1 Marzo 2019

Venerdì VII Settimana del Tempo Ordinario

Oggi Gesù ci dice: “L’uomo non divida ciò che Dio ha congiunto.” (Vangelo).

Dal Vangelo secondo Marco 10,1-12: Il tema del divorzio, al tempo di Gesù, era oggetto di accese discussioni tra due scuole rabbiniche: quella di Shammai, rigorista, e quella di Hillel, lassista. La prima riconosceva legittimo motivo solo il caso di adulterio da parte della moglie, la seconda scuola ammetteva, invece, come valido qualsiasi motivo, anche il più futile. L’intenzione dei farisei è di costringere Gesù a schierarsi o per la scuola di Shammai o per la scuola di Hillel e così poterlo accusare o ai rigoristi o ai lassisti. Il proposito era di creargli dei nemici. Gesù capovolge il tutto mettendo la donna e l’uomo sullo stesso piano. Non è solo la moglie colpevole di adulterio verso il marito, ma anche il marito si rende colpevole di adulterio se ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra. I diritti e i doveri sono uguali per la moglie e per il marito e chi li lede commette adulterio.

Che cosa vi ha ordinato Mosè? - Adalberto Sisti (Marco): Nella sua risposta risolutiva, Gesù per prima cosa (v. 5) ammette e riconosce la validità della concessione fatta da Mosè (insistendo tuttavia sul suo aspetto limitativo a favore della donna: «prescrisse questo precetto»), ma ne precisa pure il carattere transitorio, attribuendone la responsabilità agli stessi giudei, che con la loro durerà di cuore (cf Dt 10,16; Ez 3,7; 36,26) si erano dimostrati incapaci di comprendere le originarie esigenze del culto verso Dio. In secondo luogo (vv. 6,8b) prova tale transitorietà della concessione mosaica facendo vedere, con la Scrittura alla mano, come al principio (v. 6) la distinzione dei sessi, voluta da Dio stesso (Gn 1,27) per la propagazione delle specie, era destinata al matrimonio monogamico e indissolubile (Gn 2,24). Infine (vv. 80-9), richiamandosi ancora all’unione inscindibile prodotta dal contratto matrimoniale, dichiara solennemente che a nessuno è lecito separare ciò che Dio ha voluto unito. In tal modo la questione posta dai farisei, anche se non risolta nel senso voluto da questi, si presenta ormai chiaramente superata e priva di ogni fondamento, essendo stato reciso l’unico addentellato giuridico su cui poteva poggiare.

Ma dall’inizio della creazione... - Benedetto XVI (Omelia, 7 Ottobre 2012): Il messaggio della Parola di Dio si può riassumere nell’espressione contenuta nel Libro della Genesi e ripresa da Gesù stesso: «Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne» (Gen 2,24; Mc 10,7-8). Che cosa dice oggi a noi questa Parola? Mi sembra che ci inviti a renderci più consapevoli di una realtà già nota ma forse non pienamente valorizzata: che cioè il matrimonio, costituisce in se stesso un Vangelo, una Buona Notizia per il mondo di oggi, in particolare per il mondo scristianizzato. L’unione dell’uomo e della donna, il loro diventare «un’unica carne» nella carità, nell’amore fecondo e indissolubile, è segno che parla di Dio con forza, con una eloquenza che ai nostri giorni è diventata maggiore, perché purtroppo, per diverse cause, il matrimonio, proprio nelle regioni di antica evangelizzazione, sta attraversando una crisi profonda. E non è un caso. Il matrimonio è legato alla fede, non in senso generico. Il matrimonio, come unione d’amore fedele e indissolubile, si fonda sulla grazia che viene dal Dio Uno e Trino, che in Cristo ci ha amati d’amore fedele fino alla Croce. Oggi siamo in grado di cogliere tutta la verità di questa affermazione, per contrasto con la dolorosa realtà di tanti matrimoni che purtroppo finiscono male. C’è un’evidente corrispondenza tra la crisi della fede e la crisi del matrimonio. E, come la Chiesa afferma e testimonia da tempo, il matrimonio è chiamato ad essere non solo oggetto, ma soggetto della nuova evangelizzazione.

Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto - Familiaris consortio 20: Radicata nella personale e totale donazione dei coniugi e richiesta dal bene dei figli, l’indissolubilità del matrimonio trova la sua verità ultima nel disegno che Dio ha manifestato nella sua Rivelazione. Egli vuole e dona l’indissolubilità matrimoniale come frutto, segno ed esigenza dell’amore assolutamente fedele che Dio ha per l’uomo e che il Signore Gesù vive verso la sua Chiesa.
Cristo rinnova il primitivo disegno che il Creatore ha iscritto nel cuore dell’uomo e della donna, e nella celebrazione del sacramento del matrimonio offre un «cuore nuovo»: così i coniugi non solo possono superare la «durezza del cuore» (Mt 19,8), ma anche e soprattutto possono condividere l’amore pieno e definitivo di Cristo, nuova ed eterna Alleanza fatta carne. Come il Signore Gesù è il «testimone fedele» (Ap 3,14), è il «sì» delle promesse di Dio (cfr. 2Cor 1,20) e quindi la realizzazione suprema dell’incondizionata fedeltà con cui Dio ama il suo popolo, così i coniugi cristiani sono chiamati a partecipare realmente all’indissolubilità irrevocabile, che lega Cristo alla Chiesa sua sposa, da Lui amata sino alla fine (cfr. Gc 13,1).
Il dono del sacramento è nello stesso tempo vocazione e comandamento per gli sposi cristiani, perché rimangano tra loro fedeli per sempre, al di là di ogni prova e difficoltà, in generosa obbedienza alla santa volontà del Signore: «Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi» (Mt 19,6).
Testimoniare l’inestimabile valore dell’indissolubilità e della fedeltà matrimoniale è uno dei doveri più preziosi e più urgenti delle coppie cristiane del nostro tempo. Per questo, insieme con tutti i confratelli che hanno preso parte al Sinodo dei Vescovi, lodo e incoraggio tutte quelle numerose coppie che, pur incontrando non lievi difficoltà, conservano e sviluppano il bene dell’indissolubilità: assolvono così, in modo umile e coraggioso, il compito loro affidato di essere nel mondo un «segno» - un piccolo e prezioso segno, talvolta sottoposto anche a tentazione, ma sempre rinnovato - dell’instancabile fedeltà con cui Dio e Gesù Cristo amano tutti gli uomini ed ogni uomo. Ma è doveroso anche riconoscere il valore della testimonianza di quei coniugi che, pur essendo stati abbandonati dal partner, con la forza della fede e della speranza cristiana non sono passati ad una nuova unione: anche questi coniugi danno un’autentica testimonianza di fedeltà, di cui il mondo oggi ha grande bisogno. Per tale motivo devono essere incoraggiati e aiutati dai pastori e dai fedeli della Chiesa.

Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio: Il Catechismo della Chiesa Cattolica dà, dell’adulterio, una definizione: «Questa parola designa l’infedeltà coniugale. Quando due persone, di cui almeno una è sposata, intrecciano tra loro una relazione sessuale, anche se episodica, commettono adulterio. Cristo condanna l’adulterio anche se  consumato con il semplice desiderio» (2380). Quindi, l’adulterio anche se è consumato con il semplice desiderio è infedeltà. Qui si va al cuore del problema. L’infedeltà è una pruriginosa peculiarità dell’uomo moderno: egli, oggi, è veramente incapace di essere fedele alle proprie idee, alle relazioni, agli affetti, ai propri doveri come cittadino, come cristiano ... e il matrimonio non si può costruire senza questa virtù. Per cui chi commette adulterio «viene meno agli impegni assunti. Ferisce quel segno dell’Alleanza che è il vincolo del matrimonio, lede il diritto dell’altro coniuge e attenta all’istituto del matrimonio, violando il contratto che lo fonda. Compromette il bene della generazione umana e dei figli, i quali hanno bisogno dell’unione stabile dei genitori» (CCC 2381). Il divorzio in modo particolare è una offesa alla dignità del matrimonio perché pretende di sciogliere un vincolo che per natura è indissolubile, attribuendo all’autorità umana un potere che non ha (cfr. Mc 10,9); inoltre, per la facile e sbrigativa soluzione che offre a un matrimonio entrato in crisi, diventa inevitabilmente «una vera piaga sociale» (CCC 2385). Partendo da queste constatazioni, il divorziato che contrae «un nuovo vincolo nuziale, anche se riconosciuto dalla legge civile, accresce la gravità della rottura: il coniuge risposato si trova in tal caso in una condizione di adulterio pubblico e permanente» (CCC 2384). Gustave Flaubert un giorno ebbe a dire: «I coniugi debbono vivere insieme per punizione di aver commesso la stupidaggine di essersi sposati». I coniugi invece devono vivere insieme perché il matrimonio è fondato su un progetto che non è umano ma divino e che «non può essere sciolto da nessuna potestà umana e per nessuna causa, eccetto la morte» (ibidem 2382).

La fedeltà dell’amore coniugale - Catechismo della Chiesa Cattolica 1648: Può sembrare difficile, persino impossibile, legarsi per tutta la vita a un essere umano. È perciò quanto mai necessario annunciare la Buona Novella che Dio ci ama di un amore definitivo e irrevocabile, che gli sposi sono partecipi di questo amore, che egli li conduce e li sostiene, e che attraverso la loro fedeltà possono essere testimoni dell’amore fedele di Dio. I coniugi che, con la grazia di Dio, danno questa testimonianza, spesso in condizioni molto difficili, meritano la gratitudine e il sostegno della comunità ecclesiale.
1649 Esistono tuttavia situazioni in cui la coabitazione matrimoniale diventa praticamente impossibile per le più varie ragioni. In tali casi la Chiesa ammette la separazione fisica degli sposi e la fine della coabitazione. I coniugi non cessano di essere marito e moglie davanti a Dio; non sono liberi di contrarre una nuova unione. In questa difficile situazione, la soluzione migliore sarebbe, se possibile, la riconciliazione. La comunità cristiana è chiamata ad aiutare queste persone a vivere cristianamente la loro situazione, nella fedeltà al vincolo del loro matrimonio che resta indissolubile.
1650 Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo («Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio»: Mc 10,11-12), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza.

Gesù recupera e porta a compimento il progetto divino - Amoris Laetitia 61.: Di fronte a quelli che proibivano il matrimonio, il Nuovo Testamento insegna che «ogni creazione di Dio è buona e nulla va rifiutato» (1Tm 4,4). Il matrimonio è un «dono» del Signore (cfr 1Cor 7,7). Nello stesso tempo, a causa di tale valutazione positiva, si pone un forte accento sull’avere cura di questo dono divino: «Il matrimonio sia rispettato da tutti e il letto nuziale sia senza macchia» (Eb 13,4). Tale dono di Dio include la sessualità: «Non rifiutatevi l’un l’altro» (1Cor 7,5).
62. I Padri sinodali hanno ricordato che Gesù, «riferendosi al disegno primigenio sulla coppia umana, riafferma l’unione indissolubile tra l’uomo e la donna, pur dicendo che “per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così” (Mt 19,8). L’indissolubilità del matrimonio (“Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”: Mt19,6), non è innanzitutto da intendere come “giogo” imposto agli uomini, bensì come un “dono” fatto alle persone unite in matrimonio. […] La condiscendenza divina accompagna sempre il cammino umano, guarisce e trasforma il cuore indurito con la sua grazia, orientandolo verso il suo principio, attraverso la via della croce. Dai Vangeli emerge chiaramente l’esempio di Gesù, che […] annunciò il messaggio concernente il significato del matrimonio come pienezza della rivelazione che recupera il progetto originario di Dio (cfr Mt 19,3)».

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Il tuo aiuto, Padre misericordioso, ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito, perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà e attuarlo nelle parole e nelle opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo...  



28 Febbraio 2019

Giovedì VII Settimana del Tempo Ordinario


Oggi Gesù ci dice: “Accogliete la parola di Dio non come parola di uomini, ma, quale è veramente, come parola di Dio.” (Cfr. 1Ts 2,13 - Acclamazione al Vangelo).

