1 Giugno 2023
 
Giovedì VIII Settimana T. O.
 
Sir 42,15-26 (NV) [gr.42,15-25]; Salmo responsoriale dal Salmo 32 (33); Mc 10,46-52
 
Colletta
O Dio, che attraverso la stoltezza della croce
hai donato al santo martire Giustino
la sublime conoscenza di Gesù Cristo,
concedi a noi, per sua intercessione,
di respingere gli inganni dell’errore
per conseguire fermezza nella fede.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Benedetto XVI (Angelus 29 Ottobre 2006): La guarigione di Bartimeo «nell’essenzialità dei suoi passaggi, evoca l’itinerario del catecumeno verso il sacramento del Battesimo, che nella Chiesa antica era chiamato anche “Illuminazione”».
La fede è un cammino di illuminazione: parte dall’umiltà di riconoscersi bisognosi di salvezza e giunge all’incontro personale con Cristo, che chiama a seguirlo sulla via dell’amore. Su questo modello sono impostati nella Chiesa gli itinerari di iniziazione cristiana, che preparano ai sacramenti del Battesimo, della Confermazione (o Cresima) e dell’Eucaristia. Nei luoghi di antica evangelizzazione, dove è diffuso il Battesimo dei bambini, vengono proposte ai giovani e agli adulti esperienze di catechesi e di spiritualità che permettono di percorrere un cammino di riscoperta della fede in modo maturo e consapevole, per assumere poi un coerente impegno di testimonianza. Quanto è importante il lavoro che i Pastori e i catechisti compiono in questo campo! La riscoperta del valore del proprio Battesimo è alla base dell’impegno missionario di ogni cristiano, perché vediamo nel Vangelo che chi si lascia affascinare da Cristo non può fare a meno di testimoniare la gioia di seguire le sue orme. In questo mese di ottobre, particolarmente dedicato alla missione, comprendiamo ancor più che, proprio in forza del Battesimo, possediamo una connaturale vocazione missionaria».
 
Prima Lettura - Bibbia per la formazione cristiana: Comincia qui un grande inno che si estende fin quasi alla fine del capitolo 50. L’autore si propone di lodare Dio per le sue opere, cantando la sua grandezza nell’universo delle cose create e nella storia degli uomini. La natura è multiforme e immensa ma è trasparente. L’uomo non finirà mai di scoprire le sue meraviglie, in cui si rivela la gloria di Dio che con la sua parola ha creato tutte le cose. Dio esercita il suo dominio su ogni creatura. Tutte le creature sono belle e utili nella loro diversità. Ciascuna ha la sua funzione, che le è stata assegnata dal Creatore. L’uomo non sarà mai sazio di contemplare la loro bellezza.
 
Vangelo
Rabbunì, che io veda di nuovo!
 
Con l’episodio della guarigione di Bartimèo si conclude la sezione dedicata alla sequela di Gesù. La guarigione del figlio di Timeo segna anche una svolta: Gesù non cerca più di mantenere il segreto della sua identità. Accetta di essere chiamato Figlio di Davide e in seguito all’ingresso in Gerusalemme si designerà apertamente come il Messia. Gesù è detto anche Nazareno ed è chiamato con il titolo di Rabbunì. Il primo - Nazarenos - figura solo in Marco, mentre il secondo titolo è l’equivalente aramaico dell’ebraico rabbi. È usato solo qui e in Gv 20,16. Il significato potrebbe essere “mio Maestro” o “Maestro” (cf. Gv 20,16). La sequela del cieco Bartimèo diventa il prototipo di ogni discepolato: solo la luce della grazia riesce a far sentire all’uomo la presenza di Gesù. Solo il Dio salvatore dell’uomo e la grazia muovono l’uomo a invocare l’intervento liberatore di Dio, l’uomo, a tanta condiscendenza divina, può rispondere all’amore salvifico di Dio solo con la fede.
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 10,46-52
 
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
 
Parola del Signore.
 
Che vuoi che io ti faccia - Gerico è una città della Cisgiordania, posta in prossimità del fiume Giordano. Considerata la più antica città fortificata al mondo, Gerico evoca lutti, guerre e prodigi operati da Dio per la sua conquista. Basti pensare alla sua espugnazione miracolosa da parte di Giosuè quando Israele, dopo l’uscita «a mano alzata dall’Egitto» (Es 14,8), incominciò a conquistare la terra promessa (cf. Gs 6,1-16).
Di Bartimèo, figlio di Timèo, non sappiamo se era cieco dalla nascita, ma il fatto che Marco ne fornisca il nome potrebbe significare che probabilmente era conosciuto nell’ambiente della primitiva comunità cristiana. In ogni caso, se era cieco non era sordo e forse si era appostato in quel luogo di proposito in attesa del passaggio di Gesù.
Il titolo Figlio di Davide è un titolo messianico, ma non è facile intuire che eco avesse sulla bocca e nel cuore di Bartimèo. Con questo grido di fede sembra che il segreto messianico, gelosamente custodito da Marco, si sia ora dileguato.
«Finora nel Vangelo di Marco le proclamazioni messianiche ad alte grida erano state quelle dei demoni e Gesù ha cercato di tacitarle. Qui per la prima volta, è un uomo che grida a tutti la messianità di Cristo: un cieco che lo ha riconosciuto interiormente per grazia divina; e il Maestro non lo ammonisce, lascia che gridi più forte, anzi lo invita a mettersi accanto a lui al centro della folla, quasi a offrirgli una migliore opportunità a testimoniarlo» (P. Gaetano Savoca, s.j.).
In ogni caso, il grido del figlio di Timèo era un appello di aiuto. Essere guariti dalla cecità non stava a significare soltanto la liberazione dalla schiavitù della mendicità, ma un reale ritorno alla vita assaporandone tutti i colori. I soliti tetragoni tutori dell’ordine cercano di farlo tacere, ma il cieco consapevole della posta in gioco non si fa intimorire ed alza la voce gridando più forte. Gesù si ferma e ordina in modo perentorio di chiamarlo. Solo ora i guardiani dell’ordine, all’imprevisto annuncio messianico di un cieco, comprendono la vera identità di Gesù e sulle loro labbra finalmente fiorisce una parola di speranza: «Coraggio! Alzati, ti chiama».
In tre mosse, sottolineate da tre verbi di movimento, gettato via ... balzò ... venne, in modo repentino il cieco si mette alla presenza del Figlio di Davide.
Gesù prende l’iniziativa anche se è scontata la richiesta. Il miracolo è subitaneo. È da notare che Gesù non chiede la fede, ma ne sottolinea il possesso da parte del figlio di Timèo: «Va’, la tua fede ti ha salvato». Quello che sfugge ai più, non sfugge al Figlio di Dio. Sa scovare in quella richiesta tutta la fede necessaria per ottenere il dono della vista.
D’altronde Gesù dal Padre è stato mandato nel mondo «a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19).
Il racconto si conclude senza sottolineature di manifestazioni di gioia da parte del miracolato (cf. At 3,8) o note che mettono in risalto lo stupore della folla (cf. Mc 7,37). Ma la nota, prese a seguirlo per la strada, non è priva di importanza perché il termine scelto da Marco indica l’azione del seguire sia in senso fisico sia in senso spirituale, come per gli apostoli e gli altri discepoli.
È in atto un cammino di conversione. Gesù è la Luce del mondo (cf. Gv 8,12) ed è venuto per dare la vista ai ciechi (cf. Gv 9,39), ma è anche la Via (cf. Gv 14,6) che conduce a salvezza. Così qui viene proposto quell’interiore cammino che ogni uomo deve compiere per porsi alla sequela di Gesù Nazareno: pentirsi dei propri peccati, farsi illuminare da Cristo (immergersi nelle acque salutari del Battesimo), prendere ogni giorno sulle spalle la croce del Maestro e seguirlo (cf. Lc 9,23).
È la proposta che risuonerà nella città di Gerusalemme il mattino di Pentecoste: all’udire la predicazione degli Undici molti «si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”. E Pietro disse loro: “Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo”» (At 2,37-38).
 
