IL PENSIERO DEL GIORNO

1 Agosto 2017

Oggi Gesù ci dice: «Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno» (Mt 13,38).

Da una parte la pazienza di Dio, dall’altra l’impazienza dei servi. Dio, come ci suggerisce il libro della Sapienza, padrone della forza, giudica con mitezza e governa con molta indulgenza. Il discepolo deve preoccuparsi soltanto di essere seme buono. La santità è solo alla conclusione del Regno sulla terra. Così viene condannato ogni estremismo.


Il Vangelo ci suggerisce che il regno dei cieli assomiglia: a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Poi, dalla stessa spiegazione dataci da Gesù, possiamo aggiungere:

Primo - Il Figlio dell’uomo è il fondatore del regno dei cieli ed è lui quindi a scriverne la carta costituente: ogni aggiunta umana, a questa carta costituente, deturpa, sconvolge e stravolge il volto e il cuore del regno dei cieli. La Chiesa è “il regno di Cristo già presente in mistero” (LG, 3).
“La Chiesa è ad un tempo via e fine del disegno di Dio: prefigurata nella creazione, preparata nell’Antica Alleanza, fondata dalle parole e dalle azioni di Gesù Cristo, realizzata mediante la sua croce redentrice e la sua risurrezione, essa è manifestata come mistero di salvezza con l’effusione dello Spirito Santo. Avrà il suo compimento nella gloria del cielo come assemblea di tutti i redenti della terra” (CCC 778).

Secondo - Il regno dei cieli non si manifesta nella potenza, ma porta i segni della piccolezza e della debolezza. La parabola della zizzania ci permette di comprendere questa estrema debolezza del regno.
Pazienza, attesa, tolleranza, comprensione... sono tutti frutti della carità. Non si possono erigere steccati o muri: siamo tutti, buoni e cattivi, dentro lo stesso recinto e dentro il recinto del nostro cuore mescoliamo bontà a cattiveria.

Dunque, il regno dei cieli ha un inizio (il seme), una fine (la mietitura), separati da un tempo di crescita (i frutti). In questo tempo intermedio, rintuzzati gli assalti del nemico, il credente-servo ha una cosa sola da fare: come lievito deve gettarsi nella massa della pasta e come seme morire nel campo del mondo: perché la pasta sia lievitata e il campo fecondato, lasciando il giudizio a Dio.


“Anche lo scandalo di una Chiesa mediocre, peccatrice, compromessa, lontana dall’ideale evangelico della purezza, della santità, del disinteresse, non deve turbare. Essendo fatta di uomini e vivendo nel mondo, la Chiesa corre continuamente il rischio di contaminarsi con il mondo e di veder crescere all’interno delle sue file, le piante della zizzania accanto al grano buono.
Alcuni cristiani vorrebbero ricorrere a mezzi violenti e risolutivi: scomunicare i membri più deboli, bruciare gli eretici, gettare con violenza le esigenze del Vangelo in faccia a cristiani e non cristiani con la politica dell’aut-aut, o con me o contro di me...
Alla base di questi atteggiamenti ci sono due distorsioni. Una errata idea di Dio, un Dio geloso degli uomini, pronto a scagliare i suoi fulmini; quindi un Dio gretto, meschino, non il Padre misericordioso; una mancanza di fiducia in Dio e quindi di speranza, che genera paura e insicurezza” (LDC,  Messale festivo).
Un secondo errore è quello di passare dall’intolleranza al buonismo. Il Vangelo non ci suggerisce una accettazione passiva degli eventi e neppure una qualunquistica bonomia, ma un atteggiamento positivo, costruttivo, che richiede anche pazienza e rispetto dei tempi di crescita.
Dolcezza e misericordia che esigono la riparazione e la conversione, “senza la quale non si può entrare nel regno” (CCC 545). Se non si richiedesse tutto questo, si lascerebbe il peccatore nel suo peccato e in un infantilismo peggiore dello stesso peccato. La Chiesa fa suo il progetto di Dio: concede a tutti con longanimità e pazienza la possibilità di pentirsi dei peccati.