Dal Vangelo secondo Marco 9,41-50: Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli: I piccoli non sono tanto i bambini, ma i credenti dalla fede vacillante, i cristiani deboli esposti allo scandalo. I credenti, al dire di sant’Alberto Magno, qui sono «detti piccoli per la loro fede limitata e perché possono essere facilmente scandalizzati, sono cioè deboli nella fede e pronti al peccato, provocati anche dai cattivi esempi dei sacerdoti». E Gesù su questo punto non ammette deroghe. Il giudizio è severissimo, un giudizio espresso con parole di fuoco. Qui viene sfumata l’immagine edulcorata del Gesù buono a tutti i costi, pronto a perdonare tutto a tutti. Da qui l’urgenza a recidere, con profonda determinazione, tutto quello che può provocare scandalo a se stessi e ai fratelli. I moniti di Gesù certamente non vanno presi alla lettera. Avremmo un paese zeppo di ciechi e di sciancati. In verità, qui è gridata l’urgenza della conversione per entrare nel Regno di Dio.

La porta per entrare nel Regno è stretta (Mt 7,13-14) per cui per entrarvi non è necessario mutilarsi, ma semplicemente scorticarsi. La salvezza non è un gioco da ragazzi, non è da prendere sotto gamba; è invece qualcosa di molto serio. Per il Vangelo la vita terrena, nel suo naturale finire, si apre soltanto a due soluzioni: o il Regno, cioè l’eterna beatitudine; o la Geenna, l’Inferno «ove sarà pianto e stridore di denti» (Mt 8,12), cioè l’eterna dannazione (Mt 18,18; 25,41; Gd 1,7).
La sibillina espressione - il loro verme e il fuoco non si estingue - è presa di peso dal libro del profeta Isaia (66,24) dove il verme è simbolo del rimorso.
Acutamente fa osservare san Giovanni Crisostomo che qui la coscienza viene chiamata verme che «morde l’anima che non opera il bene». Quindi  ognuno «diviene accusatore di se stesso al ricordo di come si è comportato nell’esistenza mortale, e così il verme non muore» (Catena Aurea).
Ricordata in altri testi veterotestamentari (cf. Sir 7,17; Gdt 16,17), l’espressione sta ad indicare il giusto castigo dell’empio. Gesù se ne serve «per descrivere metaforicamente le pene dei dannati, che saranno tormentati senza possibilità di riscatto. Strettamente non sembra che vi sia inclusa anche l’idea di eternità. Ma tenendo conto di tutto l’insegnamento del Nuovo Testamento al riguardo, non sembra che si possa escludere» (A. Sisti). A volere gettare alle ortiche secoli di esegesi, di pronunciamenti del magistero della Chiesa e di riflessioni alla fine non resta che dire una cosa sola: come esiste la possibilità che l’uomo alla fine della vita possa aprire gli occhi sul volto di Dio (1Cor 13,12), così esiste la possibilità che possa perdersi eternamente. Egli può andare consapevolmente incontro a una dannazione intrisa di indicibili patimenti (la pena del senso) e tra questi il dolore inenarrabile della perdita di Dio (la pena del danno). Il non contemplare Dio, il non vedere il suo volto, questa è la pena indicibile che accompagnerà eternamente il dannato.
La replica di Gesù non è una minaccia, ma «una luce che mi indica la via, e io devo giungere a comprendere e accogliere la sua volontà: “Sì, Signore, se per arrivare a Te mi chiedi di entrare nella vita monco ... zoppo ... con un occhio solo, mi troverai pronto”. Questa è la vita cristiana radicata nella serietà purissima della Croce» (Giuseppe Pollano).

Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me - Günter Semberger: Scandalo (gr. skandalon = trappola, inciampo). Significa tutto ciò che è motivo d’incredulità o di peccato. Cristo stesso, il figlio del falegname, è pietra d’inciampo, alla maniera di JHWH (Is 8,14s). Egli non adempie le aspettative del popolo (Lc 2,34), esige un’ubbidienza troppo grande (1Pt 2,9), diventando così l’inciampo di molti che non vogliono credere. Israele lo rigetta come un’inutile pietra da costruzione (Mc 12,10). Perfino i suoi discepoli lo abbandonano (Gv 6,66). Lo scandalo di Cristo raggiunge il punto culminante nello scandalo della croce (Gal 5,11). Beato colui che non si scandalizza di lui (Mt 11,6).
Non soltanto Cristo può essere scandalo dell’uomo, ma anche lui stesso con le sue brame, la sua mano, il suo piede, il suo occhio. Tutto ciò può essergli di scandalo, diventare motivo di peccato (Mc 9,43ss). Egli deve allora rinunciare a tutto per non scandalizzarsi. Chiunque però dà scandalo ai piccoli, cioè a quanti credono, meglio sarebbe non fosse nato (Mc 9,42). Questi infatti porta alla perdizione uno per il quale Cristo è morto (Rm 14,15). Gli scandali sono il male del mondo (Mt 18,7). Ciononostante devono avvenire e fanno parte del piano salvifico di Dio. Gesù ha predetto questi scandali in particolare per la fine del mondo (Gv 16,1ss). Ma guai a colui per mezzo del quale essi avvengono. 

Lo scandalo: Catechismo della Chiesa Cattolica 2284-2285: Lo scandalo è l’atteggiamento o il comportamento che induce altri a compiere il male. Chi scandalizza si fa tentatore del suo prossimo. Attenta alla virtù e alla rettitudine; può trascinare il proprio fratello nella morte spirituale. Lo scandalo costituisce una colpa grave se chi lo provoca con azione o omissione induce deliberatamente altri in una grave mancanza. Lo scandalo assume una gravità particolare a motivo dell’autorità di coloro che lo causano o della debolezza di coloro che lo subiscono. Ha ispirato a nostro Signore questa maledizione: “Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli…, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare”(Mt 18,6). Lo scandalo è grave quando a provocarlo sono coloro che, per natura o per funzione, sono tenuti ad insegnare e ad educare gli altri. Gesù lo rimprovera agli scribi e ai farisei: li paragona a lupi rapaci in veste di pecore.