Va’, la tua fede ti ha salvato: La fede, che Gesù richiede fin dall’inizio del suo ministero (cfr. Mc 1,15) e che richiederà incessantemente, è un movimento di fiducia e di abbandono per il quale l’uomo rinunzia a far affidamento sui propri pensieri e sulle proprie forze, per rimettersi alle parole e alla potenza di Colui nel quale crede. Un movimento di fiducia e di abbandono necessario per ottenere innanzi tutto la salvezza: «Credere in Gesù Cristo e in colui che l’ha mandato per la nostra salvezza, è necessario per essere salvati [Mc 16,16; Gv 3,36; Gv 6,40]. “Poiché senza la fede è impossibile essere graditi a Dio” [Eb 11,6] e condividere le condizioni di suoi figli, nessuno può essere mai giustificato senza di essa e nessuno conseguirà la vita eterna se non “persevererà in essa sino alla fine” [Mt 10,22; Mt 24,13]”» (Catechismo della Chiesa Cattolica 161). Da qui la necessità di perseverare nella fede: la fede è un dono che Dio fa all’uomo gratuitamente. Noi possiamo perdere questo dono inestimabile. San Paolo, a questo proposito, mette in guardia Timoteo: combatti «la buona battaglia con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l’hanno ripudiata hanno fatto naufragio nella fede» (1Tm 1,18-19). Per vivere, crescere e perseverare nella fede sino alla fine, dobbiamo nutrirla con la Parola di Dio; dobbiamo chiedere al Signore di accrescerla; [cfr. Mc 9,24; Lc 17,5; Lc 22,32] essa deve operare “per mezzo della carità” [Gal 5,6; cfr. Gc 2,14-26] essere sostenuta dalla speranza [cfr. Rom 15,13] ed essere radicata nella fede della Chiesa» (Catechismo della Chiesa Cattolica 162).
 
Cieco / cecità - Maria Stumpf-Konstanzer: Il cieco non può diventare sacerdote (Lv 21,18). Nemmeno animali ciechi possono essere sacrificati, perché soltanto ciò che è senza difetto può avvicinarsi all’altare ed essere posto su di esso. Ma il cieco non è escluso dalla comunità, poiché Dio crea i vedenti e i ciechi. Il cieco sta anzi sotto la protezione particolare di Dio. Avere cura dei ciechi è un comandamento di Dio. In pratica. però, essi facevano parte dei mendicanti.
Hidegard Gollinger: I libri profetici d’AT intendono la cecità soprattutto in senso traslato, come incapacità dell’uomo di riconoscere l’agire e la volontà di Dio e di vivere in conformità ad essi. La cecità mantiene questo significato anche nel NT. I farisei credono di vedere, in realtà sono essi stessi “cieche guide di ciechi” (Mt 15,14; Lc 6,39). Autore di questa cecità è il “dio di questo mondo” cioè Satana (2Cor 4,4). La cecità, dunque, è lo stato, non voluto da Dio, dell’allontanamento dell’uomo da Dio, dell’incredulità. Secondo la promessa dei profeti veterotestamentari il tempo messianico della salvezza è caratterizzato, fra l’altro, dal fatto che i ciechi vedranno. Su questo sfondo vanno viste le guarigioni dei ciechi da parte di Gesù: esse confermano Gesù come il potente realizzatore delle profezie veterotestamentarie e sono il segno della signoria di Dio che in lui irrompe (cf. Mt 11,5). Per questo, Gesù rifiuta l’interpretazione giudaica della cecità come castigo inflitto da Dio: il cieco non viene riconosciuto automaticamente come peccatore grave a partire dalla sua sofferenza, ma diventa occasione per la realizzazione del progetto salvifico di Dio (Gv 9,3). Non la cecità fisica deriva dal peccato, ma l’illusione farisaica che crede di vedere, ma che di fatto è inguaribilmente cieca, essendosi chiusa nei confronti di Dio (Gv 9,41).

Cristo è l’autentica luce del mondo - Origene, Hom. in Genesim, 1, 6-7: Cristo è dunque “la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo” (Gv 1,9), e la Chiesa, illuminata dalla sua luce, diventa essa stessa “luce del mondo”, che illumina 2coloro che sono nelle tenebre” (Rm 2,19), come Cristo stesso attesta quando dice ai suoi discepoli: “Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,14). Di qui deriva che Cristo è la luce degli apostoli, e gli apostoli, a loro volta, sono la luce del mondo...
E come il sole e la luna illuminano i nostri corpi, così da Cristo e dalla Chiesa sono illuminate le nostre menti. Quantomeno, le illuminano se noi non siamo dei ciechi spirituali. Infatti, come il sole e la luna non cessano di diffondere la loro luce sui ciechi corporali che però non possono accogliere la luce, così Cristo elargisce la sua luce alle nostre menti, epperò non ci illuminerà di fatto che se non vi si oppone la cecità del nostro spirito. In tal caso, occorre anzitutto che coloro che sono ciechi seguano Cristo dicendo e gridando: “Figlio di David, abbi pietà di noi” (Mt 9,27), affinché, dopo aver ottenuto da Cristo stesso la vista, possano successivamente essere del pari irradiati dallo splendore della sua luce.
Inoltre, non tutti i vedenti sono egualmente illuminati da Cristo, ma ciascuno lo è nella misura in cui egli può ricevere la luce. Gli occhi del nostro corpo non sono egualmente illuminati dal sole: più si salirà in alto, più si alzerà l’osservatorio dal quale lo sguardo contemplerà la sua levata, e meglio si percepirà anche il chiarore e il calore; analogamente, più il nostro spirito, salendo ed elevandosi, si sarà avvicinato a Cristo, esponendosi più da vicino allo splendore della sua luce, più magnificamente e brillantemente si irradierà il suo fulgore, come rivela Dio stesso per mezzo del profeta: “Avvicinatevi a me e io mi avvicinerò a voi, dice il Signore” (Zc 1,3); e dice ancora: “Io sono un Dio vicino e non un Dio lontano” (Ger 23,23).
Non è però che tutti andiamo a lui nella stessa maniera, bensì ciascuno va a lui secondo le proprie possibilità (cf. Mt 25,15). O andiamo a lui insieme alle folle e allora ci ristora in parabole (cf. Mt 13,34), solo perché il prolungato digiuno non ci faccia soccombere lungo la via (cf. Mt 15,32; Mc 8,3); oppure, rimaniamo continuamente e per sempre seduti ai suoi piedi, non preoccupandoci che di ascoltare la sua parola, senza lasciarci turbare “dai molti servizi, scegliendo la parte migliore” che non ci verrà tolta (cf. Lc 10,39s).
Avvicinandosi così a lui (cf. Mt 13,36), si riceve da lui molta più luce. E se, al pari degli apostoli, senza allontanarci da lui sia pure di poco, restiamo sempre con lui in tutte le sue tribolazioni (cf. Lc 22,28), allora egli ci espone e spiega nel segreto ciò che aveva detto alle folle (cf. Mc 4,34) e ci illumina con maggiore chiarezza. E anche se si è capaci di andare a lui fino alla sommità del monte, come Pietro, Giacomo e Giovanni (cf. Mt 17,1-3), non si verrà illuminati solamente dalla luce di Cristo, ma anche dalla voce del Padre in persona.

Santo del giorno - 1 Giugno 2023 -  Martirologio Romano: Memoria di san Giustino, martire, che, filosofo, seguì rettamente la vera Sapienza conosciuta nella verità di Cristo: la professò con la sua condotta di vita e quanto professato fece oggetto di insegnamento, lo difese nei suoi scritti e testimoniò con la morte avvenuta a Roma sotto l’imperatore Marco Aurelio Antonino. Infatti, dopo aver presentato all’imperatore la sua Apologia in difesa della religione cristiana, fu consegnato al prefetto Rustico e, dichiaratosi cristiano, fu condannato a morte. 

Nutriti dal pane del cielo, ti supplichiamo, o Signore:
concedi a noi di essere docili
agli insegnamenti del santo martire Giustino
e di vivere in perenne rendimento di grazie per i doni ricevuti.
Per Cristo nostro Signore.

 31 Maggio 2023
 
Visitazione della Beata Vergine Maria
 
Sof 3,14-17 [oppure Rm 12,9-16b]; Salmo Responsoriale Is 12,2-6; Lc 1,39-56
 
La Bibbia e i Padri della Chiesa (I Padri Vivi): Maria si reca dalla sua parente Elisabetta, questo l’avvenimento della storia della salvezza che commemora oggi la Chiesa. Maria saluta Elisabetta, che esclama con gioia: «Benedetta tu fra le donne. A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?» (Lc 1,42). Maria è stata chiamata benedetta perché aveva creduto nelle parole del Signore: la Madre del Messia è la Madre della fede. L’incontro di Maria e di Elisabetta diviene l’incontro di Giovanni e di Gesù.
Sono di fronte il tempo dell’Antica Alleanza ed il prossimo tempo della Nuova Alleanza; l’attesa sta per finire, inizia la nuova era. Maria canta l’inno di esultanza «Magnificat» - l’anima mia magnifica il Signore -, pieno della sapienza dell’Antica Alleanza, ma rianimato già dallo spirito della Nuova che sta per arrivare. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente - esclama Maria - e la consapevolezza della misura della grazia conduce all’umiltà del cuore. Maria rappresenta in questo momento tutti i «timorosi di Dio» in Israele, tutto «il resto d’Israele», che conformemente alle predizioni dei profeti accoglierà le promesse di Dio.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata: le parole profetiche di Maria si sono adempiute. Benedicono Maria tutte le generazioni per la sua fede e per il suo «avvenga di me secondo la tua parola», per lo spirito di servizio e per la sottomissione alle ispirazioni di Dio.
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
tu hai ispirato alla beata Vergine Maria,
che portava in grembo il tuo Figlio,
di visitare sant’ Elisabetta:
concedi a noi di essere docili all’azione dello Spirito,
per magnificare sempre con Maria il tuo santo nome.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Deus caritas est 41: Tra i santi eccelle Maria, Madre del Signore e specchio di ogni santità. Nel  Vangelo di Luca  la troviamo impegnata in un servizio di carità alla cugina Elisabetta, presso la quale resta «circa tre mesi» (1,56) per assisterla nella fase terminale della gravidanza. «Magnificat anima mea Dominum», dice in occasione di questa visita - «L’anima mia rende grande il Signore» - (Lc 1,46), ed esprime con ciò tutto il programma della sua vita: non mettere se stessa al centro, ma fare spazio a Dio incontrato sia nella preghiera che nel servizio al prossimo - solo allora il mondo diventa buono. Maria è grande proprio perché non vuole rendere grande se stessa, ma Dio. Ella è umile: non vuole essere nient’altro che l’ancella del Signore (cfr. Lc 1,38.48). Ella sa di contribuire alla salvezza del mondo non compiendo una sua opera, ma solo mettendosi a piena disposizione delle iniziative di Dio. È una donna di speranza: solo perché crede alle promesse di Dio e attende la salvezza di Israele, l’angelo può venire da lei e chiamarla al servizio decisivo di queste promesse. Essa è una donna di fede: «Beata sei tu che hai creduto», le dice Elisabetta (cfr. Lc 1,45). Il Magnificat - un ritratto, per così dire, della sua anima - è interamente tessuto di fili della Sacra Scrittura, di fili tratti dalla Parola di Dio. Così si rivela che lei nella Parola di Dio è veramente a casa sua, ne esce e vi rientra con naturalezza. Ella parla e pensa con la Parola di Dio; la Parola di Dio diventa parola sua, e la sua parola nasce dalla Parola di Dio. Così si rivela, inoltre, che i suoi pensieri sono in sintonia con i pensieri di Dio, che il suo volere è un volere insieme con Dio. Essendo intimamente penetrata dalla Parola di Dio, ella può diventare madre della Parola incarnata. Infine, Maria è una donna che ama. Come potrebbe essere diversamente? In quanto credente che nella fede pensa con i pensieri di Dio e vuole con la volontà di Dio, ella non può essere che una donna che ama. Noi lo intuiamo nei gesti silenziosi, di cui ci riferiscono i racconti evangelici dell’infanzia. Lo vediamo nella delicatezza, con la quale a Cana percepisce la necessità in cui versano gli sposi e la presenta a Gesù. Lo vediamo nell’umiltà con cui accetta di essere trascurata nel periodo della vita pubblica di Gesù, sapendo che il Figlio deve fondare una nuova famiglia e che l’ora della Madre arriverà soltanto nel momento della croce, che sarà la vera ora di Gesù (cfr. Gv 2,4; 13,1). Allora, quando i discepoli saranno fuggiti, lei resterà sotto la croce (cfr. Gv 19,25-27); più tardi, nell’ora di Pentecoste, saranno loro a stringersi intorno a lei nell’attesa dello Spirito Santo (cfr. At 1,14).
 
I Lettura:  Il popolo di Dio, figurato nella figlia di Sion, esulti e canti di gioia per i nuovi prodigi che il Signore Dio, salvatore potente, sta per operare a sua salvezza. Il Signore Dio, come un forte guerriero, disperderà i nemici d’Israele e porrà la sua dimora in mezzo ad esso. Dopo che avrà rinnovato il suo popolo con l’amore, il Signore Dio gioirà per esso ed esulterà con grida di gioia. Salmo:  “Questo salmo, di data e origine incerte, è stato inserito” in questa sezione del libro di Isaia “per concludere il libro dell’Emmanuele. È l’inno di riconoscenza di un afflitto che Dio ha liberato. La seconda parte, dal tono più lirico, canta la gloria di Jahve” (Bibbia di Gerusalemme).
 
Vangelo
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente: ha innalzato gli umili
 
Il cantico di Maria si ispira al cantico di Anna (1Sam 2,1-10) e a molti altri passi dell’Antico Testamento. Il Magnificat mette in evidenza sopra tutto due grandi temi. Il primo tema è quello dell’amore di Dio. Padre degli orfani e difensore delle vedove, Dio, ama i poveri e i piccoli di un amore di predilezione, e tanto grande è l’amore che è pronto a soccorrerli in ogni loro bisogno (cfr. Sof 2,3; Mt 5,3). Il secondo tema è l’amore per Israele. Il popolo eletto è oggetto del favore divino (cfr. Dt 7,6), in seguito alla promessa fatta ad Abramo (cfr. Gen 15,1; 17,1). Luca ha dovuto trovare questo cantico nell’ambiente dei «poveri», dove forse veniva attribuito alla figlia di Sion: egli ha ritenuto conveniente porlo sulle labbra di Maria, inserendolo nel suo racconto in prosa.
 
Vangelo secondo Luca
Lc 1,39-56
 
In quei giorni, Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”. Allora Maria disse: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre”. Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
 
Il racconto della visitazione ricorda, con evidenti allusioni e coincidenze, il racconto biblico del trasferimento dell’arca dell’alleanza a Gerusalemme operato dal re Davide (2Sam 6,1ss). L’arca sale verso Gerusalemme, Maria sale verso la montagna. L’arca entra nella casa di Obed- Edom e Maria entra nella casa di Zaccaria. La gioia del nascituro e il suo trasalimento nel grembo dell’anziana madre ricordano la gioia di Davide e la sua danza festosa dinanzi all’arca. L’espressa indegnità di Elisabetta dinanzi alla Madre del Signore ricorda ancora l’indegnità del re David di fronte all’arca del Signore. Questi accostamenti, molto precisi nei particolari, ben difficilmente possono essere accidentali. L’identificazione dei due racconti va allora verso una chiara proclamazione: Maria, la Madre del Signore, è la nuova arca del Signore, e suo figlio, Gesù, è il Signore abitante in quel tempio vivo. L’anziana sposa di Zaccaria nel proclamare senza indugi Maria «la Madre del Signore» non fa che raccogliere e ripetere le parole del nunzio celeste. Nella tradizione biblica il Signore è Iahvé, ma anche il grande sovrano (1Cr 29,11; 2Mac 5,20; Sal 48,3), il re (Sir 51,1; Sal 99,4). L’angelo aveva annunciato a Maria che il promesso figlio sarebbe stato chiamato «Figlio dell’Altissimo» (Lc 1,31) e avrebbe regnato per sempre «sul trono di Davide suo padre» (Lc 1,32-33): nel suo annuncio profetico, Elisabetta non fa che ricordare e confermare le parole del messaggero celeste. Alla fine, sulle labbra di Elisabetta si coglie un’ultima parola di lode che viene rivolta con gioia alla Vergine di Nazaret: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Maria è beata perché «madre del Signore», ed è beata perché perfetta discepola: Ella ha accolto nel suo cuore, prima che nel suo grembo, la Parola viva feconda di vita e di salvezza. Anche il cantico della Vergine ha un riscontro nell’Antico Testamento (cfr. 1Sam l-10). Ma sulle labbra di Maria il Magnificat ha risonanze e significati molto più profondi. La Vergine non risponde ad Elisabetta, ma si rivolge a Dio lodandolo per la sua misericordiosa accondiscendenza. Egli «mi ha guardato - dice Maria - perché sono umile e perché ricerco la virtù della mitezza e del nascondimento... così come lo stesso Salvatore, che ha detto: Imparate da Me che sono mite e umile di cuore e troverete pace per le vostre anime» (Origene).
 
Un segno dato a Maria - Adriana Zarri (Visitazione in Schede Bibliche Pastorali - Vol VIII): Gli esegeti vedono nella visita di Maria a Elisabetta (Lc 1,39-55) l’episodio che conclude e completa i racconti delle annunciazioni nel Vangelo dell’infanzia. Le due madri si incontrano e commentano gli avvenimenti di quei giorni, riferiti dall’evangelista Luca. I discorsi e gli atteggiamenti delle due donne gettano una nuova luce su Maria, completando in modo essenziale quanto gli altri episodi dicono di lei.
Le ragioni del viaggio di Maria sono comunemente indicate nel suo desiderio di vedere la parente e di esserle di aiuto nel periodo della gravidanza. Gli esegeti moderni, però, ritengono che per l’evangelista i motivi siano più profondi. Maria si mette in viaggio «in tutta fretta» non tanto per correre in aiuto di Elisabetta (che con tutta probabilità aveva altri parenti e aiutanti), quanto per comunicare con lei, per confermare se stessa e la parente nella fede e nella gioiosa intelligenza dei misteri di cui erano favorite.
Possiamo quindi vedere nell’episodio della visitazione un segno, dato a Maria, a conferma della realtà dell’apparizione angelica e dei fatti verificatisi in lei, fatti tanto grandi e sorprendenti per una giovane donna senza importanza e senza particolari titoli umani.
Si capisce così la «fretta» di Maria, un particolare che l’evangelista sente il bisogno di riferire, considerandolo evidentemente ben più di una semplice notizia di cronaca.
Si capisce inoltre come Maria, silenziosa e riservata sinora, esploda dopo l’incontro con Elisabetta in un canto di gioia e di ringraziamento.
«Il cammino di Maria verso la casa di Elisabetta è il cammino della fede in cerca dei suoi necessari appoggi umani» (Ortensio da Spinetoli). L’annunzio del parto miracoloso di Elisabetta, infatti, appare come una riprova degli eventi paradossali comunicati dall’angelo, una conferma della potenza divina, per la quale «nessuna cosa è impossibile» .
Dunque, «è Maria che ha bisogno di Elisabetta e non viceversa» (Ortensio da Spinetoli). Del resto, il «segno di Elisabetta» non è la causa della fede di Maria - essa ha già creduto, accettando unicamente sulla base dell’autorità di Dio il messaggio che le è stato rivelato -; quel segno, però, attesta alla Vergine la realtà di quella rivelazione e, in ultima analisi, di Dio rivelante.
 
 Gesù e Giovanni s’incontrano prima di nascere - Pseudo Agostino, De natali sancti J.B., I, 2: Come mai la madre del mio Signore viene da me? (Lc 1,43). Grande umiltà, fratelli miei: la madre del Salvatore si reca dalla madre del Precursore! Giovanni saluta il Cristo, ma non si vedono l’un l’altro nella carne. Cristo stava nel grembo di Maria e Giovanni era portato in quello d’Elisabetta. E la voce profetica a nome di Cristo diceva: Ti riconobbi prima che fossi formato nell’utero e ti santificai prima che ne uscissi, e ti costituii profeta tra i popoli (Ger 1,5).
Beate quelle madri, che furon fatte genitrici di santi! E saranno sempre benedette coloro che poterono essere dette madri di tale persone!
Osserviamo la nascita di questi due e vediamone la meravigliosa generazione: uno da una sterile, l’altro da una vergine; la sterilità diventa feconda, la verginità rimane dopo il parto; la sterile genera il profeta, la vergine il giudice. Elisabetta genera Giovanni il Battista, Maria genera Cristo il Salvatore.
 
Santo del giorno - 31 Maggio 2023 -  Visitazione della Beata Vergine Maria -  Il coraggio di portare Cristo a chi lo attende: Portare Cristo a coloro che lo attendono, diventando così evangelizzatori attraverso l’incontro e il dono della gioia: è questa la missione affidata a ogni battezzato. Una missione che ritroviamo nell’episodio della Visitazione di Maria alla cugina Elisabetta, oggi al centro della liturgia nel giorno che chiude il mese tradizionalmente dedicato alla Madre di Dio. L’episodio, narrato dal Vangelo di Luca, ci mostra due madri che si ritrovano portando dentro di loro il dono inatteso del Signore. Due nuove vite, segno affascinante della potenza di Dio ma anche della sua delicatezza. E il canto del Magnificat è l’inno a tutto questo, invocazione dell’unica vera forza che cambia il mondo: la misericordia. Portare in grembo Cristo, allora, significa essere immagine vivente di un messaggio profetico, che rovescia le logiche umane e innalza tutto ciò che l’umanità emargina e rifiuta. Nell’incontro tra Maria ed Elisabetta, insomma, scorgiamo la possibilità che il Regno di Dio si realizzi davvero in mezzo a noi; un regno la cui unica legge è l’amore e il coraggio di andare incontro al prossimo. (Matteo Liut)
 
Ti magnifichi, o Dio, la tua Chiesa,
perché hai fatto grandi cose per i tuoi fedeli,
e con gioia riconosca sempre vivo in questo sacramento
colui che fece sussultare san Giovanni nel grembo della madre.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 
 30 Maggio 2023
 
Martedì VII Settimana T. O.
 
Sir 35,1-15; Salmo Responsoriale dal Salmo 49 (50); Mc 10,28-31

Colletta
Concedi, o Signore, che il corso degli eventi nel mondo
si svolga secondo la tua volontà di pace
e la Chiesa si dedichi con gioiosa fiducia al tuo servizio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Catechismo degli Adulti [145] La vicinanza di Dio dà il coraggio delle scelte radicali. Innanzitutto libera dalla bramosia di possedere. Gesù non è un asceta alla maniera di Giovanni Battista: «mangia e beve» (Mt 11,19), vive in mezzo alla gente, ha simpatia per il mondo. Però vive per il Padre, ancorato al suo amore, disponibile alla sua volontà. Per testimoniare la fiducia assoluta in lui e dedicarsi totalmente al suo regno, assume una vita povera e itinerante: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Lc 9,58). Vuole che anche i discepoli vadano a portare la lieta notizia alleggeriti da ogni zavorra: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno» (Lc 9,3). Ammonisce la gente a non lasciarsi suggestionare dalla ricchezza: «Nessuno può servire a due padroni...: non potete servire a Dio e al denaro» (Mt 6,24).
[146]  La ricchezza diventa padrona, quando uno ripone in essa la misura del proprio valore e la sicurezza della vita: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15).Si tratta di un pericolo molto concreto. Il giovane ricco non riesce a liberarsi dei suoi averi; volta le spalle a Gesù e se ne va triste. Il ricco della parabola è senza cuore verso Lazzaro, il mendicante affamato e coperto di piaghe; e i suoi cinque fratelli continuano a gozzovigliare spensierati, al punto che nemmeno un morto risuscitato potrebbe scuoterli. Le folle, che seguono Gesù, si aspettano da Dio facile abbondanza di beni materiali e, invece di accogliere nella fede lui e la sua volontà, lo strumentalizzano ai propri desideri e interessi.
 
I Lettura: L’autore sacro mette in evidenza i capisaldi della religiosità giudaica: l’osservanza della legge, una vita onesta aperta alla carità, e al soccorso dei più poveri. Liturgia, rettitudine e carità sono sorelle e vanno sempre insieme.
 
 Vangelo
 
I versetti di Marco extrapolati dal suo contesto risultano poco comprensibili. Gesù ha parlato dell’inganno delle ricchezze, e per far bene intendere quanto sia difficile per i ricchi entrare nel regno di Dio si serve di un paradosso, “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio” (Mc 10,25).  Pietro, “allora, da portavoce dei suoi ricorda a Gesù che loro hanno lasciato ogni cosa per seguirlo (il lasciare, infatti - le reti/il padre -, era stato un gesto emblematico e programmatico della loro chiamata; cf 1,16-20) e Gesù, insieme, conforta Pietro di un presente e di un avvenire di pienezza inimmaginabile e assolutamente sovrabbondante rispetto alle rinunce (il centuplo di case, fratelli, sorelle, madri...), ma non nasconde un duplice “allegato”: «Insieme a persecuzioni, e nel tempo a venire la vita eterna» (v. 30). Beata chiarezza! Il dolore, la sofferenza, la morte a se stessi, da un lato; l’esperienza del bisogno e della dipendenza, dall’altro, non sono evitabili se si desidera realmente realizzare la sequela in vista del regno, dove si compirà quel capovolgimento totale delle attese e delle primazie del mondo e dove gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi, con una promessa di pienezza grande (la vita eterna). Soltanto: questa promessa basterà a superare la paura?” (Annalisa Guida, Vangelo secondo Marco).
 
Vangelo secondo Marco
Mc 10,28-31
 
In quel tempo, Pietro prese a dire a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito».
Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà.
Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi».  
 
Parola del Signore.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 28 L’episodio narrato da Marco in questo passo (verss. 28-31) è strettamente connesso con le due sezioni precedenti. Pietro prende la parola per dichiarare che l’atteggiamento degli apostoli è stato ben diverso da quello del ricco che si era poco prima allontanato da Gesù con l’animo amareggiato. Noi abbiamo abbandonato tutto e ti abbiamo seguito; le parole del primo apostolo non sono un autoelogio, ma la constatazione di un fatto; i Dodici avevano abbandonato tutto, averi e famiglia, per mettersi al seguito del Maestro. L’evangelista omette le parole di Matteo: «che avremo noi dunque?» (Mt., 19, 27).
29-30 Marco, seguito in ciò da Luca, ci ha conservato la risposta del Salvatore in una forma chiara e distinta. Per causa mia e per quella del vangelo; il Maestro pone in particolare rilievo la sua persona ed il vangelo. Luca ha invece: «per causa del regno di Dio», poiché dà all’espressione un senso più universale, che abbraccia tutti i seguaci di Cristo. Marco predilige la formula: «a causa del vangelo», che ricorre otto volte nel suo scritto, mentre Matteo l’usa soltanto quattro volte e Luca mai. L’evangelista distingue chiaramente tra: in questo tempo e nell’èra futura. La ricompensa consiste nel promettere ai discepoli il centuplo in questa vita; evidentemente l’espressione non va presa in senso quantitativo o matematico, ma in quello qualitativo e spirituale. Il Salvatore non fa una transazione commerciale tra ciò che si dà e ciò che si deve avere. Chi entra nella società di Cristo gode di tutto quello che hanno portato con sé coloro che già vi appartengono. Nel regno di Dio, cioè nella Chiesa, che è la società dei credenti vi è una comunicazione di beni e di aiuti. Il seguace di Cristo è sicuro di trovare nella Chiesa il regno della carità per cui quello che hanno gli altri può essere considerato come proprio.
Nella Chiesa primitiva questo era un fatto assai frequente e visibile perché le comunità cristiane erano ristrette ed i suoi membri, vivendo in centri pagani o ebraici, si sentivano molto più vicini e solidali. Gli Atti (2, 44; 4, 22) ricordano che molti cristiani mettevano i propri beni in comune; testimonianze antiche elogiano la carità che regnava nei seguaci della nuova religione predicata da Cristo. Le parole del Maestro accentuano l’aspetto spirituale della ricompensa; esse quindi vanno considerate e spiegate in questa prospettiva. Si osservino due fatti: Cristo non promette come ricompensa delle mogli, eppure parla di fratelli, sorelle, madri e figli, né una vita umanamente tranquilla e beata. Il seguace di Cristo non avrà il centuplo in mogli, perché il termine non si presta per una prospettiva spirituale (Luca nel passo parallelo accenna alla moglie abbandonata a causa del regno di Dio, cf. Lc., 18, 29), né vivrà pacifico e beato perché dovrà sostenere delle persecuzioni. L’allusione alle persecuzioni (insieme con persecuzioni) indica chiaramente che il discepolo subirà nell’esistenza terrena delle prove nelle quali dovrà mostrare il suo spirito evangelico.
Questa promessa quindi non prospetta una felicità terrena, né l’instaurazione di un regno beato, quasi nuovo paradiso terrestre, come pensavano i Millenaristi.
31 Non sembra che il versetto contenga un monito rivolto ai discepoli, come se Gesù avesse detto loro: ora voi siete ai primi posti, ma state attenti a non perdere questa posizione privilegiata presumendo di voi stessi o decadendo dal vostro spirito di distacco. Le parole del versetto vanno riferite agli Ebrei del tempo e possono essere così parafrasate: le guide spirituali del popolo ebraico (scribi, farisei sacerdoti), che sono chiamati «primi», perché occupano gli alti ranghi della società, diverranno ultimi; gli apostoli invece, che sono considerati ultimi, perché si trovano in una posizione umile e comune, diverranno primi.
 
Non si fanno i conti in tasca a Dio - Rudolf Schnackenburg (Vangelo secondo Marco): Non si potrebbe però obiettare che questo motivo della ricompensa è poco onorevole e quasi inaccettabile? Non serve forse a incoraggiare quell’atteggiamento rinunciatario, per cui si subiscono quaggiù privazioni e « sacrifici » allo scopo di ottenere un premio celeste più grande possibile nella « felicità eterna »? Non conduce forse a quella fuga dal mondo, a quell’isolamento delle comunità in una sorta di ghetto, che noi oggi riconosciamo come falso e perverso in quanto induce la Chiesa a rinunciare ad ogni cosa, sottraendosi ai suoi impegni nel mondo, alla sua azione sociale e ai necessari interventi contro l’oppressione in atto da parte di alcuni gruppi privilegiati? Pensiamo all’America Latina!
In realtà, tali pericoli non si possono negare e dobbiamo anzi ammettere molte colpe storiche da parte della Chiesa.
Anche le parole di Gesù sono esposte al pericolo di false interpretazioni. Se ben riflettiamo però alla sua originaria intenzione, l’ansiosa ricerca della ricompensa è da escludere.
Egli si serve dell’immagine di una mercede centuplicata per incoraggiare i discepoli a impiegare i beni della terra secondo l’esigenza evangelica. Egli mira a distogliere i suoi seguaci dalla sete del denaro e della proprietà, affinché si dedichino totalmente a Dio; essi devono impiegare i terreni come Dio comanda, ossia per i poveri e gli indigenti. Del resto, con ciò non guadagnano dei diritti nei confronti di Dio e non è loro lecito far altro che attendere da lui la restituzione, sotto forma di dono, di tutto ciò a cui hanno rinunciato.
La concezione giudaica della ricompensa, nell’annuncio di Gesù, non viene semplicemente corretta, ma addirittura capovolta. Gesù infatti esclude categoricamente l’aspirazione a un premio sempre maggiore, come pure il menar vanto delle proprie prestazioni. Gesù si allaccia al pensiero ebraico (« avrai un tesoro in cielo »), ma lo supera appellandosi alla grandezza e alla liberalità di Dio, il quale come non si lascia riscattare, così non si lascia vincere in bontà. Chi gli dà tutto, riceverà da lui doni in abbondanza. Chi invece guarda al premio, facendo a Dio i conti in tasca e operando il bene per un calcolo, non ha ancora attuato il dono di sé alla Divinità.
 
In verità io vi dico: non c’è nessuno…: CCC 1618: Cristo è il centro di ogni vita cristiana. Il legame con lui occupa il primo posto rispetto a tutti gli altri legami, familiari o sociali. Fin dall’inizio della Chiesa, ci sono stati uomini e donne che hanno rinunciato al grande bene del matrimonio per seguire “l’Agnello dovunque va”(Ap 14,4), per preoccuparsi delle cose del Signore e cercare di piacergli, per andare incontro allo Sposo che viene. Cristo stesso ha invitato certuni a seguirlo in questo genere di vita, di cui egli rimane il modello: Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il Regno dei cieli. Chi può capire, capisca (Mt 19,12).

... insieme a persecuzioni: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 19 giugno 1991): Ben presto sarebbero venute le tribolazioni e persecuzioni predette da Gesù proprio nell’annunciare la venuta del Paraclito-Consolatore (cfr. Gv 16,1ss.). Ma secondo gli Atti la gioia perdura anche nella prova: vi si legge infatti che gli Apostoli, tradotti davanti al Sinedrio, fustigati, ammoniti e rimandati a casa, se ne tornarono “lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù. E ogni giorno, nel tempio e a casa, non cessavano di insegnare e di portare il lieto annunzio che Gesù è il Cristo” (At 5,41-42). Questa, del resto, è la condizione e la sorte dei cristiani, come ricorda San Paolo ai Tessalonicesi: “Voi siete diventati imitatori nostri e del Signore, avendo accolto la parola con la gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a grande tribolazione” (1Ts 1,6). I cristiani, secondo Paolo, ripetono in sé il mistero pasquale di Cristo, che ha come cardine la Croce. Ma il suo coronamento è la “gioia dello Spirito Santo” per coloro che perseverano nelle prove. È la gioia delle beatitudini, e più particolarmente della beatitudine degli afflitti, e dei perseguitati (cfr. Mt 5,4.10-12). Non affermava forse l’apostolo Paolo: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi...” (Col 1,24)? E Pietro, per parte sua, esortava: “Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare” (1Pt 4,13).
 
La ricchezza e la povertà sono semplici strumenti per il bene e per il male - Teodoreto di Ciro (La provvidenza divina, 6): Se dicessimo che le ricchezze sono cattive, la bestemmia ricadrebbe sul loro elargitore; ma la ricchezza e la povertà sono state proposte agli uomini dal Creatore come materia, come strumenti, tramite i quali gli uomini, quali artefici, plasmano il simulacro della virtù o scolpiscono la statua del vizio. Ma con le ricchezze a stento qualcuno riesce a scolpire artisticamente qualche membro appena della virtù, mentre con la povertà a tutti è possibile plasmarla completamente. Non disprezziamo dunque la povertà, madre della virtù; e non biasimiamo la ricchezza, ma accusiamo coloro che ne fanno un uso sconveniente. Anche il ferro è stato dato agli uomini per edificare case, coltivare la terra, costruire navi e facilitare le altre attività necessarie alla vita umana; ma quelli che infieriscono luno contro laltro fanno sì che esso non serva solo agli usi necessari, dato che per suo mezzo si danno lun laltro la morte. Non per questo però accusiamo il ferro, bensì la malvagità di coloro che lusano male. Così il vino è stato dato agli uomini per la gioia del cuore, non per oscurargli la mente; ma coloro che si abbandonano allintemperanza e si danno allubriachezza, rendono padre di demenza questo genitore di gioia. Noi tuttavia, giudicando rettamente, chiamiamo alcolizzati, ubriaconi e abbietti quelli che fanno uso cattivo di questo dono divino, mentre ammiriamo il vino come dono di Dio. Allo stesso modo giudichiamo, dunque, le ricchezze e coloro che ne usano: quelle preserviamole da ogni accusa, questi, se le amministrano con giustizia, incoroniamoli con le lodi più belle; se invece, invertendo il retto ordine, essi mostrano di essere schiavi del denaro compiendo tutto ciò che esso pretende, eseguendone ogni comando perverso, lanciamo contro di loro laccusa di malvagità; essi, essendo stati eletti come padroni, hanno rovinato la loro autorità e hanno mutato il potere in schiavitù.

Il Santo del giorno - 30 Maggio 2023 - San Ferdinando III, Re di Leon e di Castiglia: Figlio di Alfonso IX re di León e Berenguela di Castiglia, fu governatore modello dai solidi principi cristiani. Nel 1217, all’età di 18 anni, ereditò la Castiglia, la terra di sua madre e nel 1230 il León, quella di suo padre. In questo modo unificò i due regni. Re prudente, si circondò sempre di persone fidate, con cui si consultava per le questioni più problematiche e urgenti. Di Ferdinando erano note anche la profonda devozione alla Madonna e la grande umiltà. Si sposò in prime nozze con Beatrice di Svezia (1219) e poi con Maria de Ponthieu (1235). Dalle due unioni nacquero complessivamente tredici figli. Ma la storia ricorda Ferdinando anche per le guerre contro i saraceni che gli permisero di riconquistare i regni di Cordova, Siviglia, Jaén e Murcia. Nel 1221 il sovrano fondò la cattedrale di Burgos, si deve a lui anche l’ampliamento dell’università di Salamanca. Morì il 30 maggio 1252 e fu sepolto nella cattedrale di Santa Maria a Siviglia. È stato canonizzato da Papa Clemente X il 4 febbraio 1671. (Avvenire)

Saziati dal dono di salvezza,
invochiamo la tua misericordia, o Signore:
questo sacramento, che ci nutre nel tempo,
ci renda partecipi della vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.
29 Maggio 2023
 
Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa
 
Gen 3,9-15.20 oppure At 1,12-14; Salmo Responsoriale dal Salmo 86 (87); Gv 19,25-34

Colletta
Dio, Padre di misericordia,
il tuo Figlio unigenito, morente sulla croce,
ci ha donato la sua stessa Madre,
la beata Vergine Maria, come nostra Madre;
concedi che la tua Chiesa, sorretta dal suo amore,
sia sempre più feconda nello Spirito,
esulti per la santità dei suoi figli
e raccolga nel suo grembo l’intera famiglia degli uomini.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Decreto sulla celebrazione della beata Vergine Maria Madre della Chiesa nel Calendario Romano Generale: La gioiosa venerazione riservata alla Madre di Dio dalla Chiesa contemporanea, alla luce della riflessione sul mistero di Cristo e sulla sua propria natura, non poteva dimenticare quella figura di Donna (cf. Gal 4, 4), la Vergine Maria, che è Madre di Cristo e insieme Madre della Chiesa.
Ciò era già in qualche modo presente nel sentire ecclesiale a partire dalle parole premonitrici di sant’Agostino e di san Leone Magno. Il primo, infatti, dice che Maria è madre delle membra di Cristo, perché ha cooperato con la sua carità alla rinascita dei fedeli nella Chiesa; l’altro poi, quando dice che la nascita del Capo è anche la nascita del Corpo, indica che Maria è al contempo madre di Cristo, Figlio di Dio, e madre delle membra del suo corpo mistico, cioè della Chiesa. Queste considerazioni derivano dalla divina maternità di Maria e dalla sua intima unione all’opera del Redentore, culminata nell’ora della croce.
La Madre infatti, che stava presso la croce (cf. Gv 19, 25), accettò il testamento di amore del Figlio suo ed accolse tutti gli uomini, impersonati dal discepolo amato, come figli da rigenerare alla vita divina, divenendo amorosa nutrice della Chiesa che Cristo in croce, emettendo lo Spirito, ha generato. A sua volta, nel discepolo amato, Cristo elesse tutti i discepoli come vicari del suo amore verso la Madre, affidandola loro affinché con affetto filiale la accogliessero.
Premurosa guida della Chiesa nascente, Maria iniziò pertanto la propria missione materna già nel cenacolo, pregando con gli Apostoli in attesa della venuta dello Spirito Santo (cf. At 1, 14). In questo sentire, nel corso dei secoli, la pietà cristiana ha onorato Maria con i titoli, in qualche modo equivalenti, di Madre dei discepoli, dei fedeli, dei credenti, di tutti coloro che rinascono in Cristo e anche di “Madre della Chiesa”, come appare in testi di autori spirituali e pure del magistero di Benedetto XIV e Leone XIII.
Da ciò chiaramente risulta su quale fondamento il beato papa Paolo VI, il 21 novembre 1964, a conclusione della terza Sessione del Concilio Vaticano II, dichiarò la beata Vergine Maria «Madre della Chiesa, cioè di tutto il popolo cristiano, tanto dei fedeli quanto dei Pastori, che la chiamano Madre amantissima», e stabilì che «l’intero popolo cristiano rendesse sempre più onore alla Madre di Dio con questo soavissimo nome».
 
I Lettura (Gen 3,9-15.20) - Bibbia per la formazione cristiana: Nudo Con l’immagine della nudità, l’autore intende descrivere le conseguenze del peccato. L’uomo vede con chiarezza la propria situazione di fronte a Dio, di fronte a se stesso e di fronte al resto della creazione: è nudo. Ormai non riflette più la gloria del Creatore e si è separato dalla sorgente di acqua viva (Ger 2,13). Ha perduto la sua dignità. E la paura entra nella sua vita. Teme Dio. Fugge il suo sguardo. Teme gli uomini. Non vuole far vedere l’umiliazione che porta in fondo al proprio cuore. Per questo vive nella menzogna, nascondendosi dietro all’apparenza. Dio vuole porre fine alla fuga dell’uomo, liberandolo dalla paura. Dio vuole avvicinarsi a lui con amore e arriva fino a porre la propria dimora in mezzo agli uomini (Gv 1,14). Dio vuole restituire alla sua ... immagine ... la trasparenza che aveva in principio; vuole donarci la vita eterna, cioè la conoscenza del Padre e del suo inviato, Gesù Cristo (Gv 17,3).
Queste manifestazioni dell’amore di Dio costituiscono Quella che noi chiamiamo la ... storia della salvezza ...
Con dolore Le pene imposte da Dio - sofferenza, fatica, morte - sono frutto della situazione di peccato in cui sono caduti i primi uomini. Tutti veniamo alla luce in stato di peccato. Questa condizione non è la conseguenza di un cattivo esempio ricevuto, ma di una specie di contagio universale che colpisce la realtà profonda dell’uomo fin dalla nascita. In questo senso Paolo afferma, nella lettera ai Romani, che tutti gli uomini sono solidali con Adamo peccatore (Rm 5).
Adamo ed Eva, Adamo in ebraico, significa uomo, l’etimologia del suo nome indica che egli viene dalla terra (‘adamah =  polvere, fango), Eva significa vita. Nel grembo della donna ha inizio la vita. La donna dà alla luce una nuova vita, la nutre e se ne prende cura, l’essere madre è una prerogativa propria della donna, Eva è la madre di coloro che nascono alla vita, la vergine Maria, in virtù della sua fede, è la madre di coloro che nascono alla fede, Eva è la madre dei figli dell’uomo, Maria è la madre dei figli di Dio.
 
Vangelo
Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!
 
Donna, ecco tuo figlio - Bibbia di Gerusalemme (nota a Gv 19,26):il contesto scritturistico (vv 24.28.36.37) e il carattere singolare dell’appellativo «donna» indicano che l’evangelista vede qui un atto che supera la semplice pietà filiale: la proclamazione della maternità spirituale di Maria nuova Eva, ai credenti rappresentati dai discepolo prediletto (cf. Gv 15,10-15).
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 19,25-34
 
In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete».
Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua.
 
Parola del Signore.
 
La proclamazione di Maria, madre del discepolo amato - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura spirituale del Vangelo di Giovanni): Anche la scena rappresentata in Gv 19,25-27 è carica di simbolismo: l’elemento storico è letto e interpretato a un livello molto profondo, perché l’evangelista vede in esso un significato ecclesiologico di grande importanza: la proclamazione di Maria, madre della chiesa. La descrizione iniziale concernente la presenza di alcune donne amiche sul calvario non lungi dal luogo dell’esecuzione (Gv 19,25), è una notizia di carattere tradizionale (Mc 15,40 e par.). Nella redazione giovannea però si rilevano alcune caratteristiche di non poco conto: solo il quarto evangelista infatti menziona la madre di Gesù e il discepolo amato, informando che essi erano «presso la croce», mentre per i sinottici le pie donne stavano lontano; parimenti esistono divergenze sul numero e sul nome di queste discepole.
Ma l’elemento più significativo e caratteristico della scena in esame è rappresentato dalle parole del Cristo morente alla madre e al discepolo amato. Gesù infatti «vedendo la madre e vicino il discepolo che amava, dice alla madre: Donna, ecco tuo figlio!» (Gv 19,26). Con quest’espressione Maria è costituita madre del discepolo, il quale personificava i seguaci del Cristo, che sono oggetto del suo amore, perché osservano la sua parola (Gv 13,1.34; 14,21). Quindi Maria dal Figlio di Dio è proclamata madre della chiesa. Orienta verso tale interpretazione anche l’appellativo donna, rivolto da Gesù alla madre. Tale vocativo lo troviamo sulla bocca del Maestro anche in Gv 2,4.48
Con le parole al discepolo, Gesù chiarisce e ribadisce il suo pensiero: «Ecco tua madre!» (Gv 19,27). Maria è veramente la madre dei seguaci del Cristo ossia è madre della chiesa. La Vergine quindi non è solo madre di Gesù (Gv 2,lss; 19,25s), ma anche dei suoi discepoli.
Nel passo Gv 19,26s abbiamo uno schema di rivelazione, formato di tre elementi: 1) la visione di un personaggio, 2) il dire una frase rivelatrice, 3) aperta dalla particella ecco. Esempi del genere sono costatabili in Gv 1,29.35s.47. Gesù in Gv 19,26s rivela alla Vergine la sua funzione di madre della chiesa e al discepolo la sua filiazione nei confronti di Maria.
La scena in esame si conclude con la seguente osservazione dell’evangelista: «E da quell’ora il discepolo l’accolse nei propri (beni)» (Gv 19,27). Sulla croce si compie l’opera rivelatrice di Gesù, quindi la sua ora giunge alla piena rivelazione. La vergine Maria che aveva mediato la sua anticipazione simbolica a Cana (Gv 2,4ss), sul calvario assiste e partecipa alla sua consumazione. Il discepolo amato, rappresentante di tutti i credenti, è coinvolto quale attore di questa scena dell’«ora», accogliendo la madre del Cristo nel suo cuore e accettandola come sua, qual te oro preziosissimo. L’interpretazione dell’espressione finale «élaben ... eis tà {dia» di Gv 19,27 è molto discussa tra gli esegeti. La maggior parte ritiene che significhi «la prese ... nella propria (casa)»; invece I. de la Potterie, tra gli altri, mostra che questa locuzione deve essere tradotta così: «l’accolse nei propri (beni)» cioè «l’accolse come sua (rnadre)». In effetti il verbo «lambànein» negli scritti giovannei, quando ha per oggetto una persona, indica l’accoglienza nella linea della fede, mentre l’espressione «tà idia» significa i propri beni cioè le persone o le cose che appartengono a qualcuno (cf. Gv 1,11; 10,4; 13 1).
Maria al discepolo è accolta nel cuore come proprio bene cioè come propria madre.
 
Accogliere Maria -  Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): Non basta che Maria assuma la sua nuova missione, è necessario che anche il discepolo prenda coscienza di questa maternità di Maria. t ciò che avviene sul Calvario, quando Gesù, rivolto al discepolo, gli dice: «Ecco tua madre». Dicendo ciò Gesù gli rivela la missione a cui ha chiamato Maria e lo pone di fronte alle sue responsabilità. Ora noi sappiamo che quel discepolo, già entrato nella sfera dell’amore del Padre e del Figlio, accetterà il comando di Gesù. Il testo dice che «da quell’ora il discepolo l’accolse con sé», cioè «come un bene prezioso».
Spieghiamo questa traduzione. La parola «ora» già la conosciamo e sappiamo che qui segna il compimento dell’opera messianica di Gesù, compimento delle Scritture anche per Maria, inizio per lei di una nuova maternità. Ebbene, il discepolo fa suo l’evento messianico ed accoglie Maria come Madre.
L’accolse. Non abbiamo tradotto l’espressione greca con «la prese in casa sua», come fanno tanti. Maria non è un oggetto che si prende, è una persona che si accoglie, nel senso pregnante del verbo: si tratta di un’accoglienza piena di affetto e di fede nella parola di Gesù.
L’accolse come un bene prezioso. È il senso a cui sono giunti i più recenti studi sull’espressione evangelica. Un articolo dello studioso Ignace de La Potterie porta questo bellissimo titolo: «Da quell’ora il discepolo l’accolse nella sua Intimità». Esso dice tutto l’affetto con cui il discepolo che Gesù amava ubbidì al suo Maestro. Altri come Sant’Ambrogio, parlano dei «beni spirituali» ricevuti in eredità da Gesù, e tra questi c’è la Madre sua. Charles Journet ha compreso nello stesso modo queste parole evangeliche quando dice: «Egli la prese (diciamo con de La Potterie: l’accolse) nella sua intimità, nella sua vita interiore, nella sua vita di fede. Questa interiorità del discepolo non è altro che la sua disponibilità ad aprirsi nella fede alle ultime parole di Gesù e ad eseguire il suo testamento spirituale diventando il figlio della madre di Gesù, accogliendola come sua madre nella sua vita di discepolo: la madre di Gesù, oramai, è anche sua madre».
Questa è la nostra fede. Non siamo orfani. Accanto al Padre e al Figlio c’è Maria, e poi lo Spirito che ci riunisce In una comunione perfetta. Nella Chiesa tutti continuiamo a chiamarla la «Madre di Gesù» e allo stesso tempo (eccetto tanti fratelli protestanti) la chiamiamo anche «Madre nostra».
La Chiesa ha un volto mariano; è Gesù che lo vuole e noi come discepoli a lui fedeli l’accogliamo come sua preziosa eredità.
 
Paolo VI (Allocuzione 21 Novembre 1964): 28 Guardando la Chiesa, dobbiamo dunque contemplare con animo amorevole le meraviglie che Dio ha operato nella sua Santa Madre. E la cognizione della vera dottrina cattolica sulla Beata Vergine Maria sarà sempre un efficace sussidio per capire esattamente il mistero di Cristo e della Chiesa.
29 Ripensando questi stretti rapporti con cui sono collegati tra loro Maria e la Chiesa, che vengono così lucidamente esposti in questa Costituzione del Concilio, esse Ci inducono a ritenere che questo momento è il più solenne e il più opportuno per adempiere il voto cui abbiamo accennato alla fine dell’ultima Sessione e che moltissimi Padri hanno anche fatto proprio, chiedendoci con insistenza che durante questo Concilio fosse dichiarata in termini espliciti la missione materna che la Beata Vergine Maria adempie nel popolo cristiano. Per questo motivo Ci sembra necessario che in questa pubblica seduta enunciamo ufficialmente un titolo con il quale venga onorata la Beata Vergine Maria, che è stato richiesto da varie parti del mondo cattolico ed è a Noi particolarmente caro e gradito, perché con mirabile sintesi esprime la posizione privilegiata che nella Chiesa questo Concilio ha riconosciuto essere propria della Madre di Dio.
30 Perciò a gloria della Beata Vergine e a nostra consolazione dichiariamo Maria Santissima Madre della Chiesa, cioè di tutto il popolo cristiano, sia dei fedeli che dei Pastori, che la chiamano Madre amatissima; e stabiliamo che con questo titolo tutto il popolo cristiano d’ora in poi tributi ancor più onore alla Madre di Dio e le rivolga suppliche.
31 Si tratta di un titolo, Venerabili Fratelli, non certo sconosciuto alla pietà dei cristiani; anzi i fedeli e tutta la Chiesa amano invocare Maria soprattutto con questo appellativo di Madre. Questo nome rientra certamente nel solco della vera devozione a Maria, perché si fonda saldamente sulla dignità di cui Maria è stata insignita in quanto Madre del Verbo di Dio Incarnato.
 
Noi vogliamo consacrare a te, Maria, il corpo e l’anima - Giovanni Damasceno (Omelia sul transito di Maria, 1,14): Anche noi, oggi, ci rivolgiamo a te, Signora, vergine e madre di Dio, legando le nostre anime alla tua speranza, come a unancora quanto mai solida e sicura. Ti consacriamo la mente, lanima, il corpo, tutti noi stessi, insomma, onorandoti con salmi, inni e cantici spirituali, secondo le nostre possibilità, giacché non saremo mai in grado di assolvere a un simile compito nella maniera più conveniente. Se infatti, come la sacra dottrina ci ha insegnato, lonore riservato ai servi è attestazione dellamore verso il comune Signore, chi mai potrebbe trascurare di rendere onore a te, che hai generato il Signore? Chi, anzi, non vi si adopererebbe con tutto il suo zelo?... Ma tu, buona Signora, madre del buon Signore, assistici e governa i nostri destini ove tu vuoi; reprimi la violenza delle nostre passioni abiette onde condurci, una volta placata la tempesta, nel porto tranquillo della volontà divina, stimandoci degni della futura beatitudine, di quella dolce luce, cioè, che si irradia alla visione del Verbo di Dio da te fatto carne. A lui, insieme con il Padre e il santissimo e buono e vivificante Spirito, sia gloria, onore, impero, maestà e magnificenza, ora e sempre, nei secoli dei secoli! Amen.
 
Santo del giorno: 29 Maggio 2017: Sant’Alessandro, Protomartire Trentino: I tre martiri trentini arrivavano dalla Cappadocia, furono martirizzati in Trentino. Sono Alessandro (ostiario), Sisinnio (diacono) e Martirio (lettore), ancora venerati a Trento. Vissuti nel IV secolo, i tre fanno parte della schiera di evangelizzatori giunti dalle comunità cristiane del Mediterraneo per diffondere il Vangelo in quella penisola che era un ponte naturale verso il continente. L’Italia cristiana deve la sua fede anche a santi come loro: inviati dal vescovo di Milano Ambrogio a quello di Trento Vigilio, furono arsi vivi davanti all’altare del dio Saturno. Le loro reliquie nel ‘97, a 1600 anni dal martirio, hanno girato le parrocchie della diocesi di Trento. (Avvenire)
 
O Signore,
che in questo sacramento
ci hai dato il pegno di redenzione e di vita,
fa’ che la tua Chiesa,
con l’aiuto materno della Vergine Maria,
porti a tutti i popoli l’annuncio del Vangelo
e attiri sul mondo l’effusione del tuo Spirito.
Per Cristo nostro Signore.