Il grano e la zizzania - «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! [...]. Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa: anche all’interno di essa» (Joseph Ratzinger, Via Crucis, Venerdì Santo 2005).
Con queste parole l’illustre porporato, oggi Papa emerito, volle mettere a nudo i peccati degli uomini di Chiesa, però è sottinteso che lo scandalo di una Chiesa peccatrice, pur lontana dall’ideale evangelico della purezza e della santità, non può e non deve turbare il cuore dei credenti. È quasi un dato di fatto. Essendo costituita di uomini e vivendo nel mondo, la Chiesa è semper convertenda e semper reformanda. La distinzione fra la Chiesa e gli uomini di Chiesa - come suggerisce Antonio Socci - è doverosa e «non è una furbizia tattica. La Chiesa infatti non è la somma dei cristiani [questo potrebbe essere casomai un partito]. La Chiesa è invece costituita dal mistero di Cristo realmente e misteriosamente fra loro» (Il segreto di Padre Pio).
Alcuni cristiani vorrebbero ricorrere a mezzi violenti e sbrigativi: tagliare la testa agli infedeli, scomunicare i membri non allineati, bruciare sul rogo gli eretici, gettare con violenza le istanze del Vangelo in faccia a cristiani e non cristiani con il diktat dell’aut-aut, o con me o contro di me.
Alla base di questi atteggiamenti c’è una distorsione. È l’arroganza di imporre un Dio frutto di una fantasia molto personalistica e anche malata: un Dio geloso degli uomini, pronto a scagliare i suoi fulmini; quindi un Dio gretto, meschino, non il Padre misericordioso. Un Dio simile non può che generare sfiducia, paura e incertezze.
Ma vi è il rischio di passare dall’intolleranza al buonismo. Alla politica della pacca sulle spalle. Il Vangelo, infatti, non ci suggerisce una accettazione passiva degli eventi e neppure una qualunquistica bonomia, ma un atteggiamento positivo, costruttivo, che richiede anche pazienza e rispetto dei tempi di crescita. Dolcezza e misericordia che devono esigere il deciso abbandono di una vita peccaminosa, la riparazione e la conversione, «senza la quale non si può entrare nel regno» (Catechismo della Chiesa Cattolica 545).
Se l’annuncio evangelico non richiedesse scelte esigenti, pur rispettando i personali tempi di crescita, si lascerebbe il peccatore nel suo peccato e in un infantilismo peggiore dello stesso peccato. Sarebbe bello una Chiesa senza penitenza, senza inferno, senza ascesi, senza diavoli, senza peccato, senza mortificazioni e senza conversione. Ma il regno di Dio non è la terra di Bengodi!
Se la Chiesa, istruita dallo Spirito Santo, e facendo suo il progetto di Dio, concede a tutti gli uomini, con longanimità e pazienza, la possibilità di pentirsi dei peccati, lo fa perché l’uomo si decida a convertirsi immantinente. E tutti gli uomini, anche i discepoli del Cristo, hanno bisogno di convertirsi e fare penitenza. Infatti, come ci suggerisce il Catechismo della Chiesa Cattolica (827), tutti «i membri della Chiesa, compresi i suoi ministri, devono riconoscersi peccatori. In tutti sino alla fine dei tempi, la zizzania del peccato si trova ancora mescolata al buon grano del Vangelo. La Chiesa raduna dunque peccatori raggiunti dalla salvezza di Cristo, ma sempre in via di santificazione: “La Chiesa è santa, pur comprendendo nel suo seno dei peccatori, giacché essa non possiede altra vita se non quella della grazia: appunto vivendo della sua vita, i suoi membri si santificano, come, sottraendosi alla sua vita, cadono nei peccati e nei disordini, che impediscono l’irradiazione della sua santità. Perciò la Chiesa soffre e fa penitenza per tali peccati, da cui peraltro ha il potere di guarire i suoi figli con il sangue di Cristo e il dono dello Spirito Santo”».
La santità è solo alla conclusione del regno sulla terra: «Prima della fine non chiamare nessuno beato; un uomo si conosce veramente alla fine» (Sir 11,28). E prima della fine c’è il sudore della conquista, la spossatezza della vigilanza, la carità della pazienza e il fuoco della missione. Anche se a raccogliere i frutti saranno altri.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** La santità è solo alla conclusione del regno sulla terra.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che proponi alla tua Chiesa modelli sempre nuovi di vita cristiana, fa’ che imitiamo l’ardore apostolico del santo vescovo Alfonso Maria de’ Liguori nel servizio dei fratelli, per ricevere con lui il premio riservato ai tuoi servi fedeli. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


IL PENSIERO DEL GIORNO

31 LUGLIO 2017


Oggi Gesù ci dice: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata» (Mt 13,33).

Le due parabole, quelle della senapa e del lievito “sono gemelle e trasmettono un unico insegnamento. In esse il centro di gravità è nella sproporzione che esiste fra inizi quasi impercettibili e lo sviluppo straordinario sproporzionato, che si ottiene. Così avviene del regno di Dio e della sua parola: una cosa a mala pena percettibile, ma che ha un’efficacia interna e che, quando si accoglie, produce effetti sorprendenti e inspiegabili. Un granello piccolissimo, come quello della senapa, si sviluppa in una pianta che raggiunge l’altezza di tre o quattro metri nei dintorni di Gerico. Un pugno di lievito fa fermentare una quantità di farina che darebbe pane a più di cento persone. La forza intensiva ed estensiva del regno di Dio è tale, che arriva a trasformare l’intera vita dell’uomo” (Felipe. F. Ramos, Commento alla Bibbia Liturgica).


Catechismo della Chiesa Cattolica

567 Il regno dei cieli è stato inaugurato in terra da Cristo. «Si manifesta chiaramente agli uomini nelle parole, nelle opere, nella persona di Cristo». La Chiesa è il germe e l’inizio di questo regno. Le sue chiavi sono affidate a Pietro.