L’uomo, scandalo per l’uomo: Charles Augrain (Scandalo, Dizionario di Teologia Biblica): L’uomo è scandalo per il proprio fratello quando cerca di allontanarlo dalla fedeltà a Dio. Chi abusa della debolezza del fratello, o del potere ricevuto da Dio su di lui, per allontanarlo dall’alleanza, è colpevole verso il proprio fratello e verso Dio. Dio ha in orrore i principi che hanno distolto il popolo dal seguire Jahve: Geroboamo (1Re 14,16; 15,30.34), Achab o Gezabele (1Re 21,22.25), e cosi pure coloro che hanno voluto trascinare Israele sulla china della ellenizzazione, fuori della vera fede (2Mac 4,7 ... ).
Sono invece degni di lode coloro che resistono allo scandalo per mantenere la fedeltà all’alleanza (Ger 35).
Gesù, sebbene personalmente segno di contraddizione, con il compimento dell’alleanza viene a mettere fine al grande scandalo della rottura tra l’uomo e Dio. Perciò è implacabile verso i fautori di scandalo: «Guai a chi scandalizza uno di questi piccoli che credono in me! Sarebbe meglio per lui se gli appendessero al collo una macina e lo precipitassero nel profondo del mare!» (Mt 18,6). Ma Gesù sa che questi scandali sono inevitabili: falsi dottori (2Piet 2,1) o seduttori, come l’antica Gezabele (Apoc 2,20), sono sempre all’opera.
Questo scandalo può venire anche dallo stesso discepolo; Gesù quindi esige con forza e senza pietà la rinuncia a tutto ciò che può creare ostacolo al regno di Dio. «Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo e gettalo lontano da te » (Mt 5,29 s: 18,8 s).
Sull’esempio di Gesù che non voleva turbare le anime semplici (Mc 17,26), Paolo vuole che si eviti di scandalizzare le coscienze deboli e poco formate: «Badate che la libertà di cui fate uso non diventi occasione di caduta per i deboli» (1 Cor 8,9; Rom 14,13-15.20). La libertà cristiana non è autentica se non è pervasa di carità (Gal 5, 13); la fede non è vera se non sostiene la fede dei fratelli (Rom 14, 1-23).

 ... gettati nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue - Catechismo della Chiesa Cattolica 1034: Gesù parla ripetutamente della «geenna», del « fuoco inestinguibile», che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l’anima che il corpo. Gesù annunzia con parole severe: «Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno [...] tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente» (Mt 13,41-42), ed egli pronunzierà la condanna: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno!» (Mt 25,41).

Ognuno infatti sarà salato con il fuoco - Un appello alla responsabilità: Catechismo della Chiesa Cattolica 1036: Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l’inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l’uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!» (Mt 7,13-14). «Siccome non conosciamo né il giorno né l’ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinché, finito l’unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati tra i beati, né ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove ci sarà pianto e stridore di denti».

L’inferno come rifiuto definitivo di Dio - Giovanni Paolo II (Udienza Generale 28 Luglio 1999):  Le immagini con cui la Sacra Scrittura ci presenta l’inferno devono essere rettamente interpretate. Esse indicano la completa frustrazione e vacuità di una vita senza Dio. L’inferno sta ad indicare più che un luogo, la situazione in cui viene a trovarsi chi liberamente e definitivamente si allontana da Dio, sorgente di vita e di gioia. Così riassume i dati della fede su questo tema il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Morire in peccato mortale senza esserne pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola ‘inferno’» (CEC 1033).
La ‘dannazione’ non va perciò attribuita all’iniziativa di Dio, poiché nel suo amore misericordioso egli non può volere che la salvezza degli esseri da lui creati. In realtà è la creatura che si chiude al suo amore. La ‘dannazione’ consiste proprio nella definitiva lontananza da Dio liberamente scelta dall’uomo e confermata con la morte che sigilla per sempre quell’opzione. La sentenza di Dio ratifica questo stato.
La fede cristiana insegna che, nel rischio del ‘sì’ e del ‘no’ che contraddistingue la libertà creaturale, qualcuno ha già detto no. Si tratta delle creature spirituali che si sono ribellate all’amore di Dio e vengono chiamate demoni (cfr Concilio Lateranense IV: DS 800-801). Per noi esseri umani questa loro vicenda suona come ammonimento: è richiamo continuo ad evitare la tragedia in cui sfocia il peccato e a modellare la nostra esistenza su quella di Gesù che si è svolta nel segno del ‘sì’ a Dio.
La dannazione rimane una reale possibilità, ma non ci è dato di conoscere, senza speciale rivelazione divina, se e quali esseri umani vi siano effettivamente coinvolti. Il pensiero dell’inferno – tanto meno l’utilizzazione impropria delle immagini bibliche - non deve creare psicosi o angoscia, ma rappresenta un necessario e salutare monito alla libertà, all’interno dell’annuncio che Gesù Risorto ha vinto Satana, donandoci lo Spirito di Dio, che ci fa invocare “Abbà, Padre” (Rm 8,15; Gal 4,6).
Questa prospettiva ricca di speranza prevale nell’annuncio cristiano. Essa viene efficacemente riflessa nella tradizione liturgica della Chiesa, come testimoniano ad esempio le parole del Canone Romano: “Accetta con benevolenza, o Signore, l’offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia … salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti”.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  Signore, salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Il tuo aiuto, Padre misericordioso, ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito, perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà e attuarlo nelle parole e nelle opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo...  
 



26 Febbraio 2019

Martedì VII Settimana del Tempo Ordinario


Oggi Gesù ci dice: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti ” (Vangelo).

Dal Vangelo secondo Marco 9,30-37: Marco presenta la missione di Gesù alla luce del progetto di salvezza di Dio. Un progetto che necessariamente deve passare attraverso la croce e la morte del Figlio di Dio. Un discorso che risulta ostico agli stessi Apostoli. È da sottolineare il verbo consegnare. Esso indica il progetto che Dio ha pensato per gli uomini: «per la loro salvezza Dio “consegna” Gesù nelle loro mani. Gesù, infatti, non è stato tradito ... solo da Giuda o dagli Anziani, ma è stato “consegnato” a morte da Dio stesso. Gesù non è stato ucciso [nel senso teologico] dai contemporanei [anche se storicamente essi hanno preso parte al consumarsi di questa morte], ma dalle “mani” di ogni uomo [= dai suoi peccati] alle quali Dio ha consegnato Gesù» (Don Primo Gironi).

