27 Aprile 2024
 
Sabato IV Settimana di Pasqua
 
At 13,44-52; Salmo Responsoriale dal Salmo 97 (98);  Gv 14,7-14
 
Colletta
O Dio, che nella solennità della Pasqua
agisci per la salvezza del mondo,
continua a elargire alla Chiesa la tua benevolenza,
perché, fedele ai tuoi comandamenti nella vita presente,
possa giungere alla pienezza della gioia eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò - Catechismo della Chiesa Cattolica - Il nome di Gesù
430 Gesù in ebraico significa: “Dio salva”. Al momento dell’Annunciazione, l’angelo Gabriele dice che il suo nome proprio sarà Gesù, nome che esprime ad un tempo la sua identità e la sua missione. Poiché Dio solo può rimettere i peccati, è lui che, in Gesù, il suo Figlio eterno fatto uomo, “salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21). Così, in Gesù, Dio ricapitola tutta la sua storia di salvezza a vantaggio degli uomini.
431 Nella storia della salvezza, Dio non si è limitato a liberare Israele “dalla condizione servile” (Dt 5,6) facendolo uscire dall’Egitto; lo salva anche dal suo peccato. Poiché il peccato è sempre un’offesa fatta a Dio,  solo Dio lo può cancellare. Per questo Israele, prendendo sempre più coscienza dell’universalità del peccato, non potrà più cercare la salvezza se non nell’invocazione del nome del Dio Redentore.
432 Il nome di Gesù significa che il Nome stesso di Dio è presente nella persona del Figlio suo fatto uomo per l’universale e definitiva Redenzione dei peccati. È il nome divino che solo reca la salvezza, e può ormai essere invocato da tutti perché, mediante l’Incarnazione, egli si è unito a tutti gli uomini in modo tale che “non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,12).
433 Il Nome del Dio Salvatore era invocato una sola volta all’anno, per l’espiazione dei peccati d’Israele, dal sommo sacerdote, dopo che questi aveva asperso col sangue del sacrificio il propiziatorio del Santo dei Santi. Il propiziatorio era il luogo della presenza di Dio. Quando san Paolo dice di Gesù che “Dio l’ha stabilito a servire come strumento di espiazione... nel suo sangue” (Rm 3,25), intende affermare che nella sua umanità “era Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo” (2Cor 5,19).
434 La Risurrezione di Gesù glorifica il nome di Dio Salvatore perché ormai è il nome di Gesù che manifesta in pienezza la suprema potenza del “Nome che è al di sopra di ogni altro nome” (Fil 2,9-10). Gli spiriti malvagi temono il suo nome ed è nel suo nome che i discepoli di Gesù compiono miracoli; infatti tutto ciò che essi chiedono al Padre nel suo nome, il Padre lo concede.
435 Il nome di Gesù è al centro della preghiera cristiana. Tutte le orazioni liturgiche terminano con la formula “per Dominum nostrum Jesum Christum... per il nostro Signore Gesù Cristo...”. L’“Ave, Maria” culmina in “e benedetto il frutto del tuo seno, Gesù”. La preghiera del cuore, consueta presso gli orientali è chiamata “preghiera di Gesù”, dice: “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”. Parecchi cristiani muoiono con la sola parola “Gesù” sulle labbra, come santa Giovanna d’Arco.
 
I Lettura: Come un fiume in piena la Parola di Dio supera i confini del popolo d’Israele raggiungendo il cuore degli abitanti di Antiochia. I pagani si rallegrano del dono inaspettato della fede, i Giudei masticano amaro, livore, rabbia, invidia, gelosia un miscela paurosa che esplode in una rabbiosa persecuzione; “ i Giudei sobillarono le pie donne della nobiltà e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Bàrnaba e li cacciarono dal loro territorio”. Una manovra stupida e odiosa che non può strappare dal cuore dei discepoli la gioia: nonostante la dura prova essi sono pieni di “gioia e di Spirito Santo”.
 
Vangelo
Chi ha visto me, ha visto il Padre.
 
Miracoli, guarigioni di lebbrosi, di paralitici, liberazione di ossessi e di indemoniati, risurrezioni prodigiose... eppure Tommaso, e gli Apostoli con lui, non hanno ancora capito che Gesù è la rivelazione del Padre, non hanno ancora compreso che Gesù e il Padre sono una cosa sola (cfr. Gv 10,30). E questa ignoranza suscita in Gesù stupore, e se ne lamenta: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?”. Credere questo, e avere fede in Gesù significa per il discepolo partecipare della sua opera taumaturgica. Il discepolo evangelizzerà gli uomini, compirà prodigi, e qualunque cosa chiederà nel nome di Gesù, che rappresenta la persona, egli lo farà, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. 
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 14,7-14
 
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta».
Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: "Mostraci il Padre"? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.

Parola del Signore.
 
Bibbia di NavarraPrima di lasciare questo mondo, il Signore promette agli apostoli che li renderà partecipi dei propri poteri, affinché la salvezza di Dio possa manifestarsi per mezzo loro. Le opere che attueranno sono i miracoli compiuti nel nome di Gesù Cristo (cfr. At 3,1-10; 5,15-16; e altri luoghi), ma soprattutto la conversione degli uomini alla fede cristiana e la loro santificazione, mediante la predicazione e l’amministrazione dei sacramenti. Tali opere si possono ritenere più grandi di quelle compiute da Gesù in quanto che, grazie al mini­stero degli apostoli, il vangelo sarà predicato non solo in tutta la Palestina, ma si diffonderà fino agli estremi confini della terra; e tuttavia, questa singolare efficacia della parola apostolica deriva da Gesù Cristo asceso al Padre: dopo essere passato attraverso l’umiliazione della Croce, Gesù è stato reso glorioso e dal cielo manifesta la sua potenza agendo per mezzo degli apostoli. Il potere degli apostoli promana, dunque, da Cristo glorificato. Il Signore esprime questa realtà con le parole: «Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò...». «Non potrà essere più grande di me chi crede in me, ma allora sarò io che farò cose più grandi di quanto ho fatto ora. Per mezzo di chi crede in me, farò cose più grandi di quelle che ho fatto da me senza di lui» (Agostino In Ioannis Evang. tractatus, 72,1).
Gesù Cristo è nostro intercessore in cielo, e pertanto ci promette che qualunque cosa chiederemo nel nome suo, egli la farà. Chiedere nel nome suo (cfr Gv 15,7.16; 16,23-24) significa fare appello al potere di Cristo risorto, credendo che egli è onnipotente e misericordioso perché è vero Dio; così come significa impetrare ciò che giova ai fini della nostra salvezza, perché Cristo Gesù è il nostro Salvatore. Pertanto le parole “qualunque cosa chiederete” sottintendono che l’oggetto delle petizioni debba essere il bene di colui che chiede. Quando il Signore non ci concede quello che gli chiediamo vuol dire che ciò non è congruo alla nostra salvezza. Di maniera che Cristo si rivela sempre Salvatore, sia che ci neghi le cose che gli chiediamo sia che ce le conceda.
 
Signore, mostraci il Padre e ci basta - Henri van den Bussche (Giovanni)Filippo, nel suo entusiasmo un po’ puerile, ha afferrato qualcosa. Si prepara una teofania, una apparizione grandiosa della divinità, simile a quelle che contemplarono un tempo Mosè sul Sinai ed Elia sull’Horeb  o Isaia nel Tempio (Is. 6). Ogni giudeo aspirava a beneficiare di questo favore divino, tuttavia non senza apprensione, perché si diceva che esso comportava un pericolo di morte. Il desiderio di questo spettacolo rende il discepolo impaziente.
Il Signore deve avere accolto questa sua preghiera scuotendo il capo. Avrebbe dunque fatto discendere il Padre dal cielo per offrir loro tale spettacolo? Nessuno ha mai veduto Dio (1,18; 6,46); anzi nessuno può vedere Dio, se non nel Cristo.
Filippo attende una manifestazione teatrale di Dio in qualche posto, sulle nubi, mentre Dio-nel-Cristo è davanti a lui. Dio non si manifesta più nel tuono e nei lampi, né appare in visioni, ormai è nell’aspetto umano del Cristo che egli si rivela, del Cristo che presto sarà circondato dallo splendore della gloria. La gloria che Isaia aveva contemplato nel Tempio era soltanto la prefigurazione lontana della rivelazione di Dio nel Figlio (Is. 6,1; Gv. 12,41). I giudei si appellano agli eroi della loro stirpe che udirono la voce di Dio e contemplarono il suo Volto, ma non ne sussiste più per essi né un’eco né un riflesso, nonostante la loro conoscenza delle Scritture, perché le rivelazioni preparatorie di Dio nell’Antico Testamento non avevano altro scopo che di condurli all’ultimo Messaggero della rivelazione divina, al Cristo (5,37-38). Tutta la rivelazione di Dio nell’Antico Testamento non ha senso se non in vista della Parola, e da quando questa Parola si è fatta carne (1,14), Dio non è più accessibile se non in Gesù. Tutti i santuari cessano dalla loro funzione, quello di Gerusalemme come quello dei Samaritani sul Garizim; uno solo sussiste, un luogo unico di incontro con Dio, nella persona del Figlio suo (4,21-24; 2,13-22). Chiunque possiede la vera pietà arriva alla Luce-Gesù (3,21), e chiunque si apre al soffio del Padre ricevendo il suo insegnamento viene a Gesù (6,45). Non esiste nessuna via di accesso al Padre all’infuori del Figlio.
E come dici tu, Filippo: mostraci il Padre? Domandando una manifestazione sensibile del Padre al di fuori di Gesù, Filippo dimostra di non aver conosciuto, di non aver compreso il Maestro. Perché vederlo, contemplarlo, è vedere in lui il, Padre, come credere in lui, è credere in colui che lo ha mandato (12,44-45). Padre e Figlio sono inseparabili: il Figlio ha la sua più profonda essenza nel Padre, e questi si nasconde dietro il Figlio, abita nel Figlio, parla e agisce attraverso il Figlio. Se Filippo non può crederlo sulla parola, creda almeno a motivo delle sue opere, dei suoi miracoli (10,25.37.38)! Quante volte Gesù lo ha dovuto ripetere! Le parole e le opere di Gesù sono le parole e le opere del Padre. La sua unità col Padre nell’agire suppone l’unità nell’essere. Se Gesù è in accordo costante col Padre, è perché è essenzialmente uno con lui.
 
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre - Benedetto Prete (Vangelo secondo Giovanni)Chi crede in me farà anch’egli le opere che io faccio; le opere indicano i « segni », cioè i miracoli; queste opere sono destinate a suscitare la fede. L’opera della rivelazione e della salvezza iniziata da Gesù sarà continuata ed ultimata dagli apostoli. E ne farà di più grandi, perché io vado al Padre; le opere che compiranno i discepoli, anche se non superano i miracoli operati da Cristo, mostreranno tutta la potenza d’espansione del regno di Dio, che raggiungerà i confini della terra (cf. Atti 1,8). Tuttavia questo successo del regno di Dio è dovuto all’andata di Gesù presso il Padre («perché io vado al Padre»). Le parole di Cristo contengono una solenne promessa: i discepoli, dopo che il Maestro sarà andato al Padre è sarà glorificato (cf. 12,32; 16,7-8), compiranno opere grandi; di conseguenza essi non devono turbarsi per l’andata di Gesù al Padre, cioè per la sua morte. Esprimendosi in tal modo il Maestro viene a dire che il suo compito di inviato del Padre è terminato.
 
Il nome di Gesù - Alice Baum: Il nome di Gesù (Mt 1,21; Lc 1,31; Fil 2,9) fu dato espressamente da Dio e viene spiegato con “egli (infatti) salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21). Il nome Gesù contiene quella che è l’affermazione decisiva del Nuovo Testamento, che cioè la separazione tra Dio e uomo è annullata e in lui giunge a compimento l’attesa dell’Antico testamento (At 10,43). Le autoasserzioni di Gesù introdotte da “io sono” (cf. Gv 6,35.51; 8,12; 10,9 ecc.) riprendono l’asserzione veterotestamentaria “Io sono JHWH” (cf. Es 3,14; Is 42,8; Ez 5,13 ecc.) e intendono presentarlo come rivelatore. Al tempo stesso vi si trova una pretesa di assolutezza (Gv 10,12.14: “buon pastore”; Gv 15,1.5: “vera vite”) che vuole affermare che senza di lui i suoi non possono vivere e che soltanto in lui c’è salvezza (At 4,12) e nel suo nome liberazione (cf. At 10,43; ICor 6,11), ma anche giudizio; chi infatti non crede nel suo nome, è giudicato (Gv 3,18) [...] Credere nel nome di Gesù (Gv 2,23) significa accettare la sua missione messianica, perché Dio ha agito in maniera prodigiosa nel suo Cristo, nella sua morte e risurrezione (cf. 1Cor 15,20ss).
I discepoli, essendo collocati nella sfera d’azione di Gesù Cristo, possono agire nel suo nome (Mt 18,5; Lc 10,17; At 3,6; 4,10 ecc.) perché egli si rende presente nel suo nome. È vocazione dei credenti glorificare in sé il nome del Signore Gesù (2Ts 1,12), per giungere così personalmente alla gloria. Chi invoca il nome di Gesù Cristo appartiene alla comunione dei santi (1Cor 1,2), e così viceversa il nome di Cristo è pronunciato su di loro (Gc 2,7) ed essi vengono chiamati secondo il suo nome (At 11,26).
 
Ugo di S. Caro (Postillae super ev. Jo., XIV): ... chi vede Me, vede anche il Padre: cioè, chi vede e conosce la mia sostanza, vede anche la sostanza del Padre, che ci fa capire che è consostanziale al Padre ... Filippo qui chiede di conoscere non la sapienza o la potenza o la bontà del Padre, che già conosceva mediante le Scritture e mediante le creature, ma la stessa sostanza del Padre. È a questa richiesta che risponde Cristo con le sue parole.
 
Il Santo del giorno - 27 Aprile 2022 - Beato Giacomo da Bitetto: Nato a Zara nel 1400 circa, lo ritroviamo giovane frate francescano nel convento di San Pietro a Bari. Visse poi a Conversano e Cassano delle Murge come cuciniere, ortolano e frate cercatore. Il frate, che aveva un’intensa vita contemplativa, si prodigò nella carità per i poveri: sia nella peste del 1483, sia nelle numerose siccità. Morto tra il 1485 e il 1490, il corpo vent’anni dopo fu trovato incorrotto. È beato dal 1700.   
 
O Padre, per la partecipazione a questo sacrificio
che il tuo Figlio ci ha comandato di offrire in sua memoria,
fa’ di tutti noi, uniti a lui,
un’offerta perenne per la tua gloria.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
 
 26 APRILE 2024
 
VENERDÌ DELLA IV SETTIMANA DI PASQUA
 
At 13,26-33; Salmo Responsoriale dal Salmo 2; Gv 14,1-6
 
Colletta
O Dio, autore della nostra libertà e della nostra salvezza,
esaudisci le preghiere di chi ti invoca,
e fa’ che i redenti dal Sangue del tuo Figlio vivano per te
e godano della beatitudine eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Gesù la via, la verità e la vita -Catechismo della Chiesa Cattolica 2614 Quando Gesù confida apertamente ai suoi discepoli il mistero della preghiera al Padre, svela ad essi quale dovrà essere la loro preghiera, e la nostra, allorquando egli, nella sua umanità glorificata, sarà tornato presso il Padre. La novità, attualmente, è di «chiedere nel suo nome ».76 La fede in lui introduce i discepoli nella conoscenza del Padre, perché Gesù è « la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). La fede porta il suo frutto nell’amore: osservare la sua parola, i suoi comandamenti, dimorare con lui nel Padre, che in lui ci ama fino a prendere dimora in noi. In questa nuova Alleanza, la certezza di essere esauditi nelle nostre suppliche è fondata sulla preghiera di Gesù.
Gesù è la porta e la via - Catechismo della Chiesa Cattolica 2609: Il cuore, deciso così a convertirsi, apprende a pregare nella fede. La fede è un’adesione filiale a Dio, al di là di ciò che sentiamo e comprendiamo. È diventata possibile perché il Figlio diletto ci apre l’accesso al Padre. Egli può chiederci di «cercare» e di «bussare», perché egli stesso è la porta e la via.
Gesù è la verità - Catechismo della Chiesa Cattolica 2466 In Gesù Cristo la verità di Dio si è manifestata interamente.
Pieno di grazia e di verità,  egli è la «luce del mondo» (Gv 8,12), egli è la verità. Chiunque crede in lui non rimane nelle tenebre. Il discepolo di Gesù rimane fedele alla sua parola, per conoscere la verità che fa liberi e che santifica. Seguire Ge ù è vivere dello Spirito di verità che il Padre manda nel suo nome e che guida «alla verità tutta intera» (Gv 16,13). Ai uoi discepoli Gesù insegna l’amore incondizionato della verità: «Sia il vostro parlare sì, sì; no, no» (Mt 5,37).
Gesù è la vita e il nostro tutto - Catechismo della Chiesa Cattolica 2697 La preghiera è la vita del cuore nuovo. Deve animarci in ogni momento. Noi, invece, dimentichiamo colui che è la nostra Vita e il nostro Tutto. Per questo i Padri della vita spirituale, nella tradizione del Deuteronomio e dei profeti, insistono sulla preghiera come «ricordo di Dio», risveglio frequente della «memoria del Cuore»: «È necessario ricordarsi di Dio più spesso di quanto si respiri». Ma non si può pregare «in ogni tempo» se non si prega in determinati momenti, volendolo: sono i tempi forti della preghiera cristiana, per intensità e durata.
 
I Lettura: Paolo è arrivato nella città di Antiochia di Pisidia, e come al solito entra nella sinagoga per annunciare il Vangelo, la Buona Novella. Gli Israeliti sono attenti a quanto viene loro annunciato. L’argomento è di capitale importanza per la fede ebraica. I toni di Paolo sono concilianti, anche se con fermezza addebita agli abitanti di Gerusalemme la morte di Gesù. Tutto era un progetto di salvezza: Gesù fu consegnato a Pilato, crocifisso e morto su una Croce, dopo tre giorni, Dio lo ha risuscitato dai morti. Questo il messaggio che Paolo affida agli Israeliti riuniti nella sinagoga di Antiochia di Pisidia. Le promesse quindi si sono compiute, Gesù è il Messia promesso e atteso, ora è il tempo di accogliere con fede il Figlio di Dio, salvatore di tutti gli uomini.
 
Vangelo
Io sono la via, la verità e la vita.
 
L’annuncio della passione cruenta di Gesù, e della sua dolorosa e umiliante morte di croce sconvolge il cuore degli apostoli. Gesù, così, cerca di stemperare con una promessa il loro cuore sconvolto: egli ritorna nella casa del Padre per preparare un posto ai suoi amici (Gv 15,15), e questa verità è un invito ad avere fede e fiducia in un suo  prossimo ritorno: egli presto tornerà per portare anche i discepoli nella casa del Padre.
Gesù dopo aver descritto la meta presenta se stesso come via per giungervi: “E del luogo dove io vado, voi conoscete la via” (v. 4). Ma Tommaso candidamente confessa di non conoscerla. A questa confessione segue un ricchissima e pregnante rivelazione: “Io sono la via, la verità e la vita” (v. 6).
Verità: solo attraverso Gesù il Padre si rivela; vita: solo attraverso Gesù il Padre dona la vita; via: Solo Gesù è l’unica via per conoscere il Padre, ed avere la vita.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 14,1-6
 
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: Vado a prepararvi un posto? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».
 
Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me - Ai discepoli turbati, Gesù rivela di essere il Figlio di Dio, uguale al Padre e invita i discepoli ad avere fede in lui.
Non sia turbato il vostro cuore: la passione è imminente, Gesù ha preconizzato il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro; l’atmosfera è satura di tristezza, di domande alle quali i discepoli non sanno dare risposte convincenti, si avverte un futuro prossimo gravido di dolore e di angoscia, si respira un clima di attesa e di stupore. Le parole di Gesù ricordano le parole che Mosè, prima di morire, rivolse agli israeliti nel momento di entrare nella Terra promessa: non spaventatevi e non abbiate paura dei nemici (Dt 1,29). Qui il nemico è il mondo sottomesso a Satana (Cf. Gv 13,27; 16,33).
Nell’espressione Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me (Credete in Dio, e credete anche in me), tra le traduzioni possibili, i due verbi (credere) possono essere tradotti con il presente indicativo: Voi credete (già) in Dio e credete anche in me.
Se così è, Gesù vuol dire ai suoi amici (Cf. Gv 15,15): voi già avete la fede, dovete semplicemente continuare a credere, non fermatevi davanti a quanto vi ho preannunziato (i due tradimenti e la sua morte) e a quelli che sto per svelarvi. Per Giovanni «la fede in Dio e in Gesù è una sola: se si scuote la fede in Dio, cede anche quella in Gesù. I discepoli sono invitati a continuare a tenersi saldi al Padre di Gesù. Gesù torna presso di Lui per preparare loro un posto» (Gianfranco Nolli).
Vado a prepararvi un posto: Gesù non si discosta dal linguaggio comune dei suoi conterranei. Gli ebrei credono che in cielo vi siano le dimore dei giusti (Cf. Lc 16,9; Mc 10,40).
Gesù fa due promesse agli Apostoli: quella di preparare loro un posto nella casa del Padre e quella di ritornare per prenderli per sempre con lui. Anche questa promessa può avere diverse traduzioni: Gesù ritornerà alla morte di ogni singolo apostolo, giorno in cui ciascuno sarà accolto dal Signore e introdotto nella visione di Dio; oppure alla fine dei tempi (sarebbe un raro richiamo alla parusia [Cf. Gv 2, 28]); oppure dopo la morte, con la risurrezione. Probabilmente tutti e tre questi significati sono contemporaneamente presenti, secondo lo stile pregnante del quarto evangelista. Ma al di là del significato, Gesù sta assicurando ai suoi discepoli che sarà con loro e rimarrà ad essi unito «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Una promessa che si realizza nella Chiesa e soprattutto nel cuore di chi si apre a Lui, per mezzo della fede.
Voi conoscete la via: alla perplessità di Tommaso, Gesù si proclama la via, cioè l’unico mediatore per giungere al Padre. Non si può incontrare Dio e vivere in comunione con lui se non per mezzo di Gesù, in quanto è il Rivelatore definitivo che dona la vita per la salvezza del mondo.
Io sono via, la verità e la vita. Queste parola hanno valore epesegetico: come ci suggerisce Ignace de la Potterie il senso della dichiarazione di Gesù è «Io sono la via, perché sono la verità e quindi anche la vita». Gesù è la via, «cioè il mediatore verso il Padre, perché ne è la rivelazione totale, l’epifania del suo amore salvifico [aletheia = verità]», ed è la vita in quanto «comunica ai credenti la vita stessa del Padre, di cui è in pieno possesso» (A. Poppi).
Tommaso, l’apostolo incredulo (Gv 20,27), dice di non conoscere la via della verità e della vita pur avendola davanti. I sensi sono inutili, occorre mettere in campo la fede: bisogna «conoscere che Gesù è l’Unigenito del Padre per riconoscere che Dio è il Padre che ci ama [Gv 3,14]» (Bibbia di Gerusalemme).
 
Io sono la via, la verità e la vita - Bruno Maggioni (Il Vangelo di Giovanni): Come intendere con precisione l’ardita affermazione di Cristo? A prima vista sembrerebbe di intenderla così: Gesù è la strada che conduce alla verità e alla vita. Ma la seconda parte dell’affermazione (Nessuno viene dal Padre se non per mezzo mio), parallela alla prima, ci convince che il peso dell’affermazione cade sulla via, non sulla vita e sulla verità. La vita e la verità non sono tanto la meta a cui Gesù conduce, sono piuttosto la ragione che gli permette di proclamarsi la via. In altre parole: io sono la via perché sono la verità e la vita: Ci piace insistere sul motivo di Gesù verità, che è la ragione per cui può proporsi come via. Fin dal prologo (1,14.17) Giovanni ha indicato un rapporto molto stretto tra verità e Gesù. Il c. 8 (in particolare i vv. 31-32) ha mostrato la connessione fra verità e parola (che è la parola di Gesù). In nessun altro passo però troviamo un’affermazione altrettanto esplicita: io sono la verità.
Si noti. Non: io dico la verità, le mie parole sono vere, e simili. Ma: io sono la verità. Come si può affermare questo? Qual è il concetto giovanneo di verità?.
La verità di Giovanni è diversa dalla concezione greca, per la quale la verità è l’essenza dell’essere che si svela e si lascia contemplare. È diversa dalla concezione del dualismo ellenistico-gnostico, per la quale la verità è la realtà del divino che si raggiunge fuggendo dalla nostra storia. La verità è invece per Giovanni il disegno salvifico di Dio che si è svelato (è divenuto) nel Gesù storico.
Più precisamente la verità è il movimento di comunione che unisce il Padre e il Figlio: di questa comunione Gesù è la trasparenza, la manifestazione piena e concreta, raggiungibile. Non è dunque solo una verità da conoscere, ma da accogliere e costruire. È da cercare con la fede, da ascoltare, non da conquistare. Parte dalla iniziativa divina. L’uomo non può attenerla attraverso un semplice sforzo razionale, e nemmeno attraverso uno sforzo ascetico: può attenerla soltanto attraverso l’umiltà della fede, rinunciando alle orgogliose affermazioni del suo io. E non va cercata altrove, ma solo nella conoscenza e nell’incontro con Gesù .
 
Ruperto di Deutz (In Jo. ev., Xl): Io sono la Via, la Verità e la Vita ... : poiché nessuno cammina rettamente se non credendo in Me: sono la Via; e poiché nessuno è veritiero se non confidando in Me: sono la Verità; e poiché nessuno vive se non avendo Me: sono la Vita. Inoltre nessuno ha il Padre se non colui che ha Me; nessuno vede il Padre se non colui che vede Me.
 
Il Santo del Giorno - 26 Aprile 2024 - San Cleto (Anacleto) Papa: Terzo papa dopo Pietro e Lino, Anacleto ebbe un singolare destino: sdoppiato in due persone distinte, Cleto e Anacleto, aveva due feste diverse nel Martirologio Romano, una quella odierna, l’altra il 13 luglio. L’errore sembra sia dovuto a un antico copista che stilando una lista dei papi inserì entrambi i nomi. Cleto in realtà è solo un abbreviativo. Studi moderni, poi, hanno chiarito l’equivoco. Sulla base degli studi del Duchesne, infatti, l’orientamento attuale è che Anacleto e Cleto siano una sola persona: perciò la Congregazione dei riti nel 1960 abolì la festa del 13 luglio, lasciando solo quella del 26 aprile. Pochi i dati biografici di questo pontefice ... Di origine ateniese, fu papa dal 79 al 90, e si rese benemerito per aver edificato una «memoria», un sepolcro a san Pietro, presso il quale fu poi sepolto egli stesso. Altro personaggio con cui in passato si è confuso Anacleto è anche Marcellino, che però fu papa quasi due secoli più tardi e il cui martirio sembra fu aggiunto per motivi apologetici. (Avvenire)
 
Dopo la comunione
O Padre, che ci hai nutriti
con il Corpo e il Sangue del tuo Figlio,
prezzo del nostro riscatto,
concedi a noi di cooperare, nella libertà e nella concordia,
al tuo regno di giustizia e di pace.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 GIOVEDÌ 25 APRILE 2024
 
SAN MARCO, EVANGELISTA - FESTA
 
1 Pt  5,5b-14; Salmo Responsoriale dal Salmo 88 (89); Mc 16,15-20
 
Colletta
O Dio,
che hai glorificato il tuo evangelista Marco
con il dono della predicazione del Vangelo,
concedi a noi di imparare dal suo insegnamento
a seguire fedelmente le orme di Cristo.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
Partirono e predicarono dappertutto...: Lumen gentium 19: Il Signore Gesù, dopo aver pregato il Padre, chiamò a sé quelli che egli volle, e ne costituì dodici perché stessero con lui e per mandarli a predicare il regno di Dio (cfr. Mc 3,13-19; Mt 10,1-42); ne fece i suoi apostoli (cfr. Lc 6,13) dando loro la forma di collegio, cioè di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro (cfr. Gv 21,15-17). Li mandò prima ai figli d’Israele e poi a tutte le genti (cfr. Rm 1,16) affinché, partecipi del suo potere, rendessero tutti i popoli suoi discepoli, li santificassero e governassero (cfr. Mt 28,16-20; Mc 16,15; Lc 24,45-48), diffondendo così la Chiesa e, sotto la guida del Signore, ne fossero i ministri e i pastori, tutti i giorni sino alla fine del mondo (cfr. Mt 28,20). In questa missione furono pienamente confermati il giorno di Pentecoste (cfr. Atti 2,1-36) secondo la promessa del Signore: «Riceverete una forza, quella dello Spirito Santo che discenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria, e sino alle estremità della terra» (Atti 1,8). Gli apostoli, quindi, predicando dovunque il Vangelo (cfr. Mc 16,20), accolto dagli uditori grazie all’azione dello Spirito Santo, radunano la Chiesa universale che il Signore ha fondato su di essi e edificato sul beato Pietro, loro capo, con Gesù Cristo stesso come pietra maestra angolare (cfr. Ap 21,14; Mt 16,18; Ef 2,20).
 
I Lettura: Pietro nel chiudere la lettera, oltre a raccomandare l’umiltà, fondamento  di ogni virtù, suggerisce ai suoi lettori di resistere saldi nella fede, portando nel cuore la certezza che Dio, nell’amorevole sua paternità, non abbandona mai ai suoi figli. Per sopportare i tempi calamitosi che assediano la Chiesa, oltre alla vigilanza occorre irrobustire la fede che è forza preponderante nella lotta contro Satana e il mondo e, allo stesso tempo, garanzia della vittoria.
 
Vangelo
Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo.
 
San Marco ha evangelizzato la Buona Novella con la parola, così come testimonia il Libro degli Atti degli Apostoli, ed ha avuto premura di tramandare gli insegnamenti di Cristo attingendo dalla predicazione di Simon Pietro di cui è considerato dalla maggioranza degli studiosi come il suo stenografo.
San Marco è “il creatore di un nuovo genere letterario, l’inventore del «Vangelo» nel senso che questo termine, che esprimeva nel cristianesimo delle origini la predicazione orale su Gesù e particolarmente sulla sua passione e morte, diventa comprensivo di tutta la realtà e vicenda storica di Gesù, nel suo cammino dalla Galilea a Gerusalemme. Il Vangelo dunque diventa non tanto una semplice dottrina da proclamare, un messaggio, ma un evento che si attualizza e continua, in certo modo, nella sua proclamazione perché è nato da un’esperienza missionaria” (Enzo Lodi).
Il cuore del Vangelo di Marco è la proclamazione di Gesù come Figlio di Dio, rivelato dal Padre, riconosciuto perfino dai demoni, rifiutato e contraddetto dalle folle, dai capi, dai discepoli. Infine, momento culminante del suo Vangelo, è la professione del centurione romano pagano ai piedi di Gesù crocifisso: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!», è la piena definizione della realtà di Gesù e la meta cui deve giungere anche il discepolo.
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 16,15-20
 
In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Parola del Signore.
 
Andate in tutto il mondo - José Maria Gonzáles-Ruiz (Commento della Bibbia Liturgica): L’invio solenne dei discepoli contiene alcuni particolari molto vicini al linguaggio di Paolo. Infatti, Matteo dice semplicemente: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20). Il testo che commentiamo parla invece di «tutto il mondo» come Rm 1,8 e di «ogni creatura» come Col 1,23.
La minaccia contro gl’increduli deve essere intesa nel suo contesto. Effettivamente, non è detto che colui che non si fa battezzare sia condannato, ma solo che saranno condannati coloro che rifiutano di credere (apistein). Qui si pensa evidentemente a un atteggiamento di ostinazione colpevole di fronte alla proposta della fede, e non accenna ai «non credenti» nel senso moderno della parola.
L’ambiente carismatico, riflesso nel testo, fa pensare a una comunità molto più primitiva e molto meno istituzionalizzata di quella che scorgiamo nel vangelo di Matteo. Qui, infatti, si parla di ammaestrare, e più propriamente «fare discepoli», di battezzare secondo un determinato rito liturgico, di fare osservare i comandamenti di Gesù. Questo significa che anche l’aggiunta finale del secondo vangelo appartiene a uno stadio primitivo delle comunità cristiane, e corrisponde molto bene alla condizione storica, psicologica, ecc. d’una comunità giudeo-cristiana ellenista di Cesarea negli anni 50 della nostra era.
Come in Lc 24,51, Gesù sale al cielo immediatamente dopo aver impartito ai discepoli le istruzioni finali. E per descrivere questo avvenimento, si usano espressioni dell’Antico Testamento prese dalla storia di Elia (2Re 2,11) e dal salmo.
Le apparizioni in Galilea (Mt 28,16) non hanno più posto in questa tradizione; l’attività missionaria dei discepoli con il Signore che «operava insieme con loro» costituisce la vera e propria conclusione del vangelo. La comunità deve avere i suoi responsabili, che non saranno però mai un surrogato del Signore il quale, risuscitato, continua a essere presente in mezzo ai suoi.
 
Gli inviati del Figlio - Joseph Pierron e Pierre Grelot (Missione in Dizionario di Teologia Biblica): 1. La missione di Gesù si prolunga con quella dei suoi inviati, i Dodici, che per questo stesso motivo portano il nome di apostoli.
Già durante la sua vita Gesù li manda innanzi a sé (cfr. Lc 10,1) a predicare il vangelo ed a guarire (Lc 9,1s par.), il che costituisce l’oggetto della sua missione personale.
Essi sono gli operai mandati dal padrone alla messe (Mt 9,38 par.; cfr. Gv 4,38); sono i servi mandati dal re per condurre gli invitati alle nozze del figlio suo (Mt 22,3 par.). Non devono farsi nessuna illusione sul destino che li attende: l’inviato non è maggiore di colui che lo manda (Gv 13,16): come hanno trattato il padrone, così tratteranno i servi (Mt 10,24s). Gesù li manda «come pecore in mezzo ai lupi» (10,16 par.). Egli sa che la «generazione perversa» perseguiterà i suoi inviati e li metterà a morte (23,34 par.). Ma ciò che sarà fatto loro, sarà fatto a lui stesso, e in definitiva al Padre: «Chi ascolta voi, ascolta me, chi rigetta voi, rigetta me, e chi rigetta me, rigetta colui che mi ha mandato » (Lc 10,16); «Chi accoglie voi, accoglie me, e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato» (Gv 13,20). Di fatto la missione degli apostoli si collega nel modo più stretto a quella di Gesù: «Come il Padre ha mandato me, così io mando voi» (20,21). Questa frase illumina il senso profondo dell’invio finale dei Dodici in occasione delle apparizioni di Cristo risorto: «Andate ...». Essi andranno dunque ad annunziare il vangelo (Mc 16,15), a reclutare discepoli di tutte le nazioni (Mt 28,19), a portare dovunque la loro testimonianza (Atti 1,8). Cosi la missione del Figlio raggiungerà effettivamente tutti gli uomini, grazie alla missione dei suoi apostoli e della sua Chiesa.
2. Questo appunto intende il libro degli Atti quando racconta la vocazione di Paolo. Riprendendo i termini classici delle vocazioni profetiche, Cristo risorto dice al suo strumento eletto: «Va’ perché io ti invierò lontano presso i pagani» (Atti 22, 21); e questa missione ai pagani si inserisce nella linea esatta di quella del servo di Jahve (Atti 26,17; cfr. Is 42,7.16). Infatti il servo è venuto nella persona di Gesù, e gli inviati di Gesù portano a tutte le nazioni il messaggio di salvezza che egli personalmente aveva notificato soltanto alle «pecore perdute della casa di Israele» (Mt 15,24).
Di questa missione, ricevuta sulla strada di Damasco, Paolo si farà sempre forte per giustificare il suo titolo di apostolo (1Cor 15,8 s, Gal 1,12). Sicuro della sua estensione universale, egli porterà il vangelo ai pagani per ottenere da essi l’obbedienza della fede (Rom 1,5) e magnificherà la missione di tutti i messaggeri del vangelo
(10,14s): non è forse grazie ad essa che nasce nel cuore degli uomini la fede nella parola di Cristo (10,17)? Al di là della missione personale degli apostoli, tutta la Chiesa nella sua funzione missionaria si ricollega in tal modo alla missione del Figlio.
 
Andate! - Benedetto XVI (Messaggio XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù 2013): Gesù ha inviato i suoi discepoli in missione con questo mandato: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato» (Mc 16,15-16). Evangelizzare significa portare ad altri la Buona Notizia della salvezza e questa Buona Notizia è una persona: Gesù Cristo. Quando lo incontro, quando scopro fino a che punto sono amato da Dio e salvato da Lui, nasce in me non solo il desiderio, ma la necessità di farlo conoscere ad altri. All’inizio del Vangelo di Giovanni vediamo Andrea il quale, dopo aver incontrato Gesù, si affretta a condurre da Lui suo fratello Simone (cfr 1,40-42). L’evangelizzazione parte sempre dall’incontro con il Signore Gesù: chi si è avvicinato a Lui e ha fatto esperienza del suo amore vuole subito condividere la bellezza di questo incontro e la gioia che nasce da questa amicizia. Più conosciamo Cristo, più desideriamo annunciarlo. Più parliamo con Lui, più desideriamo parlare di Lui. Più ne siamo conquistati, più desideriamo condurre gli altri a Lui.
Mediante il Battesimo, che ci genera a vita nuova, lo Spirito Santo prende dimora in noi e infiamma la nostra mente e il nostro cuore: è Lui che ci guida a conoscere Dio e ad entrare in amicizia sempre più profonda con Cristo; è lo Spirito che ci spinge a fare il bene, a servire gli altri, a donare noi stessi. Attraverso la Confermazione, poi, siamo fortificati dai suoi doni per testimoniare in modo sempre più maturo il Vangelo. È dunque lo Spirito d’amore l’anima della missione: ci spinge ad uscire da noi stessi, per «andare» ed evangelizzare. Cari giovani, lasciatevi condurre dalla forza dell’amore di Dio, lasciate che questo amore vinca la tendenza a chiudersi nel proprio mondo, nei propri problemi, nelle proprie abitudini; abbiate il coraggio di «partire» da voi stessi per «andare» verso gli altri e guidarli all’incontro con Dio.
 
Il Battesimo e la fede: «Il Battesimo non è necessario a coloro ai quali basta la fede: Abramo, infatti, piacque a Dio per la sua fede, pur non avendo ricevuto il Battesimo. Ma sempre ciò che vien dopo porta a compimento e ha il sopravvento su quanto precede. Prima della passione e della risurrezione del Signore c’era salvezza grazie alla pura fede: ma dal momento che la fede per i credenti è stata rafforzata con la nascita, la passione e la risurrezione di Cristo, su di essa, resa più forte, è stato apposto il suggello del Battesimo, quasi abito della fede, che prima era nuda, ma non poteva più restare senza una sua legge. La legge del Battesimo è stata data e dettata in questi termini: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” [Mt 28,19]. Inoltre sta scritto: “Se uno non nasce da acqua e da Spirito non può entrare nel regno dei cieli” [Gv 3,5]; e ciò vuol dire che la fede deve essere necessariamente suggellata dal Battesimo. Perciò tutti i credenti vengono battezzati» (Tertulliano, De baptismo 13 1-3).
 
Il Santo del Giorno - 25 Aprile 2024 - San Marco, Evangelista. Nel suo Vangelo il «ritratto» di Gesù: Chi è questo Gesù Cristo che ci parla di vita eterna, guarisce le nostre ferite, ci chiede di amare il nostro prossimo e infine vince la morte risorgendo? Era per rispondere a questa domanda che fu scritto il Vangelo di Marco, rivolto probabilmente a fedeli provenienti dal paganesimo. Gesù era il Messia, il Figlio di Dio, e per questo ciò che lui compie e annuncia ha un valore universale, in grado di cambiare la storia. Secondo molti studiosi quello di san Marco fu il primo Vangelo a essere scritto, forse attorno all’anno 65 o al 70 a Roma, anche se l’identità dell’autore non è così certa. Secondo la tradizione si trattava del nipote di Barnaba, Marco appunto, che fu uno stretto collaboratore sia di san Pietro che di san Paolo. Di origine ebrea, nato forse in Palestina o a Cipro, dopo la morte di Pietro non si hanno più sue notizie. La Chiesa orientale lo identifica con il fondatore della Chiesa di Alessandria d’Egitto, dove sarebbe morto, forse martire. Le sue reliquie, poi, sarebbero giunte a Venezia nell’anno 828. (Matteo Liut)
 
Il dono ricevuto dal tuo santo altare
ci santifichi, Dio onnipotente,
e ci renda forti nell’adesione al Vangelo
che san Marco ha predicato.
Per Cristo nostro Signore. 
 
 

 
 

 24 Aprile 2024
 
MERCOLEDÌ DELLA IV SETTIMANA DI PASQUA
 
At 12,24-13,5; Salmo Responsoriale dal Sal 66 (67); Gv 12, 44-50
 
Colletta
O Dio, vita dei tuoi fedeli,
gloria degli umili, beatitudine dei giusti,
ascolta con bontà le preghiere del tuo popolo,
perché coloro che hanno sete dei beni da te promessi
siano sempre ricolmati dell’abbondanza dei tuoi doni.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Ha chi lo condanna: Catechismo della Chiesa Cattolica 679: Cristo è Signore della vita eterna. Il pieno diritto di giudicare definitivamente le opere e i cuori degli uomini appartiene a lui in quanto Redentore del mondo. Egli ha “acquisito” questo diritto con la sua croce. Anche il Padre “ha rimesso ogni giudizio al Figlio” (Gv 5,22). Ora, il Figlio non è venuto per giudicare, ma per salvare e per donare la vita che è in lui. È per il rifiuto della grazia nella vita presente che ognuno si giudica già da se stesso, riceve secondo le sue opere e può anche condannarsi per l’eternità rifiutando lo Spirito d’amore.
Il Giudizio finale: Catechismo della Chiesa Cattolica 1038 La risurrezione di tutti i morti, “dei giusti e degli ingiusti” (At 24,15), precederà il Giudizio finale. Sarà “l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce [del Figlio dell’Uomo] e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna” (Gv 5,28-29). Allora Cristo “verrà nella sua gloria, con tutti i suoi angeli. . . E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra… E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna” ( Mt 25,31.32.46).
1039 Davanti a Cristo che è la Verità sarà definitivamente messa a nudo la verità sul rapporto di ogni uomo con Dio. Il Giudizio finale manifesterà, fino alle sue ultime conseguenze, il bene che ognuno avrà compiuto o avrà omesso di compiere durante la sua vita terrena.
1041 II messaggio del giudizio finale chiama alla conversione fin tanto che Dio dona agli uomini «il momento favorevole, il giorno della salvezza» (2Cor 6,2). Ispira il santo timor di Dio. Impegna per la giustizia del regno di Dio. Annunzia la «beata speranza» (Tt 2,13) del ritorno del Signore il quale «verrà per essere glorificato nei suoi santi ed essere riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto» (2 Ts l,10).
 
I Lettura: Inizia l’avventura di Paolo come apostolo e banditore del Vangelo di Cristo. Riservate per me Barnaba e Saulo per l’opera per la quale li ho chiamati, questo significa che l’iniziativa risale a Dio, ma anche alla Chiesa, infatti il mandato apostolico è bene espresso dalle imposizioni delle mani.
 
Vangelo
Io sono venuto nel mondo come luce.
 
Il dodicesimo capitolo del vangelo di Giovanni termina con l’ultimo discorso di Gesù sulla sua identità e il suo rapporto con il Padre. Tra il Padre e Gesù il legame è così profondo che vedere Gesù è vedere il Padre, e chi crede in Gesù crede in colui che lo ha mandato. Gesù è venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in lui non rimanga nelle tenebre: in questa ottica si comprende allora la radicalità del giudizio, il rifiuto di Gesù è un rigetto di Dio stesso, il rifiuto di Gesù è un precipitare nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti (Mt 22,13; 25,30).
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 12, 44-50
 
In quel tempo, Gesù esclamò: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre.
Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.
Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».
 
Parola del Signore.
 
Il tema della luce è molto caro alla sacra Scrittura. L’essere di Dio è luce, in contrasto con l’essere umano che è tenebra. La Parola, l’insegnamento sono luce (cfr. Sal 119,5; Pr 6,23). Possiamo ricordare ancora l’invito rivolto a Israele: «Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,5). In Is 42,6 e 49,6 Israele è chiamato «luce delle nazioni». Nel giudaismo l’immagine della luce «veniva riferita volentieri alla Legge o al Tempio, come anche ad eminenti personalità religiose. Qui si vuole insinuare che questa prerogativa passa al nuovo popolo di Dio» (Angelo Lancillotti). Per i cristiani convertirsi dalle tenebre alla luce (Atti 26,18) per credere alla luce (Gv 12,36) è un imperativo improrogabile, così è un impegno fruttuoso quello di far risplendere la propria luce davanti agli uomini, perché vedano le loro opere buone e rendano gloria al Padre che è nei cieli. Essere luce della terra, ovvero camminare come figli della luce (Ef 5,9), è un servizio di alto valore costruttivo, rivolto a tutto il consorzio umano unicamente per la gloria Dio e non per amore di trionfalismo o per accaparrarsi i primi posti nella Chiesa e in mezzo agli uomini. Se vogliamo fare un inventario del come essere luce del mondo, possiamo dire che si è luce quando si spezza il pane con l’affamato;  quando si apre la casa e il cuore ai senza tetto, ai bisognosi, ai miseri; quando tra le pareti della propria casa domestica si è facitori di pace, di comunione; quando il cuore si apre alla grazia; quando si smette di tranciare giudizi, di condannare, di pettegolare, di ordire trame, di impastare la vita con la menzogna, la disonestà; quando si smette di parlare sporco, di usare parole equivoche, quando si smette di essere abili nel dire e nel non dire, nel dire sì e pensare no; quando si è onesti nell’andare al cuore del messaggio evangelico: “Gesù Cristo, e questi crocifisso”; quando si fonda la fede non “sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio”. Sono praticamente le buone opere che devono essere viste dagli uomini e che illuminano il mondo.
 
Io sono venuto nel mondo come luce - Cristo luce del mondo - André Feuillet e Pierre Grelot: 1. Compimento della promessa. - Nel NT la luce escatologica promessa dai profeti è diventata realtà: quando Gesù incomincia a predicare in Galilea, si compie l’oracolo di Is 9,1 (Mt 4,16). Quando risorge secondo le profezie, si è per «annunziare la luce al popolo ed alle nazioni pagane» (Atti 26,23).
Perciò i cantici conservati da Luca salutano in lui sin dall’infanzia il sole nascente che deve illuminare coloro che stanno nelle tenebre (Lc 1,78 s; cfr. Mal 3,20; Is 9,1; 42,7), la luce che deve illuminare le nazioni (Lc 2,32; cfr. Is 42,6; 49,6). La vocazione di Paolo, annunziatore del vangelo ai pagani, si inserirà nella linea degli stessi testi profetici (Atti 13,47; 26, 18).
2. Cristo rivelato come luce. - Tuttavia vediamo che Gesù si rivela come luce del mondo soprattutto con i suoi atti e le sue parole.
Le guarigioni di ciechi (cfr. Mc 8,22-26) hanno in proposito un significato particolare, come sottolinea Giovanni riferendo l’episodio del cieco nato (Gv 9). Gesù allora dichiara: «Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo» (9,5). Altrove commenta: «Chi mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (8, 12); «Io, la luce, sono venuto nel mondo affinché chiunque crede in me non cammini nelle tenebre» (12,46). La sua azione illuminatrice deriva da ciò che egli è in se stesso: la parola stessa di Dio, vita e luce degli uomini, luce vera che illumina ogni uomo venendo in questo mondo (1,4.9). Quindi il dramma che si intreccia attorno a lui è un affrontarsi della luce e delle tenebre: la luce brilla nelle tenebre (1,4), ed il mondo malvagio si sforza di spegnerla, perché gli uomini preferiscono le tenebre alla luce quando le loro opere sono malvagie (3,19). Infine, al momento della passione, quando Giuda esce dal cenacolo per tradire Gesù, Giovanni nota intenzionalmente: «Era notte» (13,30); e Gesù, al momento del suo arresto, dichiara: «È l’ora vostra, ed il potere delle tenebre» (Lc 22,53).
3. Cristo trasfigurato. - Finché Gesù visse quaggiù, la luce divina che egli portava in sé rimase velata sotto l’umiltà della carne. C’è tuttavia una circostanza in cui essa divenne percepibile a testimoni privilegiati, in una visione eccezionale: la trasfigurazione.
Quel volto risplendente, quelle vesti abbaglianti come la luce (Mr 17,2 par.), non appartengono più alla condizione mortale degli uomini: sono un’anticipazione dello stato di Cristo risorto, che apparirà a Paolo in una luce radiosa (Atti 9,3; 22,6; 26,13); provengono dal simbolismo proprio delle teofanie del VT. Di fatto la luce che risplendette sulla faccia di Cristo è quella della gloria di Dio stesso (cfr. 2Cor 4,6): in qualità di Figlio di Dio egli è «lo splendore della sua gloria» (Ebr 1,3). Così, attraverso Cristo-luce, si rivela qualcosa della essenza divina. Non soltanto Dio «dimora in una luce inaccessibile» (1Tim 6,16); non soltanto lo si può chiamare «il Padre degli astri» (Giac 1,5), ma, come spiega S. Giovanni, «egli stesso è luce, ed in lui non ci sono tenebre» (1Gv 1,5). Per questo tutto ciò che è luce proviene da lui, dalla creazione della luce fisica nel primo giorno (cfr. Gv l, 4) fino alla illuminazione dei nostri cuori ad opera della luce di Cristo (2 Cor 4,6). E tutto ciò che rimane estraneo a questa luce appartiene al dominio delle tenebre: tenebre della notre, tenebre dello sheol e della morte, tenebre di Satana.
 
Tommaso d’Aquino: In Jo. ev. exp ., XII: Chi crede in Me, non crede in Me, ma in Colui che mi ha inviato: frase questa che sembra contraddittoria, perché dice: Chi crede in Me, non crede in Me. Per comprenderla bisogna notare, con Agostino, che il Signore disse così per distinguere in se stesso la natura divina dalla natura umana. Poiché oggetto della fede è Dio, noi possiamo credere nell’esistenza di una creatura, però non dobbiamo credere nella creatura, ma solo in Dio. Ora, in Gesù Cristo c’era una natura creata e una natura increata. Quindi la verità della fede esige che la nostra fede tenda a Cristo quanto alla sua natura increata; e per questo egli afferma: Chi crede in Me, ossia nella mia Persona, non crede in Me in quanto uomo, ma in Colui che mi ha inviato, cioè crede in Me in quanto Inviato dal Padre. Analogamente sopra (Gv. 7,16) aveva detto: La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha inviato.
 
Il Santo del giorno - 24 Aprile 2023 - San Benedetto Menni, Sacerdote - Benedetto Menni al secolo Angelo Ercole è stato il restauratore dell’ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio (Fatebenefratelli) in Spagna, nonché il fondatore nel 1881 delle Suore ospedaliere del Sacro Cuore, particolarmente dedite all’assistenza dei malati psichiatrici. Nato nel 1841, lasciò il posto in banca per dedicarsi, come barelliere, ai feriti della battaglia di Magenta. Entrato tra i Fatebenefratelli, fu inviato a soli 26 anni in Spagna con l’improbo compito di far rinascere l’Ordine, che era stato soppresso. Ci riuscì tra mille difficoltà – tra cui un processo per presunti abusi a una malata di mente, concluso con la condanna dei calunniatori – e in 19 anni da provinciale fondò 15 opere.
Su suo impulso la famiglia religiosa rinacque anche in Portogallo e Messico. Fu poi visitatore apostolico dell’Ordine e anche superiore generale. Morì a Dinan in Francia nel 1914, ma riposa a Ciempozuelos, nella sua Spagna. È santo dal 1999. (Avvenire)
 
O Dio, salvezza eterna di chi crede in te,
fa’ che, confortati da questo sacramento pasquale,
giungiamo senza timore alla luce della tua casa.
Per Cristo nostro Signore.