671 Già presente nella sua Chiesa, il regno di Cristo non è tuttavia ancora compiuto «con potenza e gloria grande» (Lc 21,27). Questo regno è ancora insidiato dalle potenze inique, anche se esse sono già state vinte radicalmente dalla pasqua di Cristo.

770 La Chiesa è nella storia, ma nello stesso tempo la trascende. È unicamente «con gli occhi della fede» che si può scorgere nella sua realtà visibile una realtà contemporaneamente spirituale, portatrice di vita divina.

2832 Come il lievito nella pasta, così la novità del Regno deve «fermentare» la terra per mezzo dello Spirito di Cristo. Deve rendersi evidente attraverso l’instaurarsi della giustizia nelle relazioni personali e sociali, economiche e internazionali; né va mai dimenticato che non ci sono strutture giuste senza uomini che vogliano essere giusti.


Benedetto XVI (Omelia, 15 Giugno 2008)

Lo stile di Gesù è inconfondibile: è lo stile caratteristico di Dio, che ama compiere le cose più grandi in modo povero e umile. La solennità dei racconti di alleanza del Libro dell’Esodo lascia nei Vangeli il posto a gesti umili e discreti, che però contengono un’enorme potenzialità di rinnovamento. È la logica del Regno di Dio, non a caso rappresentata dal piccolo seme che diventa un grande albero (cfr. Mt 13,31-32). Il patto del Sinai è accompagnato da segni cosmici che atterriscono gli Israeliti; gli inizi della Chiesa in Galilea sono invece privi di queste manifestazioni, riflettono la mitezza e la compassione del cuore di Cristo, ma preannunciano un’altra lotta, un altro sconvolgimento che è quello suscitato dalle potenze del male. Ai Dodici - l’abbiamo sentito - Egli “diede il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d’infermità” (Mt 10,1). I Dodici dovranno cooperare con Gesù nell’instaurare il Regno di Dio, cioè la sua signoria benefica, portatrice di vita, e di vita in abbondanza per l’intera umanità. In sostanza, la Chiesa, come Cristo e insieme con Lui, è chiamata e inviata a instaurare il Regno della vita e a scacciare il dominio della morte, perché trionfi nel mondo la vita di Dio. Trionfi Dio che è Amore. Quest’opera di Cristo è sempre silenziosa, non è spettacolare; proprio nell’umiltà dell’essere Chiesa, del vivere ogni giorno il Vangelo, cresce il grande albero della vera vita. Proprio con questi inizi umili il Signore ci incoraggia perché, anche nell’umiltà della Chiesa di oggi, nella povertà della nostra vita cristiana, possiamo vedere la sua presenza e avere così il coraggio di andare incontro a Lui e di rendere presente su questa terra il suo amore, questa forza di pace e di vita vera. Questo è, quindi, il disegno di Dio: diffondere sull’umanità e sul cosmo intero il suo amore generatore di vita. Non è un processo spettacolare; è un processo umile, che tuttavia porta con sé la vera forza del futuro e della storia.


Evangelium vitae 95

Come il lievito che fermenta…

“Comportatevi come i figli della luce... Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre” (Ef 5,8.10-11). Nell’odierno contesto sociale, segnato da una drammatica lotta tra la “cultura della vita” e la “cultura della morte”, occorre far maturare un forte senso critico, capace di discernere i veri valori e le autentiche esigenze.
Urgono una generale mobilitazione delle coscienze e un comune sforzo etico, per mettere in atto una grande strategia a favore della vita. Tutti insieme dobbiamo costruire una nuova cultura della vita: nuova, perché in grado di affrontare e risolvere gli inediti problemi di oggi circa la vita dell’uomo; nuova, perché fatta propria con più salda e operosa convinzione da parte di tutti i cristiani; nuova, perché capace di suscitare un serio e coraggioso confronto culturale con tutti. L’urgenza di questa svolta culturale è legata alla situazione storica che stiamo attraversando, ma si radica nella stessa missione evangelizzatrice, propria della Chiesa. Il Vangelo, infatti, mira a "trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità"; è come il lievito che fermenta tutta la pasta (Mt 13,33) e, come tale, è destinato a permeare tutte le culture e ad animarle dall’interno, perché esprimano l’intera verità sull’uomo e sulla sua vita.
Si deve cominciare dal rinnovare la cultura della vita all’interno delle stesse comunità cristiane. Troppo spesso i credenti, perfino quanti partecipano attivamente alla vita ecclesiale, cadono in una sorta di dissociazione tra la fede cristiana e le sue esigenze etiche a riguardo della vita, giungendo così al soggettivismo morale e a taluni comportamenti inaccettabili. Dobbiamo allora interrogarci, con grande lucidità e coraggio, su quale cultura della vita sia oggi diffusa tra i singoli cristiani, le famiglie, i gruppi e le comunità delle nostre Diocesi. Con altrettanta chiarezza e decisione, dobbiamo individuare quali passi siamo chiamati a compiere per servire la vita secondo la pienezza della sua verità. Nello stesso tempo, dobbiamo promuovere un confronto serio e approfondito con tutti, anche con i non credenti, sui problemi fondamentali della vita umana, nei luoghi dell’elaborazione del pensiero, come nei diversi ambiti professionali e là dove si snoda quotidianamente l’esistenza di ciascuno.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** La forza intensiva ed estensiva del regno di Dio è tale, che arriva a trasformare l’intera vita dell’uomo.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