Il Figlio dell’uomo...: Durante il viaggio in Galilea, Gesù istruisce i discepoli sulla sua missione salvifica che si sarebbe conclusa a Gerusalemme, crocifisso su una croce. L’immagine richiama i discepoli di Aristotele che venivano chiamati peripatetici per la loro consuetudine di passeggiare nel giardino del Liceo durante le lezioni. Gesù non vuole che «alcuno lo sapesse»: questo ordine, anche se è da collocare nel contesto del cosiddetto «segreto messianico», deve essere visto come il desiderio, da parte del Maestro, di evitare l’assedio della folla che gli avrebbe impedito di stare un po’ con i suoi.
Ormai la sua vita pubblica volge al termine e la sua morte cruenta è a un passo: il diavolo (Lc 4,13) e i nemici del giovane Rabbi di Nazaret stanno affilando le armi per l’ultimo, decisivo assalto.
Gesù è consapevole di tutto questo, non è affatto turbato, ma si premura di istruire «tutti i suoi discepoli», coloro che avrebbero dovuto continuare la sua opera di salvezza nel mondo (2Ts 2,4).
Non vuole che la sua morte orrenda, maledetta dalla Legge (Gal 3,13; cf. Dt 21,23), colga gli Apostoli impreparati. Non vuole che la sua morte frantumi la loro debole fede. Non vuole che la sua morte, a motivo della loro estrema debolezza, possa gettarli tra gli artigli di satana (cf. Lc 22,31). Vuole che la sua morte sia invece un messaggio di speranza, una porta spalancata sulla vita. Ecco perché vuol stare solo con i suoi discepoli: li vuole istruire fin nei più minuti dettagli perché comprendano, perché accettino la volontà del Padre.
«Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini...», è un’espressione biblica «che indica una prova tremenda, in cui il malcapitato può aspettarsi qualunque crudeltà e non può neppure far appello alla pietà o alla misericordia come farebbe con Dio [cf. Mc 14,41; 2Sam 24,14; Sir 2,18]» (ADALBERTO SISTI, Marco).
Lo uccideranno, è il secondo annuncio che Gesù fa della sua imminente morte, ma i discepoli «non comprendevano» ancora. Capivano le parole, ma aggrappati com’erano a un messianismo rivoluzionario, non potevano comprendere il vero senso del discorso. Avevano paura di interrogarlo, di «chiedergli spiegazioni». Temevano che Gesù fugasse per sempre quelle esili certezze alle quali si erano abbarbicati nella speranza di aver capito male, di aver forse frainteso. In verità, non riuscivano ad entrare dentro gli ingranaggi del progetto salvifico: non riuscivano a capire perché la salvezza dell’uomo doveva passare necessariamente attraverso la morte del Verbo di Dio.

Il Figlio dell’uomo viene consegnato... - Catechismo della Chiesa Cattolica 557: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, [Gesù] si diresse decisamente verso Gerusalemme” (Lc 9,5). Con questa decisione, indicava che saliva a Gerusalemme pronto a morire. A tre riprese aveva annunziato la sua passione e la sua Risurrezione. Dirigendosi verso Gerusalemme dice: “Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme” (Lc 13,33).

... lo uccideranno - Catechismo della Chiesa Cattolica 1825: Cristo è morto per amore verso di noi, quando eravamo ancora “nemici” (Rm 5,10). Il Signore ci chiede di amare come lui, perfino i nostri nemici, di farci il prossimo del più lontano, di amare i bambini e i poveri come lui stesso.

dopo tre giorni risorgerà… - Catechismo della Chiesa Cattolica 648-649: La Risurrezione di Cristo è oggetto di fede in quanto è un intervento trascendente di Dio stesso nella creazione e nella storia. In essa, le tre Persone divine agiscono insieme e al tempo stesso manifestano la loro propria originalità. Essa si è compiuta per la potenza del Padre che “ha risuscitato” (At 2,24) Cristo, suo Figlio, e in questo modo ha introdotto in maniera perfetta la sua umanità con il suo Corpo nella Trinità. Gesù viene definitivamente “costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la Risurrezione dai morti” (Rm 1,3-4). San Paolo insiste sulla manifestazione della potenza di Dio per l’opera dello Spirito che ha vivificato l’umanità morta di Gesù e l’ha chiamata allo stato glorioso di Signore. Quanto al Figlio, egli opera la sua propria Risurrezione in virtù della sua potenza divina. Gesù annunzia che il Figlio dell’uomo dovrà molto soffrire, morire ed in seguito risuscitare (senso attivo della parola). Altrove afferma esplicitamente: “Io offro la mia vita, per poi riprenderla... ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla” (Gv 10,17-18). “Noi crediamo... che Gesù è morto e risuscitato” (1Ts 4,14).

Giunsero a Cafàrnao: Quando fu in casa, Gesù chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?»: gli Apostoli, per via si infervorano a discutere «tra loro chi fosse il più grande». Forse pensavano ai seggi da occupare nel regno di Gesù, ma la loro non è rozzezza perché questi discorsi nei loro paesi da sempre animavano riunioni o convìvi.
Colti in fallo, arrivati a Cafarnao, forse in casa di Pietro, Gesù approfitta del fatto per dare loro una lezione di vita cristiana. Sedutosi, è la postura del maestro nell’atto di insegnare (cf. Mt 5,1), chiama i Dodici: Gesù restringe il cerchio ai soli Dodici perché sono loro che devono assimilare fin in fondo il suo insegnamento e viverlo integralmente poi nel loro ruolo di «colonne della Chiesa» (Gal 2,9).
Gesù ancora una volta rovescia i modelli sui quali tanti maestri avevano costruito l’identikit del vero figlio della Legge (cf. Lc 15,25-32).
Nella casa di Pietro la persona che veramente conta non è il mercenario o chi abusa del potere: «Esorto gli anziani... pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge» (1Pt 5,1-3). Nella casa di Pietro il primo è colui che si fa servo, non chi dà ordini a destra e a manca; chi sa piegare le ginocchia e, come l’ultimo sguattero della terra, mettersi a lavare i piedi dei suoi amici e dei suoi nemici: «Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13,13-15).
Poi, la seconda manovra, il porre un bambino in mezzo a loro, spiazza del tutto gli Apostoli. I bambini sono i membri più deboli della comunità cristiana, i più bisognosi e i più dimenticati. Di essi deve farsi carico il discepolo di Gesù, come Lui si è fatto carico dell’umanità debole e fragile gemente sotto il dominio del peccato.

Bambino - Léon Roy (Bambino, Dizionario di Teologia Biblica): Dio e i bambini - Già nel VT il bambino, a motivo stesso della sua debolezza e della sua imperfezione native, appare come un privilegiato di Dio. Il Signore stesso è il protettore dell’orfano ed il vindice dei suoi diritti (Es 22,21ss; Sal 68,6); egli ha manifestato la sua tenerezza paterna e la sua preoccupazione pedagogica nei confronti di Israele « quando era bambino », al tempo dell’uscita dall’Egitto e del soggiorno nel deserto (Os 11, 14). I bambini non sono esclusi dal culto di Jahve, partecipano anche alle suppliche penitenziali (Gioe 2, 16; Giudit 4,10s), e Dio si prepara una lode dalla bocca dei bambini e dei piccolissimi (Sal 8,2s = Mt 21,16).
Lo stesso avverrà nella Gerusalemme celeste, dove gli eletti faranno l’esperienza dell’amore «materno» di Dio (Is 66,10-13). Già un salmista, per esprimere il suo abbandono fiducioso nel Signore, non aveva trovato di meglio che l’immagine del piccino che si addormenta sul seno della madre (Sal 131,2).
Più ancora, Dio non esita a scegliere taluni bambini come primi beneficiari e messaggeri della sua rivelazione e della sua salvezza: il piccolo Samuele accoglie la parola di Jahve e la trasmette fedelmente (1Sam 1-3); David è scelto a preferenza dei suoi fratelli maggiori (1Sam 16,1-13); il giovane Daniele si dimostra più sapiente degli anziani di Israele salvando Susanna (Dan 13,44-50).
Infine, un vertice della profezia messianica è la nascita di Emmanuel, segno di liberazione (Is 7,14 ss); ed Isaia saluta il bambino regale che, assieme al regno di David, ristabilirà il diritto e la giustizia (9,1-6).
Gesù e i bambini - Non era perciò conveniente che, per inaugurare la nuova alleanza, il Figlio di Dio si facesse bambino? Luca ha notato con cura le tappe dell’infanzia così percorse: neonato del presepio (Lc 2,12), piccino presentare al tempio (2,27), bambino sottomesso ai genitori, e tuttavia misteriosamente indipendente da essi nella sua dipendenza dal Padre suo (2,43-51).
Fatto adulto, Gesù nei confronti dei bambini adotta lo stesso comportamento di Dio.
Come aveva dichiarato beati i poveri, così benedice i bambini (Mc 10,16), rivelando in tal modo che essi sono, gli uni e gli altri, atti ad entrare nel regno; i bambini simboleggiano i discepoli autentici, «il regno dei cieli appartiene a quelli che sono come loro» (Mt 19,14 par.). Di fatto si tratta di «accogliere il regno come bambini» (Mc 10,15), di riceverlo con tutta semplicità come un dono del Padre, invece di esigerlo come qualcosa di dovuto; bisogna «diventare come bambini» (Mt 18,3) ed acconsentire a «rinascere» (Gv 3,5) per accedere a questo regno. Il segreto della vera grandezza è «di farsi piccoli» come i bambini (Mt 18,4): questa è la vera umiltà, senza la quale non si può diventare figli del Padre celeste.
I veri discepoli sono precisamente i «piccolissimi», a cui il Padre ha voluto rivelare, come un tempo a Daniele, i suoi segreti nascosti ai sapienti (Mt 11,25 s). D’altronde, nel linguaggio del vangelo, «piccolo» e «discepolo» sembrano talvolta termini equivalenti (cfr. Mt 10,42 e Mc 9,41). Beati coloro che accolgono uno di questi piccoli (Mt 18,5; cfr. 25,40), ma guai a chi li scandalizza o li disprezza (18,6.10).

La misura dell’importanza personale - Basilio Caballero: «Se uno vuoi essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti». È l’insegnamento fondamentale che Cristo vuole inculcare nei discepoli. Una simile misura dell’importanza di una persona è sconcertante come predire le sofferenze del messia. Ma Gesù afferma con chiarezza che i suoi seguaci devono convertire l’ambizione di potere in atteggiamento di servizio. La coesistenza di questi due estremi è impossibile, perché l’ambizione è un cancro per l’amore servizievole.
Siamo tutti affetti da una tentazione quasi irresistibile di potere e di dominio, e non solo i politici. Dall’ambiente familiare al contesto delle superpotenze, passando per il luogo di lavoro e per qualsiasi spazio sociale, la questione imperante è far vedere chi è che comanda. Ebbene, per essere il primo nel gruppo dei credenti, dice Gesù, bisogna farsi ultimo e servitore di tutti. Questo richiede molta abnegazione, rinuncia ai propri interessi e grande maturità personale.
La psicosi della preminenza redentrice crea i «salvatori» del popolo e delle comunità: ideologi, rivoluzionari, liberatori che si presentano come guaritori di tutti i mali sociali, anche dei mali del popolo di Dio, Ma, nell’intimo, molti di loro non sono diversi dai banditi, i ladri e i mercenari della parabola del buon pastore, che non vengono per servire, ma per servirsi, per impoverire e per sfruttare.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato»” (Vangelo). 
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Il tuo aiuto, Padre misericordioso, ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito, perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà e attuarlo nelle parole e nelle opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo...  





25 Febbraio 2019

 Lunedì VII Settimana del Tempo Ordinario


Oggi Gesù ci dice: “Fino a quando sarò con voi?  Fino a quando dovrò sopportarvi?” (Vangelo).

Dal Vangelo secondo Marco 9,14-29: La liberazione del fanciullo posseduto da uno “spirito muto e sordo” conclama la venuta del Regno di Dio e la disfatta dell’Inferno, ora avanza la Luce e le tenebre arretrano. L’insuccesso dei discepoli è dovuto alla mancanza di “preghiera”, il demonio è debellato da chi è in feconda comunione con Dio, comunione che si attua sopra tutto con la preghiera. L’esorcismo fa fare un salto di qualità al padre del fanciullo indemoniato: dal “Se tu puoi” passa a una fede piena “Credo, aiuta la mia incredulità”.

Benedetto Prete (Quattro Vangeli): generazione incredula! L’amaro rimprovero di Gesù è rivolto a tutti i presenti, anche se non a ciascuno di essi è diretto con la stessa intensità. Gli apostoli, la folla, gli Scribi ed anche il padre dell’infelice giovinetto avevano mostrato di avere una fede insufficiente: gli apostoli perché non erano ricorsi alla preghiera; la folla perché era sempre avida di nuovi miracoli, come se non fossero sufficienti quelli già compiuti da Gesù per credere al suo potere; gli Scribi perché continuavano ad essere ostinati e si erano compiaciuti dell’insuccesso dei discepoli; il padre infine perché era rimasto scosso nella fiducia avuta inizialmente in Cristo, quando constatò che i discepoli non erano riusciti a guarirgli il figlio. Gesù, nonostante il forte risentimento per l’incredulità riscontrata nei presenti, ebbe compassione per il povero fanciullo malato e posseduto dal demonio e comandò che fosse condotto davanti a lui.

Fino a quando sarò con voi?  Fino a quando dovrò sopportarvi? - Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): Tutti i presenti, sia pure a titolo diverso, hanno meritato il severo rimprovero racchiuso in queste parole di Cristo: i discepoli, per la fede incompleta nel potere che avevano ricevuto dal Signore (cfr Lc 9,1); il padre del ragazzo, per la mancanza di fiducia evidente nell’accusa indirizzata ai discepoli; la folla, che incuriosita assisteva alla scena, per la diffidenza e lo scetticismo. Il rimprovero coinvolse pure alcuni scribi che, tra la folla, infastidivano gli apostoli (cfr Mc 9,14) e cercavano di screditare la potestà che avevano ricevuto dal Maestro.
«Fino a quando sarò con voi e vi sopporterò?»: «Con queste parole Cristo vuoi dire: state godendo della mia compagnia, e tuttavia non desistete dall’accusare me e i miei discepoli [...]. Nel dire tali parole il Signore non si mostrò incollerito, ma parlò come il medico in visita a un ammalato che non vuole seguire le sue prescrizioni, e al quale perciò dice: fino a quando verrò a visitarti, dal momento che non vuoi fare quello che ti prescrivo?» (SAN TOMMASO D’AQUINO, In Evang. Mathaei lectura, 17,17).

La necessità della fede - Catechismo della Chiesa Cattolica 161-162: Credere in Gesù Cristo e in colui che l’ha mandato per la nostra salvezza, è necessario per essere salvati. «Poiché “senza la fede è impossibile essere graditi a Dio” (Eb 11,6) e condividere le condizioni di suoi figli, nessuno può essere mai giustificato senza di essa e nessuno conseguirà la vita eterna se non “persevererà in essa sino alla fine (Mt 10,22; 24,13)”. La fede è un dono che Dio fa all’uomo gratuitamente. Noi possiamo perdere questo dono inestimabile. San Paolo, a questo proposito, mette in guardia Timoteo: Combatti “la buona battaglia con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l’hanno ripudiata hanno fatto naufragio nella fede” (1Tm 1,18-19). Per vivere, crescere e perseverare nella fede sino alla fine, dobbiamo nutrirla con la Parola di Dio; dobbiamo chiedere al Signore di accrescerla; essa deve operare “per mezzo della carità” (Gal 5,6), essere sostenuta dalla speranza ed essere radicata nella fede della Chiesa.

Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede: Catechismo della Chiesa Cattolica 2610: Come Gesù prega il Padre e rende grazie prima di ricevere i suoi doni, così egli ci insegna questa audacia filiale: “Tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto”(Mc 11,24 ). Tale è la forza della preghiera: “Tutto è possibile per chi crede” (Mc 9,23 ), con una fede che non dubita. Quanto Gesù è rattristato dalla “incredulità” (Mc 6,6) dei discepoli e dalla “poca fede” (Mt 8,26 ) dei suoi compaesani, tanto si mostra pieno di ammirazione davanti alla fede davvero grande del centurione romano e della cananea.

Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito impuro - Carlo Maria Martini (L’itinerario spirituale dei Dodici): L’esorcismo: esso è un esempio tipico nel suo genere. C’è la menzione dello spirito, la menzione di chi fa l’esorcismo, la menzione del suo potere di comando e la menzione di ciò che si chiede con autorità. Segue il parossismo delle manifestazioni del male nel ragazzo stesso, poi il suo cadere come morto, e, infine, la scena di Gesù che lo rialza guarito.
In tutto l’episodio, oltre al tema dell’esorcismo propriamente detto, ci sono, forse, anche elementi che davano appigli ad una primitiva catechesi battesimale. Non soltanto nel senso che il battesimo libera l’uomo dal potere di un male che lo rende chiuso agli altri, ma in un senso ancora più specifico.
Al v. 26, infatti, si insiste due volte sul tema della morte: «E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano che era morto»; e subito dopo, al v. 27, vengono usati due classici verbi della risurrezione: «Gesù lo prende con la sua mano, lo rialza e lo fa risorgere».
È certo che, con l’impiego di questi quattro verbi, due di morte e due di risurrezione (il Cristo morto per i nostri peccati, il Cristo risorto per la nostra giustificazione), la catechesi primitiva spiegava il battesimo come un morire con Cristo, e un risorgere con Lui e per virtù di Lui.

“Tutto il mondo giace sotto il potere del maligno” (1Gv 5,19): Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 13 Agosto 1986): Secondo la Sacra Scrittura, e specialmente il Nuovo Testamento, il dominio e l’influsso di satana e degli altri spiriti maligni abbraccia tutto il mondo. Pensiamo alla parabola di Cristo sul campo (che è il mondo), sul buon seme e su quello non buono che il diavolo semina in mezzo al grano cercando di strappare dai cuori quel bene che in essi è stato “seminato” (cf. Mt 13,38-39). Pensiamo alle numerose esortazioni alla vigilanza (cf. Mt 26,41; 1Pt 5,8), alla preghiera e al digiuno (cf. Mt 17,21). Pensiamo a quella forte affermazione del Signore: “Questa specie di demoni in nessun altro modo si può scacciare se non con la preghiera” (Mc 9,29). L’azione di satana consiste prima di tutto nel tentare gli uomini al male, influendo sulla loro immaginazione e sulle loro facoltà superiori per volgerle in direzione contraria alla legge di Dio. Satana mette alla prova persino Gesù (cf. Lc 4,3-13), nel tentativo estremo di contrastare le esigenze dell’economia della salvezza così come Dio l’ha preordinata.
Non è escluso che in certi casi lo spirito maligno si spinga anche ad esercitare il suo influsso non solo sulle cose materiali, ma anche sul corpo dell’uomo, per cui si parla di “possessioni diaboliche” (cf. Mc 5,2-9). Non è sempre facile discernere ciò che di preternaturale avviene in questi casi, né la Chiesa accondiscende o asseconda facilmente la tendenza ad attribuire molti fatti a interventi diretti del demonio; ma in linea di principio non si può negare che nella sua volontà di nuocere e di condurre al male, satana possa giungere a questa estrema manifestazione della sua superiorità.
Dobbiamo infine aggiungere che le impressionanti parole dell’apostolo Giovanni: “Tutto il mondo giace sotto il potere del maligno” (1Gv 5,19), alludono anche alla presenza di satana nella storia dell’umanità, una presenza che si acuisce man mano che l’uomo e la società si allontanano da Dio. L’influsso dello spirito maligno può “celarsi” in modo più profondo ed efficace: farsi ignorare corrisponde ai suoi “interessi”. L’abilità di satana nel mondo è quella di indurre gli uomini a negare la sua esistenza in nome del razionalismo e di ogni altro sistema di pensiero che cerca tutte le scappatoie pur di non ammetterne l’opera. Ciò non significa però l’eliminazione della libera volontà e della responsabilità dell’uomo e nemmeno la frustrazione dell’azione salvifica di Cristo. Si tratta piuttosto di un conflitto tra le forze oscure del male e quelle della redenzione. Sono eloquenti, a questo proposito, le parole che Gesù rivolse a Pietro all’inizio della passione: “... Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te perché non venga meno la tua fede” (Lc 22,31).
Per questo comprendiamo come Gesù nella preghiera che ci ha insegnato, il “Padre nostro”, che è la preghiera del regno di Dio, termina quasi bruscamente, a differenza di tante altre preghiere del suo tempo, richiamandoci alla nostra condizione di esposti alle insidie del Male-Maligno. Il cristiano, appellandosi al Padre con lo spirito di Gesù e invocando il suo regno, grida con la forza della fede: fa’ che non soccombiamo alla tentazione, liberaci dal Male, dal Maligno. Fa’, o Signore, che non cadiamo nell’infedeltà a cui ci seduce colui che è stato infedele fin dall’inizio.

Vigiliamo...  Paolo VI (Udienza Generale, 23 Febbraio 1977): La vita cristiana è un dramma, in cui il bene e il male si intrecciano e si oppongono continuamente e conferiscono appunto al mondo il carattere d’un combattimento permanente: «milizia» è chiamata dalla sacra Scrittura (Iob. 7,1; Eph. 6,11-13) la condizione dell’uomo sulla terra. È questo un concetto fondamentale della nostra esistenza presente, passeggera (1Cor. 7,31) ma decisiva per la nostra sorte nella vita futura (2Cor. 5,10); il Signore lo ha voluto inserire nella formula, possiamo dire ufficiale, della nostra preghiera a Dio Padre, facendoci invocare sempre il suo aiuto per ottenere difesa da una continua minaccia che insidia il nostro cammino nel tempo: la tentazione. Questa facile, ma tremenda parola meriterebbe una lunga lezione e un orientamento etico pedagogico corrispondente: il periodo quaresimale, che oggi incomincia, ci offre l’opportunità di riflettere su questo tema, che non è certo ora di moda, ma ha aumentato, non diminuito, il suo spirituale interesse. Pensiamo: noi siamo esseri liberi, ma assai condizionati dall’ambiente, diciamo pure dal mondo, in cui viviamo: vale a dire, noi siamo continuamente provocati a imprimere nei nostri atti una scelta, a risolvere una «tentazione»; il nostro senso morale dev’essere sempre in una tensione di vigilanza (altra parola evangelica) (Cfr. Matth. 24,42; Marc. 14,38; 13,37; 1Cor. 16,13; 1Petr. 4,7; 5,8; etc.), minacciata di espulsione dal codice della moderna permissività; l’igiene morale, cioè la preventiva difesa della nostra tanto evidente debolezza etica, si direbbe che non debba esistere più, ma che una falsa norma pratica, quella dell’esporsi alla tentazione col pretesto d’irrobustire così la propria personalità mediante l’esperienza del male, possa prevalere su i «tabù», con cui la sensibilità della coscienza e la dirittura della condotta hanno inceppato la libera e facile disinvoltura dell’uomo contemporaneo, così detto «adulto». Non è meraviglia allora se la nostra società degrada dal suo livello di autentica umanità a mano a mano che progredisce in questa pseudo-maturità morale, in questa indifferenza, in questa insensibilità della differenza tra il bene e il male, e se la Scrittura acerbamente ci ammonisce che «tutto il mondo (nel senso deteriore che stiamo osservando) giace sotto il potere del maligno» (1Io. 5,19).
Vigiliamo, Fratelli e Figli carissimi, affinché il mondo, che non è da Dio, non ci seduca, non ci infonda un’illusoria concezione della vita, e non ci faccia perdere il senso dei suoi veri valori. Stiamo con Cristo per essere partecipi della vittoria ch’Egli ci annuncia e ci promette: «abbiate fiducia! Io ho vinto il mondo» (Io. 16,33).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Vigiliamo, Fratelli e Figli carissimi, affinché il mondo, che non è da Dio, non ci seduca, non ci infonda un’illusoria concezione della vita, e non ci faccia perdere il senso dei suoi veri valori. ” (Paolo VI).
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Il tuo aiuto, Padre misericordioso, ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito, perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà e attuarlo nelle parole e nelle opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo...