27 Gennaio 2021
MERCOLEdÌ III SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)
Eb 10,11-18; Sal 109; Mc 4,1-20
Il Santo del Giorno - Sant’Angela Merici - Dal Martirologio: Sant’Angela Merici, vergine, che dapprima prese l’abito del Terz’Ordine di San Francesco e radunò delle giovani da formare alle opere di carità; quindi, istituì sotto il nome di sant’Orsola un Ordine femminile, cui affidò il compito di cercare la perfezione di vita nel mondo e di educare le adolescenti nelle vie del Signore; infine, a Brescia rese l’anima a Dio.
Colletta: Dio onnipotente ed eterno, guida le nostre azioni secondo la tua volontà, perché nel nome del tuo diletto Figlio portiamo frutti generosi di opere buone. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
I generi letterari - Dei Verbum 12: Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l’interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole. Per ricavare l’intenzione degli agiografi, si deve tener conto fra l’altro anche dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa in testi in vario modo storici, o profetici, o poetici, o anche in altri generi di espressione. È necessario dunque che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso. Per comprendere infatti in maniera esatta ciò che l’autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell’agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei rapporti umani.
La parabola del seminatore può essere divisa in due parti: nella prima parte vi è il racconto della semina del seme che cade ora lungo la strada, oppure sul terreno sassoso, o tra i rovi, e infine, altre parti cadono sul terreno buono; nella seconda parte v’è la spiegazione della parabola. Il seme è la Parola che ha una forza intrinseca (Is 55,10-11), ma la sua maturazione è determinata anche dal terreno e dalla azione degli eterni nemici della Parola. I diversi terreni sono gli uditori, la loro capacità e disponibilità nell’accogliere la Parola, mentre gli operatori che tendono a neutralizzare la Parola sono Satana, la tribolazione o la persecuzione a causa della Parola, le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, che soffocano la Parola. L’insegnamento della Parabola sta nell’invito a farsi terreno buono per portare frutto: ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre (Gc,1,17), ma “Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te” (Sant’Agostino, Sermo CLXIX,13).
Dal Vangelo secondo Marco 4,1-20: In quel tempo, Gesù cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva. Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: «Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno». E diceva: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!». Quando poi furono da soli, quelli che erano intorno a lui insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli diceva loro: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato». E disse loro: «Non capite questa parabola, e come potrete comprendere tutte le parabole? Il seminatore semina la Parola. Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la Parola, ma, quando l’ascoltano, subito viene Satana e porta via la Parola seminata in loro. Quelli seminati sul terreno sassoso sono coloro che, quando ascoltano la Parola, subito l’accolgono con gioia, ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della Parola, subito vengono meno. Altri sono quelli seminati tra i rovi: questi sono coloro che hanno ascoltato la Parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto. Altri ancora sono quelli seminati sul terreno buono: sono coloro che ascoltano la Parola, l’accolgono e portano frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno».
La parabola del seminatore - Jacques Hervieux (Vangelo di Marco): Lo scenario in cui l’episodio si svolge è già noto (v. 1a): la riva del lago, la gran folla, la barca sulla quale Gesù si siede per allontanarsi dalla riva (2,13; 3,7-9); tutto ciò conferisce al quadro una certa solennità. È da seduto nella barca che Gesù insegna, come i rabbini nella sinagoga (v. 1c). La folla radunata a terra sembra trovarsi in una situazione di ascolto favorevole: ciò nonostante, Gesù incomincia invitandola a prestare particolare attenzione alla sua parola (v. 3a) e conclude il suo insegnamento con quest’espressione sorprendente: «Chi ha orecchi da intendere, intenda!» (v. 9). Perché questo duplice richiamo a una particolare attenzione? Il fatto è che, per la prima volta, egli si rivolge al suo uditorio «per mezzo di parabole» (v. 2a). Nella sua forma più semplice, la parabola è una storia tratta dalla natura a dalla vita di tutti i giorni: grazie al suo carattere singolare, è fatta per colpi l’ascoltatore e obbligarlo a riflettere su ciò che attraverso le immagini è effettivamente proposto. Ne abbiamo qui un primo esempio: il seminatore che si reca a seminare (v. 3b). La storia richiama subito l’attenzione del lettore sui diversi tipi di terreno e sulla loro resa (vv. 4-7). Ecco allora tre casi di situazioni sfavorevoli: il sentiero (v. 4), il suolo roccioso (v. 5), le spine (v. 7), sono, per diversi motivi, improduttivi. Ma quando il seme cade su terreno favorevole, produce frutti straordinari: i numeri 30, 60,100 indicano una progressione stupefacente (v. 8).
La parola opera e rivela - A. Feuillet e P. Grelot (Parola di Dio, in Dizionario di Teologia Biblica): Non si dice mai che la parola di Dio sia indirizzata a Gesù come si diceva un tempo per i profeti. Tuttavia, sia in Giovanni che nei sinottici, la sua parola si presenta esattamente come la parola di Dio nel Vecchio Testamento: potenza che opera e luce che rivela.
Le parabole: Catechismo degli Adulti 125: Le parabole sono racconti simbolici, in cui il paragone fra due realtà viene elaborato in una narrazione. Si tratta di un genere letterario che aveva precedenti nell’Antico Testamento, come ad esempio la severa parabola con cui il profeta Natan indusse a conversione il re David; ma Gesù lo impiega in modo estremamente originale. Vi fa ricorso per lo più quando si rivolge a quelli che non fanno parte della cerchia dei discepoli: i notabili, le autorità, la folla dei curiosi. Narra con eleganza piccole storie verosimili, ambientandole nella vita ordinaria, quasi a insinuare che il Regno è già all’opera con la sua potenza nascosta. Ma ecco, nel bel mezzo della normalità, uscir fuori spesso l’imprevedibile, l’insolito, come ad esempio la paga data agli operai della vigna: uguale per tutti, malgrado il diverso lavoro. È la novità del Regno, il suo carattere di dono gratuito e incomparabile. Gesù fa appello all’esperienza delle persone. Invita a riflettere e a capire, a liberarsi dai pregiudizi. Il suo punto di vista si pone in contrasto con quello degli interlocutori. Ascoltando la parabola, costoro si trovano coinvolti dentro una dinamica conflittuale e sono costretti a scegliere, a schierarsi con lui o contro di lui. Anzi, la provocazione risulterebbe ancor più evidente, se conoscessimo le situazioni originarie concrete, in cui le parabole furono pronunciate. La loro forza comunque è ben superiore a quella di una generica esortazione moraleggiante.
Ecco, usci il seminatore a seminare - Il seme caduto in terra - Clemente di Roma, Lettera ai corinti 24, 1 - 26, 1): Carissimi, notiamo come il Signore ci mostri di continuo la futura risurrezione di cui ci diede come primizia il Signore Gesù Cristo risuscitandolo dai morti (cf. 1 Pt 1,3). Osserviamo, carissimi, la risurrezione che avviene di volta in volta. Il giorno e la notte ci mostrano la risurrezione; cessa la notte e sorge il giorno; se ne va il giorno e sopraggiunge la notte.
Prendiamo i frutti. In che modo e in qual parte germoglia il seme? Uscì il seminatore e gettò nella terra i semi (cf. Mt 13,3-9; Mc 4,3-9; Lc 8,5-8); secchi e nudi caduti nella terra si dissolvono. Poi la grandezza della provvidenza del Signore li fa rinascere, e da uno solo crescono molti e portano frutto. Consideriamo lo strano prodigio che avviene nelle terre d’Oriente, cioè in quelle vicino all’Arabia. Vi è un uccello chiamato Fenice: è il solo della specie e vive cinquecento anni.
Quando è vicino a morire si fa un nido con incenso; mirra ed altri aromi e giunta l’ora vi entra e muore. Dalla carne in putrefazione nasce un verme che nutrendosi dei succhi dell’ animale morto, mette le ali. Poi, divenuto forte prende quel nido in cui sono le ossa del suo genitore e portandoselo passa dall’ Arabia all’Egitto nella città chiamate Eliopoli. E di giorno sotto lo sguardo di tutti, volando sull’altare del sole lo depone e così torna indietro. Pertanto i sacerdoti esaminano gli animali e trovano che esso è giunto al compiersi del cinquecentesimo anno. Riteniamo, dunque, cosa grande e straordinaria che il Creatore dell’universo opererà la risurrezione di coloro che lo hanno servito santamente nella sicurezza di una fede sincera (cf. Lc 14,14; Gv 5,29). Non ci comprova anche in un uccello la grandezza della sua promessa?
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
O Dio, che in questi santi misteri
ci hai nutriti con il Corpo e il Sangue del tuo Figlio,
fa’ che ci rallegriamo sempre del tuo dono,
sorgente inesauribile di vita nuova.
Per Cristo nostro Signore.
Santa Angela Merici, Vergine e Fondatrice
Il suo tempo
Sant’Angela Merici visse in quel sofferto e nel contempo magnifico periodo storico, conosciuto come “Rinascimento”; periodo che va dalla fine del XIV a tutto il XVI secolo, e che fu l’inizio della civiltà moderna. E se da un lato vi erano agitazioni e guerre, come quelle dell’imperatore Carlo V (1500-1568), che squassavano l’Europa e che portarono al tristemente famoso ‘Sacco di Roma’ del 6-17 maggio 1527, ad opera dei Lanzichenecchi, soldataglia agli ordini di Carlo V; dall’altro vi era tutto un fiorire di arte, con i più grandi artisti delle varie specialità, come Michelangelo, Raffaello Sanzio, Masaccio, Donatello, Brunelleschi, ecc. Ma in quel felice periodo, in cui si manifestava l’umanesimo con la necessità della scoperta del mondo e dell’uomo, in seno alla cristianità ci fu un desiderio di riforma interiore e di rinascita, con il sorgere di numerose congregazioni religiose.
In questo quadro di grande movimento educativo e spirituale, per lo più rivolto però alla formazione della parte maschile della società del tempo, s’inserì l’opera di Angela Merici, che si prefiggeva un impegno particolare per la formazione sistematica delle ragazze; nel campo morale, integrando l’educazione ricevuta nelle famiglie, nel campo spirituale, alimentando quella già ricevuta nei monasteri, ma specialmente in campo intellettuale.
Origini, adolescenza
Angela Merici nacque il 21 marzo 1474 a Desenzano sul Garda (Brescia), allora territorio della Repubblica di Venezia, suo padre Giovanni Merici e la madre, appartenente alla distinta famiglia dei Biancosi di Salò, ricavavano il necessario per il sostentamento della famiglia, che comprendeva oltre Angela, una sorella più grande e sembra uno o più fratelli, dall’allevamento del bestiame e dalla coltivazione di qualche terreno. Il padre Giovanni, “cittadino bresciano”, alquanto istruito, amava leggere alla moglie ed ai figli i primi libri di devozione stampati a Venezia; probabilmente la “Legenda aurea”, celebre raccolta di vite di santi e martiri, scritta dal domenicano Jacopo da Varazze (1220-1298).
E fu in quelle serate, trascorse ad ascoltare la detta lettura, che Angela conobbe e cominciò ad amare due sante martiri, che divennero i suoi punti di riferimento, santa Caterina d’Alessandria e sant’Orsola con le compagne. Verso i 15 anni, dopo aver perso prematuramente la sorella, le morirono entrambi i genitori, pertanto Angela si trasferì nella vicina Salò, accolta nella casa di uno zio materno, uomo di un certo prestigio. Gli anni trascorsi a Salò furono preziosi per Angela, perse quell’aria di contadinella ritrosa incantata dalla visione del lago di Garda, ma frequentando le giovani della città, acquistò la naturalezza nell’agire, che le consentirà in futuro di stare alla pari con le dame della borghesia e della nobiltà.
Disapprovava la rilassatezza dei costumi esistente anche a Salò e fu forse in questo periodo che divenne Terziaria Francescana, per avere una vita più austera e penitenziale, secondo i suoi desideri. A 20 anni, dopo una permanenza di circa cinque anni a Salò, le morì lo zio e quindi ritornò a Desenzano sul Garda, alla cascina delle “Grezze”, impegnata nelle faccende domestiche, dedicandosi alle opere di misericordia spirituali e corporali secondo le necessità e circostanze e vivendo la sua spiritualità evangelica.
Angela Merici nacque il 21 marzo 1474 a Desenzano sul Garda (Brescia), allora territorio della Repubblica di Venezia, suo padre Giovanni Merici e la madre, appartenente alla distinta famiglia dei Biancosi di Salò, ricavavano il necessario per il sostentamento della famiglia, che comprendeva oltre Angela, una sorella più grande e sembra uno o più fratelli, dall’allevamento del bestiame e dalla coltivazione di qualche terreno. Il padre Giovanni, “cittadino bresciano”, alquanto istruito, amava leggere alla moglie ed ai figli i primi libri di devozione stampati a Venezia; probabilmente la “Legenda aurea”, celebre raccolta di vite di santi e martiri, scritta dal domenicano Jacopo da Varazze (1220-1298).
La giovinezza - Le visioni della “scala celeste”
Nella cascina partecipò anche ai lavori dei campi, e fu in questa occupazione solitaria, che Angela ebbe la consolazione di una visione celestiale.
Il primo a raccontarla, fu padre Francesco Landini in una sua lettera del 1566; era il primo pomeriggio di un caldo giorno d’estate, ed Angela, che come al solito durante l’intervallo che si faceva in attesa di una calura più sopportabile, si ritirava in disparte a pregare; si sentì improvvisamente rapita in Dio e vide il cielo aprirsi con una processione di angeli e vergini a coppie alternate, gli angeli suonavano, le vergini cantavano; nella sfilata vide la sorella defunta, che le preannunciava che sarebbe stata la fondatrice di una Compagnia di vergini.
L’iconografia della santa, ha rappresentato la visione come una scala fra terra e cielo, simile a quella di Giacobbe, con la processione delle vergini e degli angeli che la percorreva.
Nel 1516 i superiori francescani da cui Angela dipendeva come Terziaria, le proposero di trasferirsi a Brescia, per assistere la vedova Caterina Patendola, rimasta anche senza figli. Angela Merici obbedì docilmente, certa che il Signore in qualche modo le avrebbe indicato la sua futura strada.
Intanto la tradizione popolare indica, che una seconda visione avvenne in località Brudazzo, sulle colline fra Desenzano e Padenghe, e anche qui vi fu una lunga teoria di angeli e vergini, fra le quali Angela riconobbe una sua amica da poco morta in giovane età. La voce misteriosa questa volta precisava che la Compagnia sarebbe dovuta sorgere a Brescia, ordinandole di farlo “prima di morire”; infatti Angela Merici indugerà fino ai sessant’anni prima di fondare la Compagnia, impresa di cui avvertiva tutte le difficoltà.
Nella casa ospitale di Caterina Patendola, in cui portò la sua parola calda, vibrante, confortevole, riuscì a placare l’immenso dolore della vedova che aveva perso anche i due figli; qui conobbe anche Girolamo, nipote dei Patendola, che sarà il futuro fondatore dell’Ospedale degli Incurabili di Brescia, inoltre Giacomo Chizzola e Agostino Gallo, anch’essi impegnati nell’organizzazione dello stesso ospedale.
Angela instaurò con loro un’amicizia che durerà tutta la vita; diventando l’animatrice spirituale di un laicato impegnato in opere e iniziative di carità, a cui lei apporterà il contributo della sensibilità femminile.
Nella cascina partecipò anche ai lavori dei campi, e fu in questa occupazione solitaria, che Angela ebbe la consolazione di una visione celestiale.
Il primo a raccontarla, fu padre Francesco Landini in una sua lettera del 1566; era il primo pomeriggio di un caldo giorno d’estate, ed Angela, che come al solito durante l’intervallo che si faceva in attesa di una calura più sopportabile, si ritirava in disparte a pregare; si sentì improvvisamente rapita in Dio e vide il cielo aprirsi con una processione di angeli e vergini a coppie alternate, gli angeli suonavano, le vergini cantavano; nella sfilata vide la sorella defunta, che le preannunciava che sarebbe stata la fondatrice di una Compagnia di vergini.
L’iconografia della santa, ha rappresentato la visione come una scala fra terra e cielo, simile a quella di Giacobbe, con la processione delle vergini e degli angeli che la percorreva.
Nel 1516 i superiori francescani da cui Angela dipendeva come Terziaria, le proposero di trasferirsi a Brescia, per assistere la vedova Caterina Patendola, rimasta anche senza figli. Angela Merici obbedì docilmente, certa che il Signore in qualche modo le avrebbe indicato la sua futura strada.
Intanto la tradizione popolare indica, che una seconda visione avvenne in località Brudazzo, sulle colline fra Desenzano e Padenghe, e anche qui vi fu una lunga teoria di angeli e vergini, fra le quali Angela riconobbe una sua amica da poco morta in giovane età. La voce misteriosa questa volta precisava che la Compagnia sarebbe dovuta sorgere a Brescia, ordinandole di farlo “prima di morire”; infatti Angela Merici indugerà fino ai sessant’anni prima di fondare la Compagnia, impresa di cui avvertiva tutte le difficoltà.
Nella casa ospitale di Caterina Patendola, in cui portò la sua parola calda, vibrante, confortevole, riuscì a placare l’immenso dolore della vedova che aveva perso anche i due figli; qui conobbe anche Girolamo, nipote dei Patendola, che sarà il futuro fondatore dell’Ospedale degli Incurabili di Brescia, inoltre Giacomo Chizzola e Agostino Gallo, anch’essi impegnati nell’organizzazione dello stesso ospedale.
Angela instaurò con loro un’amicizia che durerà tutta la vita; diventando l’animatrice spirituale di un laicato impegnato in opere e iniziative di carità, a cui lei apporterà il contributo della sensibilità femminile.
I primi gruppi femminili - I suoi viaggi e pellegrinaggi
Suor Angela, come si faceva chiamare indossando l’abito del Terz’Ordine francescano, dopo qualche mese lasciò la casa dei Patendola e man mano fu ospitata in altre case private di Brescia, fra cui quella di Antonio Romano in via S. Agata. Si guadagnava da vivere con il proprio lavoro di cucito e di filatura e con i servizi domestici; lavori umili tali da non essere stati annotati da testimoni diretti, perché usuali per le donne di modesta condizione del tempo.
A Brescia poteva frequentare più assiduamente le chiese, accostarsi di più ai Sacramenti, coltivare il numero sempre crescente di amicizie femminili; intorno a lei ormai si radunavano gentildonne e popolane, attratte dalla sua saggezza e disposte a collaborare alle opere di bene, specie a favore della gioventù femminile. È di questo periodo, la parentesi dei suoi viaggi e dei pellegrinaggi fatti a piedi o con i mezzi precari del tempo, l’iconografia più diffusa la ritrae infatti con l’abito e il bastone da pellegrina.
Il primo fu quello compiuto a Mantova nel 1522, per venerare la tomba della beata Osanna Andreasi da lei molto ammirata; poi salì una prima volta al Sacro Monte di Varallo; nel 1524 in compagnia del signor Romano che l’ospitava e di un cugino, raggiunse Venezia e qui s’imbarcò per la Terra Santa, meta indispensabile per quanti, desiderosi d’intraprendere una strada di perfezione e carità, volevano attingere forza ed emozioni, alle sorgenti del Cristianesimo.
Ma in quell’occasione si verificò un fatto straordinario, Angela Merici mentre la nave si approssimava alla meta, fu colpita da una malattia agli occhi che le fece perdere improvvisamente la vista.
Poté vedere il Paese di Gesù solo con gli occhi dell’anima, infatti riacquisterà la vista soltanto nel viaggio di ritorno, davanti ad un crocifisso a Creta; Angela prese questa malattia che l’aveva impedita di vedere i Luoghi Santi, per i quali aveva intrapreso il lungo e disagevole viaggio, come un segno della Provvidenza che conduce le anime per vie imperscrutabili.
Sbarcata a Venezia preceduta dalla sua fama, si voleva trattenerla per il bene degli ospedali e orfanotrofi della Serenissima, ma lei intenzionata più che mai a realizzare a Brescia il comando celeste ricevuto nelle visioni, quasi se ne scappò per ritornare nella città d’origine.
Anche nel 1525, quando si recò a Roma per il Giubileo e fu ricevuta da papa Clemente VII che voleva trattenerla a Roma, suor Angela dovette ritornarsene in tutta fretta per evitare l’ordine del pontefice.
Nel 1529 si trasferì momentaneamente a Cremona, ospite della famiglia Gallo, che l’aveva invitata per sfuggire all’eventuale assedio delle truppe di Carlo V, che due anni prima avevano devastato Roma; nel 1533, ritornata a Brescia, trovò ospitalità in una casetta di proprietà dei Canonici Lateranensi, presso la Chiesa di Sant’Afra; nello stesso 1533 compì un secondo pellegrinaggio al Sacro Monte di Varallo, concludendo la serie dei suoi viaggi.
La fondazione della ‘Compagnia’
Dopo tante riflessioni, ormai era giunto per lei il tempo di operare, già nel 1532 Angela di Salò, come si firmava, chiedeva alla Santa Sede di essere esonerata dalla sepoltura in una chiesa francescana come tutte le Terziarie, optando per quella di Sant’Afra martire.
Non era un rinnegare l’appartenenza al Terz’Ordine francescano, tanto che ne porterà l’abito fino alla morte e con esso verrà sepolta, ma volle prendere per sé e soprattutto per le sue figlie spirituali che l’affiancavano, una certa distanza, in prospettiva di una futura vita consacrata organizzata autonomamente, che sentiva ormai di costituire per il gruppo.
Angela aveva colto nei suoi tanti incontri, un’esigenza particolare delle giovani, che aspiravano ad una totale consacrazione, ma fuori dello schema del tradizionale chiostro, e il Terz’Ordine Francescano, non contemplava l’impegno della verginità a vita, né poteva tutelarle dalle pressioni dei parenti che volevano maritarle, né dei padroni presso i quali molte di loro lavoravano.
Occorreva allora una “Compagnia”, nome in uso a quel tempo, indicante qualsiasi associazione religiosa di laici o laiche e anche di sacerdoti, che senza entrare in un Ordine religioso, si univano tra loro, impegnandosi a vivere integralmente il Vangelo e a servire il prossimo in particolari opere di carità.
Così nello stesso anno 1533, Angela Merici a quasi 60 anni, costituì la “Compagnia delle dimesse di Sant’Orsola”; si dicevano “dimesse” perché non vestivano l’antico e nobile abito delle monache; e “di Sant’Orsola”, perché, non avendo esse la protezione delle mura di un convento, dovevano vivere nel mondo e restare fedeli a Cristo, proprio come la giovane principessa della Britannia, uccisa dai pagani insieme alle numerose compagne e il cui culto era molto vivo anche a Brescia.
Così Angela e le prime dodici collaboratrici, Simona, Laura, Peregrina, Barbara, Chiara, ecc. presero a riunirsi nell’oratorio fatto restaurare e messo a disposizione da Elisabetta Prato, nella sua casa vicino al Duomo di Brescia. Angela dal canto suo continuò a condurre una vita di penitenza, dormiva per terra su una stuoia, che di giorno conservava arrotolata in un angolo, usando un pezzo di legno per guanciale; si nutriva di legumi e frutta, mangiava il pane due volte la settimana, mai la carne, beveva un po’ di vino solo a Natale e Pasqua.
La sua fama di santità cresceva enormemente e a lei per consigli e spiegazioni sul Vecchio e Nuovo Testamento, si rivolgevano sacerdoti, religiosi, predicatori e teologi.
Il 25 novembre 1535, festa di un’altra santa da lei amata fin dall’infanzia, s. Caterina d’Alessandria, le prime 28 giovani, furono ammesse nella “Compagnia delle dimesse di Sant’Orsola”, la cui Regola scritta da Angela Merici, fu approvata dal vicario generale del vescovo di Verona l’8 agosto 1536.
Successivamente nel 1544 papa Paolo III ne approvava la Regola, elevando la Compagnia a Istituto di diritto pontificio, permettendola così di uscire dai confini diocesani. Nel 1537, la Compagnia aveva eletto, prima superiora a vita, maestra e tesoriera, la fondatrice Angela Merici, la quale oltre la Regola, aveva dettato al fedele Gabriele Cozzano, cancelliere della Compagnia, altre due brevi opere, i “Ricordi” per le ‘colonnelle’ cioè per le superiore di quartiere e il “Testamento” per le nobili matrone, dette anche ‘governatrici’, che avevano la funzione di amministrare e proteggere l’Istituto.
Dopo tante riflessioni, ormai era giunto per lei il tempo di operare, già nel 1532 Angela di Salò, come si firmava, chiedeva alla Santa Sede di essere esonerata dalla sepoltura in una chiesa francescana come tutte le Terziarie, optando per quella di Sant’Afra martire.
Non era un rinnegare l’appartenenza al Terz’Ordine francescano, tanto che ne porterà l’abito fino alla morte e con esso verrà sepolta, ma volle prendere per sé e soprattutto per le sue figlie spirituali che l’affiancavano, una certa distanza, in prospettiva di una futura vita consacrata organizzata autonomamente, che sentiva ormai di costituire per il gruppo.
Angela aveva colto nei suoi tanti incontri, un’esigenza particolare delle giovani, che aspiravano ad una totale consacrazione, ma fuori dello schema del tradizionale chiostro, e il Terz’Ordine Francescano, non contemplava l’impegno della verginità a vita, né poteva tutelarle dalle pressioni dei parenti che volevano maritarle, né dei padroni presso i quali molte di loro lavoravano.
Occorreva allora una “Compagnia”, nome in uso a quel tempo, indicante qualsiasi associazione religiosa di laici o laiche e anche di sacerdoti, che senza entrare in un Ordine religioso, si univano tra loro, impegnandosi a vivere integralmente il Vangelo e a servire il prossimo in particolari opere di carità.
Così nello stesso anno 1533, Angela Merici a quasi 60 anni, costituì la “Compagnia delle dimesse di Sant’Orsola”; si dicevano “dimesse” perché non vestivano l’antico e nobile abito delle monache; e “di Sant’Orsola”, perché, non avendo esse la protezione delle mura di un convento, dovevano vivere nel mondo e restare fedeli a Cristo, proprio come la giovane principessa della Britannia, uccisa dai pagani insieme alle numerose compagne e il cui culto era molto vivo anche a Brescia.
La sua fama di santità cresceva enormemente e a lei per consigli e spiegazioni sul Vecchio e Nuovo Testamento, si rivolgevano sacerdoti, religiosi, predicatori e teologi.
Il 25 novembre 1535, festa di un’altra santa da lei amata fin dall’infanzia, s. Caterina d’Alessandria, le prime 28 giovani, furono ammesse nella “Compagnia delle dimesse di Sant’Orsola”, la cui Regola scritta da Angela Merici, fu approvata dal vicario generale del vescovo di Verona l’8 agosto 1536.
Successivamente nel 1544 papa Paolo III ne approvava la Regola, elevando la Compagnia a Istituto di diritto pontificio, permettendola così di uscire dai confini diocesani. Nel 1537, la Compagnia aveva eletto, prima superiora a vita, maestra e tesoriera, la fondatrice Angela Merici, la quale oltre la Regola, aveva dettato al fedele Gabriele Cozzano, cancelliere della Compagnia, altre due brevi opere, i “Ricordi” per le ‘colonnelle’ cioè per le superiore di quartiere e il “Testamento” per le nobili matrone, dette anche ‘governatrici’, che avevano la funzione di amministrare e proteggere l’Istituto.
La sua morte - L’eredità spirituale
Nel 1539 Angela fu colpita da una malattia, che fra alti e bassi la condusse alla morte il 27 gennaio 1540; per trenta giorni, i canonici di Sant’Afra e quelli del Duomo, si contesero l’onore di seppellire nella propria chiesa, l’ex contadinella di Desenzano; la spuntarono quelli di sant’Afra e oggi la chiesa, dove riposano le sue spoglie, si chiama Santuario di Sant’Angela, meta di continui pellegrinaggi provenienti specialmente dal mondo orsolinico; la chiesa, distrutta in gran parte dai bombardamenti del 1945, è stata ricostruita nel 1953.
Nel testamento spirituale, Angela tratteggiò le linee essenziali del suo metodo educativo, basato tutto nel rapporto di sincero amore tra educatore ed educando e sul pieno rispetto delle libertà altrui.
Così lasciò scritto alle sue Orsoline: “Vi supplico di voler ricordare e tenere scolpite nella mente e nel cuore, tutte le vostre figliole ad una ad una; e non solo i loro nomi, ma ancora la condizione e indole e stato e ogni cosa loro. Il che non vi sarà difficile, se le abbracciate con viva carità… Impegnatevi a tirarle su con amore e con mano soave e dolce, è non imperiosamente e con asprezza, ma in tutto vogliate essere piacevoli. Soprattutto guardatevi dal voler ottenere alcuna cosa per forza; perché Dio ha dato a ognuno il libero arbitrio e non vuole costringere nessuno, ma solamente propone, invita e consiglia…”.
Nel 1539 Angela fu colpita da una malattia, che fra alti e bassi la condusse alla morte il 27 gennaio 1540; per trenta giorni, i canonici di Sant’Afra e quelli del Duomo, si contesero l’onore di seppellire nella propria chiesa, l’ex contadinella di Desenzano; la spuntarono quelli di sant’Afra e oggi la chiesa, dove riposano le sue spoglie, si chiama Santuario di Sant’Angela, meta di continui pellegrinaggi provenienti specialmente dal mondo orsolinico; la chiesa, distrutta in gran parte dai bombardamenti del 1945, è stata ricostruita nel 1953.
Nel testamento spirituale, Angela tratteggiò le linee essenziali del suo metodo educativo, basato tutto nel rapporto di sincero amore tra educatore ed educando e sul pieno rispetto delle libertà altrui.
Così lasciò scritto alle sue Orsoline: “Vi supplico di voler ricordare e tenere scolpite nella mente e nel cuore, tutte le vostre figliole ad una ad una; e non solo i loro nomi, ma ancora la condizione e indole e stato e ogni cosa loro. Il che non vi sarà difficile, se le abbracciate con viva carità… Impegnatevi a tirarle su con amore e con mano soave e dolce, è non imperiosamente e con asprezza, ma in tutto vogliate essere piacevoli. Soprattutto guardatevi dal voler ottenere alcuna cosa per forza; perché Dio ha dato a ognuno il libero arbitrio e non vuole costringere nessuno, ma solamente propone, invita e consiglia…”.
Sugli altari
Nel 1568 furono raccolte le deposizioni di quattro testimoni che avevano conosciuto Angela, ma dovettero trascorrere altri due secoli, prima che un’orsolina claustrale di Roma, si facesse postulatrice della causa di beatificazione, ottenendo il decreto di conferma del culto come Beata, il 30 aprile 1768, da parte di papa Clemente XIII. Il 24 maggio 1807, Angela Merici fu proclamata Santa da papa Pio VII e papa Pio IX nel 1861, ne estese il culto a tutta la Chiesa universale.
Una statua scolpita nel 1866 dallo scultore Pietro Galli, la ricorda nella Basilica di S. Pietro in Vaticano. Nella liturgia ebbe varie date di celebrazione, prima il 31 maggio, poi dal 1955 il 10 giugno e infine il 27 gennaio, giorno della sua morte.
Nel 1568 furono raccolte le deposizioni di quattro testimoni che avevano conosciuto Angela, ma dovettero trascorrere altri due secoli, prima che un’orsolina claustrale di Roma, si facesse postulatrice della causa di beatificazione, ottenendo il decreto di conferma del culto come Beata, il 30 aprile 1768, da parte di papa Clemente XIII. Il 24 maggio 1807, Angela Merici fu proclamata Santa da papa Pio VII e papa Pio IX nel 1861, ne estese il culto a tutta la Chiesa universale.
Una statua scolpita nel 1866 dallo scultore Pietro Galli, la ricorda nella Basilica di S. Pietro in Vaticano. Nella liturgia ebbe varie date di celebrazione, prima il 31 maggio, poi dal 1955 il 10 giugno e infine il 27 gennaio, giorno della sua morte.
La Congregazione delle Orsoline
La “Compagnia delle dimesse di sant’Orsola”, prima congregazione secolare femminile sorta nella Chiesa, con la sua Regola fu l’origine di varie congregazioni religiose.
Già in vita, Angela vedendo aumentare attorno a sé una famiglia così numerosa e avendo un desiderio grande di servire Cristo in ogni bisognoso, fondò ben 24 rami di Orsoline, dette poi anche ‘Angeline’, che dopo la sua morte furono raggruppate in tre soli settori: le “Orsoline secolari” che vivono nelle famiglie proprie e si dedicano ad ogni opera di misericordia nelle parrocchie in cui vivono; le “Orsoline collegiali” che conducono vita comune e si dedicano all’istruzione della gioventù, gestendo appunto dei collegi; le “Orsoline claustrali” che sono di vita contemplativa. Tra le Congregazioni sorte sull’esempio della Compagnia di Sant’Orsola, ma con abiti e costumi diversi, ne ricordiamo alcune: Orsoline di San Carlo, sorte a Milano nel 1566; Orsoline di Sant’Orsola, più rami fondati in Francia tra il 1612 e 1632; Orsoline di Maria Immacolata, fondate a Piacenza nel 1649; Orsoline di Gesù o Figlie dell’Incarnazione, fondate in Vandea nel 1802; Orsoline Gerosolimitane di Maria Immacolata, sorte a Bergamo nel 1818; Orsoline Figlie di Maria Immacolata, sorte presso Acqui nel 1854; Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante fondate nel 1920; Orsoline del Sacro Cuore fondate a Parma nel 1575; Orsoline dell’Unione Romana sorte nel 1878; e tante altre anche di più recente fondazione. (Antonio Borrelli)
Dal «Testamento spirituale» di sant’Angela Merici, vergine
Trattiamo con soavità come Dio
Mie carissime madri e sorelle in Gesù Cristo, sforzatevi, coll’aiuto della grazia, di acquistare e conservare in voi tale intenzione e sentimento buono, da essere mosse alla cura e al governo della Compagnia solo per amore di Dio e per lo zelo della salute delle anime.
Se tutte le vostre opere saranno così radicate in questa duplice carità, non potranno portare se non buoni e salutieri frutti. Perciò dice il Salvator nostro: «Un albero buono non può produrre frutti cattivi» (Mt 7,18) come volesse dire che il cuore, quando è informato alla carità, non può produrre se non buone e sante opere. Onde ancora diceva sant’Agostino: Ama e fa’ quel che vuoi, come se dicesse chiaramente: La carità non può peccare.
Vi supplico ancora di voler ricordare e tenere scolpite nella mente e nel cuore tutte le vostre figliuole ad una ad una; e non solo i loro nomi, ma ancora la condizione e indole e stato ed ogni cosa loro. Il che non vi sarà cosa difficile, se le abbraccerete con viva carità.
Anche le madri secondo la carne, se avessero mille figliuoli, tutti se li terrebbero nell’animo totalmente fissi ad uno ad uno, perché così opera il vero amore. Anzi pare che, quanti più ne hanno, tanto più cresca l’amore e la cura particolare per ciascuno. Maggiormente le madri secondo lo spirito possono e devono far questo, perché l’amore secondo lo spirito è, senza confronto, molto più potente dell’amore secondo la carne. Dunque, mie carissime madri, se amerete queste nostre figliuole con viva e sviscerata carità, sarà impossibile che non le abbiate tutte particolarmente impresse nella memoria e nel cuore.
Impegnatevi a tirarle su con amore e con mano soave e dolce, e non imperiosamente né con asprezza; ma in tutto vogliate esser piacevoli. Ascoltate Gesù Cristo che raccomanda: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11, 29); e di Dio si legge che «governa con bontà eccellente ogni cosa» (Sap 8,1). E ancora Gesù Cristo dice: «il mio giogo è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11, 30).
Ecco perché dovete sforzarvi di usare ogni piacevolezza possibile. Soprattutto guardatevi dal voler ottenere alcuna cosa per forza: poiché Dio ha dato ad ognuno il libero arbitrio e non vuole costringere nessuno, ma solamente propone, invita e consiglia. Non dico però che alle volte non si debba usare qualche riprensione ed asprezza a tempo e luogo secondo l’importanza, la condizione e il bisogno delle persone, ma solamente dobbiamo essere mosse a questo dalla carità e dallo zelo delle anime.
Omelia per la traslazione delle reliquie di sant’Angela Merici in San Faustino
Luciano Monari, vescovo di Brescia
Basilica dei Santi Fautino e Giovita - Brescia, 13 febbraio 2010
Il tamarisco è un albero triste; cresce solitario in luoghi deserti e, spinoso com’è, sembra voglia allontanare chiunque desidera riposarsi alla sua ombra. È il ritratto, per Geremia, di chi tronca deliberatamente ogni legame con Dio e concentra tutte le sue speranze in ciò che l’uomo è e può avere: ricchezza o forza o potere. Isolamento, aridità, sterilità sono gli effetti inevitabili di questa scelta stolta, che separa volontariamente da colui che, per definizione, è il sommo bene e che vorrebbe proclamare autosufficiente ciò che è solo carne, cioè vita fragile, limitata nel tempo e povera nella qualità.
Immaginate, invece, dice il profeta, di trapiantare un albero vicino a un corso d’acqua; le radici si stendono in profondità a cercare la vena dell’acqua, per sfruttarne il potenziale stupendo di vita. Vedrete allora quell’albero inverdire e fiorire; il caldo dell’estate non lo inaridisce, ed anche la siccità non lo spaventa, perché può attingere a un’acqua perenne; i suoi frutti non vengono meno.
Così, dice il profeta, è l’uomo che pone in Dio la sua sicurezza e la sua fiducia; rimane un piccolo uomo con i suoi limiti, i suoi alti e bassi, le sue incertezze. Ma il suo cuore è ben radicato in Dio e in Dio trova una sorgente sempre nuova di vita, di desiderio, di amore.
È come dire: hai davanti a te due vie: una è quella dell’autosufficienza, del consegnarti alla logica del mondo; l’altra è quella della fede, dell’aprirti a Dio. Se leghi la tua vita solamente alla carne, perirai con la carne perché la carne, per sua natura, è sottomessa a corruzione e morte; se leghi la tua vita a Dio, regnerai con Dio perché Dio è vita che non invecchia, amore che rigenera.
Cristo, ci ha detto san Paolo, è risorto come primizia di coloro che sono morti. È risorto per noi,
quindi per dare a chi vive in lui una speranza che non appassisce e non muore.
Riascoltando queste parole, pensavo a quella straordinaria figura che è stata sant’Angela Merici. Un’immagine di donna sorprendente per il suo tempo: che perseguiva un ideale alto di perfezione cristiana ma nello stesso tempo continuava a vivere nel mondo, nelle ordinarie condizioni di vita. È stata una vita estremamente feconda, la sua, non solo perché da quattrocento anni ci sono, nel mondo intero, ‘figlie di sant’Angela’ che interpretano e vivono la loro vita alla luce dell’esperienza di lei; ma soprattutto perché il riferimento a sant’Angela ha donato a queste donne un senso forte della loro dignità, una consapevolezza viva del valore della loro vita, un desiderio forte di spendersi nell’amore di Dio e della Chiesa. Non c’è bisogno di ridire che il segreto di sant’Angela è stata la sua fede, il suo amore a Dio, la fiducia in Lui senza riserve. È stata solo questa sorgente che l’ha mantenuta coraggiosa e vivace in mezzo alle difficoltà e alle incomprensioni che non sono certo mancate. Difficoltà e incomprensioni che non sono difficili da capire, tanto sant’Angela era avanti rispetto ai suoi tempi.
Tutti oggi riconoscono che sant’Angela ha anticipato quella forma di vita cristiana che è propria degli Istituti Secolari – istituti che propongono un cammino di santificazione e di consacrazione dentro a un contesto di vita laicale, nel mondo; non in convento, non in una comunità religiosa.
Ebbene, questa forma di vita è stata riconosciuta dalla Chiesa nel 1947; e sant’Angela l’aveva immaginata e praticata secoli prima!
È per questo che siamo fieri, come Bresciani, di avere sant’Angela come patrona e vorremmo essere degni di lei, imparare da lei a vivere in pienezza la vocazione che è iscritta nel nostro battesimo. Il Concilio ci ha ricordato che la santità è vocazione di tutti all’interno della Chiesa e Giovanni Paolo II, introducendoci nel terzo millennio, scriveva: “è ora di riproporre a tutti, con convinzione, questa misura alta della vita cristiana ordinaria.” È proprio questo che sant’Angela aveva capito e che ha cercato di far vivere con la sua Compagnia. La santità, infatti, consiste essenzialmente nel dare alla vita quotidiana la forma evangelica, quella delle beatitudini, quella del Padre nostro, quella del vangelo intero. In questo consiste quello che, con un’espressione non particolarmente felice, chiamiamo ‘il sacerdozio comune’ che appartiene a tutti i battezzati, nessuno escluso. È questo sacerdozio che sant’Angela ha praticato e ha insegnato a praticare col suo esempio e con le sue parole. E non è proprio quello di cui abbiamo oggi urgentemente bisogno?
Pratica: Con il prossimo mi sforzerò di usare ogni piacevolezza possibile.
Preghiera: O Dio, Padre misericordioso, che in sant’Angela Merici hai dato alla tua Chiesa un modello di carità sapiente e coraggiosa, fa’ che per il suo esempio e la sua intercessione possiamo comprendere e testimoniare la forza rinnovatrice del vangelo. Per il nostro Signore.
La “Compagnia delle dimesse di sant’Orsola”, prima congregazione secolare femminile sorta nella Chiesa, con la sua Regola fu l’origine di varie congregazioni religiose.
Già in vita, Angela vedendo aumentare attorno a sé una famiglia così numerosa e avendo un desiderio grande di servire Cristo in ogni bisognoso, fondò ben 24 rami di Orsoline, dette poi anche ‘Angeline’, che dopo la sua morte furono raggruppate in tre soli settori: le “Orsoline secolari” che vivono nelle famiglie proprie e si dedicano ad ogni opera di misericordia nelle parrocchie in cui vivono; le “Orsoline collegiali” che conducono vita comune e si dedicano all’istruzione della gioventù, gestendo appunto dei collegi; le “Orsoline claustrali” che sono di vita contemplativa. Tra le Congregazioni sorte sull’esempio della Compagnia di Sant’Orsola, ma con abiti e costumi diversi, ne ricordiamo alcune: Orsoline di San Carlo, sorte a Milano nel 1566; Orsoline di Sant’Orsola, più rami fondati in Francia tra il 1612 e 1632; Orsoline di Maria Immacolata, fondate a Piacenza nel 1649; Orsoline di Gesù o Figlie dell’Incarnazione, fondate in Vandea nel 1802; Orsoline Gerosolimitane di Maria Immacolata, sorte a Bergamo nel 1818; Orsoline Figlie di Maria Immacolata, sorte presso Acqui nel 1854; Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante fondate nel 1920; Orsoline del Sacro Cuore fondate a Parma nel 1575; Orsoline dell’Unione Romana sorte nel 1878; e tante altre anche di più recente fondazione. (Antonio Borrelli)
Dal «Testamento spirituale» di sant’Angela Merici, vergine
Trattiamo con soavità come Dio
Mie carissime madri e sorelle in Gesù Cristo, sforzatevi, coll’aiuto della grazia, di acquistare e conservare in voi tale intenzione e sentimento buono, da essere mosse alla cura e al governo della Compagnia solo per amore di Dio e per lo zelo della salute delle anime.