31 Luglio 2017: Sant’Ignazio di Loyola: Il grande protagonista della Riforma cattolica nel XVI secolo, nacque ad Azpeitia, un paese basco, nel 1491. Era avviato alla vita del cavaliere, la conversione avvenne durante una convalescenza, quando si trovò a leggere dei libri cristiani. All’abbazia benedettina di Monserrat fece una confessione generale, si spogliò degli abiti cavallereschi e fece voto di castità perpetua. Nella cittadina di Manresa per più di un anno condusse vita di preghiera e di penitenza; fu qui che vivendo presso il fiume Cardoner decise di fondare una Compagnia di consacrati. Da solo in una grotta prese a scrivere una serie di meditazioni e di norme, che successivamente rielaborate formarono i celebri Esercizi Spirituali. L’attività dei Preti pellegrini, quelli che in seguito saranno i Gesuiti, si sviluppa un po’in tutto il mondo. Il 27 settembre 1540 papa Paolo III approvò la Compagnia di Gesù. Il 31 luglio 1556 Ignazio di Loyola morì. Fu proclamato santo il 12 marzo 1622 da papa Gregorio XV. (Avvenire)


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che a gloria del tuo nome hai suscitato nella Chiesa sant’Ignazio di Loyola, concedi anche a noi, con il suo aiuto e il suo esempio, di combattere la buona battaglia del Vangelo, per ricevere in cielo la corona dei santi. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


 IL PENSIERO DEL GIORNO

30 LUGLIO 2017


Oggi Gesù ci dice: “Ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52).

Il Nuovo Testamento (Ed. San Paolo) 13,52: La sentenza sullo “scriba” cristiano non può esser applicata a tutti i discepoli, ma ai responsabili e ai maestri della comunità, che conoscono sia l’insegnamento di Gesù (“il nuovo”) sia la legge e i profeti (“il vecchio”), interpretati e completati dal “nuovo”. L’unicità del “nuovo” rispetto all’“antico’“ è sottolineata dal fatto che viene messo al primo posto. Se l’insegnamento tradizionale dei maestri della legge resta un patrimonio inesauribile a cui si continua ad attingere, è la fede in Cristo a dare a quel “tesoro” una ricchezza nuova.


Lo Scriba: A partire da Esdra, nome dato al maestro della legge dell’Antico Testamento; egli riceveva una formazione appropriata che lo rendeva competente, e gli veniva attribuito il titolo onorifico di rabbi.
Gli scriba erano teologi e giuristi; le loro spiegazioni formarono presto una raccolta di norme accanto alla legge. Essi costituivano una classe distinta e molto influente e si appoggiavano ai diversi partiti, p. es. dei Farisei, dei Sadducei, degli Esseni. Il Nuovo Testamento li menziona spesso insieme con i Farisei (Mc 7,1), poiché molti di loro erano farisei; i sacerdoti non erano per lo più scriba. Il conflitto di Gesù con i Farisei comprende pure gli scriba (cfr. Mr 14,1s); tuttavia non tutti gli scriba sono nemici dei cristiani (At 5,34). Con la distruzione di Gerusalemme (70 d.C.) scomparve il sacerdozio giudaico; nel periodo successivo divenne determinante per il giudaismo l’influsso degli scriba (per lo più di tendenza farisaica); nel 70 d.C. Iabne (Jamnia) divenne un centro di studi giudaici, che in seguito passò a Tiberiade.  (Piccolo Dizionario Biblico)


Benedetto Prete (Vangelo secondo Matteo): I discepoli affermano di aver afferrato il senso delle parabole intorno al regno di Dio. Gesù replica indicando loro i vantaggi della comprensione di tali dottrine. Chi giunge a capire l’economia del regno dei cieli diventa un dottore (scriba) della nuova legge e può essere paragonato ad un saggio padrone di casa, il quale dispone delle cose vecchie e nuove che possiede secondo i bisogni. L’immagine (che costituisce una breve parabola conclusiva dell’intero discorso compilato da Matteo nel capitolo 13) è concepita e presentata con espressioni ebraiche. Lo scriba ebreo (dottore della Legge antica) quando di­viene discepolo di Cristo. possiede ed usa tutta la ricchezza del Vecchio Testamento ampliata e perfezionata dal Nuovo. Matteo. riportando questo elogio dello scriba cristiano rievoca l’insegnamento che Cristo impartiva
quando affermava che il panno nuovo non deve servire a rattoppare un abito vecchio (cf. 9,16) e che la nuova Legge non distrugge bensì perfeziona la vecchia (cf. 5,l7). Lo scriba antico che si lascia ammaestrare da Gesù nella Legge nuova entra nel pieno possesso della verità intorno al regno di Dio. L’autore con questo elogio dello scriba cristiano indica velatamente se stesso, poiché Matteo è l’evangelista che nel suo scritto accentua più degli altri la parentela e la continuità che esiste tra il Vecchio ed il Nuovo Testamento.


Catechismo della Chiesa Cattolica

546 Gesù chiama ad entrare nel Regno servendosi delle parabole, elemento tipico del suo insegnamento. Con esse egli invita al banchetto del Regno, ma chiede anche una scelta radicale: per acquistare il Regno, è necessario «vendere» tutto; le parole non bastano, occorrono i fatti. Le parabole sono come specchi per l’uomo: accoglie la Parola come un terreno arido a come un terreno buono? Che uso fa dei talenti ricevuti? Al centro delle parabole stanno velatamente Gesù e la presenza del Regno in questo mondo. Occorre entrare nel Regno, cioè diventare discepoli di Cristo per « conoscere i misteri del regno dei cieli» (Mt 13,11). Per coloro che rimangono « fuori» (Mc 4,11), tutto resta enigmatico.

1034 Gesù parla ripetutamente della «geenna», del «fuoco inestinguibile», che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l’anima che il corpo. Gesù annunzia con parole severe: «Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angoli, i quali raccoglieranno [...] tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente» (Mt 13,41-42), cd egli pronunzierà la condanna: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno!» (Mt 25,41).

1035 La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, «il fuoco eterno». La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.


Catechismo degli Adulti

La pena principale dell’inferno

1220 In che cosa consiste questa pena? La Bibbia per lo più si esprime con immagini: Geenna di fuoco, fornace ardente, stagno di fuoco, tenebre, verme che non muore, pianto e stridore di denti, morte seconda. La terribile serietà di questo linguaggio va interpretata, non sminuita. La Chiesa crede che la pena eterna del peccatore consiste nell’essere privato della visione di Dio e che tale pena si ripercuote in tutto il suo essere.

1221 Non si tratta di annientamento per sempre. Lo escludono i testi biblici sopra riportati, che indicano una sofferenza eterna e altri che affermano la risurrezione degli empi. Lo esclude la fede nella sopravvivenza personale, definita dal concilio Lateranense V. Del resto neppure il diavolo è annientato, ma tormentato «giorno e notte per i secoli dei secoli» (Ap 20.10) insieme con i suoi angeli. Quando la Sacra Scrittura parla di perdizione, rovina, distruzione, corruzione, morte seconda, si riferisce a un fallimento della persona, a una vita completamente falsata.

1222 Piuttosto la pena va intesa come esclusione dalla comunione con Dio e con Cristo: «Allontanatevi da me voi tutti operatori d’iniquità!» (Lc 13,27). «Costoro saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza» (2Ts 1,9). L’esclusione però non è subita passivamente: con tutto se stesso, a somiglianza degli angeli ribelli, il peccatore rifiuta l’amore di Dio: «Ogni peccatore accende da sé la fiamma del proprio fuoco. Non che sia immerso in un fuoco acceso da altri ed esistente prima di lui. L’alimento e la materia di questo fuoco sono i nostri peccati». L’inferno è il peccato diventato definitivo e manifestato in tutte le sue conseguenze, la completa incapacità di amare, l’egoismo totale. La pena è eterna, perché il peccato è eterno.
Il dannato soffre, ma si ostina nel suo orgoglio e non vuole essere perdonato. Il suo tormento è collera e disperazione, «stridore di denti» (Lc 13,28), lacerazione straziante tra la tendenza al bene infinito e l’opposizione ad esso.
L’amore di Dio, respinto, diventa fuoco che divora e (Cf. Dt 4,24s; Is 10,17) consuma; lo sguardo di Cristo brucia come fiamma. Dio ama il peccatore, ma ovviamente non si compiace di lui: la sua riprovazione pesa terribilmente.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** L’amore di Dio, respinto, diventa fuoco che divora e (Cf. Dt 4,24s; Is 10,17) consuma.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.



Preghiamo con la Chiesa:  O Padre, fonte di sapienza, che ci hai rivelato in Cristo il tesoro nascosto e la perla preziosa, concedi a noi il discernimento dello Spirito, perché sappiamo apprezzare fra le cose del mondo il valore inestimabile del tuo regno, pronti ad ogni rinunzia per l'acquisto del tuo dono. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

IL PENSIERO DEL GIORNO

29 LUGLIO 2017


Oggi Gesù ci dice: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, avrà la luce della vita” (Cfr. Gv 8,12 - Acclamazione al Vangelo).

Felipe F. Ramos (Commento alla Bibbia Liturgica): Io sono la luce del mondo. Questa nuova unità letteraria è una continuazione delle controversie suscitate in occasione della festa delle capanne e interrotte dall’episodio della donna adultera.
Gesù si presenta con parole poetiche ed esistenziali, parole che scoprono quello che Gesù è e quello che vuol essere per l’uomo. Nell’Antico testamento e in molte religioni la luce è usata nel linguaggio metaforico per indicare le forze del bene, come le tenebre servono per indicare il male. In alcune religioni il binomio luce-tenebre è usato per descrivere il dualismo assoluto, cosa che non può avvenire nel linguaggio biblico.
Secondo la Bibbia Dio è il creatore di tutto; perciò le tenebre, come la luce, hanno in lui la loro origine. Non è possibile parlare d’un dualismo assoluto. Quando si parla della luce e la parola è applicata a Dio, non si mira a descrivere la natura di Dio, ma la sua attività in favore dell’uomo. Perciò, la luce si applica alla legge che Dio ha data all’uomo (Sal 119,105; Pr 6,23). Il termine è usato anche per descrivere la novità radicale dei tempi messianici , la comparsa del Messia (Mt 4,16; 5,14; Mr 4.21; Lc 2,32).
Uno dei riti principali della festa delle Capanne consisteva nell’accendere una grande lampada nel tempio e nel fare una processione notturna con faci accese. È il contesto adeguato per la dichiarazione di Gesù: Io sono la luce. La luce illumina; perciò, chi segue Gesù, non cammina nelle tenebre. L’opera redentrice di Gesù illumina essenzialmente la vita umana.


La luce nel Nuovo testamento: Bibbia di Gerusalemme (1974, nota a Gv 8,12): Nel Nuovo Testamento, il tema della luce si sviluppa secondo tre linee principali, più o meno distinte: 1. Come il sole illumina una strada, così è «luce» tutto quello che rischiara la strada verso Dio: un tempo erano la legge, la sapienza e la parola di Dio (Qo 2,13; Pr 4,18-19.23, Sal 119,105); ora è il Cristo (Gv 1,9; 9,1-39; 12,35; 1Gv 2,8-11; cf. Mt 17,2, 2Cor 4,6), paragonabile alla nube luminosa dell’esodo (Gv 18,12; cf. Es 13,21s; Sap 18,3s), e anche ogni cristiano, che manifesta Dio agli occhi del mondo (Mt 5,14-16; Lc 8,16: Rm 2,19; Fil 2,15; Ap 21,24). 2. La luce è simbolo di vita, di felicità e di gioia; le tenebre sono simbolo di morte, di sventura e di lacrime (Gb 30,26; Is 45,7; Sal 17,15+). Alle tenebre della prigionia si oppone dunque la luce della liberazione e della salvezza messianica (Is 8,22-9,1; Mt 4,16; Lc 1,79; Rm 13,11-12). Essa raggiunge anche le nazioni pagane (Lc 2,32; At 13,47), mediante il Cristoluce (Gv: cf. testi citati sopra; Ef 5,14), per consumarsi nel regno dei cieli (Mt 8,12; 22,13; 25,30; Ap 22,5; cf. Gv 21,3-4). 3. Il dualismo «luce-tenebre» caratterizza così i due mondi opposti del bene e del male (cf. i testi esseni di Qumran). Nel Nuovo Testamento appaiono perciò due «imperi», sotto il rispettivo dominio: del Cristo e di Satana (2Cor 6,14-15; Col 1,12-13; At 26,18; 1Pt 2,9); l’uno cerca di vincere l’altro (Lc 22,53; Gv 13,27-30). Gli uomini si dividono in «figli della luce» e «figli delle tenebre» (Lc 16,8,; 1Ts 5,4-5; Ef 5,7-8; Gv 12,36), secondo che vivono sotto l’influenza della luce (il Cristo) o delle tenebre (Satana) (Mt 6,23; 1Ts 5,4s; 1Gv 1,6-7; 2,9-10), e si riconoscono dalle loro opere (Rm 13,12-14; Ef 5,8-11). Questa separazione (giudizio) tra gli uomini si è resa manifesta con la venuta della luce, che obbliga ciascuno a pronunziarsi per o contro di essa (Gv 3,19-21; 7,7; 9,39; 12,46; cf. Ef 5,12-13). La prospettiva resta ottimistica: le tenebre dovranno un giorno sparire davanti alla luce (Gv 1,5; 1Gv 2,8; Rm 13,12).


Catechismo della Chiesa Cattolica

Gesù luce

280 La creazione è il fondamento di «tutti i progetti salvifici di Dio», «l’inizio della storia della salvezza», che culmina in Cristo. Inversamente, il mistero di Cristo è la luce decisiva sul mistero della creazione: rivela il fine in vista del quale, «in principio, Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1): dalle origini, Dio pensava alla gloria della nuova creazione in Cristo.

529 La presentazione di Gesù al Tempio lo mostra come il Primogenito che appartiene al Signore. In Simeone e Anna è tutta l’attesa di Israele che viene all’incontro con il suo Salvatore (la tradizione bizantina chiama cosi questo avvenimento). Gesù è riconosciuto come il Messia tanto a lungo atteso, «luce delle genti» e « gloria di Israele», ma anche come «segno di contraddizione». La spada di dolore predetta a Maria annunzia l’altra offerta, perfetta e unica, quella della croce, la quale darà la salvezza «preparata da Dio davanti a tutti i popoli».

748 «Cristo è la luce delle genti, c questo sacro Concilio, adunato nello Spirito Santo, ardentemente desidera che la luce di Cristo, riflessa sul volto della Chiesa, illumini tutti gli uomini, annunziando il Vangelo a ogni creatura». Con queste parole si apre la «Costituzione dogmatica sulla Chiesa» del Concilio Vaticano II. Con ciò il Concilio indica che l’articolo di fede sulla Chiesa dipende interamente dagli articoli concernenti Gesù Cristo. La Chiesa non ha altra luce che quella di Cristo. Secondo un’immagine cara ai Padri della Chiesa, essa è simile alla luna. la cui luce è tutta riflesso del sole.

2466 In Gesù Cristo la verità di Dio si è manifestata interamente. Pieno d i grazia e di verità, egli è la «luce del mondo» (Gv 8,12), egli è la verità. Chiunque crede in lui non rimane nelle tenebre. Il discepolo di Gesù rimane fedele alla sua parola, per conoscere la verità che fa liberi e che santifica. Seguire Gesù è vivere dello Spirito di verità che il Padre manda nel suo nome e che guida « alla verità tutta intera» (Gv 16,13). Ai suoi discepoli Gesù insegna l’amore incondizionato della verità: « Sia il vostro parlare sì, sì; no, no» (Mt 5,37).


Richard Gutzwiller (Meditazioni su Giovanni): Nel primo libro della Bibbia si narra come la luce creata da Dio infranse le tenebre: da allora la luce è per gli uomini una gioia ed un conforto. Meditando e cantando essi levano lo sguardo al sole, alla luna ed alle stelle e celebrano con liete feste le solenni ricorrenze del ciclo solare.
Nell’ultimo libro della Bibbia, ossia nell’Apocalisse, si parla della Gerusalemme celeste in cui non ci sono né lampade, né sole, né tenebra alcuna: la città non ha bisogno della luce del sole né di quella della luna, perché la sua lampada è l’Agnello nella cui luce cammina la moltitudine.
Tra i due episodi, ossia tra la creazione della luce naturale e la pienezza della gloria sfolgorante di Dio, sta Cristo che è la luce del mondo.
La luce che splende tra le tenebre è Lui nel quale si compiono tutte le profezie e le figure; Lui che attesta la gloria della luce eterna: «Lumen de lumine». Adesso si adempie la profezia di Isaia:
«Il popolo che camminava nelle tenebre,
vide un gran chiarore;
sopra gli abitanti della terra d’ombre di morte
spuntò la luce» (Is. 9, 1).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** La prospettiva resta ottimistica: le tenebre dovranno un giorno sparire davanti alla luce.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa:  Dio onnipotente ed eterno, il tuo Figlio fu accolto come ospite a Betania nella casa di santa Marta, concedi anche a noi di esser pronti a servire Gesù nei fratelli, perché al termine della vita siamo accolti nella tua dimora. Per il nostro Signore Gesù Cristo. 

 IL PENSIERO DEL GIORNO

28 LUGLIO 2017


Oggi Gesù ci dice: “Beati coloro che custodiscono la parola di Dio con cuore integro e buono e producono frutto con perseveranza” (Cfr. Acclamazione al Vangelo Lc 8,15).
  
Benedetto Prete (Vangelo secondo Luca):  Con un cuore buono e integro: così rendiamo l’espressione originale καλός καί ἀγαθός (letteralmente: bello e buono), usata esclusivamente da Luca; essa compendia l’ideale umano della grecità classica. La conservano e producono frutto per la loro costanza; nel terzo evangelista la conclusione della parabola [del seminatore], come anche le varie applicazioni fatte precedentemente, considerano l’aspetto religioso che ha interesse è valore per tutti ed in ogni circostanza. «La conservano»; va rilevato che con questa espressione, propria dell’evangelista, il «conservare» la parola ascoltata ha un’importanza essenziale, anteriore a qualsiasi altra considerazione. «Producono frutto per la loro costanza»; la particella ἐν nel greco biblico può avere senso modale (con la loro costanza) e causale (per la loro costanza); abbiamo preferito il senso causale, perché più incisivo e rispondente al pensiero che l’evangelista vuol porre in evidenza nell’applicazione conclusiva della parabola. La costanza è la fermezza e la perseveranza nella prova (nelle tentazioni) fino alla fine; essa quindi costituisce il segno distintivo del seguace di Cristo che rimane fedele alla «parola», nonostante le varie e gravi difficoltà che possono presentarglisi (cf. verss. 12,13,14). Così Luca nella parabola del seminatore scopre un’ampia visuale di dottrina; la conclusione ultima che egli trae dall’immagine descritta da Gesù non rappresenta una applicazione limitata al semplice caso prospettato in essa, ma raggiunge il valore di un principio universale che sintetizza l’ideale della vita cristiana: la sopportazione costante delle prove rende feconda e ricca di frutti l’esistenza del seguace di Gesù (cf. Lc 21, 19)


La Parola di Dio ( Dizionario di Mistica) Il Concilio Vaticano Il sarà un evento salvifico per la netta affermazione del primato della Parola e per la riproposta della teologia della tradizione auspicata dai contributi di H. de Lubac e di J. Daniélou, di Y. Congar e di una sequela di teologi di questa scuola illuminata dallo Spirito della Pasqua del Signore.
Cosi conclude la Dei Verbum: «La Chiesa ha sempre venerato le divine scritture come ha fatto per il corpo stesso del Signore, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della P. che del corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli» (n. 21).
«È necessario che tutti i chierici, in primo luogo i sacerdoti di Cristo e quanti, come i diaconi o i catechisti, attendono legittimamente al ministero della parola, siano attaccati alle Scritture, mediante la sacra lettura assidua e lo studio accurato, affinché qualcuno di loro non diventi “vano predicatore della Parola all’esterno, lui che non l’ascolta da dentro” mentre deve partecipare ai fedeli a lui affidati le sovrabbondanti ricchezze della Parola divina, specialmente nella sacra liturgia. Parimenti, il santo Concilio esorta con forza e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere “la sublime scienza di Gesù Cristo” (Fil 3,8) con la frequente lettura delle divine scritture. “L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo”. Si accostino dunque volen­tieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia ricca di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi che, con l’approvazione e a cura dei pastori della Chiesa, lodevolmente oggi si diffondono ovunque. Si ricordino però che la lettura della Sacra Scrittura dev’es­sere accompagnata dalla preghiera, affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo; poiché “gli parliamo quando preghiamo e lo ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini» (D V 25).
«Con la lettura e lo studio dei libri sacri “la Parola compia la sua corsa e sia glorificata” (2Ts 3,l) e il tesoro della rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini. Come dall’assidua frequenza del mistero eucaristico si accresce la vita della Chiesa, cosi è lecito sperare nuovo impulso di vita spirituale dall’accresciuta venerazione della Parola, che “permane in eterno” (Is 40,8; lPt 1,23- 25)» (D V 26).


Basilio Caballero (La Parola per ogni giorno)

3. Le parabole non sono finite

Ancora oggi Dio ci parla del suo regno in parabole, cioè in segni, al passo con la vita che continua incessantemente il suo corso. In primo luogo, continua a parlarci attraverso suo Figlio, Gesù Cristo, che è la parabola viva ed eterna del Padre, come disse Gesù all’apostolo Filippo che gli chiedeva di fargli vedere il Padre: « Chi ha visto me ha visto il Padre» (Gv 14,9).
Dio ci parla anche con la parola della Chiesa e con la comunità dei fratelli; ci interpella in parabola attraverso i più poveri e bisognosi di liberazione, come con gli avvenimenti positivi e negativi del nostro tempo, con le legittime aspirazioni dell’umanità, con il dolore dei popoli oppressi, con le vittime ll’oppressione e dell’ingiustizia, con la natura e l’inquietudine degli ecologisti, con i successi e i fallimenti personali, familiari e sociali, con l’innocenza dei bambini, l’entusiasmo e l’anticonformismo dei giovani e con la maturità e responsabilità degli adulti, con l’arte e la bellezza, con tutto quello che esiste.
Chi ama percepisce la voce dell’Amato in tutto ciò che è umano, bello e nobile. Sarebbe triste metterei nell’atteggiamento dei sordi che, udendo, non ascoltano, dei ciechi che, guardando, non vedono e degli stolti che, nonostante l’evidenza, non capiscono.
Comprendere questa multiforme parola di Dio nella vita personale e nella storia umana richiede il passaggio dall’ascolto all’azione, superando gli scogli che le nostre passioni, la superficialità, l’opportunismo, l’incostanza, le ansie e l’avidità comportano per uno splendido raccolto del seme del regno in noi.

Grazie, Padre, per l’offerta di salvezza del tuo regno
in Cristo che è parabola vivente del tuo amore per l’uomo.
Grazie anche perché oggi continui a parlarci
e a rivelarci la tua volontà in segni e parabole,
attraverso Cristo e la Chiesa, la comunità dei fratelli,
i poveri e gli emarginati, il dolore degli oppressi,
la natura e l’inquietudine degli ecologisti,
i bambini e i giovani, l’arte, l’amore e la bellezza.

Con la forza del tuo Spirito, liberaci,
Signore, dalla nostra superficialità,
dall’incostanza e dalle idolatrie
perché la tua parola frutti nel nostro solco.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Catechismo degli Adulti 611: La parola di Dio è Dio stesso che si rivela e si dona nella storia degli uomini, fino a comunicarsi personalmente in Gesù di Nàzaret. Gesù è la Parola eterna e creatrice di Dio fatta carne e dice parole che «sono spirito e vita» (Gv 6,63): risana i malati, apre gli occhi ai ciechi, risuscita i morti, converte i peccatori, chiama i discepoli, promette e dona lo Spirito Santo.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Dio dei nostri padri, che ai santi Gioacchino e Anna hai dato il privilegio di avere come figlia Maria, madre del Signore, per loro intercessione concedi ai tuoi fedeli di godere i beni della salvezza eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo...