorto dice al suo strumento eletto: «Va’ perché io ti invierò lontano presso i pagani» (Atti 22,21); e questa missione ai pagani si inserisce nella linea esatta di quella del servo di Jahvè (Atti 26,17; cfr. Is 42,7.16). Infatti il servo è venuto nella persona di Gesù, e gli inviati di Gesù portano a tutte le nazioni il messaggio di salvezza che egli personalmente aveva notificato soltanto alle «pecore perdute della casa di Israele» (Mt 15,24). Di questa missione, ricevuta sulla strada di Damasco, Paolo si farà sempre forte per giustificare il suo titolo di apostolo (1Cor 15,8s; Gal 1,12). Sicuro della sua estensione universale, egli porterà il vangelo ai pagani per ottenere da essi l’obbedienza della fede (Rom 1,5) e magnificherà la missione di tutti i messaggeri del vangelo (10,14 s): non è forse grazie ad essa che nasce nel cuore degli uomini la fede nella parola di Cristo (10,17)? Al di là della missione personale degli apostoli, tutta la Chiesa nella sua funzione missionaria si ricollega in tal modo alla missione del Figlio.

Il Vangelo si ripercuote sull’equilibrio umano - J. Delorme (Lecture de l’Évangile selon saint Marc): Oggi discutiamo parecchio circa il «potere» dei ministri. Strano: l’unico potere dato ai ministri, in Marco, è un potere che non esercitiamo, ed è di ordine carismatico: quello di scacciare i demoni ....
... il miracolo ci procura imbarazzo ...
Si ha l’impressione che ciò che formava una stupenda unità in Marco (parola e gesti) oggi sia stata frantumata: ci sono specialisti della predicazione e specialisti dei miracoli, a danno sia degli uni come degli altri.
Una frenesia di miracoli può risultare decisamente malsana. Ma dobbiamo pure riconoscere, d’altro lato, che forse non siamo abbastanza attenti al fatto che la predicazione del Vangelo deve avere delle ripercussioni sull’equilibrio umano.
So benissimo che abbiamo sostituito la guarigione delle malattie con la volontà di instaurare un mondo più giusto e più fraterno.
È una cosa legittima, senza dubbio, cercare i segni dell’approssimarsi del Regno di Dio nel nostro mondo, nel miglioramento della vita umana. Ma a condizione di non dimenticare la virulenza del Vangelo: esso costituisce una potenza d’azione contro il regno del male.
Marco, come tutte le persone del suo tempo, vedeva Satana sotto tratti che a noi sembrano mitici. Dobbiamo procedere a una purificazione delle immagini, e non possiamo riprendere cosi come sono le espressioni di Marco per definire la nostra missione. Tuttavia, rimane pur sempre qualcosa che non possiamo sacrificare in questa concezione drammatica della missione.
 
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: L’unzione con l’olio: «Cose simili a queste sono anche in Luca. Guarivano i malati ungendoli di olio è un particolare del solo Marco [Mc 6,13], ma c’è qualcosa di simile nella lettera Cattolica di Giacomo ove dice: “Sta male qualcuno in mezzo a voi, ecc.” [Gc 5,14-15]. L’olio è un rimedio per la stanchezza ed è fonte di luce e di gioia. L’unzione dell’olio, quindi, significa la misericordia di Dio, il rimedio delle malattie e l’illuminazione del cuore. Che la preghiera faccia tutto questo lo sanno tutti; l’olio, come credo, è simbolo di queste cose» (Cirillo di Alessandria, In Marcum comment. 6,13).
 
Il Santo del Giorno - 1 Febbraio 2024 - Sant’Orso di Aosta Sacerdote: Sembra fosse un presbitero di Aosta, che aveva il compito di custodire e celebrare, nella chiesa cimiteriale di san Pietro. Sant’Orso, uomo semplice, pacifico e altruista, viveva da eremita trascorrendo il tempo nella preghiera continua, sia di giorno che di notte, dedito al lavoro manuale per procurarsi il cibo per vivere, accogliendo e consolando e aiutando tutti quelli che a lui accorrevano. Il tutto costellato da miracoli e prodigi, testimonianza della sua santità. Se incerto è il periodo in cui visse (fra il V e l’VIII secolo), più sicuro è il giorno della morte, che poi è diventato il giorno della sua festa: 1 febbraio. Il suo culto, oltre che ad Aosta dove l’antica chiesa di san Pietro è diventata la Collegiata di san Pietro e sant’Orso, si estese anche nella diocesi di Vercelli, Ivrea e altre zone dell’Italia Nord- Occidentale. È invocato contro le inondazioni, le malattie del bestiame. A lui è dedicata la fiera che si tiene nel giorno della vigilia della sua festa ad Aosta. (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai nutriti con il dono della redenzione,
fa’ che per la forza di questo sacramento di eterna salvezza
cresca sempre più la vera fede.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 
 
 
 
 31 Gennaio 2014
 
San Giovanni Bosco, Presbitero
 
2Sam 24,2.9-17; Salmo Responsoriale 31 [32]; Mc 6,1-6
 
Colletta
O Dio, che hai suscitato il presbitero san Giovanni [Bosco]
come padre e maestro dei giovani,
concedi anche a noi la stessa fiamma di carità,
a servizio della tua gloria, per la salvezza dei fratelli.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
La sua misericordia è grande: Dives in misericordia 4: L’Antico Testamento incoraggia gli uomini sventurati, soprattutto quelli gravati dal peccato - come anche tutto Israele, che aveva aderito all’alleanza con Dio - a far appello alla misericordia, e concede loro di contare su di essa: la ricorda nei tempi di caduta e di sfiducia. In seguito, esso rende grazie e gloria per la misericordia, ogni volta che si sia manifestata e compiuta sia nella vita del popolo, sia in quella del singolo individuo. In tal modo, la misericordia viene, in certo senso, contrapposta alla giustizia divina e si rivela, in molti casi, non solo più potente di essa, ma anche più profonda. Già l’Antico Testamento insegna che, sebbene la giustizia sia autentica virtù nell’uomo, e in Dio significhi la perfezione trascendente, tuttavia l’amore è più "grande" di essa: è più grande nel senso che è primario e fondamentale. L’amore, per così dire, condiziona la giustizia e, in definitiva, la giustizia serve la carità. Il primato e la superiorità dell’amore nei riguardi della giustizia (ciò è caratteristico di tutta la rivelazione) si manifestano proprio attraverso la misericordia. Ciò sembro tanto chiaro ai Salmisti ed ai Profeti che il termine stesso di giustizia fini per significare la salvezza realizzata dal Signore e la sua misericordia (cfr. Sal 40[39],11; 98[97],2s; Is 45,21; 51,5.; 56,1). La misericordia differisce dalla giustizia, pero non contrasta con essa, se ammettiamo nella storia dell’uomo - come fa appunto l’Antico Testamento - la presenza di Dio, il quale già come creatore si è legato con un particolare amore alla sua creatura. L’amore, per natura, esclude l’odio e il desiderio del male nei riguardi di colui, al quale una volta ha dato in dono se stesso: Nihil odisti eorum quae fecisti, “nulla tu disprezzi di quanto hai creato” (Sap 11,24). Queste parole indicano il fondamento profondo del rapporto tra la giustizia e la misericordia in Dio, nelle sue relazioni con l’uomo e con il mondo.
 
I Lettura:  Davide ordina un censimento che suscita l’ira di Dio il quale punisce severamente Davide. Un censimento era considerato “un’empietà, perché ledeva le prerogative di Dio, perché è lui che tiene i registri di coloro che devono vivere o morire [Es 32,32-33; cf. Es 30,12]” (Bibbia di Gerusalemme). Da notare la bontà e la misericordia di Dio il quale fa scegliere al colpevole il castigo con il quale sarà castigato, e Davide sceglie di “cadere nelle mani di Dio”, proprio perché punta sul suo amore misericordioso; e dall’altra parte l’umiltà di Davide che lo spinge a riconoscere prontamente il peccato commesso, e ad intercedere a favore del popolo perché il Signore ritiri presto il castigo.
 
Vangelo
 
È inspiegabile l’incredulità degli abitanti di Nazaret ed è incomprensibile come i suoi paesani facilmente passino dallo stupore e dalla ammirazione all’animosità e all’insulto. Ma questo è il destino di tutti i profeti. Gesù non viene risparmiato da questa prova che si farà ancora più drammatica nel giorno in cui Pilato, nel tentativo di liberarlo, lo presenterà alla folla: in quel giorno, ingrata, dimenticando gli innumerevoli doni ricevuti, si farà serva dell’odio dei farisei (cfr. Mt 27,11-26).
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6,1-6
 
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
 
Parola del Signore.
 
Senza la fede, non vi sono miracoli - Felipe F. Ramos (Vangelo secondo Marco - Commento della Bibbia Liturgica): La venuta di Gesù a Nazaret, la sua patria, non è ricordata dal secondo evangelista in base a un ordine cronologico, bensì in base a un ordine teologico. L’evangelista ha cura di non presentarlo come un mago, ma come il Figlio di Dio che libera l’uomo dalla sua contingenza: il peccato, le malattie, la morte. Ma questa salvezza avviene in un solo ambito: l’ambito della fede. I suoi compaesani non riescono a rendersi conto della sua condizione divina. Per essi, Gesù non è altro che «il carpentiere, il figlio di Maria e il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone».
Il testo di Marco non si presta ad argomentazioni né prò né contro la verginità di Maria. Il fatto che si parli dei fratelli di Gesù può indicare molto bene un adattarsi all’uso biblico, secondo il quale qualsiasi grado di parentela poteva essere designato col termine «fratello» (Gn 13,8). Ma il testo evangelico in sé non tradisce in alcun modo questo tipo di preoccupazioni, che ebbero poi tanto spazio nella storia ecclesiastica posteriore.
Gesù si sentì come bloccato nel suo paese natale, appunto perché lì mancava praticamente la fede: «E si meravigliava della loro incredulità». I «fratelli» e i compaesani, forse, avrebbero accettato di buon grado un Gesù «superuomo», nelle vesti di capo carismatico in lotta contro i romani; ma la realtà che avevano sotto gli occhi era per essi una delusione. Anche riconoscendo alcuni elementi della sua azione benefica, non riuscivano a leggere in essa il messaggio di salvezza e di liberazione del quale era segno. In una parola, mancavano di fede.
Secondo lo scrittore cristiano Egesippo, l’imperatore Domiziano fece venire a Roma alcuni discendenti di Giuda, «fratelli» di Gesù, perché gli dessero informazioni su quegli avvenimenti; ma, una volta ricevute le informazioni dai parenti, l’imperatore si convinse che politicamente non potevano dargli fastidio, e li lasciò tornare in Giudea.
L’autore del secondo vangelo ha cura di far notare che la nuova comunità avrebbe dovuto essere convocata unicamente dallo Spirito nell’ambito della fede e che, per conseguenza, era inutile cercare in essa certi vincoli dinastici, come pare succedesse già nella comunità di Gerusalemme, che aveva come capo Giacomo, «il fratello del Signore».
Comunque, la nota fondamentale di questo testo decisivo è che la fede precede i miracoli e non il contrario, perciò, è inutile montare un’apologetica, secondo la quale «si prova» la divinità di Cristo attraverso l’esistenza di alcuni miracoli superiori alle forze della natura.
 
Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua: Il profeta è perseguitato perché è una voce fuori dal coro; è inviso «perché la sua vita non è come quella degli altri» (Sap 2,15). Non è ascoltato perché «del tutto diverse sono le sue strade» (Sap 2,15). È di imbarazzo (cfr. Sap 2,11) perché di fronte ai legami parentali e di paese, di fronte alla mentalità e al parere comune, al conformismo e alle formalità, al ‘così si fa perché lo fanno tutti’, ha il coraggio di rimproverare le trasgressioni della legge di Dio (cfr. Sap 2,12). Dà fastidio perché dinanzi all’ipocrisia del ‘altrimenti chissà cosa pensa la gente’ e al ‘così si è sempre fatto’ è portatore della Parola di Dio che non ammette deroghe o accomodamenti. Il profeta non è una mummia irrancidita dentro le sue verità scontate. È un uomo venduto all’amore di Dio e da questo legame trae speranze per l’uomo. Il profeta, in quanto possiede «la conoscenza di Dio» (Sap 2,13), sa incoraggiare chi ama la verità e la giustizia; chi ama osare al di là di ogni andazzo umano. Il profeta è un uomo che fa sognare: perché in Cristo «le cose vecchie sono passate e ne sono nate di nuove» (1Cor 5,17). Il profeta, come Gesù, è un uomo concreto, con i piedi ben piantati alla terra; sa partire sempre dalle necessità e dai bisogni reali della gente, perché non fa filosofia (cfr. Gc 2,14-17). Il profeta, in quanto è un uomo concreto, riesce a cambiare le norme, le consuetudini e ribaltare le regole; riesce a vincere le tradizioni che ammuffiscono l’uomo e le abitudini che spengono lo spirito e paralizzano ogni iniziativa. Il profeta è l’uomo di Dio che urla l’amore del suo Signore abbandonato dal popolo. Ma grida a squarciagola anche la misericordia infinita di Dio. Anche se l’amore non è corrisposto, l’unica rivincita del Signore Dio sarà quella di continuare ad amare il suo popolo, nonostante le loro infedeltà: gli Israeliti quanto «al vangelo, sono nemici, per vostro vantaggio; ma quanto alla elezione, sono amati, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!» (Rom 11,1ss). Questa è la misericordia di Dio e il suo amore infinito: anche i ribelli abiteranno presso il Signore Dio (cfr. Sal 68 [67],19). Nella «pienezza del tempo» (Gal 4,4), la presenza di Gesù, profeta del Padre, uomo tra uomini, è il segno inequivocabile della fedeltà e dell’amore di Dio. In Cristo Gesù l’amore del Padre ha raggiunto il «vertice più alto. E questo non solo perché Cristo è il dono più prezioso dell’amore del Padre, ma anche perché in lui il rifiuto e la “durezza” di cuore degli uomini raggiungeranno il punto più alto di drammaticità e di sofferenza. Amore e infedeltà purtroppo, si inseguono e si commisurano a vicenda» (Settimio Cipriani).
 
Papa Francesco (Angelus 4): [...] perché i compaesani di Gesù non lo riconoscono e non credono in Lui? Perché? Qual è il motivo? Possiamo dire, in poche parole, che non accettano lo scandalo dell’Incarnazione. Non lo conoscono, questo mistero dell’Incarnazione, ma non accettano il mistero. Non lo sanno, ma il motivo è inconsapevole e sentono che è scandaloso che l’immensità di Dio si riveli nella piccolezza della nostra carne, che il Figlio di Dio sia il figlio del falegname, che la divinità si nasconda nell’umanità, che Dio abiti nel volto, nelle parole, nei gesti di un semplice uomo. Ecco lo scandalo: l’incarnazione di Dio, la sua concretezza, la sua “quotidianità”. E Dio si è fatto concreto in un uomo, Gesù di Nazaret, si è fatto compagno di strada, si è fatto uno di noi. “Tu sei uno di noi”: dirlo a Gesù, è una bella preghiera! E perché è uno di noi ci capisce, ci accompagna, ci perdona, ci ama tanto. In realtà, è più comodo un dio astratto, distante, che non si immischia nelle situazioni e che accetta una fede lontana dalla vita, dai problemi, dalla società. Oppure ci piace credere a un dio “dagli effetti speciali”, che fa solo cose eccezionali e dà sempre grandi emozioni. Invece, cari fratelli e sorelle, Dio si è incarnato: Dio è umile, Dio è tenero, Dio è nascosto, si fa vicino a noi abitando la normalità della nostra vita quotidiana. E allora, succede a noi come ai compaesani di Gesù, rischiamo che, quando passa, non lo riconosciamo. Torno a dire quella bella frase di Sant’Agostino: “Ho paura di Dio, del Signore, quando passa”. Ma, Agostino, perché hai paura? “Ho paura di non riconoscerlo. Ho paura del Signore quando passa. Timeo Dominum transeuntem”. Non lo riconosciamo, ci scandalizziamo di Lui. Pensiamo a com’è il nostro cuore rispetto a questa realtà.
 
Dio è l’autore di tutto: “Vediamo, dunque, da quale fonte abbia origine questo nostro sole! Come è vero nasce da Dio, che ne è l’autore. È figlio pertanto della divinità; dico, della divinità non soggetta a corruzione, intatta, senza macchia. Capisco il mistero facilmente. Perciò la seconda nascita per mezzo della immacolata Maria, poiché in un primo tempo era rimasta illibata a causa della divinità, la prima nascita fu gloriosa, affinché la seconda non diventasse ingiuriosa, cioè come vergine la divinità lo aveva generato, così anche la Vergine Maria lo generasse. È scritto di avere un padre presso gli uomini, come leggiamo nel Vangelo ai Farisei che dicevano: «Non è questi figlio di Giuseppe il falegname, e Maria non è sua Madre?» [Mt 13,55]. In questo anche avverto il mistero. Il padre di Gesù è chiamato falegname; è pienamente fabbro Dio Padre, che ha creato le opere di tutto il mondo” (Massimo di Torino, Sermo, 62,4).
 
Il Santo del Giorno - 31 Gennaio 2024 - San Giovanni Bosco. Educare al bene mente, spirito e cuore. Così crescono i buoni cristiani e cittadini - Mente, spirito e cuore: per diventare adulti abbiamo bisogno di coltivare tutte insieme queste tre dimensioni e per farlo abbiamo bisogno di buoni maestri che camminino al nostro fianco. L’aveva ben compreso don Giovanni Bosco, per tutti semplicemente «Don Bosco», che mise in guardia il proprio tempo – e il nostro – dai rischi di un’educazione che è solo repressione. Il fondatore dei Salesiani, infatti, indicava un metodo alternativo per educare: il metodo preventivo. Significava, detto in parole povere, piantare il bene nei ragionamenti, tra i moti dell’anima e nella capacità di amare dei ragazzi perché essi, posti davanti alla scelta, compiano il bene. Lo scopo era «formare onesti cittadini e buoni cristiani». Don Bosco era nato nel 1815 a Castelnuovo d’Asti, oggi Castelnuovo Don Bosco. Divenuto sacerdote nel 1841, nello stesso anno cominciò a lavorare all’opera che poi diventò la Società Salesiana, fondata nel 1854: si trattava di un impegno che rispondeva al profondo disagio nel quale vivevano i tanti giovani “vittime” di una società in crescita economicamente ma non nelle relazioni. Nel 1872, con santa Maria Domenica Mazzarello (1837-1881), fondò l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Don Bosco morì nel 1888: al mondo aveva donato le basi per una nuova “pedagogia del cuore”. Fu beatificato da Pio XI il 2 giugno 1929 e canonizzato il 1° aprile 1934. (Matteo Liut)
 
La partecipazione a questo banchetto del cielo,
Dio onnipotente,
rinvigorisca e accresca in tutti noi la grazia che da te proviene,
perché, celebrando la memoria di san Giovanni [Bosco],
custodiamo integro il dono della fede
e camminiamo sulla via della salvezza da lui indicata.
Per Cristo nostro Signore.
 
 30 Gennaio 2024

 Martedì IV Settimana T. O.

2Sam 18,9-10.14b.21a.243-25.30-32; 19,1-3; Salmo Responsoriale Dal Salmo 85 (86); Mc 5,21-43
 
Colletta
Signore Dio nostro,
concedi a noi tuoi fedeli
di adorarti con tutta l’anima
e di amare tutti gli uomini con la carità di Cristo.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
Fanciulla, io ti dico, alzati! - Benedetto XVI (Angelus, 1 Luglio 2012): Cari fratelli e sorelle, nell’odierna domenica, l’evangelista Marco ci presenta il racconto di due guarigioni miracolose che Gesù compie in favore di due donne: la figlia di uno dei capi della Sinagoga, di nome Giàiro, ed una donna che soffriva di emorragia (cfr Mc 5,21-43). Sono due episodi in cui sono presenti due livelli di lettura; quello puramente fisico: Gesù si china sulla sofferenza umana e guarisce il corpo; e quello spirituale: Gesù è venuto a guarire il cuore dell’uomo, a donare la salvezza e chiede la fede in Lui. Nel primo episodio, infatti, alla notizia che la figlioletta di Giàiro è morta, Gesù dice al capo della Sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!» (v. 36), lo prende con sé dove stava la bambina ed esclama: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!» (v. 41). Ed essa si alzò e si mise a camminare. San Girolamo commenta queste parole, sottolineando la potenza salvifica di Gesù: «Fanciulla, alzati per me: non per merito tuo, ma per la mia grazia. Alzati dunque per me: il fatto di essere guarita non è dipeso dalle tue virtù» (Omelie sul Vangelo di Marco, 3). Il secondo episodio, quello della donna affetta da emorragie, mette nuovamente in evidenza come Gesù sia venuto a liberare l’essere umano nella sua totalità. Infatti, il miracolo si svolge in due fasi: prima avviene la guarigione fisica, ma questa è strettamente legata alla guarigione più profonda, quella che dona la grazia di Dio a chi si apre a Lui con fede. Gesù dice alla donna: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male!» (Mc 5,34).
Questi due racconti di guarigione sono per noi un invito a superare una visione puramente orizzontale e materialista della vita. A Dio noi chiediamo tante guarigioni da problemi, da necessità concrete, ed è giusto, ma quello che dobbiamo chiedere con insistenza è una fede sempre più salda, perché il Signore rinnovi la nostra vita, e una ferma fiducia nel suo amore, nella sua provvidenza che non ci abbandona.
Gesù che si fa attento alla sofferenza umana ci fa pensare anche a tutti coloro che aiutano gli ammalati a portare la loro croce, in particolare i medici, gli operatori sanitari e quanti assicurano l’assistenza religiosa nelle case di cura. Essi sono «riserve di amore», che recano serenità e speranza ai sofferenti. Nell’Enciclica Deus caritas est osservavo che, in questo prezioso servizio, occorre innanzitutto la competenza professionale - essa è una prima fondamentale necessità - ma da sola non basta. Si tratta, infatti, di esseri umani, che hanno bisogno di umanità e dell’attenzione del cuore. «Perciò, oltre alla preparazione professionale, a tali operatori è necessaria anche, e soprattutto, la “formazione del cuore”: occorre condurli a quell’incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l’amore e apra il loro animo all’altro» (n. 31).
Chiediamo alla Vergine Maria di accompagnare il nostro cammino di fede e il nostro impegno di amore concreto specialmente verso chi è nel bisogno, mentre invochiamo la sua materna intercessione per i nostri fratelli che vivono una sofferenza nel corpo e nello spirito.
 
I Lettura: Antonio González-Lamadrid: Figlio mio, Assalonne! - Si era ottenuta la vittoria sul campo di battaglia e sul terreno politico, ma il cuore di Davide rimase spezzato. L’uomo che aveva risparmiato la vita a Saul in circostanze eroiche (1Sam 24 e 26), come poteva non piangere la morte di suo figlio?
Forse, l’elemento più specifico e anche più difficile del cristianesimo è il perdono dei nemici: «Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano ... Se amate quelli che vi amano, che merito ne avete? Lo fanno anche i peccatori. Se fate del bene ai vostri benefattori, che merito ne avete? Anche i peccatori fanno altrettanto» (Lc 6.27-35).
In questo senso, Davide fu un cristiano prima del cristianesimo. Non solo perdonò il suo nemico Saul quando lo aveva a portata di mano, ma pianse la sua morte in una elegia ispirata dai sentimenti più nobili. E oggi, lo vediamo perdonare e piangere la morte di suo figlio Assalonne in circostanze che commuovono: Fossi morto io invece di te, Assalonne, figlio mio, figlio mio! «A stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori. Cristo è morto per noi» (Rrn 5,7-8).
 
Vangelo
Fanciulla, io ti dico: àlzati!
 
La donna affetta di emorragia guarisce per la sua fede. Gesù, «con la sua strana domanda: “Chi mi ha toccato”, enfatizza il fatto, mettendo pure in imbarazzo la donna, ma lo fa per esaltare pubblicamente la sua fede e indicarla come requisito necessario per la guarigione» (Bruno Barisan). La risurrezione della fanciulla è collocata all’apice di una sequenza di miracoli dall’impatto dirompente: la tempesta sedata (Mc 4,35-41), la liberazione dell’indemoniato geraseno (Mc 5,1-20). La vittoria di Gesù sugli elementi della natura impazziti (Sal 88,10), poi sul potere del maligno, e qui infine sulla morte stessa, mettono in luce la potenza del Figlio di Dio. La raccomandazione di dare da mangiare alla fanciulla svela la tenerezza di Gesù verso gli ammalati e i sofferenti. Allo stupore segue il perentorio ordine da parte di Gesù di non divulgare il miracolo. Il comando, che è in linea con tutti i testi relativi al segreto messianico (Mc 1,25.33-44; 3,12; ecc.), vuole rinviare alla Croce e alla Risurrezione perché soltanto questi eventi possono rivelare la vera identità del Cristo e i doni che Egli è venuto a portare agli uomini (Ef 4,7).
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 5,21-43
 
In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: "Chi mi ha toccato?"». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

Parola del Signore.
 
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni - Jacques Hervieux (Vangelo di Marco): Nell’antico Oriente il vestito è il simbolo della personalità: toccare un vestito di qualcuno significa coglierne l’essenza; esiste anche la consuetudine, comune nell’antichità, del contatto fisico del malato col corpo del guaritore. Questo contatto avviene, e l’emorragia della donna cessa all’istante: essa lo constata immediatamente (v. 29). Da parte sua, Gesù si rende conto che il suo potere è stato pienamente efficace (v. 30a): l’accento viene naturalmente posto sul carattere fisiologico della guarigione. Ma la scena che segue riporta l’attenzione sul problema religioso in questione; Gesù domanda chi lo ha toccato (v. 30b): la prontezza della sua reazione e della domanda suona come un rimprovero. I discepoli cercano di far notare al maestro che è assurdo chiedere chi lo ha toccato, quando la folla gli si accalca intorno. Ma Gesù, con l’occhiata circolare che gli conosciamo, scruta la folla: egli vuole scoprire l’autore di questo gesto audace (v. 32). Allora la donna, timorosa per quello che ha fatto, osa confessare di essere stata guarita (v. 33): lo fa esitando, poiché si aspetta il biasimo di un maestro preoccupato del rispetto della legge. Ma Gesù le affida un messaggio liberatorio: «La tua fede ti ha salvata. Va’ in pace» (v. 34). Le parole del maestro mettono bene in risalto il significato dell’avvenimento: al di là della guarigione fisica, l’essenziale è la fede che salva. Non è per caso che Gesù riprende l’espressione usata dalla donna nella sua richiesta: «Sarò salva» (v. 28b). E l’intero episodio vuole dimostrare che la fede nella sua persona può arrivare a strappargli un miracolo assolutamente involontario. Questa donna animosa può quindi scomparire definitivamente dalla scena del vangelo. Marco ha mostrato in Gesù il liberatore da ogni male: in questo caso, infatti, il male era duplice: una malattia incurabile a quell’epoca e, soprattutto, la quasi totale emarginazione di cui soffriva questa donna, una «fuorilegge» della società religiosa patriarcale del suo tempo.
 
I miracoli, segni efficaci della salvezza - Con i suoi miracoli Gesù manifesta che il regno messianico annunziato dai profeti è giunto nella sua persona (Mt 11,45); attira l’attenzione su di sé e sulla buona novella del regno che egli incarna; suscita un’ammirazione ed un timore religioso che inducono gli uomini a chiedersi chi egli sia (Mt 8,27; 9,8; Le 5,8ss). Con essi Gesù attesta sempre la sua missione e la sua dignità, si tratti del suo potere di rimettere i peccati (Mc 2,5-12 par.), o della sua autorità sul sabato (Mc 3,45 par.; Lc 13,155; 14,355), della sua messianità regale (Mt 14,33; Gv l,49), del suo invio da parte del Padre (Gv 10,36), della potenza della fede in lui (Mt 8,10-13; 15,28 par.), con la riserva che impone la speranza giudaica di un messia temporale e nazionale (Mc l,44; 5,43; 7,36; 8,26). Già in questo essi sono segni, come dirà S. Giovanni.
Se provano la messianità e la divinità di Gesù, lo fanno indirettamente, attestando che egli è veramente ciò che pretende di essere. Perciò non devono essere isolati dalla sua parola: vanno di pari passo con l’evangelizzazione dei poveri (Mt 11,5 par.). I titoli che Gesù dà a sé, i poteri che rivendica, la salvezza che predica, le rinunzie che esige, ecco ciò di cui i miracoli fanno vedere l’autenticità divina, a chi non rigetta a priori la verità del messaggio (Is 16,31). In tal modo questo è superiore ai miracoli, come lascia capire la frase su Giona secondo Lc 11,29-32. Esso si impone come il segno primario e solo necessario (Gv 20,29), per 14 ineguagliabile autorità personale del suo araldo (Mt 7,29) e per la sua qualità interna, costituita dal fatto che, realizzando la rivelazione anteriore (Le 16,31; Gv 5,46 s), corrisponde negli uditori all’appello dello Spirito (Gv 14,17.26); proprio esso, prima di essere confermato ed illustrato dai miracoli.
 
Cristo è toccato dalla fede - Ambrogio, Exp. in Luc., 6, 57-59: Cominciò a sperare in un rimedio che potesse salvarla: riconobbe che il tempo era venuto per il fatto che si presentava un medico dal cielo, si levò per andare incontro al Verbo, vide che egli era pressato dalla folla.
Ma non credono coloro che premono intorno, credono quelli che lo toccano. Cristo è toccato dalla fede, è visto dalla fede, non lo tocca il corpo, non lo comprendono gli occhi; infatti non vede colui che non guarda pur avendo gli occhi, non ode colui che non intende ciò che ode, e non tocca colui che non tocca con fede...
Se ora noi consideriamo fin dove giunge la nostra fede e se comprendiamo la grandezza del Figlio di Dio, vediamo che a suo confronto noi non possiamo che toccare la frangia del suo vestito, senza poterne toccare le parti superiori. Se dunque anche noi vogliamo essere guariti, tocchiamo la frangia della tunica di Cristo.
Egli non ignora quelli che toccano la sua frangia, e che lo toccano quando egli è voltato dall’altra parte. Dio non ha bisogno degli occhi per vedere, non ha sensi corporali, ma possiede in se stesso la conoscenza di tutte le cose. Felice dunque chi tocca almeno la parte estrema del Verbo: e chi mai potrebbe riuscire a toccarlo tutto intero?
 
Il Santo del Giorno - 30 Gennaio 2024 - Santa Batilde, regina: Di origine anglosassone, Batilde durante un viaggio fu catturata da alcuni pirati e venduta in Francia, nel 641, ad Erchinoaldo, dignitario di corte di Neustria, che, dopo essere rimasta vedovo, voleva sposarla. L’ex schiava si rifiutò, accettando poi di sposare Clodoveo II re di Neustria e di Borgogna. Ebbe tre figli, Clotario III, Tierrico III e Childerico II. Nel 657 Batilde divenne vedova e quindi reggente del regno in nome del figlio Clotario; con la guida dell’abate Genesio, si diede alle opere di carità, aiutando i poveri e i monasteri. Lottò strenuamente contro la simonia e contro la schiavitù, che fu interdetta per i cristiani, mentre con proprio denaro restituì la libertà a moltissimi schiavi. Quando il figlio Clotario III raggiunse la maggiore età, Batilde si ritirò nel monastero di Chelles, nella diocesi di Parigi, che lei stessa nel 662, aveva fatto restaurare. Vi morì nel 680. Fu sepolta a Chelles, accanto al figlio Clotario III, morto nel 670. (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai nutriti con il dono della redenzione,
fa’ che per la forza di questo sacramento di eterna salvezza
cresca sempre più la vera fede.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
29 Gennaio 2024
 
Lunedì IV Settimana T. O.
 
2Sam15,113-40.30; 16,5-13a; Salmo Responsoriale Dal Salmo 3; Mc 5,1-20
 
Colletta
Signore Dio nostro,
concedi a noi tuoi fedeli
di adorarti con tutta l’anima
e di amare tutti gli uomini con la carità di Cristo.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
Chi cerca Satana, l’ha già trovato - Catechismo degli Adulti  384: Le rappresentazioni letterarie e artistiche dei secoli passati sono diventate estranee alla cultura del nostro tempo. Sarebbe però un errore pericoloso relegare il demonio nel mondo della pura fantasia: la più fine astuzia del diavolo, secondo un detto famoso, sta proprio nel persuadere la gente che lui non esiste. D’altra parte non bisogna vedere la sua presenza dappertutto e alimentare paure irrazionali o un interesse malsano. Satana esercita un certo fascino sull’uomo moderno, che all’efficienza tecnica tende ad associare l’efficienza magica, cioè la manipolazione a proprio vantaggio delle forze preternaturali. Di qui la diffusione di pratiche superstiziose e culti satanici. Chi cerca Satana, l’ha già trovato. La sete di potere ad ogni costo si oppone radicalmente all’atteggiamento di fede, che è abbandono fiducioso alla volontà di Dio.
 
I Lettura: Davide ha peccato, ora deve scontare la pena. Dinanzi alla ribellione del figlio Assalonne decide di fuggire non per vigliaccheria o paura, ma per non mettere a repentaglio la vita del figlio ribelle. Si incammina mesto, deciso a scontare il suo peccato, penitente accetta con mitezza e umiltà l’inqualificabile gesto di Simei, che gli scaglia pietre e insulti.
 
Vangelo
Esci, spirito impuro, da quest’uomo!
 
Gesù è in terra pagana, la mandria dei porci lo evidenzia, e si imbatte in un uomo posseduto da un nugolo di demoni. L’esorcismo di Gesù libera l’uomo posseduto dai demoni mettendo bene in chiaro che Egli è il dominatore dei demoni: il regno di Satana è già crollato, la Croce ha sbaragliato l’Inferno ed ha aperto le porte del regno di Dio, l’uomo guarda quindi con fiducia il suo futuro, anche se per permissione divina dovrà sentire la rivoltante presenza di Satana, e tutta la sua nefanda azione.
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 5,1-20
 
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro.
Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre.
Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!». E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti». E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese.
C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare.
I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio.
Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.
 
Parola del Signore.
 
L’intento dell’evangelista Marco nel raccontare la liberazione dell’uomo posseduto da uno spirito impuro è quello di dimostrare la potenza straordinaria di Gesù persino dinanzi all’Inferno: la Legione, all’ordine imperioso di Gesù, il Figlio del Dio Altissimo, deve arrendersi e abbandonare precipitosamente il campo. Il racconto della liberazione dell’uomo posseduto dalla Legione mette in risalto anche la missione di Gesù: “Figlioli, nessuno v’inganni. Chi pratica la giustizia è giusto come egli è giusto. Chi commette il peccato viene dal diavolo, perché da principio il diavolo è peccatore. Per questo si manifestò il Figlio di Dio: per distruggere le opere del diavolo” (1Gv 3,8). La violenza incontrollata dello spirito impuro, il suo dominio dispotico sull’uomo stanno a caratterizzare la forza demoniaca come potenza di morte e di distruzione disgregatrice della dignità e libertà umana. Ma se la forza di Satana è grandiosa, spettacolare, non è invincibile: infatti, noi «crediamo che Gesù ha vinto definitivamente Satana e ci ha sottratti così alla paura nei suoi confronti»; però, se «in Gesù è avvenuta la sconfitta del maligno, la sua vittoria tuttavia dev’essere liberamente accettata da ciascuno di noi, finché il male non sia completamente eliminato. La lotta contro il male richiede quindi impegno e continua vigilanza. La liberazione definitiva è intravista solo in una prospettiva escatologica [cfr. Ap 21, 4]. Al di là delle nostre fatiche e degli stessi nostri fallimenti rimane questa consolante parola di Cristo: “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo” [Gv 16, 33]» (Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 18 agosto 1999).
 
Satana l’avversario dei cristiani -  Stanislas Lyonnet: Se la risurrezione di Cristo consacra la sconfitta di Satana, la lotta non terminerà, secondo Paolo, se non con l’ultimo atto della «storia della salvezza», nel «giorno del Signore», quando «il Figlio, dopo aver ridotto all’impotenza ogni principato ed ogni potestà e la morte stessa, consegnerà il regno al Padre suo, affinché Dio sia tutto in tutti» (1 Cor 15, 24-28). Al pari di Cristo, il cristiano si scontrerà quindi con l’avversario. È lui che impedisce a Paolo di andare a Tessalonica (l Tess 2, 18), e «la spina conficcata nella sua carne», ostacolo al suo apostolato, è «un messaggero di Satana» (2 Cor 12, 7-10).
Già il vangelo lo aveva identificato con il nemico che semina la zizzania nel campo del padre di famiglia (Mt 13, 39), o che strappa dal cuore degli uomini il seme della parola di Dio, «per tema che credano e siano salvati» (Mc 4, 15 par.). A sua volta Pietro lo rappresenta come un leone affamato che gira continuamente attorno ai fedeli, cercando qualcuno da divorare (1 Piet 5, 8). come nel paradiso, egli fa essenzialmente la parte di tentatore, sforzandosi di indurre gli uomini al peccato (1 Tess 3, 5; 1 Cor 7, 5) e di opporli in tal modo a Dio stesso (Atti 5, 3). Più ancora, dietro questa potenza personificata che egli chiama il peccato, Paolo sembra supporre ordinariamente l’azione di Satana, padre del peccato (cfr. Rom 5, 12 e Sap 2, 24; Rom 7, 7 e Gen 3, 13). Infine, se è vero che l’anticristo è già all’opera in terra, dietro la sua azione malefica si nasconde la potenza di Satana (2 Tess 2, 7 ss). Così il cristiano - e questo è il lato tragico del suo destino - deve scegliere tra Dio e Satana, tra Cristo e Belial (2 Cor 6, 14), tra il «maligno» ed il «vero» (1 Gv 5, 18 s). Nell’ultimo giorno egli sarà per sempre con l’uno o con l’altro. Spirito temibile per le sue «astuzie», le sue «insidie», i suoi «inganni», le sue «manovre» (2 Cor 2, 11; Ef 6, 11; 1 Tim 3, 7; 6, 9...), che ama «camuffarsi da angelo di luce» (2 Cor 11, 14), Satana è nondimeno un nemico già vinto. Unito a Cristo mediante la fede (Ef 6, 10) e la preghiera (Mt 6, 13; 26, 41 par.), il cristiano - la cui preghiera d’altronde è sostenuta dalla preghiera di Gesù (Lc 22, 32; cfr. Rom 8, 34; Ebr 7, 25) - è certo di trionfare: sarà vinto soltanto chi avrà acconsentito ad esserlo (Giac 4, 7; Ef 4, 27). Al termine della rivelazione, l’Apocalisse, specialmente a partire dal cap. 12, offre come una sintesi dell’insegnamento biblico su questo avversario, contro il quale, dall’origine (Apoc 12, 9) fino al termine della storia della salvezza, l’umanità deve combattere. Impotente dinanzi alla donna ed a colui che essa partorisce (12, 5 s), Satana si è rivolto contro «il resto della sua discendenza» (12, 17); ma l’apparente trionfo che gli procurano i portenti dell’anticristo (13 - 17) terminerà con la vittoria definitiva dell’agnello e della Chiesa, sua sposa (18 - 22): assieme alla bestia ed al falso profeta, assieme alla morte ed all’Ade, assieme a tutti gli uomini che saranno stati vittime delle sue astuzie, Satana sarà «gettato nel lago di zolfo ardente», il che è la «seconda» morte (Apoc 20, 10. 14 s).

La possessione diabolica: Secondo una prassi consolidata, i segni per riconoscere la possessione diabolica sono “parlare correntemente lingue sconosciute o capire chi le parla; rivelare cose occulte e lontane; manifestare forze superiori all’età o alla condizione fisica. Si tratta però di segni che possono costituire dei semplici indizi e, quindi, non vanno necessariamente considerati come provenienti dal demonio. Occorre perciò fare attenzione anche ad altri segni, soprattutto di ordine morale e spirituale, che rivelano, sotto forma diversa, l’intervento diabolico. Possono essere: una forte avversione a Dio, alla Santissima Persona di Gesù, alla Beata Vergine Maria, ai Santi, alla Chiesa, alla Parola di Dio, alle realtà sacre, soprattutto ai sacramenti, alle immagini sacre. Occorre fare attenzione al rapporto tra tutti questi segni con la fede e l’impegno spirituale nella vita cristiana; il Maligno, infatti, è soprattutto nemico di Dio e di quanto mette in contatto i fedeli con l’agire salvifico divino” (Rito degli Esorcismi 16). In ogni caso è necessario un serio discernimento per dimostrare in modo certo che si tratti di possessione diabolica. Si può seguire anche la traccia indicata da Paolo VI: “Potremo supporre la sua sinistra azione là dove la negazione di Dio si fa radicale, sottile ed assurda, dove la menzogna si afferma ipocrita e potente contro la verità evidente, dove l’amore è spento da un egoismo freddo e crudele, dove il nome di Cristo è impugnato con odio cosciente e ribelle, dove lo spirito del Vangelo è mistificato e smentito, dove la disperazione si afferma come ultima parola... Ma è diagnosi troppo ampia e difficile, per noi che non osiamo ora approfondire e autenticare, non però priva per tutti di drammatico interesse, cui anche la letteratura moderna ha dedicato pagine famose” (Udienza Generale, 15 novembre 1972). Il Vangelo di oggi se da una parte presenta Gesù come il dominatore dei demoni, dall’altra parte ci assicura che l’azione diabolica sull’uomo, pur con la permissione di Dio, non è una fiaba.
 
L’origine del male risiede nella cattiva volontà: Donde proviene il male? Donde ravvisare la causa di tanti mali? Tu domandi: Donde provengono le malattie? Donde viene il delirio frenetico? Qual è lorigine del sonno pesante? Non forse lapatia? Se le malattie naturali hanno inizio dalla volontà che le sceglie, molto di più quelle che provengono dal libero arbitrio. Donde proviene lubriachezza? Non forse dallintemperanza? La frenesia, non è forse una conseguenza della febbre troppo alta? La febbre, daltronde, non deriva dalla sovrabbondanza di qualche elemento che si trova in noi? Questultima, a sua volta, non è forse una conseguenza della nostra smoderatezza? Quando, infatti, per difetto o per eccesso, abbiamo prodotto la situazione disordinata dei nostri umori, allora accendiamo quel fuoco. Poi, se esitiamo a spegnere la fiamma accesa, produciamo in noi stessi un rogo, che alla fine non riusciamo più ad estinguere. Così accade anche nel vizio: quando non lo freniamo e non lo sradichiamo sul nascere, alla fine non riusciamo più a stroncarlo, poiché esso supera le nostre forze” (Giovanni Crisostomo, Omelie sulla prima lettera ai Tessalonicesi, 9,4)
 
Il Santo del Giorno - 29 Gennaio 2024 - Sant’Aquilino Sacerdote e martire: Nacque a Würzburg, in Germania, da una famiglia nobile. Presto si avvicinò alla fede cattolica compiendo gli studi teologici a Colonia, dove diventò prete. Rifiutò, però, la carica di vescovo che gli fu proposta, perché desiderava dedicarsi interamente al ministero e alla preghiera. Per questo fuggì a Parigi, dove curò gli ammalati di colera, guarendoli miracolosamente e, anche qui, gli fu offerto l’incarico di vescovo, che rifiutò nuovamente scappando a Pavia. La città, però, era in mano a seguaci dell’arianesimo e del catarismo, eresie contro cui Aquilino predicava e che gli costarono la vita nel momento in cui si recò a Milano, dove, in una notte del 1015, venne accoltellato da un gruppo di eretici. Il suo cadavere fu tratto da una fogna, nei pressi di Porta Ticinese da alcuni facchini, che lo portarono nell’oratorio della vicina basilica di San Lorenzo. Il suo corpo fu poi sepolto nella Cappella della Regina, che fu subito intitolata al santo. In questa cappella, a tutt’oggi, si può vedere l’urna che ne conserva le reliquie. (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai nutriti con il dono della redenzione,
fa’ che per la forza di questo sacramento di eterna salvezza
cresca sempre più la vera fede.
Per Cristo nostro Signore.