18 MARZO 2024
LUNEDÌ DELLA V SETTIMANA DI QUARESIMA
Dn 13,1–9.15–17.19–30.33–62; Salmo Responsoriale Dal Salmo 22 (23); Gv 8,1-11
Colletta
O Padre, che con il dono del tuo amore
ci riempi di ogni benedizione, trasformaci in creature nuove,
per essere preparati alla Pasqua gloriosa del tuo regno.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Papa Francesco (Angelus, 7 Aprile 2019): Questa scena invita anche ciascuno di noi a prendere coscienza che siamo peccatori, e a lasciar cadere dalle nostre mani le pietre della denigrazione e della condanna, del chiacchiericcio, che a volte vorremmo scagliare contro gli altri. Quando noi sparliamo degli altri, buttiamo delle pietre, siamo come questi.
Alla fine rimangono solo Gesù e la donna, là in mezzo: «la misera e la misericordia», dice Sant’Agostino (In Joh 33,5). Gesù è l’unico senza colpa, l’unico che potrebbe scagliare la pietra contro di lei, ma non lo fa, perché Dio “non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (cfr Ez 33,11). E Gesù congeda la donna con queste parole stupende: «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (v. 11). E così Gesù apre davanti a lei una strada nuova, creata dalla misericordia, una strada che richiede il suo impegno di non peccare più. […] Ogni vera conversione è protesa a un futuro nuovo, ad una vita nuova, una vita bella, una vita libera dal peccato, una vita generosa. Non abbiamo paura a chiedere perdono a Gesù perché Lui ci apre la porta a questa vita nuova.
Prima Lettura: Susanna non cede ai due anziani, e preferisce andare incontro alla morte anziché esporsi all’infamia. Preferendo «“cadere innocente” nelle mani dei giudici, testimonia non solo la sua fede e fiducia in Dio, ma anche la sua obbedienza alla verità e all’assolutezza dell’ordine morale: con la sua disponibilità al martirio, proclama che non è giusto fare ciò che la legge di Dio qualifica come male per trarre da esso un qualche bene. Essa sceglie per sé la “parte migliore”: una limpidissima testimonianza, senza nessun compromesso, alla verità circa il bene e al Dio di Israele; manifesta così, nei suoi atti, la santità di Dio» (Veritatis splendor 91).
Vangelo
Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei.
Da molti esegeti, per motivi di critica testuale e letteraria, la storia dell’“adultera perdonata” è ritenuta un masso erratico proveniente dalla tradizione sinottica. La pericope, al di là della questione dell’adulterio, mette in risalto la misericordia di Gesù perfettamente in sintonia con l’amore misericordioso del Padre celeste: «Io non godo della morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva» (Ez 33,11). Gesù non è venuto «per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» (Gv 12,47; Cf. Gv 8,15): l’invito perentorio rivolto alla donna adultera di non peccare più è una forte spinta a uscire fuori dalla miseria del peccato per incominciare una vita nuova. In questa luce, il racconto giovanneo, è un appello rivolto a tutti gli uomini perché, smettendo di giudicarsi a vicenda, sentano il bisogno di essere salvati da Dio.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 8,1-11
In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adultèrio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adultèrio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
Parola del Signore.
Gli conducono una donna sorpresa in adulterio - Il conflitto tra i farisei, gli scribi e Gesù non è ancora esploso in tutta la sua violenza, sarà la risurrezione di Lazzaro a fare precipitare irreversibilmente la situazione: «... quel giorno dunque decisero di ucciderlo» (Gv 11,53). Pur tuttavia i rapporti sono molto tesi e i sinedriti tallonano il giovane Rabbi, lo spiano per coglierlo in fallo «per poi accusarlo» (Mc 3,2). Per raggiungere il loro obiettivo, gli scribi e i farisei, conducono, quindi, a Gesù una donna sorpresa in adulterio, un reato che la Legge mosaica condannava con la pena capitale (Dt 22,22; Lev 20,10). In genere, la Legge mosaica non determinava il modo, la morte veniva inferta o per strangolamento o per spada o per lapidazione; solo per la fidanzata infedele categoricamente veniva intimata la pena della lapidazione (Cf. Dt 22,23ss).
I farisei pongono l’adultera nel mezzo perché sia ben visibile a tutti. Mostrano in questo modo la loro poca sensibilità verso i loro simili: la donna, anche se colta in flagrante adulterio, ai loro occhi, doveva restare pur sempre una persona. Si autodenùnciano come uomini gretti, abietti, disposti a tutto pur di raggiungere i loro obiettivi illeciti.
La povera donna è solo un’esca, perché, come ci suggerisce il Vangelo, le reali squallide intenzioni dei farisei sono tese unicamente a cogliere in fallo Gesù, «per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo» (Gv 8,6).
