1 Giugno 2020

Beata Vergine Maria Madre della Chiesa

Gen 3,9-15.20 oppure At 1,12-14; Sal 86; Gv 19,25-34

Dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti: Per volontà del Santo Padre Francesco, la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, con Decreto in data 11 febbraio 2018 (Prot. N. 10/18), ha iscritto nel Calendario romano generale, al lunedì dopo Pentecoste, la celebrazione di Maria Madre della Chiesa con il grado di memoria. Come precisato nella successiva Notificazione del 24 marzo 2018 (Prot. N. 138/18), la variazione del Calendario è da ritenersi in vigore già da questo anno liturgico.

Colletta: Dio Padre di misericordia, il tuo unico Figlio, morente sulla croce, ha dato a noi come madre nostra la sua stessa madre, la beata Vergine Maria; fa’ che, sorretta dal suo amore, la tua Chiesa, sempre più feconda nello Spirito, esulti per la santità dei suoi figli e riunisca tutti i popoli del mondo in un’unica famiglia. Per il nostro Signore Gesù Cristo …

Paolo VI (Allocuzione 21 Novembre 1964): 25 Per la prima volta avviene - e dicendolo siamo profondamente commossi nell’animo - che un Concilio Ecumenico concentra in un’unica e così ampia sintesi la dottrina cattolica sul posto che si deve attribuire alla Beata Vergine Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa.
26 Questo collima pienamente con ciò che è stato proposto a questo Concilio, che era cercare di manifestare il volto della santa Chiesa, alla quale la Madre di Dio è intimamente legata e della quale è “la parte più eccelsa, la parte migliore, la parte preminente, la parte più eletta”, come qualcuno ha egregiamente affermato (RUPERTO, In Apoc. 1, VII, c. 12: PL 169, 1043).
27 Ma la Chiesa stessa non si compone soltanto della sua struttura gerarchica, della sacra liturgia, dei sacramenti, dei suoi organismi; la sua forza interiore e la sua caratteristica, fonte principale dell’azione con cui santifica gli uomini, stanno nella sua mistica unione con Cristo, la quale unione non possiamo ritenere disgiunta da colei che è la Madre del Verbo Incarnato e che Cristo stesso si associò intimamente per procurare la nostra salvezza.
28 Guardando la Chiesa, dobbiamo dunque contemplare con animo amorevole le meraviglie che Dio ha operato nella sua Santa Madre. E la cognizione della vera dottrina cattolica sulla Beata Vergine Maria sarà sempre un efficace sussidio per capire esattamente il mistero di Cristo e della Chiesa.
29 Ripensando questi stretti rapporti con cui sono collegati tra loro Maria e la Chiesa, che vengono così lucidamente esposti in questa Costituzione del Concilio, esse Ci inducono a ritenere che questo momento è il più solenne e il più opportuno per adempiere il voto cui abbiamo accennato alla fine dell’ultima Sessione e che moltissimi Padri hanno anche fatto proprio, chiedendoci con insistenza che durante questo Concilio fosse dichiarata in termini espliciti la missione materna che la Beata Vergine Maria adempie nel popolo cristiano. Per questo motivo Ci sembra necessario che in questa pubblica seduta enunciamo ufficialmente un titolo con il quale venga onorata la Beata Vergine Maria, che è stato richiesto da varie parti del mondo cattolico ed è a Noi particolarmente caro e gradito, perché con mirabile sintesi esprime la posizione privilegiata che nella Chiesa questo Concilio ha riconosciuto essere propria della Madre di Dio.
30 Perciò a gloria della Beata Vergine e a nostra consolazione dichiariamo Maria Santissima Madre della Chiesa, cioè di tutto il popolo cristiano, sia dei fedeli che dei Pastori, che la chiamano Madre amatissima; e stabiliamo che con questo titolo tutto il popolo cristiano d’ora in poi tributi ancor più onore alla Madre di Dio e le rivolga suppliche.

Dal Vangelo secondo Giovanni 19,25-34: In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé. Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito. Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato - era infatti un giorno solenne quel sabato -, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua.