Se tutte le vostre opere saranno così radicate in questa duplice carità, non potranno portare se non buoni e salutieri frutti. Perciò dice il Salvator nostro: «Un albero buono non può produrre frutti cattivi» (Mt 7,18) come volesse dire che il cuore, quando è informato alla carità, non può produrre se non buone e sante opere. Onde ancora diceva sant’Agostino: Ama e fa’ quel che vuoi, come se dicesse chiaramente: La carità non può peccare.
Vi supplico ancora di voler ricordare e tenere scolpite nella mente e nel cuore tutte le vostre figliuole ad una ad una; e non solo i loro nomi, ma ancora la condizione e indole e stato ed ogni cosa loro. Il che non vi sarà cosa difficile, se le abbraccerete con viva carità.
Anche le madri secondo la carne, se avessero mille figliuoli, tutti se li terrebbero nell’animo totalmente fissi ad uno ad uno, perché così opera il vero amore. Anzi pare che, quanti più ne hanno, tanto più cresca l’amore e la cura particolare per ciascuno. Maggiormente le madri secondo lo spirito possono e devono far questo, perché l’amore secondo lo spirito è, senza confronto, molto più potente dell’amore secondo la carne. Dunque, mie carissime madri, se amerete queste nostre figliuole con viva e sviscerata carità, sarà impossibile che non le abbiate tutte particolarmente impresse nella memoria e nel cuore.
Ecco perché dovete sforzarvi di usare ogni piacevolezza possibile. Soprattutto guardatevi dal voler ottenere alcuna cosa per forza: poiché Dio ha dato ad ognuno il libero arbitrio e non vuole costringere nessuno, ma solamente propone, invita e consiglia. Non dico però che alle volte non si debba usare qualche riprensione ed asprezza a tempo e luogo secondo l’importanza, la condizione e il bisogno delle persone, ma solamente dobbiamo essere mosse a questo dalla carità e dallo zelo delle anime.
Omelia per la traslazione delle reliquie di sant’Angela Merici in San Faustino
Luciano Monari, vescovo di Brescia
Basilica dei Santi Fautino e Giovita - Brescia, 13 febbraio 2010
Il tamarisco è un albero triste; cresce solitario in luoghi deserti e, spinoso com’è, sembra voglia allontanare chiunque desidera riposarsi alla sua ombra. È il ritratto, per Geremia, di chi tronca deliberatamente ogni legame con Dio e concentra tutte le sue speranze in ciò che l’uomo è e può avere: ricchezza o forza o potere. Isolamento, aridità, sterilità sono gli effetti inevitabili di questa scelta stolta, che separa volontariamente da colui che, per definizione, è il sommo bene e che vorrebbe proclamare autosufficiente ciò che è solo carne, cioè vita fragile, limitata nel tempo e povera nella qualità.
Così, dice il profeta, è l’uomo che pone in Dio la sua sicurezza e la sua fiducia; rimane un piccolo uomo con i suoi limiti, i suoi alti e bassi, le sue incertezze. Ma il suo cuore è ben radicato in Dio e in Dio trova una sorgente sempre nuova di vita, di desiderio, di amore.
È come dire: hai davanti a te due vie: una è quella dell’autosufficienza, del consegnarti alla logica del mondo; l’altra è quella della fede, dell’aprirti a Dio. Se leghi la tua vita solamente alla carne, perirai con la carne perché la carne, per sua natura, è sottomessa a corruzione e morte; se leghi la tua vita a Dio, regnerai con Dio perché Dio è vita che non invecchia, amore che rigenera.
Cristo, ci ha detto san Paolo, è risorto come primizia di coloro che sono morti. È risorto per noi,
quindi per dare a chi vive in lui una speranza che non appassisce e non muore.
Riascoltando queste parole, pensavo a quella straordinaria figura che è stata sant’Angela Merici. Un’immagine di donna sorprendente per il suo tempo: che perseguiva un ideale alto di perfezione cristiana ma nello stesso tempo continuava a vivere nel mondo, nelle ordinarie condizioni di vita. È stata una vita estremamente feconda, la sua, non solo perché da quattrocento anni ci sono, nel mondo intero, ‘figlie di sant’Angela’ che interpretano e vivono la loro vita alla luce dell’esperienza di lei; ma soprattutto perché il riferimento a sant’Angela ha donato a queste donne un senso forte della loro dignità, una consapevolezza viva del valore della loro vita, un desiderio forte di spendersi nell’amore di Dio e della Chiesa. Non c’è bisogno di ridire che il segreto di sant’Angela è stata la sua fede, il suo amore a Dio, la fiducia in Lui senza riserve. È stata solo questa sorgente che l’ha mantenuta coraggiosa e vivace in mezzo alle difficoltà e alle incomprensioni che non sono certo mancate. Difficoltà e incomprensioni che non sono difficili da capire, tanto sant’Angela era avanti rispetto ai suoi tempi.
Ebbene, questa forma di vita è stata riconosciuta dalla Chiesa nel 1947; e sant’Angela l’aveva immaginata e praticata secoli prima!
È per questo che siamo fieri, come Bresciani, di avere sant’Angela come patrona e vorremmo essere degni di lei, imparare da lei a vivere in pienezza la vocazione che è iscritta nel nostro battesimo. Il Concilio ci ha ricordato che la santità è vocazione di tutti all’interno della Chiesa e Giovanni Paolo II, introducendoci nel terzo millennio, scriveva: “è ora di riproporre a tutti, con convinzione, questa misura alta della vita cristiana ordinaria.” È proprio questo che sant’Angela aveva capito e che ha cercato di far vivere con la sua Compagnia. La santità, infatti, consiste essenzialmente nel dare alla vita quotidiana la forma evangelica, quella delle beatitudini, quella del Padre nostro, quella del vangelo intero. In questo consiste quello che, con un’espressione non particolarmente felice, chiamiamo ‘il sacerdozio comune’ che appartiene a tutti i battezzati, nessuno escluso. È questo sacerdozio che sant’Angela ha praticato e ha insegnato a praticare col suo esempio e con le sue parole. E non è proprio quello di cui abbiamo oggi urgentemente bisogno?
Pratica: Con il prossimo mi sforzerò di usare ogni piacevolezza possibile.
Preghiera: O Dio, Padre misericordioso, che in sant’Angela Merici hai dato alla tua Chiesa un modello di carità sapiente e coraggiosa, fa’ che per il suo esempio e la sua intercessione possiamo comprendere e testimoniare la forza rinnovatrice del vangelo. Per il nostro Signore.