11 Luglio 2025
 
San Benedetto, Abate - Patrono d’Europa
 
Pr 2,1-9; Salmo Responsoriale dal Salmo 33 (34); Mt 19,27-29
 
 
Colletta
O Dio, che hai costituito il santo abate Benedetto
maestro insigne di coloro che dedicano la vita
alla scuola del servizio divino,
concedi a noi di nulla anteporre al tuo amore,
per correre con cuore libero e ardente
nella via dei tuoi precetti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
San Benedetto, Abate: Benedetto XVI (Udienza Generale, 9 Aprile 2008): Nell’intero secondo libro dei Dialoghi Gregorio ci illustra come la vita di san Benedetto fosse immersa in un’atmosfera di preghiera, fondamento portante della sua esistenza. Senza preghiera non c’è esperienza di Dio. Ma la spiritualità di Benedetto non era un’interiorità fuori dalla realtà. Nell’inquietudine e nella confusione del suo tempo, egli viveva sotto lo sguardo di Dio e proprio così non perse mai di vista i doveri della vita quotidiana e l’uomo con i suoi bisogni concreti. Vedendo Dio capì la realtà dell’uomo e la sua missione. Nella sua Regola egli qualifica la vita monastica “una scuola del servizio del Signore” (Prol. 45) e chiede ai suoi monaci che “all’Opera di Dio [cioè all’Ufficio Divino o alla Liturgia delle Ore] non si anteponga nulla” (43,3). Sottolinea, però, che la preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (Prol. 9-11), che deve poi tradursi nell’azione concreta. “Il Signore attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti”, egli afferma (Prol. 35). Così la vita del monaco diventa una simbiosi feconda tra azione e contemplazione “affinché in tutto venga glorificato Dio” (57,9). In contrasto con una autorealizzazione facile ed egocentrica, oggi spesso esaltata, l’impegno primo ed irrinunciabile del discepolo di san Benedetto è la sincera ricerca di Dio (58,7) sulla via tracciata dal Cristo umile ed obbediente (5,13), all’amore del quale egli non deve anteporre alcunché (4,21; 72,11) e proprio così, nel servizio dell’altro, diventa uomo del servizio e della pace. Nell’esercizio dell’obbedienza posta in atto con una fede animata dall’amore (5,2), il monaco conquista l’umiltà (5,1), alla quale la Regola dedica un intero capitolo. In questo modo l’uomo diventa sempre più conforme a Cristo e raggiunge la vera autorealizzazione come creatura ad immagine e somiglianza di Dio.
 
I Lettura: Il testo veterotestamentario è un invito a cercare la sapienza, un invito messo in evidenza dai verbi accogliere, custodire, tendere (l’orecchio alla sapienza), invocare, rivolgere, ricercare, scavare (come per i tesori, per trovare il vero tesoro che è la sapienza).Questa ricerca avrà come frutto la conoscenza di Dio, e con essa  il successo, e la protezione divina.
 
Vangelo
Voi che mi avete seguito, riceverete cento volte tanto.
 
La domanda di Pietro segue l’incontro del giovane ricco con Gesù, il quale alla proposta di lasciare tutto per porsi alla sequela del Cristo era andato via triste. Quindi, una domanda ben interessata, e la risposta non lascia spazio a dubbi: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna». Se non vi sono dubbi nella risposta, non vi sono alternative per chi vuole intraprendere la via del discepolato: bisogna lasciare tutto, anche gli affetti e i legami più cari.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 19,27-29
 
In quel tempo, Pietro gli rispose: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna».
 
Parola del Signore
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 27 Mentre Gesù parlava dei pericoli della ricchezza, Pietro, che si rivela uomo molto concreto e pratico, pensa alla propria condizione ed a quella dei suoi compagni. Egli, che ha accolto l’invito del Maestro (cf. Mt., 4, 22) e lo ha seguito, chiede con franchezza quale ricompensa attenda (che cosa dunque avremo noi?).
28 Il detto è formulato con termini del vocabolario profetico e con immagini tratte dalla storia ebraica. Nella rigenerazione (del mondo) = παλιγγενεσία (rinascita, nuova nascita, palingenesi; il termine ricorre due sole volte nel Nuovo Testamento, cioè qui e Tito, 3, 5); l’idea, non già il termine, risale al Vecchio Testamento, nel quale l’èra messianica è presentata come un rinnovamento (cf. Isaia, 65,17; 66, 22, dove si parla di cieli nuovi e terra nuova). S. Paolo dà all’idea un valore spirituale; per l’apostolo credente è una «nuova creazione» (cf. 2 Corinti, 5, 17). Cristo, accennando a questa palingenesi, intende riferirsi al regno messianico che sarà stabilito sopra la terra, non già al regno celeste (cf. Lc., 22, 28-30). Le parole: quando il Figlio sederà sul suo trono di gloria, richiamano l’immagine di Daniele, 7, 9 e significano che Gesù presiederà dal cielo il suo regno stabilito sopra la terra. In questo governo del regno Cristo glorioso in cielo assocerà i suoi apostoli durante la loro esistenza e dopo la loro morte. Sederete anche voi su dodici troni per giudicare le dodici tribù d’Israele;Cristo usa un linguaggio ispirato alla storia d’Israele: giudicare significa nella Bibbia governare, reggere, non già l’atto particolare di pronunziare una sentenza (i Giudici d’Israele sono capi di tribù; cf. il libro dei Giudici); le dodici tribù d’Israele designano il nuovo Israele, l’Israele di Dio (come dice S. Paolo, cf. Galati, 6, 16); dodici non indica una quantità numerica, ma l’intero Israele; il popolo d’Israele era considerato tradizionalmente come costituito da dodici tribù, anche quando queste non esistevano più. Nel regno messianico, cioè nella Chiesa, gli apostoli avranno un posto di privilegio e di governo. Non si può pensare all’ultimo giudizio (giudizio finale), perché questo è riservato unicamente al Figlio (cf. Gio., 5, 27).
29 Dopo: o madre, numerosi codici e traduzioni (compresa la Volgata) inseriscono: o moglie. I discepoli e coloro che li imiteranno nel distacco dalle cose e dalle persone avranno una grande ricompensa (molto di più) e la vita eterna. Molto di più: πολλαπλασίονα (il multiplo); la maggioranza dei codici e Marco hanno: il centuplo(ἐκατοπλασίονα). Gesù sembra distinguere tra una ricompensa dello stesso ordine delie cose e persone lasciate ed una ricompensa eterna. Il multiplo riguarda la ricompensa terrena ed ha un’accentuazione spirituale (Marco, 10, 30 parla del centuplo che si ha su questa terra e che è congiunto con le persecuzioni; ciò fa pensare al carattere spirituale della ricompensa terrena). Nella Chiesa primitiva la promessa di Cristo aveva un’applicazione particolare; chi entrava nella comunità partecipava ai beni di essa e si sentiva circondato da una parentela spirituale più numerosa di quella che aveva lasciato. Per il mio nome, semitismo che equivale: per la mia persona.
 
Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo? - La risposta di Gesù (vv. 28-30) - Rosalba Manes (Vangelo secondo Matteo): Gesù non si sottrae alla provocazione di Pietro e non lo rimprovera. Sceglie di rispondergli in modo molto solenne. Assumendo toni apocalittici ed escatologici, egli allude a un evento particolare: la palinghenesia (ossia la rigenerazione o il rinnovamento messianico) che nel Nuovo Testamento appare altrove solo in Tt 3,5, a proposito del contesto battesimale. Qui Gesù parla del mondo futuro dove si realizzerà il giudizio. Allora il Figlio dell ‘uomo coinvolgerà, nella sua funzione di giudice della storia, anche i suoi discepoli, condividendo con essi il trono e l’azione di giudicare il popolo di Israele, simboleggiato dalle dodici tribù. Poi Gesù allarga l’orizzonte ampliando il discorso ai discepoli di tutti i tempi e sostenendo che chiunque avrà lasciato case o fratelli o sorelle o padre o madre o moglie o figli o campi per il suo nome, riceverà il centuplo (ekatontaplasion) ed erediterà (kleronoméo) la vita eterna (zoé aioniosy, quella vita cui anelava il giovane ricco. Chiunque è disposto a lasciare beni materiali o affetti, anteponendo Gesù a tutto, può essere certo di sperimentare una ricchezza addirittura centuplicata (rispetto a quella lasciata) e la pienezza che la sola osservanza dei precetti non permette di sperimentare. La rigenerazione comincia proprio con quella moltiplicazione di affetti e relazioni che la sequela produce. Si tratta di un guadagno spirituale, che appartiene all’ordine delle cose che non si possono maneggiare. Chi recrimina, come sta facendo velatamente Pietro, potrebbe sperimentare il capovolgimento delle posizioni: da primo (nell’accoglienza della sequela su un piano cronologico o nella gerarchia delle responsabilità) può trovarsi ultimo, può retrocedere. Gesù sta dicendo a Pietro, con il suo linguaggio sapienziale che non tende mai ad aggredire il suo interlocutore ma ad aprirgli la mente e il cuore, che essere «primi» (protoi) non è un privilegio da rivendicare. L’esclusivismo e la discriminazione sono banditi dalla mentalità “rinnovata” del discepolo. Pietro e gli altri hanno ancora tanta strada da fare. Devono mettere da parte la presunzione di essere arrivati e mettersi alla scuola del Maestro con la semplicità e l’umiltà di bambini desiderosi di apprendere.
 
Ecco, noi abbiamo lasciato tutto...: Giovanni Paolo II (Omelia, 8 Ottobre 2000): “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” (Mc 10,28). Questa affermazione di Pietro esprime la radicalità della scelta che è richiesta all’apostolo. Una radicalità che si chiarisce alla luce del dialogo esigente, fatto da Gesù con il giovane ricco. Quale condizione per la vita eterna, il Maestro gli aveva additato l’osservanza dei comandamenti. Di fronte al suo desiderio di maggiore perfezione, aveva risposto con uno sguardo di amore e una proposta totalitaria: “Va, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi” (Mc 10,21). Su questa parola di Cristo calò, come un oscurarsi improvviso del cielo, la tristezza del rifiuto. Fu allora che Gesù pronunciò una delle sue sentenze più severe: “Com’è difficile entrare nel regno di Dio!” (Mc 10,24). Sentenza che egli stesso, di fronte allo sbigottimento degli apostoli, mitigò, facendo leva sulla potenza di Dio: “Tutto è possibile presso Dio” (Mc 10,27). L’intervento di Pietro diventa espressione della grazia con cui Dio trasforma l’uomo e lo rende capace di un dono totale. “Abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” (Mc 10,28). È così che si diventa apostoli. Ed è così che si sperimenta anche l’avverarsi della promessa di Cristo circa il «centuplo»: l’apostolo che ha lasciato tutto per seguire Cristo vive già su questa terra, nonostante le immancabili prove, un’esistenza realizzata e gioiosa.
 
Ereditare la vita eterna - Un raccolto cento volte maggiore - Ilario di Poitiers, Commentario a Matteo 20, 4: Essi lo hanno seguito nel lavacro battesimale, nella santificazione mediante la fede, nell’adozione dell’eredità, nella risurrezione dei morti. Questa è la nuova creazione, che gli apostoli hanno seguito, che la Legge non ha potuto accordare, che, al momento del giudizio delle dodici tribù d’Israele, li ha riuniti insieme su dodici troni per conseguire la gloria dei dodici patriarchi. Anche agli altri, che lo seguono nel disprezzo del mondo, promette l’abbondanza di una ricompensa centupla. Questa ricompensa centupla è quella raggiunta nella centesima pecora con la gioia celeste. Questa ricompensa centupla è quella che conseguirà la fecondità di una terra perfetta. È l’onore riservato alla Chiesa già nel nome di Sara e che deve essere meritato con la rinuncia alla Legge e per mezzo della fede evangelica. In questo modo coloro che erano ultimi diventeranno primi, poiché quelli che sono primi diventeranno ultimi.
 
Il Santo del giorno - 11 Luglio 2025: San Benedetto Abate, Patrono Europa (Norcia [Perugia], ca. 480 - Montecassino [Frosinone], 21 marzo 543/560): È il patriarca del monachesimo occidentale. Dopo un periodo di solitudine presso il sacro Speco di Subiaco, passò alla forma cenobitica prima a Subiaco, poi a Montecassino. La sua Regola, che riassume la tradizione monastica orientale adattandola con saggezza e discrezione al mondo latino, apre una via nuova alla civiltà europea dopo il declino di quella romana. In questa scuola di servizio del Signore hanno un ruolo determinante la lettura meditata della parola di Dio e la lode liturgica, alternata con i ritmi del lavoro in un clima intenso di carità fraterna e di servizio reciproco. Nel solco di San Benedetto sorsero nel continente europeo e nelle isole centri di preghiera, di cultura, di promozione umana, di ospitalità per i poveri e i pellegrini. Due secoli dopo la sua morte, saranno più di mille i monasteri guidati dalla sua Regola. Paolo VI lo proclamò patrono d’Europa (24 ottobre 1964). (Avvenire)
 
 O Signore, che ci hai dato il pegno della vita eterna,
fa’ che, seguendo gli insegnamenti di san Benedetto,
celebriamo fedelmente la tua lode
e amiamo i fratelli con carità sincera.
Per Cristo nostro Signore.
 
 10 Luglio 2025
 
Giovedì XIV Settimana T. O.
 
Gn 44,18-21.44,23b-29; 45,1-5; Salmo Responsoriale Dal Salmo 104 (105); Mt 10,7-15
 
Colletta
O Padre, che nell’umiliazione del tuo Figlio
hai risollevato l’umanità dalla sua caduta,
dona ai tuoi fedeli una gioia santa,
perché, liberati dalla schiavitù del peccato,
godano della felicità eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Catechismo degli Adulti: [1021] Il cristiano guarda realisticamente alla malattia e alla morte come a un male; anzi vede in queste tragiche realtà un’alienazione, carica di tutta la violenza del Maligno e capace di portare alla chiusura in se stessi, alla ribellione e alla disperazione. Non considera però il dolore una pura perdita, non tenta fughe illusorie, né si limita a subirlo fatalisticamente. Messo alle strette dalla sofferenza, continua a credere nella vita e nel suo valore. «Non è affatto un dolore la tempesta dei mali presenti per coloro che ripongono la loro fiducia nei beni futuri. Per questo non ci turbano le avversità, né ci piegano» .
La pazienza è una lotta piena di fiducia. Da una parte il cristiano mette in opera tutte le risorse per eliminare la malattia, per liberare se stesso e gli altri. Dall’altra trova nella sofferenza un’occasione privilegiata di crescere in umanità e di realizzarsi a un livello più alto. Se non gli è possibile guarire, cerca di vivere ugualmente; non si limita a sopravvivere. Affronta la situazione con coraggio, dignità e serenità; mantiene la speranza, il gusto dell’amicizia e delle cose belle; confida nella misteriosa fecondità del suo atteggiamento.
Sperimentando nella malattia la propria impotenza, l’uomo di fede riconosce di essere radicalmente bisognoso di salvezza. Si accetta come creatura povera e limitata. Si affida totalmente a Dio. Imita Gesù Cristo e lo sente personalmente vicino. Abbracciando la croce, sa di abbracciare il Crocifisso. Unito a lui, diventa segno efficace della sua presenza e strumento di salvezza per gli altri: «Ogni uomo, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo».
 
I Lettura: Giuseppe si palesa ai fratelli. La prova è finita ben presto, perché il cuore di Giuseppe non ha retto più perché anelava abbracciare i suoi cari. Vi è un riconoscimento della Provvidenza di Dio che guida la storia dell’uomo: “Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita”. L’uomo di fede sa leggere in questa luce tutti gli avvenimenti della sua vita.
 
Vangelo
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.
 
L’invio dei dodici discepoli trova ragione nel cuore compassionevole del Cristo: Gesù misericordioso è il buon Samaritano dell’umanità ferita. Al potere di scacciare i demoni si aggiunge anche quello di guarire le malattie e ogni sorta di infermità. Quest’ultimo potere suppone il primo. Entrambi stanno a significare che è venuta la fine delle forze del male e del dominio di Satana.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt  10,7-15
 
In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli:
«Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni.
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento.
In qualunque città o villaggio entriate, domandate chi là sia degno e rimanetevi finché non sarete partiti.
Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglie e non dà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dei vostri piedi. In verità io vi dico: nel giorno del giudizio la terra di Sòdoma e Gomorra sarà trattata meno duramente di quella città».
 
Parola del Signore.
 
Norme per la missione - Felipe F. Ramos: I discepoli di Gesù devono continuare l’opera del Maestro: devono annunziare la presenza del regno; e i miracoli che hanno il potere di operare devono essere l’argomento della verità della presenza del regno di Dio che essi annunziano. Tanto la predicazione dei discepoli come le loro opere devono annunziare l’imminenza del regno di Dio. L’annunzio del regno, l’invocazione di Dio come Padre rendono presente il regno.
Questo contenuto della predicazione dei discepoli è espresso nella nostra lettura dalle affermazioni relative alla pace. L’augurio di pace era il saluto abituale fra i giudei; ma qui è qualcosa di più. La pace è descritta col grado di efficienza della parola di Dio: se Dio comanda qualcosa, questo si realizza; se pronunzia una parola, questa non torna a lui vuota (Is 45,23; 55,11). Là dove si augura la pace, si realizza quello che si è chiesto. Si tratta quindi della pace che equivale al regno di Dio, la pace eterna, quella di Dio, la piena armonia fra Dio e l’uomo, fra l’uomo e l’uomo... la riconciliazione: tutto questo è divenuto realtà nella presenza del Cristo (Mc 5,34; Rm 5,1; Ef 2,14: Cristo nostra pace). Per questo, l’annunzio della pace è l’annunzio di Cristo e di tutto quello che egli significa per l’uomo. Una pace che resterà fra i degni e che si allontanerà dagli indegni.
Questa personificazione della pace mette in rilievo il duplice atteggiamento di fronte alla parola-pace di Dio: atteggiamento di accoglienza o di rigetto. Non si tratta d’una maledizione: semplicemente la pace non resta con coloro che la rigettano. Quello che l’AT aveva detto del Messia, che sarebbe stato il principe della pace (Is 9,5), ora è detto utilizzando solo la parola di saluto normale, ma con una maggiore profondità di senso.
Scuotete la polvere dai vostri piedi. Anche questa frase esclude ogni genere di maledizione: sta semplicemente a simboleggiare l’esclusione dal regno di coloro che si sono esclusi da sé rigettando la pace loro offerta: essi non avranno parte nel regno. Questo gesto di scuotere la polvere dai sandali era abituale quando un giudeo tornava in patria: si scuoteva la polvere dai piedi per indicare che i gentili non avevano parte nel destino del  popolo eletto, nel possesso della terra promessa. Ma questo gesto, nelle parole di Gesù, ha un significato trascendente: l’atteggiamento di rigetto della parola di Dio, della pace, ha come conseguenza inevitabile la parola «condanna», esclusione definitiva dal regno, una sorte peggiore che quella di Sodoma e Gomorra.
Le norme di privazione assoluta che sono imposte ai discepoli: non porterete né oro né argento né sandali né bastone ... paiono assolutamente impraticabili. Si chiedeva loro davvero tutto questo? Pare che queste esigenze siano prese da norme stabilite per assistere al culto di Dio nel tempio: «che nessuno entri nel tempio con bastone, sandali o con borsa di denaro...». Partendo da questa norma giudaica, si direbbe semplicemente che i discepoli, nel compimento della loro missione evangelizzatrice, sono davanti a Dio (come nel tempio) e devono comportarsi come chi sta alla presenza di Dio, sapendo che il risultato della loro missione dipende da Dio. Diremmo che si ordina ai discepoli di andare «disarmati» per mettere in evidenza che si tratta dell’opera di Dio, dell’annunzio della sua parola, e non d’un’opera umana. Come norme di assoluto ascetismo, sono inspiegabili. Come può un uomo camminare senza sandali e senza bastone nel deserto...?
In fine, i discepoli sono presentati come operai mandati nella vigna del Signore, e quindi sono degni del loro salario. Il NT ripete in altre occasioni queste parole di Gesù (1Cor 9,14; lTm 5,18). San Paolo, che cita le parole di Gesù, rinunziò a questo privilegio (1Cor 9,12; 1Ts 2,9; 2Ts 3,7-8...) per godere d’una maggior libertà nella predicazione e per poter rispondere adeguatamente ai possibili correligionari giudei. Egli si gloria di essersi guadagnato da vivere col lavoro delle sue mani.
 
Gli Apostoli e la Chiesa dinanzi alla malattia - J. Giblet e P. Grelot: 1. Il segno del regno di Dio, costituito dalle guarigioni miracolose, non è rimasto confinato nella vita terrena di Gesù. Egli aveva associato i suoi apostoli, sin dalla loro prima missione, al suo potere di guarire le malattie (Mt 10, 1). Al momento della missione definitiva promette loro una realizzazione continua di questo segno per accreditare l’annunzio del vangelo (Mc 16, 17 s). Perciò gli Atti notano a più riprese le guarigioni miracolose (Atti 3, 1 ss; 8, 7; 9, 32 ss; 14, 8 ss; 28, 8 s) che mostrano la potenza del nome di Gesù e la realtà della sua risurrezione. Così pure Paolo, tra i carismi, ricorda quello di guarigione (1 Cor 12, 9. 28. 30): questo segno permanente continua ad accreditare la Chiesa di Gesù facendo vedere che lo Spirito Santo agisce in essa. Tuttavia la grazia di Dio viene ordinariamente agli ammalati in un modo meno spettacolare. Riprendendo un gesto degli apostoli (Mc 6, 13), i «presbiteri» della Chiesa compiono su di essi, che pregano con fede e confessano i loro peccati, unzioni con olio nel nome del Signore; questa preghiera li salva, perché i peccati sono loro rimessi ed essi possono sperare, se così piace a Dio, la guarigione (Giac 5, 14 ss).
2. Questa guarigione non avviene tuttavia in modo infallibile, come se fosse l’effetto magico della preghiera o del rito. Finché dura il mondo presente, l’umanità deve continuare a portare le conseguenze del peccato. Ma «prendendo su di sé le nostre malattie» al momento della sua passione, Gesù ha dato loro un nuovo senso: come ogni sofferenza, esse hanno ormai un valore di redenzione. Paolo, che ne ha fatto l’esperienza a più riprese (Gal 4, 13; 2 Cor 1, 8 ss; 12, 7- 10), si sa che esse uniscono l’uomo a Cristo sofferente: «Portiamo nei nostri corpi le sofferenze di morte di Gesù, affinché la vita di Gesù sia anch’essa manifestata nel nostro corpo» (2 Cor 4, 10). Mentre Giobbe non arrivava a comprendere il senso della sua prova, il cristiano si rallegra di «completare nella sua carne ciò che manca alle prove di Cristo per il suo corpo, che è la Chiesa» (Col 1, 24). Nell’attesa che giunga questo ritorno al paradiso dove gli uomini saranno guariti per sempre dai frutti dell’albero della vita (Apoc 22, 2; cfr. Ez 47, 12), la malattia stessa è inserita, come la sofferenza e come la morte, nell’ordine della salvezza. Non che essa sia facile da portare: rimane una prova, ed è carità aiutare il malato a sopportarla, visitandolo e consolandolo. «Portate le malattie di tutti», consiglia Ignazio di Antiochia. Ma servire gli ammalati significa servire Gesù stesso nelle sue membra sofferenti: «Ero ammalato e mi avete visitato», dirà nel giorno del giudizio (Mt 25, 36). Il malato, nel mondo cristiano, non è più un maledetto dal quale ci si scosta (cfr. Sal 38, 12; 41, 6-10; 88, 9); è l’immagine ed il segno di Cristo Gesù.
 
Scuotete la polvere dai vostri piedi - Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Matteo 32, 5: Agli apostoli che avrebbero potuto chiedere a Gesù quale vantaggio sarebbe loro derivato da un simile, terribile castigo, egli risponde che Dio, punendo le città indegne, assicura loro l'ospitalità delle case che saranno degne di accoglierli. Ma che significato hanno le parole: Scotete la polvere dai vostri piedi? Possono significare che gli apostoli non hanno ricevuto niente e non hanno niente da spartire con gli uomini indegni, neppure la polvere dei loro calzari; oppure attestano che gli apostoli hanno compiuto un lungo cammino per questi ingrati che li scacciano.
 
Il Santo del Giorno - 10 Luglio 2025 -  San Bernardo di Quintavalle - Nato in Assisi negli ultimi decenni del sec. XII, Bernardo conobbe san Francesco e si mise al suo seguito fin dal 1209, divenendo così il primo compagno del santo e «prima plantula» dell’Ordine minoritico. Con san Francesco fu a Roma dinanzi ad Innocenzo III per l’approvazione della Regola (16 aprile 1209); raggiunse poi Firenze e Bologna (1211), città che devono a lui i loro inizi francescani, e con fra’ Egidio si recò in Spagna, dove più tardi, come vogliono alcuni storici, fu ministro provinciale (1217-19). Tra il 1241 e il 1243 fu per qualche tempo a Siena. Lo ricorda il Salimbene che nella sua Cronica osserva di aver appreso da lui cose meravigliose intorno a s. Francesco. Quando i tre compagni Leone, Rufino e Angelo nel 1246 inviarono il loro memoriale su san Francesco al ministro generale Crescenzio, Bernardo era già morto. Si era spento placidamente in Assisi, come gli aveva predetto san Francesco, e fu sepolto nella basilica inferiore del santo. (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai nutriti
con i doni della tua carità senza limiti,
fa’ che godiamo i benefici della salvezza
e viviamo sempre in rendimento di grazie.
Per Cristo nostro Signore.

 

 

 9 Luglio 2025
 
Mercoledì XIV Settimana T. O.
 
Gn 41,55-57; 42,5-7a.17-24a; Salmo Responsoriale Dal Salmo 32 (33); Mt 10,1-7
 
Colletta
O Padre, che nell’umiliazione del tuo Figlio
hai risollevato l’umanità dalla sua caduta,
dona ai tuoi fedeli una gioia santa,
perché, liberati dalla schiavitù del peccato,
godano della felicità eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Catechismo degli Adulti - I dodici [201] Un giorno, tra questi discepoli più vicini, Gesù ne sceglie dodici. Ci sono i quattro del lago: Simone, al quale impone il nome di Pietro, Giacomo e Giovanni di Zebedèo, Andrea fratello di Simone; e con loro ci sono anche Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananèo e infine Giuda Iscariota, il traditore.
È una scelta di importanza fondamentale e, prima di farla, Gesù passa la notte in preghiera. È un’iniziativa tutta sua: «chiamò a sé quelli che egli volle» (Mc 3,13). Il numero è intenzionale: «Ne costituì Dodici» (Mc 3,14). Si tratta di un’azione profetica simbolica, con la quale il Maestro dichiara la sua intenzione di radunare le dodici tribù disperse, di convocare l’Israele degli ultimi tempi, aperto anche ai pagani. Li scelse perché «stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni» (Mc 3,14-15). Questo raduno e questo invio prefigurano la vocazione della Chiesa alla comunione e alla missione.
Gesù mandò effettivamente i Dodici nelle città e nei villaggi, a proclamare il vangelo con la parola e con le opere; li mandò come suoi inviati ufficiali, a due a due secondo l’uso del tempo, con l’ordine di non esigere compensi, perché fossero segno dell’amore gratuito di Dio. «Partiti, predicavano che la gente si convertisse» (Mc 6,12) e guarivano molti malati. Al loro ritorno riferirono a Gesù «tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’“» (Mc 6,30-31). Questa prima missione, limitata al territorio di Israele, è preludio della missione definitiva verso tutte le genti, che il Signore affiderà loro dopo la sua risurrezione.
 
I Lettura: Si avverano le parole di Giuseppe, e così dopo sette anni di abbondanza piombano su tutto l’Egitto anni di carestia. La previdenza di Giuseppe salva l’Egitto dalla fame. Anche popoli lontani raggiungono l’Egitto per comprare il grano, e così i figli di Giacobbe. Giuseppe riconosce i fratelli, ma vuole metterli alla prova. Giuseppe vuole scandagliare il cuore dei fratelli e condurli a una sincera conversione.  
 
Vangelo
Rivolgetevi alle pecore perdute della casa d’Israele.
 
L’apostolato dei dodici - Giuseppe Barbaglio (Apostoli in Schede Bibliche Pastorali) - Gesù ha scelto i dodici per farne i suoi collaboratori; e li ha inviati con i suoi stessi poteri a predicare il Regno di Dio, a guarire i malati e cacciare i demoni (Lc 9,1-2b). Caratteristica dell’apostolo è di andare e di agire nel nome di Gesù, cioè con la sua autorità (cfr. Lc. 10,17); tanto che Giovanni, scoprendo un esorcista che non segue il Maestro e che caccia tuttavia i demoni nel suo nome, si sente in dovere di intervenire e impedirglielo (Mc 9,38s.; Lc 9,49s.). In realtà, se i dodici apostoli formano un gruppo ben definito, l’apostolato non lo considerano un ufficio fisso ed esclusivo: non è fisso, poiché vediamo che gli apostoli, rientrati dalla missione in Galilea, tornano ad essere semplicemente ascoltatori (Lc 9,10ss.; Mc 6,30ss.), fino a quando non intervenga un nuovo invio (Lc 10,1); l’apostolato inoltre non è esclusivo dei dodici, poiché anche altri vengono mandati, come nella missione dei settantadue discepoli riferitaci da Luca (Lc 10,1-2). Gesù ci ha manifestato il suo pensiero sull’essenziale della figura dell’apostolo: l’apostolo è come colui che lo ha mandato, e colui che lo ha mandato è Gesù stesso. Questo invio stabilisce una relazione profonda tra Gesù e i suoi apostoli: come egli è l’inviato del Padre, così gli apostoli sono i suoi inviati (Gv 17,18.23); come il Padre dimora nel Figlio inviato da lui, così anche il Figlio dimora nei suoi apostoli; come il Padre compie in lui le sue opere, così il Figlio compie negli apostoli le sue opere. Gesù può dire giustamente: Chi riceve voi, riceve me... (Mt 10,40). Ciò che nella istituzione dello shaliah (= emissario) era solo un fatto giuridico, ora diventa una realtà spirituale: Gesù sarà realmente presente in coloro che invia ed opererà in loro. Come egli, apostolo del Padre, ha reso Dio presente tra noi, così gli apostoli, perché inviati da Cristo, renderanno lui presente fra i credenti, secondo la sua stessa promessa: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt  10,1-7
 
In quel tempo, chiamati a sé i suoi dodici discepoli, Gesù diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello; Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.
Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino».

Parola del Signore.
 
Missione dei discepoli - Felipe F. Ramos: La lettura che commentiamo inizia parlando dei dodici discepoli, come se si trattasse di persone perfettamente note, che non hanno bisogno di presentazione, sebbene in realtà non siano ancora mai stati menzionati nel vangelo. Ma la Chiesa alla quale si indirizzava Matteo conosceva perfettamente questa situazione dei dodici, e quindi era superflua ogni spiegazione. L’intenzione con cui Matteo presenta i dodici è molto chiara, se teniamo presenti la sua mentalità e le sue tendenze. Già varie volte ha presentato Gesù come il novello Mosè, un novello Mosè che fonda un novello popolo di Dio. Ora, l’antico popolo di Dio era costituito da dodici tribù, e il nuovo popolo di Dio ha le stesse caratteristiche di un’universalità simboleggiata nel numero dodici. Gesù, novello Mosè, fonda il nuovo popolo di Dio, la Chiesa.
Nella lista dei dodici - a parte il luogo privilegiato di Pietro, sempre nominato per primo e in Matteo con maggior enfasi che negli altri sinottici - vi sono nomi sui quali è perfettamente d’accordo la tradizione, come Giacomo, Giovanni, Andrea e Giuda il traditore. Per altri, troviamo varianti anche nel nome. Questo vuol dire che, nella loro maggioranza, gli apostoli non furono personalità così distinte, che il loro nome divenisse celebre in tutte le chiese che si erano già formate fuori delle frontiere giudaiche, quando fu scritto il nostro vangelo. Nella loro maggioranza gli apostoli svolsero il loro ministero a Gerusalemme o in territorio giudaico; e solo più tardi sarebbe nata la leggenda a colmare questa lacuna. La cosa più importante dei dodici, quella che la Chiesa mise in evidenza fin dalla prima ora, è che Gesù l’aveva fondata su quei dodici uomini che egli chiamò apostoli, cioè inviati speciali per una missione ben concreta.
L’oggetto della missione si riassume nella continuazione dell’opera di Gesù: egli dà loro i suoi stessi poteri e ordina loro di predicare il vangelo: prossimità-presenza del regno. L’immagine che Matteo ci offre di questi apostoli corrisponde a quella del Maestro riguardo ai discepoli.
Questa lettura ci offre una delle affermazioni più scandalose del vangelo di Matteo: «Non andate fra i pagani...». Come è possibile, specialmente in un vangelo così dominato dall’universalismo - dal racconto dei magi fino all’ordine: «Andate nel mondo intero...» (28,19) - come è possibile che sia rimasto questo tratto di particolarismo rabbioso e appunto sulle labbra di Gesù? Le spiegazioni sono state molte, e, forse proprio per questo, nessuna è stata pienamente soddisfacente. Limitarsi alla casa d’Israele fu valido durante il ministero terreno di Gesù; ma, dopo la risurrezione, furono abbattute le frontiere. Sarebbe una spiegazione. Un’altra potrebbe essere la seguente: la missione ai gentili era assai più facile; il vangelo aveva trovato fra essi un atteggiamento di apertura, mentre, nel mondo giudaico, era stato rigettato. Era quindi necessario insistere sull’urgenza di evangelizzare i giudei che, per le difficoltà ricordate, erano abbandonati. Una terza spiegazione, che esponiamo con modestia perché è nostra, sarebbe la seguente: a) nella Chiesa primitiva vi furono due tendenze: una particolarista, che insisteva sui privilegi giudaici, e una universalista che propugnava il destino universale e assoluto del vangelo; b) la tendenza particolarista doveva essere giustificata con le parole di Gesù e, per conseguenza, c) questa tendenza inventò queste parole e le pose sulle labbra di Gesù. Matteo, come buon cronista, le trovò nella tradizione e le trasmise così come erano giunte a lui. È valida questa terza spiegazione?
 
Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino - Chi ha la missione di evangelizzare? La risposta ci viene prontamente suggerita dal concilio ecumenico Vaticano II: alla Chiesa «per mandato divino incombe l’obbligo di andare in tutto il mondo e di predicare il Vangelo ad ogni creatura» (DH 13).
Nell’opera della evangelizzazione sono innanzi tutto impegnati i Vescovi, successori degli Apostoli (Cf. LG 18; 22; 24; ecc.), e i presbiteri, in quanto cooperatori del Vescovo (Cf. PO 2; 4; 7).
Ma anche i fedeli devono spendere le loro forze nell’opera della evangelizzazione: «Tutti i fedeli, come membra di Cristo vivente, a cui sono stati incorporati e assimilati mediante il battesimo, la confermazione e l’eucaristia, hanno l’obbligo di cooperare all’espansione e alla dilatazione del suo corpo, per portarlo il più presto possibile alla pienezza. Tutti i figli della Chiesa devono avere la viva coscienza della loro responsabilità di fronte al mondo, devono coltivare in se stessi uno spirito veramente cattolico, devono spendere le loro forze nell’opera della evangelizzazione» (AG 36).
Quindi, l’evangelizzazione è frutto di una sincera cooperazione: «Essendo tutta la Chiesa missionaria ed essendo l’opera di evangelizzazione dovere fondamentale del popolo di Dio, il sacro sinodo invita tutti a un profondo rinnovamento interiore, affinché, avendo una viva coscienza della propria responsabilità in ordine alla diffusione del Vangelo, assumano la loro parte nell’opera missionaria tra le genti» (AG 35).
La constatazione che la Chiesa cattolica «deve operare instancabilmente “affinché la parola di Dio si diffonda e sia glorificata” [2Ts 3,1]» (DH 14), deve suscitare in noi due convinzioni.
A. evangelizzare è sempre un atto profondamente ecclesiale: «La prima convinzione è che evangelizzare non è mai per nessuno un atto individuale e isolato, ma profondamente ecclesiale. Allorché il più sconosciuto predicatore, catechista o pastore, nel luogo più remoto, predica il Vangelo, raduna la sua piccola comunità o amministra un Sacramento, anche se si trova solo compie un atto di Chiesa, e il suo gesto è certamente collegato mediante rapporti istituzionali, ma anche mediante vincoli invisibili e radici profonde dell’ordine della grazia, all’attività evangelizzatrice di tutta la Chiesa. Ciò presuppone che egli agisca non per una missione arrogatasi, né in forza di un’ispirazione personale, ma in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa» (Paolo VI, Esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi”, n. 60).
B. l’evangelizzatore deve operare in comunione con la Chiesa: «Come conseguenza, la seconda convinzione: se ciascuno evangelizza in nome della Chiesa, la quale a sua volta lo fa in virtù di un mandato del Signore, nessun evangelizzatore è padrone assoluto della propria azione evangelizzatrice, con potere discrezionale di svolgerla secondo criteri e prospettive individualistiche, ma deve farlo in comunione con la Chiesa e con i suoi Pastori. La Chiesa, l’abbiamo già rilevato, è tutta intera evangelizzatrice. Ciò significa che, per il mondo nel suo insieme e per ogni singola parte del mondo ove si trovi, la Chiesa si sente responsabile del compito di diffondere il Vangelo» (ibidem).
I secoli passati hanno visto da un lato, la diffusione universale del cattolicesimo che ha raggiunto tutti i cinque continenti dall’altro, una diffusione della secolarizzazione che ha portato alla laicizzazione della società e quindi a un forte allontanamento dalla Chiesa. Si è ridotto il numero degli operai, ed è vero, ma è pur vero che quando l’inedia assale il cuore, allora la fede langue e il mondo rimane sempre più indifferente al fatto religioso. Bisogna ripartire dalla gioia dell’incontro con il Risorto e allora i passi ritorneranno a lambire ancora una volta le terre più lontane.
 
Chiamò a sé i dodici discepoli - L’autorità data agli apostoli - Girolamo, Commento al Vangelo di Matteo 1, 10. 1: Benevolo e clemente è il Signore e maestro; non è geloso della sua potenza e la conferisce ai suoi servi e discepoli. E siccome egli cura ogni malattia e ogni infermità, vuol dare tale potere anche ai suoi apostoli, affinché anch’essi guariscano ogni malattia e ogni debolezza del popolo. Ma grande è la differenza tra il possedere e il dare, tra il donare e il ricevere.
Gesù, qualunque cosa facciano, confessano la loro debolezza e la forza del Signore, dicendo: In nome di Gesù, alzati e cammina. Da notare che è col dodicesimo prodigio che viene conferia agli apostoli è la facoltà di compiere miracoli.
 
Il Santo del Giorno - 9 Luglio 2025 -  Sant’Agostino Zhao Rong. La vita donata per il tesoro più prezioso: il Vangelo - Faremmo di tutto per custodire e curare i tesori che portiamo nel cuore, per salvare l’amore che ci anima da tutto ciò che potrebbe violarlo. Ecco perché per il tesoro della fede, scintilla dell’origine divina della nostra esistenza, i martiri hanno deciso di offrire tutta la propria vita: non potevano rinunciare a quella luce trovata grazie alla testimonianza di altri cristiani. Così avvenne per sant’Agostino Zhao Rong, primo prete cinese martire. La sua conversione al Vangelo di Cristo avvenne grazie all’esempio di alcuni cristiani perseguitati. Nato a Kweichou nel 1746, nel 1772 come soldato dell’esercito imperiale venne mandato a custodire alcuni cristiani rinchiusi in prigione a causa della loro fede: tra loro c’erano dei sacerdoti che continuavano ad annunciare il Vangelo. Il futuro martire si convertì, venne battezzato e cresimato il 28 agosto, decidendo di prendere il nome del santo ricordato dalla liturgia quel giorno, Agostino. Dopo gli studi teologici venne ordinato prete nel 1781 e mandato in missione in una zona montagnosa. Riconosciuto e identificato, però, venne arrestato e ucciso durante la persecuzione del 1815. È ricordato assieme a 119 altri martiri in Cina le cui cause sono state unificate nel 2000: papa Giovanni Paolo II li ha infatti canonizzati assieme il 1° ottobre dell’anno giubilare. (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai nutriti
con i doni della tua carità senza limiti,
fa’ che godiamo i benefici della salvezza
e viviamo sempre in rendimento di grazie.
Per Cristo nostro Signore.
 
 

 8 Luglio 2025
 
Martedì XIV Settimana T. O.
 
Gn 32,23-33; Salmo Responsoriale Dal Salmo 16 (17); Mt 9,32-38
 
Colletta
O Padre, che nell’umiliazione del tuo Figlio
hai risollevato l’umanità dalla sua caduta,
dona ai tuoi fedeli una gioia santa,
perché, liberati dalla schiavitù del peccato,
godano della felicità eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Un duro combattimento - Catechismo della Chiesa Cattolica 407 La dottrina sul peccato originale – connessa strettamente con quella della redenzione operata da Cristo – offre uno sguardo di lucido discernimento sulla situazione dell’uomo e del suo agire nel mondo. In conseguenza del peccato dei progenitori, il diavolo ha acquisito un certo dominio sull’uomo, benché questi rimanga libero. Il peccato originale comporta « la schiavitù sotto il dominio di colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo ». Ignorare che l’uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della politica, dell’azione sociale e dei costumi. 
408 Le conseguenze del peccato originale e di tutti i peccati personali degli uomini conferiscono al mondo nel suo insieme una condizione peccaminosa, che può essere definita con l’espressione di san Giovanni: « il peccato del mondo » (Gv 1,29). Con questa espressione viene anche significata l’influenza negativa esercitata sulle persone dalle situazioni comunitarie e dalle strutture sociali che sono frutto dei peccati degli uomini.
409 La drammatica condizione del mondo che «giace » tutto « sotto il potere del maligno» (1Gv 5,19) fa della vita dell’uomo una lotta:
« Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta incominciata fin dall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio ».
 
I Lettura: Angel Gonzalez: L’incontro di Giacobbe con Dio sulla riva dello Iabbok non avviene in forma di visione, come a Betel, ma in forma di lotta; ma non per questo si può dire che non sia una risposta divina alla preghiera del patriarca. Dio gli attraversa ancora una volta la strada e dal suo titanismo lo porta al riconoscimento della presenza che lo guida. L’episodio è riferito dallo yahvista. Dio si apposta alla frontiera fra le due terre: la Mesopotamia degli aramei e Canaan che apparterrà ai discendenti di Giacobbe.
Giacobbe fa attraversare alla sua gente e ai suoi greggi questa frontiera costituita dal fiume; e l’autore lo lascia solo per un confronto drammatico, che precede quello che avrà con suo fratello, ma che non manca d’una relazione con esso.
 
Vangelo
La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!
 
Gesù esorcizza un “muto indemoniato” e questo suscita stupore, ma soltanto nelle anime “semplici”, nei cuori perversi invece monta la bile, l’odio, la gelosia, e l’accusa è scoccata come freccia avvelenata: «Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni». Il vangelo di Matteo non registra alcuna reazione da parte di Gesù, il quale riprende il suo cammino percorrendo “tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità”. È straordinaria questa nota, Gesù pur minacciato non ha paura di annunciare il vangelo del Regno e di compiere prodigi proprio nelle sinagoghe, la tana del lupo. Ma non è coraggio, è la sua missione, una missione che non è scevra di pericoli, di delusioni, ma impastata anche di compassione sopra tutto quando il suo sguardo si posa sulle folle mirandole “stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore”. Una verità lucida il cui riverbero raggiunge i nostra anni, un Europa che ha rigettato le radici cristiane, da qui l’imperativo dettato ai discepoli di tutti i tempi: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 9,32-38
 
In quel tempo, presentarono a Gesù un muto indemoniato. E dopo che il demonio fu scacciato, quel muto cominciò a parlare. E le folle, prese da stupore, dicevano: «Non si è mai vista una cosa simile in Israele!». Ma i farisei dicevano: «Egli scaccia i demòni per opera del principe dei demòni».
Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».
 
Parola del Signore.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 32-33 Un muto indemoniato; il demonio aveva reso muto l’infelice di cui era in possesso. L’esorcismo fu compiuto verosimilmente con un semplice comando.
Non s’è mai vista cosa simile in Israele; l’espressione della folla chiude convenientemente la serie dei miracoli narrati da Matteo; essa non si riferisce all’ultimo miracolo narrato, ma a tutti quelli ricordati nei capitoli 8-9 e va considerata come l’epilogo di tutta la sezione narrativa.
34 Matteo nota, per ragione di contrasto, l’ostinazione dei capi spirituali del popolo (i Farisei) e ricorda l’insinuazione demolitrice che essi hanno osato compiere contro gli esorcismi operati da Cristo. L’intero versetto manca in codici importanti della tradizione occidentale. Sopra l’accusa mossa dai Farisei contro Cristo l’evangelista ritornerà più avanti e ne parlerà più diffusamente (cf. Mt., 12, 22-37).
35 Versetto di transizione con il quale Matteo ricapitola l’attività svolta da Gesù tra il popolo ed introduce l’opera che il Maestro inizia per la formazione dei suoi collaboratori.
36 L’esperienza fatta in Galilea da Gesù e dai suoi apostoli aveva loro rivelato la triste condizione spirituale delle popolazioni. Il maestro ne è profondamente commosso e rattristato; il popolo si trovava come un gregge stanco ed affamato senza le cure premurose di un pastore. Il versetto contiene un’amara allusione alle guide spirituali del tempo, le quali, chiuse in un orgoglio compiacente della propria religiosità, non curavano gli umili ed i semplici.
37-38 Si passa dall’immagine del gregge a quella della messe (Luca conserva il paragone della messe in un contesto più logico e cronologicamente più esatto; cf. Lc., 10, 2). Nei due paragoni (gregge-messe) è soggiacente lo stesso pensiero. Sono egualmente necessari i pastori come pure i mietitori, altrimenti il gregge langue e la messe marcisce. Gesù invita tutti a pregare Dio, affinché si degni suscitare ed inviare degli operai nel campo della raccolta; il Signore provvede quando è pregato. Cristo, come uomo, è limitato; egli non può essere dovunque, né può far giungere a tutti la parola della salvezza, per questo fa chiedere al Padre dei collaboratori. Le parole del Maestro rivelano una sublime concezione dell’apostolato: l’apostolo è un inviato ed un collaboratore scelto da Dio.
 
Pregate dunque ... - Italo Castellani: Il ritrovato impegno e tanta preghiera per le vocazioni, che si eleva oggi dalle nostre comunità - anche perché è sotto gli occhi di tutti la constatazione di una sproporzione tra il raccolto che ci sarebbe da fare e le braccia necessarie per questo raccolto - dovrà forse entrare sempre più nello spirito del comando di Gesù: “Pregate il Padrone della messe...”.
Gesù infatti ha chiesto più volte di pregare, ma pochissime volte, quattro in tutto, con un’intenzione precisa: la preghiera per i nemici (Mt 5,44); la preghiera per non entrare in tentazione nei tempi escatologici (Mt 26,41); la preghiera per Pietro affinché la sua fede non venga meno (Lc 22,32), la preghiera al Signore della messe perché mandi operai nella sua messe (Mt 9,38).
È significativo che tra questi “comandi”, non generali ma “all’imperativo” consegnati ai discepoli, ci sia la richiesta di pregare per l’invio degli operai nella messe.
Qual è dunque il significato profondo, da recuperare ai nostri giorni nella preghiera per le vocazioni della comunità cristiana, di questo “comando autoritativo” che esprime una precisa volontà del Signore?
“Gesù, dopo aver detto queste parole, non conclude dicendo: dunque andate. C’è bisogno, dunque, rimboccate le maniche, muoviamoci... Dice: c’è bisogno, dunque, pregate”.
“Si noti che Gesù non comanda ai discepoli di essere operai di Dio bensì di pregare...”.
“Gesù sembra spostare il problema: non è tanto un problema vostro, è il problema del Padrone della messe, quindi è un problema di Dio. È cosa di Dio. Pregate perché mandi”.
A pensarci bene, alla luce di queste riflessioni, la preghiera per le vocazioni che si eleva dal cuore della comunità cristiana ha forse bisogno di diventare più autentica. Troppo spesso, forse, la nostra preghiera per le vocazioni, mentre da una parte è accoglienza del comando di Gesù, dall’altra è forse più sollecitata da congiunture contingenti e dall’ansia di sopravvivere ad ogni costo.
Rischia cioè di non essere una preghiera essenzialmente mossa dalla fede e dalla motivazione primaria, che Gesù c’insegna nel Padre Nostro, che “venga” il Regno di Dio.
“Ma perché domandare a Dio, supplicarlo per ciò che riguarda innanzitutto lui? Perché chiedere una cosa per lui? Sta qui il grande mistero della preghiera. È certo che Dio, come Gesù, vede le pecore senza pastore, è certo che Dio vede i bisogni della Chiesa, ma Dio vuole che noi domandiamo, supplichiamo, preghiamo, perché ‘noi’ ne abbiamo bisogno. Di questo abbiamo veramente bisogno... Pregare per le vocazioni significa ricordare e confessare che la vocazione è dall’alto, da Dio, per Cristo, nella potenza dello Spirito Santo: Dio è il soggetto che plasma le chiamate e solo lui le può sostenere. Non è il soggetto individuale che sceglie, non è neppure la chiesa che chiama (cioè la risposta ai bisogni della Chiesa) e non sono neppure i bisogni del mondo che suscitano vocazioni. Insomma, Dio è il ‘principio’ della chiamata e ne è il ‘fine’ ma questi due poli si possono tenere insieme solo pregando”.
 
Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Matteo 32, 3: Pregate, dunque, il padrone della messe. Con queste parole fa loro intendere quale grande dono sta per fare, e insieme lascia intravedere che egli stesso ha tale potere. Infatti, dopo aver dato questo avvertimento, senza che essi abbiano in precedenza rivolto una preghiera o una richiesta, egli subito li consacra apostoli, richiamando alla loro mente le parole di Giovanni, l’aia, il ventilabro, la paglia e il buon grano. Tutto questo mostra chiaramente che egli è l’agricoltore e insieme il padrone della messe e il Signore dei profeti che l’hanno seminata. E fuor di dubbio, che, inviando gli apostoli a raccogliere la messe, non li invia a mietere la messe di un altro ma ciò che egli stesso ha seminato per mezzo dei profeti. E non si limita a dar coraggio ai discepoli mostrando che il loro lavoro, il loro ministero consiste nella mietitura di una messe già pronta, ma anche li rende atti a questo ministero.
 
Il Santo del Giorno - 8 Luglio 2025 - Santi Aquila e Priscilla. L’amore tra sposi, frutto del Vangelo e risorsa per la vita della Chiesa: L’esperienza di famiglia è quella dimensione primigenia entro la quale tutti muoviamo i primi passi nel mondo. I legami che si formano tra le mura domestiche rappresentano le radici di ciò che poi siamo nel mondo. Oggi la Parola di Dio ci offre un’icona viva, che ai aiuta a comprendere due temi fondamentali: è il Vangelo la forza più preziosa per far crescere il rapporto tra sposi che a sua volta è una risorsa fondamentale nella crescita della vita di tutta la comunità dei credenti. I santi Aquila e Priscilla, così come raccontano gli Atti degli Apostoli al capitolo 18, incarnano bene questa duplice dimensione. La loro esperienza inizia da un preciso carisma, quello dell’accoglienza: «Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto – si legge negli Atti –. Qui trovò un Giudeo di nome Aquila, nativo del Ponto, arrivato poco prima dall’Italia, con la moglie Priscilla, in seguito all’ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei. Paolo si recò da loro e, poiché erano del medesimo mestiere, si stabilì in casa loro e lavorava». I due seguono Paolo fino a Efeso, dove istruiranno Apollo, predicatore la cui conoscenza del Vangelo è carente in alcuni punti. Per un periodo, poi, i due sposi sono a Roma ma in realtà nulla si sa della loro morte, che secondo la tradizione avviene per martirio.
 
O Signore, che ci hai nutriti
con i doni della tua carità senza limiti,
fa’ che godiamo i benefici della salvezza
e viviamo sempre in rendimento di grazie.
Per Cristo nostro Signore.