II gioco maligno, d’altronde mai riuscito (Cf. Mt 22,15-22), era di una estrema semplicità: se Gesù avesse assolto la donna l’avrebbero accusato di infrangere la Legge di Mosè; se l’avesse condannata, oltre a perdere la sua buona fama di uomo misericordioso, avrebbe infranto la legge di Roma in quanto soltanto i suoi tribunali avevano il diritto di comminare pene capitali. In ogni caso, avrebbero avuto modo di accusarlo o al Sinedrio o a Pilato.
I farisei da Gesù già rimproverati in altre simili occasioni, avevano dimenticato prestamente il monito loro rivolto: imparate «che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrifici» (Mt 9,13).
La lezione non l’avevano imparata tanto d’insistere in pratiche disumane come la lapidazione. Nonostante l’arroganza e l’insistenza degli interlocutori, Gesù è tranquillo, imperturbabile, lo dimostra chinandosi e mettendosi a scrivere col dito per terra (Gv 8,6). Inutile investigare per conoscere cosa scrivesse Gesù: il verbo katagraph significa tracciare segni, disegnare, ma anche mettere per iscritto un’accusa. I Padri della Chiesa interpretano questo gesto con Geremia 17,13, dove è minacciata la rovina per quanti sono infedeli a Dio: «O speranza di Israele, Signore, quanti ti abbandonano resteranno confusi; quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato il Signore, fonte di acqua viva».
Poiché gli accusatori della donna non si rassegnano, Gesù dà prova della sua saggezza e della sua misericordia con una risposta lapidaria: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7). Se tutti siamo peccatori (Cf. Rom 3,9ss; 5,12) e «tale è la condizione dell’uomo, come può un peccatore infierire contro chi è stato vittima della stessa debolezza umana? [...]. L’espressione scagli per primo una pietra riecheggia Dt 13,1 dove si ordina che i testimoni oculari devono dar inizio all’esecuzione della condanna a morte. Dopo una risposta tanto saggia, Gesù non guarda più gli accusatori, ma di nuovo si china per scrivere sulla terra. Evidentemente il Maestro ha sconcertato gli avversari; essi aspettavano che prendesse posizione sulla questione legale; invece ha ricordato ai giudici che non sono senza peccato e quindi non possono condannare. Il gesto del Maestro, di chinarsi per non fissare gli accusatori, vuol porre i giudici dinanzi alle loro responsabilità e invitarli a una decisone sincera e libera» (Salvatore Alberto Panimolle).
I farisei e gli scribi, disorientati e disarmati dalla sapienza divina, non possono fare altro che allontanarsi, cominciando «dai più anziani»: questo particolare sembra ispirarsi alla storia di Susanna e dei «due anziani pieni di perverse intenzioni» (Dan 13,1ss). Sgombrato il campo, Gesù rimane solo con l’adultera: è l’incontro «dell’innocenza con chi ha commesso peccato: la scena diventa una illustrazione plastica dell’invito al pentimento. Dio odia il peccato e ama il peccatore; tale atteggiamento si attua in Gesù. Il quale, benché non giudichi e non condanni, invita la donna a non peccare più [...]. La legge condanna il peccato non perché gli uomini si giudichino a vicenda, ma perché essi sentano il bisogno di essere salvati da Dio. Gesù porta in sé questa salvezza: odia infinitamente il peccato, ama infinitamente il peccatore. Questo è possibile soltanto a Dio» (P. Giuseppe Ferraro s.j.).
La storia dell’adultera, posta alla fine del cammino quaresimale, suggerisce ai credenti l’esperienza gioiosa che essi fanno nel sacramento della Penitenza. Un invito pressante a fare Pasqua.
Il perdono di Dio e il perdono dell’uomo - Giuseppe Barbaglio: Nella preghiera di gruppo insegnata da Gesù ai suoi discepoli una supplica è: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12); «Perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore» (Lc 11,4).
C’è dunque un inscindibile nesso tra il perdono concessoci da Dio e il perdono nostro al prossimo.
La cosa sta particolarmente a cuore a Matteo che fa seguire al Padre nostro, in particolare all’invocazione del perdono divino, la seguente affermazione: «Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (6,14-15). Si noti che il perdono atteso da Dio e condizionato al perdono del prossimo sembra in prospettiva escatologica; in altre parole, saremo accolti misericordiosamente nel regno di Dio il giorno ultimo, se nella storia avremo perdonato i torti del nostro prossimo.
Da parte sua, Marco che non ha il Padre nostro conosce però il detto seguente di Cristo: «Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati» (11,25).
Si deve allora ritenere che il perdono di Dio sia in tutto condizionato al nostro perdono accordato al prossimo?
Nella parabola del servo spietato, attestata in Mt 18,23-35, Gesù illustra il dovere del perdono illimitato da concedere al fratello. Il racconto parabolico tiene dietro al dialogo tra Gesù e Pietro: alla domanda del discepolo quante volte dovrà perdonare al fratello, sino a sette volte, il maestro risponde: sino a 77 volte (Mt 18,21-22). Il primo evangelista allude qui al feroce Lamec e alla sua vendetta indiscriminata, per dire che il comandamento di Gesù (perdono illimitato, sino a 77 volte) annulla la legge della giungla instaurata dalla stirpe dei cainiti (Cf. Gn 4,23-24). Nella versione di Luca, più fedele al detto originario di Gesù, si parla di perdono sino a 7 volte, numero simbolico di pienezza e di completezza, dunque indicante perdono illimitato (Lc 17,4).
Nella parabola poi Gesù mette in stretto rapporto il condono ricevuto e il condono da accordare. Il servo spietato, che ha ottenuto, al di là di ogni attesa, il condono di un debito enorme (il prezzo di sessanta milioni di giornate lavorative), è moralmente obbligato a condonare al suo collega un debito normale, corrispondente al prezzo di cento giornate lavorative: «Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, come io ho avuto pietà di te?» (18,33).
Ma colui che è stato perdonato non sa essere «perdonatore» del fratello; perciò sarà condannato con durezza.
Ed ecco la conclusione redazionale dell’evangelista: «Così anche il Padre mio celeste farà a ciascuno di voi [= giudizio di condanna], se non perdonerete di cuore al vostro fratello» (v. 35).
La prospettiva è senza dubbio quella escatologica del rendiconto, precisamente della condanna, se nella storia non si avrà perdonato di cuore al fratello.
Ma nella parabola di Gesù l’accento sta sulla connessione tra perdono ricevuto e perdono da accordare; in altre parole, chi è stato beneficiario del perdono divino dovrà coerentemente sentirsi obbligato a perdonare a sua volta al prossimo.
Dunque all’inizio c’è il perdono di Dio, perdono ricevuto senza alcun merito. Quest’esperienza poi suscita e fonda il dovere di perdonare al fratello e nel giudizio ultimo infine il perdono di Dio sarà condizionato dal perdono nostro al prossimo. In breve, il perdono da accordare al fratello sta tra due perdoni di Dio, quello storico e quello escatologico; dal primo esso è fondato e giustificato, riguardo al secondo si pone come condizione sine qua non.
Tommaso d’Aquino (In Jo. ev. cxp ., VIII): Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere per terra col dito: Egli scriveva per terra per tre motivi. Il primo di essi, a giudizio di Agostino, fu quello dimostrare che quanti lo tentavano sarebbero stati scritti per terra, secondo le parole di Geremia ( 1 7,13): O Signore ... coloro che si allontanano da te saranno scritti per terra. Invece i giusti e i discepoli che lo seguono saranno scritti nei Cieli; vedi Lc. 10,20: Godete ed esultate, perché i vostri nomi sono scritti nei Cieli. Inoltre lo fece allo scopo di mostrare che Egli doveva fare dei segni sulla terra: infatti chi scrive fa dei segni ... Quindi Egli si chinò, mediante il mistero dell’Incarnazione, per compiere dei segni sulla Terra. Terzo, fece quel gesto perché l’antica Legge era stata scritta su tavole di pietra (Es., 3 1 , 18) per indicarne la durezza: per cui chi avesse violato la Legge di Mosè sarebbe stato ucciso senza pietà. La terra invece è tenera; quindi per indicare la dolcezza e la morbidezza della nuova Legge che Egli avrebbe dato, Gesù scriveva per terra.
Il Santo del giorno - 18 Marzo 2024 - Sant’Anselmo di Lucca: Il patrono di Mantova è noto anche come Anselmo di Baggio (luogo di nascita) e come Anselmo II di Lucca, diocesi di cui fu vescovo. Visse 46 anni, dal 1040 al 1086. Oggi viene ricordato - oltre che a Mantova e a Lucca, dall’ordine benedettino, di cui era monaco - e a San Miniato. Lo zio, Papa Alessandro II, lo aveva voluto sulla cattedra episcopale toscana. Il nipote gli fu fedele nei contrasti con l’Imperatore Enrico IV, durante i quali fu consigliere presso Matilde di Canossa. Fu anche un moralizzatore dei costumi ecclesiali. Il Papa lo inviò più volte in Germania e in Lombardia, dove divenne legato permanente. Si stabilì a Mantova, dove morì. Il corpo riposa in duomo. (Avvenire)
Rinvigoriti dalla benedizione dei tuoi sacramenti,
ti preghiamo, o Signore:
la loro forza ci purifichi sempre dal male
e la sequela di Cristo affretti i nostri passi verso di te nella gloria.
Per Cristo nostro Signore.
ORAZIONE SUL POPOLO ad libitum
O Signore, libera dai peccati il popolo che ti supplica,
perché conduca una vita santa
e non sia oppresso da alcuna avversità.
Per Cristo nostro Signore.