Le parole con le quali Gesù affida sua Madre alle cure del discepolo da lui amato hanno un duplice significato. Innanzi tutto esprimono l’amore di Gesù alla Vergine Maria sua Madre, per altro verso, le parole di Gesù enunziano solennemente che Maria santissima è Madre di tutti i credenti, Madre della Chiesa: - Nella vita pubblica di Gesù la madre sua appare distintamente fin da principio, quando alle nozze in Cana di Galilea, mossa a compassione, indusse con la sua intercessione Gesù Messia a dar inizio ai miracoli (cfr. Gv 2,1-11). Durante la predicazione di lui raccolse le parole con le quali egli, mettendo il Regno al di sopra delle considerazioni e dei vincoli della carne e del sangue, proclamò beati quelli che ascoltano e custodiscono la parola di Dio (cfr Mc 3,35; Lc 11,27-28), come ella stessa fedelmente faceva (cfr. Lc 2,19 e 51). Così anche la beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette (cfr. Gv 19,25), soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con animo materno al suo sacrifico, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata; e finalmente dallo stesso Gesù morente in croce fu data quale madre al discepolo con queste parole: Donna, ecco tuo figlio (cfr. Gv 19,26-27) - Lumen gentium n. 58).

La madre di Gesù presso la croce - Angelico Poppi (Sinossi e Commento): L’affidamento di Maria al discepolo prediletto costituisce la terza scena della crocifissione, quella centrale. Siccome Giovanni  rilegge in senso simbolico ogni episodio di questa sezione (19,16a-37), sembra inverosimile che qui intenda riferirsi soltanto a un gesto di pietà filiale da parte di Gesù morente, il quale si sarebbe preso cura della madre che stava per lasciare, affidandola al discepolo amato. Il senso simbolico traspare dal titolo “Donna” rivolto alla madre quale “Figlia di Sion escatologica” prefigurazione della Chiesa; il discepolo diletto rappresentava idealmente tutti i credenti futuri in Cristo.
È evidente la connessione di questa scena con le nozze di Cana; è però azzardato affermare che l’evangelista intende collegare a mo’ d’inclusione il segno di Cana con il momento culminante della missione di Gesù. Si può intravedere un legame tra questo episodio e la visione della donna coronata di stelle (Ap 12) e la similitudine della donna che gioisce dopo le doglie del parto (Gv 16,21). Nei tre i brani ricorre il vocabolo “donna” che assume una valenza teologica pregnante.
Nel presente contesto l’affidamento di Maria costituisce una scena di investitura: la madre di Gesù diventa madre spirituale di tutti i credenti, rappresentati ai piedi della croce dal discepolo diletto. Era giunta l’ ora” predetta da Gesù alle nozze di Cana: sul Calvario si attuavano le nozze tra Cristo sposo e la Chiesa sposa, di cui Maria è tipo, quale nuova Sion, e madre (“donna”), perché associata al travaglio del Figlio nella nascita della comunità messianica (Gv 16,21; Is 54,1; 66,7-11).
Gli esegeti interpretano questo episodio con sfumature diverse. In genere si sottolinea giustamente la sua dimensione cristologica, che non esclude, ma che conferisce uno spessore teologico più profondo a quella mariologica. La presenza di Maria e del discepolo diletto, le ultime parole di Gesù morente implicano nella riflessione dell’evangelista un significato denso di mistero. Benché non si debba forzare il senso simbolico del racconto, l’interpretazione della maternità spirituale di Maria approfondisce in modo coerente il pensiero giovanneo. Il ruolo che le era stato adombrato a Cana, ora diventa realtà in senso eminentemente spirituale. Maria e il discepolo amato ai piedi della croce costituivano il nucleo germinale della comunità messianica, scaturita dal dramma della passione e morte di Gesù. A entrambi è affidato un incarico importante per la vita e il cammino futuro della Chiesa. Maria, associata alle sofferenze di Gesù sul Golgota, paragonate alle doglie del parto, per la nascita della Chiesa (16,21), avrà la missione di sospingere i seguaci di Gesù a fare quanto ha detto (2,5), per essere rigenerati da lui alla vita nuova. Il discepolo diletto, che si era adagiato sul petto di Gesù (13,25), avrebbe avuto il compito di trasmettere e garantire il significato della missione del Verbo incarnato, quale attuazione del progetto salvifico di Dio.

Card. Robert Sarah: La gioiosa venerazione riservata alla Madre di Dio dalla Chiesa contemporanea, alla luce della riflessione sul mistero di Cristo e sulla sua propria natura, non poteva dimenticare quella figura di Donna (cf. Gal 4, 4), la Vergine Maria, che è Madre di Cristo e insieme Madre della Chiesa. Ciò era già in qualche modo presente nel sentire ecclesiale a partire dalle parole premonitrici di sant’Agostino e di san Leone Magno. Il primo, infatti, dice che Maria è madre delle membra di Cristo, perché ha cooperato con la sua carità alla rinascita dei fedeli nella Chiesa; l’altro poi, quando dice che la nascita del Capo è anche la nascita del Corpo, indica che Maria è al contempo madre di Cristo, Figlio di Dio, e madre delle membra del suo corpo mistico, cioè della Chiesa. Queste considerazioni derivano dalla divina maternità di Maria e dalla sua intima unione all’opera del Redentore, culminata nell’ora della croce. La Madre infatti, che stava presso la croce (cf. Gv 19, 25), accettò il testamento di amore del Figlio suo ed accolse tutti gli uomini, impersonati dal discepolo amato, come figli da rigenerare alla vita divina, divenendo amorosa nutrice della Chiesa che Cristo in croce, emettendo lo Spirito, ha generato. A sua volta, nel discepolo amato, Cristo elesse tutti i discepoli come vicari del suo amore verso la Madre, affidandola loro affinché con affetto filiale la accogliessero. Premurosa guida della Chiesa nascente, Maria iniziò pertanto la propria missione materna già nel cenacolo, pregando con gli Apostoli in attesa della venuta dello Spirito Santo (cf. At 1, 14). In questo sentire, nel corso dei secoli, la pietà cristiana ha onorato Maria con i titoli, in qualche modo equivalenti, di Madre dei discepoli, dei fedeli, dei credenti, di tutti coloro che rinascono in Cristo e anche di “Madre della Chiesa”, come appare in testi di autori spirituali e pure del magistero di Benedetto XIV e Leone XIII. Da ciò chiaramente risulta su quale fondamento il beato papa Paolo VI, il 21 novembre 1964, a conclusione della terza Sessione del Concilio Vaticano II, dichiarò la beata Vergine Maria «Madre della Chiesa, cioè di tutto il popolo cristiano, tanto dei fedeli quanto dei Pastori, che la chiamano Madre amantissima», e stabilì che «l’intero popolo cristiano rendesse sempre più onore alla Madre di Dio con questo soavissimo nome». La Sede Apostolica pertanto, in occasione dell’Anno Santo della Riconciliazione (1975), propose una messa votiva in onore della beata Maria Madre della Chiesa, successivamente inserita nel Messale Romano; diede anche facoltà di aggiungere l’invocazione di questo titolo nelle Litanie Lauretane (1980) e pubblicò altri formulari nella raccolta di messe della beata Vergine Maria (1986); ad alcune nazioni, diocesi e famiglie religiose che ne facevano richiesta, concesse di aggiungere questa celebrazione nel loro Calendario particolare. Il Sommo Pontefice Francesco, considerando attentamente quanto la promozione di questa devozione possa favorire la crescita del senso materno della Chiesa nei Pastori, nei religiosi e nei fedeli, come anche della genuina pietà mariana, ha stabilito che la memoria della beata Vergine Maria, Madre della Chiesa, sia iscritta nel Calendario Romano nel Lunedì dopo Pentecoste e celebrata ogni anno.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** I  discepoli erano assidui e concordi nella preghiera con Maria, Madre di Gesù. (Cfr. At 1,14)
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Padre, che in questo sacramento
ci hai dato il pegno di redenzione e di vita,
fa’ che la tua Chiesa, con l’aiuto materno di Maria,
porti a tutti i popoli l’annunzio del Vangelo
e attiri sul mondo l’effusione del tuo Spirito.
Per Cristo nostro Signore.





31 Maggio 2020

 Domenica di Pentecoste

At 2,1-11; Sal 103 (104); 1Cor 12,3b-7.12-13; Gv 20,19-23

Colletta: O Padre, che nel mistero della Pentecoste santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione,
diffondi sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo, e continua oggi, nella comunità dei credenti, i prodigi che hai operato agli inizi della predicazione del Vangelo. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

I Lettura: I discepoli, subito dopo l’ascensione di Gesù, si riuniscono, secondo il comando del Maestro divino, nella città di Gerusalemme per attendere la venuta dello Spirito Santo. Nel Cenacolo, con il dono dello Spirito Santo, si restaura l’unità perduta a Babele (Cf. Gen 11,1-9). La presenza della folla proveniente da innumerevoli popoli sta ad indicare l’universalità della missione della Chiesa: «Inviata da Dio alle genti per essere sacramento universale di salvezza, la Chiesa, per le esigenze più profonde della sua cattolicità e obbedendo all’ordine del suo Fondatore, si sforza di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini» (Concilio Vaticano II, Decreto Ad gentes, 1). Si può ben affermare che la Chiesa «durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la propria origine» (Concilio Vaticano II, Decreto Ad gentes, 2).

Salmo Responsoriale: Paolino Beltrame-Quattrocchi: «Benedici il Signore, anima mia!». L’occhio limpido del puri di cuore gode già in vita d’un anticipo della beatitudine evangelica: «vedranno Dio». Un delicato soffio poetico dà ali di canto alla religiosità contemplativa del salmista. È tutto un inno al creatore, scoperto a ogni passo nella panoramica del creato. AI termine di una lunga peregrinazione - che qualunque riassunto tematico non potrebbe che immiserire - il salmista conchiude con un potente accordo finale, a pieni registri, da cui emerge vibrante il tema già soffusamente modulato in ogni versetto: «Voglio cantare al Signore finché ho vita, cantare al mio Dio finché esisto. A lui sia gradito il mio canto; la mia gioia è nel Signore!». E le ultime note della sinfonia ripetono, arricchito da tutte le variazioni che han preceduto, il motivo musicale accennato ali inizio: «Benedici il Signore, anima mia!».

II lettura: San Paolo, nelle sue lettere, spesso parla di carismi, manifestazioni dello Spirito, visioni, rapimenti: «Se bisogna vantarsi – ma non conviene – verrò tuttavia alle visioni e alle rivelazioni del Signore.  So che un uomo, in Cristo, quattordici anni fa – se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’ uomo  – se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunciare» (2Cor 12,1-4). I cristiani di Corinto, in modo particolare, erano stati «arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza» (1Cor 1,5), tanto che l’apostolo Paolo si sente in dovere di ringraziare il Padre della luce, datore di ogni dono perfetto (Cf. Gc 1,17), a motivo della grazia di Dio che era stata data loro in Cristo Gesù (Cf. 1Cor 1,4). Ma al di là della contentezza a motivo della prodigalità divina, Paolo si vede costretto a intervenire perché invece di essere fonte di coesione o di virtù, come l’umiltà o la carità, la ricerca dei carismi e il loro uso sregolato avevano creato tra i Corinzi divisioni e malumori. Questo andava proprio contro l’opera pacificatrice e unificatrice dello Spirito Santo da cui tutti i carismi hanno origine.

Vangelo: Pietro e il discepolo che Gesù amava hanno già visitato la tomba vuota, il Risorto è apparso a Maria di Magdala, ora appare agli Undici rinserrati in casa per timore dei Giudei. Il tema di questa pericope è straordinariamente ricco: il dono della pace, l’ostensione di Gesù, la gioia dei discepoli, la missione, il dono dello Spirito Santo, il potere di rimettere i peccati.

Dal Vangelo secondo Giovanni 20,19-23: La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

La sera di quel giorno, il primo della settimana - Giovanni segue il computo romano o greco, per gli Ebrei invece al tramonto era già iniziato il secondo giorno. Il Sinedrio, con la morte di Gesù, pensava di aver messo fine alla vicenda religiosa del Nazareno e dei suoi seguaci. Per maggiore precauzione aveva sigillato la tomba ponendola anche sotto sorveglianza armata ed era quindi ben intenzionato a sradicare ogni forma di proselitismo.
... mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei. Gli Undici, con il cuore pieno di timore, sono in casa con le porte ben sbarrate perché sanno che le minacce dei Farisei non cadono mai a vuoto. Le case generalmente avevano una porta, se quella che ospitava gli Undici ne aveva diverse forse il dettaglio sta ad indicare che era la dimora di un uomo ricco. Nonostante tale stato d’animo, la certezza della Risurrezione, con la sua luce, già invadeva il cuore e la mente dei discepoli, spazzando via con energia incertezze, incredulità, paure (Cf. Gv 20,1-18).
Gesù, entrando a porte chiuse, ritorna fra i suoi annunciandosi come fonte di pace, vita e salvezza.
Saluta i discepoli con un saluto molto caro agli Ebrei: Pace a voi (Cf. Gdc 6,23; 19,20; Lc 10,5) e nell’augurarla, la dona.
Detto questo, mostrò loro le mani...: non è un fantasma (Cf. Lc 24,37-38), è veramente il loro Maestro che essi hanno contemplato confitto sul legno della croce, le mani hanno il segno dei chiodi, il fianco reca lo squarcio provocato dalla lancia, ora, è lì, vivo, in mezzo a loro... il Crocifisso è risorto, come aveva detto (Mt 28,6). Stupefatti, i discepoli sono ricolmi di gioia. Gesù risorto è la fonte della gioia, quella vera. Quella sera si compiva quanto lui aveva loro promesso: «La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla» (Gv 16,21-23). Dopo aver donato per la seconda volta la pace, Gesù risorto affida agli Undici la missione di essere suoi apostoli: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (v. 21).
«Si osservi il parallelismo sinonimico, presente in questo passo, con il quale l’invio dei discepoli da parte di Gesù è paragonato a quello del Figlio da parte di Dio: Come il Padre ha inviato ME, anch’io mando voi. Si tratta quindi di una consacrazione divina dei discepoli ad essere gli araldi del Risorto; essa sta per essere sigillata con il dono dello Spirito santo» (Alberto Salvatore Panimolle).
Soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo...», lo Spirito Santo che era stato tante volte promesso nel tempo della vita mortale di Gesù viene ora donato. Il verbo soffiare rievoca la creazione dell’uomo: il «Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7). Tale accostamento è suggerito dal fatto che qui si trova «lo stesso verbo raro di Gen 2,7 [Cf. Sap 15,11]: Cristo risorto dona ai discepoli lo Spirito che effettua come una ri-creazione dell’umanità. Possedendo fin d’ora questo principio di vita, l’uomo è passato dalla morte alla vita [Gv 5,24 ], non morirà mai [Gv 8,51]. È il principio di un’escatologia già realizzata. Per Paolo (almeno nelle sue prime lettere), questa ri-creazione dell’umanità si produrrà solo al ritorno di Cristo [1Cor 15,45, che cita Gen 2,7] (Bibbia di Gerusalemme). Con il dono dello Spirito Santo gli Undici vengono santificati nella verità [Gv 17,17-19] e abilitati alla loro futura missione, che si specifica nel perdonare i peccati e nel potere correlativo di non perdonarli. Tale potere di perdonare o di non perdonare i peccati è espresso in forma simile da Mt 16,19 e 18,18, dove è usata una forma più giuridica.
Al di là delle difficoltà che pone il versetto giovanneo, nelle parole di Gesù possiamo cogliere la gioia e la consolazione che nel mondo c’è il perdono dei peccati e che questo potere è stato dato agli uomini (Mt 9,7). La missione apostolica sarà gravida della presenza del Risorto (Cf. Mt 28,20) e porterà i tratti della sua infinita misericordia.

La Pentecoste cristiana - P. De Surgy: l. La teofania. - Il dono dello Spirito con i segni che lo accompagnano, il vento, il  fuoco, richiama le teofanie del VT. Un duplice miracolo sottolinea il senso dell’avvenimento: anzitutto gli apostoli, per cantare le meraviglie di Dio, si esprimono in «lingue» (Atti 2,3); il parlare in lingua è una forma carismatica di preghiera che si ritrova nelle comunità cristiane primitive. Questo parlare in lingua, quantunque per sé inintelligibile (cfr. 1 Cor 5-20; 14,l-25), in quel giorno è compreso dalle persone presenti; questo miracolo di audizione è un segno della vocazione universale della Chiesa, perché questi uditori provengono dalle più diverse regioni (Atti 2,5-11). 2. Senso dell’avvenimento. a) Effusione escatologica dello Spirito. - Pietro, citando il profeta Gioele, fa vedere che la Pentecoste realizza le  promesse di Dio: negli ultimi tempi, lo Spirito sarebbe stato dato a tutti (cfr. Ez 36,27). Il precursore aveva annunziato che era presente colui che doveva battezzare nello Spirito Santo (Mc 1,8). E Gesù, dopo la risurrezione, aveva Confermato queste promesse: «Tra pochi giorni, sarete battezzati nello Spirito Santo» (Atti 1,5). b) Coronamento della Pasqua di Cristo. - Secondo la catechesi primitiva, Cristo morto, risorto ed esaltato alla destra del Padre, porta a termine la sua opera effondendo lo Spirito sulla comunità apostolica (Atti 2, 23-33). La Pentecoste è la pienezza della Pasqua. c) Raduno della comunità messianica. - I profeti annunziavano che i dispersi sarebbero stati radunati sul monte Sion e che in tal modo l’assemblea di Israele sarebbe stata unita attorno a Jahve; la Pentecoste realizza a Gerusalemme l’unità spirituale dei Giudei e dei proseliti di tutte le nazioni; docili all’insegnamento degli apostoli, essi partecipano nell’amore fraterno alla mensa eucaristica (Atti 2,42ss). d) comunità aperta a tutti i popoli. - Lo Spirito è dato in vista di una testimonianza che deve essere portata fino alle estremità della terra (Atti 1,8); il miracolo di audizione sottolinea che la prima Comunità messianica si estenderà a tutti i popoli (Atti 2,5-11). La «Pentecoste dei pagani» (Atti 10,44ss) lo dimostrerà. La divisione operata a Babele (Gen 11,1 -9) trova qui la sua antitesi ed il suo termine. e) Inizio della missione. - La Pentecoste che raduna la comunità messianica è pure il punto di partenza della sua missione: il discorso di Pietro, «in piedi con gli Undici», è il primo atto della missione data da Gesù: «Riceverete una forza, lo Spirito Santo... Allora sarete miei testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria, e fino ai confini della terra» (Atti 1,8). I Padri hanno paragonato questo «battesimo nello Spirito Santo», specie di investitura apostolica della Chiesa, al battesimo di Gesù, teofania solenne all’inizio del suo ministero pubblico. Fanno vedere nella Pentecoste il dono della nuova legge alla Chiesa (cfr. Ger 31,33; Ez 36,27) e la nuova creazione (cfr. Gen 1,2): questi temi non sono espressi in Atti 2, ma si fondano sulla realtà (l’azione interna dello Spirito e la ricreazione che egli effettua). 3. La Pentecoste, mistero di salvezza. - Se l’aspetto esterno della teofania fu passeggero, il dono fatto alla Chiesa è definitivo. La Pentecoste inaugura il tempo della Chiesa che, nel suo pellegrinaggio incontro al Signore, riceve costantemente da lui lo Spirito Che lo raduna nella fede e nella Carità, la santifica e la manda in missione. Gli Atti, «vangelo dello Spirito Santo», rivelano l’attualità permanente di questo dono, il carisma per eccellenza, sia per il posto che compete allo Spirito nella direzione e nell’attività missionaria della Chiesa (Atti 4,8; 13,2; 15,28; 16,6), sia per le sue manifestazioni più visibili (4,31; 10,44ss). Il dono dello Spirito qualifica gli «ultimi tempi», periodo che incomincia con l’ascensione e troverà il suo compimento nell’ultimo giorno, quando il Signore ritornerà.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo. (Gv 20,21.22)
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che hai dato alla tua Chiesa la comunione ai beni del cielo,
custodisci in noi il tuo dono, perché in questo cibo spirituale
che ci nutre per la vita eterna, sia sempre operante in noi
la potenza del tuo Spirito.
Per Cristo nostro Signore.




 30 Maggio 2020


Sabato della Settima Settimana di Pasqua

At 28,16-20.30-31; Sal 10; Gv 21,20-25

Colletta: Dio onnipotente ed eterno, che ci dài la gioia di portare a compimento i giorni della Pasqua,  fa’ che tutta la nostra vita sia una testimonianza del Signore risorto. Egli è Dio, e vive e regna con te...

Eccellenza del Nuovo Testamento 17. La parola di Dio, che è potenza divina per la salvezza di chiunque crede (cfr. Rm 1,16), si presenta e manifesta la sua forza in modo eminente negli scritti del Nuovo Testamento. Quando infatti venne la pienezza dei tempi (cfr. Gal 4,4), il Verbo si fece carne ed abitò tra noi pieno di grazia e di verità (cfr. Gv 1,14). Cristo stabilì il regno di Dio sulla terra, manifestò con opere e parole il Padre suo e se stesso e portò a compimento l’opera sua con la morte, la risurrezione e la gloriosa ascensione, nonché con l’invio dello Spirito Santo. Elevato da terra, attira tutti a sé (cfr. Gv 12,32 gr.), lui che solo ha parole di vita eterna (cfr. Gv 6,68). Ma questo mistero non fu palesato alle altre generazioni, come adesso è stato svelato ai santi apostoli suoi e ai profeti nello Spirito Santo (cfr. Ef 3,4-6, gr.), affinché predicassero l’Evangelo, suscitassero la fede in Gesù Cristo Signore e radunassero la Chiesa. Di tutto ciò gli scritti del Nuovo Testamento presentano una testimonianza perenne e divina.
Origine apostolica dei Vangeli 18. A nessuno sfugge che tra tutte le Scritture, anche quelle del Nuovo Testamento, i Vangeli possiedono una superiorità meritata, in quanto costituiscono la principale testimonianza relativa alla vita e alla dottrina del Verbo incarnato, nostro Salvatore. La Chiesa ha sempre e in ogni luogo ritenuto e ritiene che i quattro Vangeli sono di origine apostolica. Infatti, ciò che gli apostoli per mandato di Cristo predicarono, in seguito, per ispirazione dello Spirito Santo, fu dagli stessi e da uomini della loro cerchia tramandato in scritti che sono il fondamento della fede, cioè l’Evangelo quadriforme secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni.
Carattere storico dei Vangeli 19. La santa madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e con la più grande costanza che i quattro suindicati Vangeli, di cui afferma senza esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza, fino al giorno in cui fu assunto in cielo (cfr At 1,1-2). Gli apostoli poi, dopo l’Ascensione del Signore, trasmisero ai loro ascoltatori ciò che egli aveva detto e fatto, con quella più completa intelligenza delle cose, di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dallo Spirito di verità, godevano. E gli autori sacri scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte che erano tramandate a voce o già per iscritto, redigendo un riassunto di altre, o spiegandole con riguardo alla situazione delle Chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù cose vere e sincere [34]. Essi infatti, attingendo sia ai propri ricordi sia alla testimonianza di coloro i quali « fin dal principio furono testimoni oculari e ministri della parola », scrissero con l’intenzione di farci conoscere la «verità» (cfr. Lc 1,2-4) degli insegnamenti che abbiamo ricevuto.

Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto: La morte del discepolo che Gesù amava dovette sconcertare molta gente, poiché pensavano che almeno quel discepolo doveva essere presente quando sarebbe tornato il Signore nella sua gloria per giudicare i vivi e i morti. Senza dubbio lo scopo dell’aggiunta di questa appendice era che quello di correggere questa errata interpretazione.
Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera: Queste ultime parole sono state aggiunte come una specie di autenticazione del vangelo dalla comunità di Giovanni, per affermare che il discepolo che Gesù amava è proprio il responsabile del vangelo. Giovanni ha terminato la sua opera ma il vangelo rimane sempre aperto, vi sono ancora molte cose non scritte e da scoprire con l’aiuto dello Spirito Santo. Giovanni non ha scritto tutto quasi per sottolineare la perenne novità della Parola.

Dal Vangelo secondo Giovanni 21,20-25: In quel tempo, Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?». Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.

Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 20 Pietro si voltò e vide che [li] seguiva il discepolo che Gesù amava; il participio ἀκολουθοῦντα occupa l’ultimo posto della proposizione ed è senza complemento: per questo motivo lo abbiamo riferito ai due personaggi di cui si parla (Gesù e Pietro). L’apostolo Pietro si mette a seguire il Maestro e poi si avvede che anche il discepolo prediletto si trova al loro seguito. Siccome il testo inizia a parlare del «discepolo che Gesù amava», si danno di lui più ampi particolari per identificarlo con chiarezza (quello stesso che nella cena si era chinato verso il suo petto e...; cf. Giov., 13, 25).
21 Signore, e di lui che sarà?; Pietro mostra un particolare interesse per il discepolo prediletto; siccome il Maestro ha detto soltanto a lui di seguirlo, egli desidera sapere che cosa avverrà della persona che Gesù amava. L’apostolo quindi con estremo candore e con premuroso interessamento domanda a Cristo quale sorte attenderà il discepolo prediletto; egli desidera sentire da Gesù se anche il discepolo amato avrà una sorte eguale a quella predetta a lui poco dianzi.
22 Se voglio che egli rimanga fino a quando io venga, che ne viene a te?; il Maestro non accondiscende al desiderio dell’apostolo, poiché la conoscenza della sorte concernente il discepolo prediletto non lo riguarda, cioè non ha un particolare interesse per lui; a Pietro infatti basta sapere quale sarà la fine che lo attende, a lui Gesù ha detto chiaramente di seguirlo (Tu seguimi) e su queste parole egli deve riflettere. «Fino a quando io venga»; la venuta di Cristo si riferisce alla sua parusia, cioè al suo ritorno glorioso; tuttavia il Salvatore non intende affermare che il discepolo amato rimarrà in vita fino a quel momento, ma che se egli volesse anche questo per il discepolo prediletto, ciò non avrebbe un interesse particolare per Pietro.
23 Si diffuse... tra i fratelli questa voce che quel discepolo non morirà; «i fratelli» designano i cristiani. Tra i credenti le parole che Cristo aveva dette a Pietro intorno al discepolo prediletto furono intese nel senso che questo discepolo non sarebbe morto, cioè egli sarebbe sopravvissuto fino al ritorno glorioso di Cristo nella parusia. L’autore precisa che questa credenza è fondata su una falsa conclusione tratta dalle parole di Gesù (Gesù tuttavia non aveva detto a Pietro: Egli non morrà, ma...). L’ultima parte del versetto («che te ne riguarda?») è omessa da alcuni codici; per la traduzione essa è richiesta per dare un senso compiuto alla frase. L’accento della spiegazione è posto sul fatto che Gesù si è espresso in forma condizionale (se mi piacesse farlo vivere finché io non ritorni...), non già che egli abbia manifestato una sua volontà positiva. Alcuni autori ritengono che sia stato il discepolo prediletto stesso a rettificare la falsa interpretazione data dai credenti alle parole che il Maestro gli aveva rivolto in quella circostanza; infatti il discepolo amato, una volta divenuto vecchio, non1 voleva che si pensasse che la sua longevità accreditasse tale credenza, né che si pensasse ad una parusia ormai prossima nel tempo. Di conseguenza, secondo questi interpreti, il presente testo sarebbe stato scritto quando il discepolo prediletto era ancora in vita. Altri studiosi invece opinano che il redattore di questo capitolo abbia inteso chiarire con il presente versetto che alcuni credenti erano caduti in un errore d’interpretazione delle parole rivolte da Cristo al discepolo prediletto, poiché avevano creduto che questo discepolo non dovesse morire prima della parusia, ed invece era morto. Evidentemente per questi esegeti la presente chiarificazione sarebbe stata data dopo la morte del discepolo amato.
24 Questo è il discepolo che dà testimonianza su questi fatti e li ha scritti; i verss. 24-25 formano un nuovo epilogo del vangelo, epilogo aggiunto da un gruppo di discepoli del «discepolo prediletto»; i due versetti quindi non appartengono all’autore del vangelo. Questo gruppo di discepoli si richiamano alla testimonianza del discepolo prediletto, la quale garantisce la verità dei fatti narrati, fatti che egli stesso ha trasmessi per scritto (e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera). L’epilogo rivela una preoccupazione, quella cioè di assicurare i lettori (i credenti della Chiesa primitiva) che le cose narrate sono degne di fede. Probabilmente questo versetto doveva servire di commendatizia del vangelo, quando questo incominciò ad essere divulgato tra le comunità della Chiesa primitiva.
25 Vi sono ancora molte altre opere compiute da Gesù; si richiama un’idea già espressa nella prima conclusione del vangelo (cf. 20, 30-31); in tal modo si riafferma la notevole abbondanza delle opere di bontà compiute dal Salvatore. Se queste fossero scritte una per una...; la formula è manifestamente iperbolica e riflette il gusto letterario degli scrittori del tempo; essa è usata per esaltare i personaggi dei quali si ricordano le gesta compiute; cf. 1 Maccabei, 9, 22; si veda anche Filone, Legatio ad Gaium, III, § 238.

Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): Come Gv 20 termina con una nota dell’evangelista sullo scopo della raccolta di alcuni segni operati da Gesù (Gv 20,30s), così alla fine di Gv 21 troviamo un secondo epilogo sulla veracità della testimonianza del discepolo amato (v. 24) e sul carattere incompleto del quarto vangelo (v. 25). In Gv 21,24 il discepolo amato è presentato come il testimone oculare e l’autore di ciò che è stato raccolto nel vangelo giovanneo. Chi ha aggiunto questo passo, garantisce la veracità della testimonianza di tale discepolo: questi perciò è presentato come testimone oculare delle parole e delle opere del Cristo Signore. L’espressione «e sappiamo» può essere considerata probabilmente come un plurale maiestatico riferito all’autore di Gv 21,24,24 oppure può indicare la comunità giovannea, come si costata in 1Gv 3,2.14; 5,15.18ss.25 Tuttavia il redattore finale, riallacciandosi all’epilogo di Gv 20,30, confessa che il quarto vangelo è un’opera incompleta: Gesù ha fatto molte altre cose che non sono scritte in questo libro: tali gesta fossero raccolte in volumi, questi non potrebbero essere contenuti neppure da tutte le biblioteche del mondo (Gv 21,2 ). L’iperbole è palese; con tale esagerata affermazione l’autore vuoi mettere in risalto che solo una piccola parte delle opere compiute da Gesù e dei suoi discorsi, è stata fissata per i critto. In modo altrettanto iperbolico si era espresso il rabbino Johann ben Zakkai (I sec. a.C.) in merito alla conoscenza della Sapienza divina.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  Manderò a voi lo Spirito di verità, egli vi guiderà a tutta la verità. (Gv 16,7.13)
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Signore, che hai guidato il tuo popolo
dall’antica alla nuova alleanza,
concedi che, liberati dalla corruzione del peccato,
ci rinnoviamo pienamente nel tuo Spirito.
Per Cristo nostro Signore.
 






29 Maggio 2020

Venerdì della Settima Settimana di Pasqua

At 25,13-21; Sal 102 (103); Gv 21,15-19

Colletta: O Dio, nostro Padre, che ci hai aperto il passaggio alla vita eterna con la glorificazione del tuo Figlio
e con l’effusione dello Spirito Santo, fa’ che, partecipi di così grandi doni, progrediamo nella fede e ci impegniamo sempre più nel tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo. 

L’istituzione dei dodici - Lumen gentium 19: Il Signore Gesù, dopo aver pregato il Padre, chiamò a sé quelli che egli volle, e ne costituì dodici perché stessero con lui e per mandarli a predicare il regno di Dio (cfr. Mc 3,13-19; Mt 10,1-42); ne fece i suoi apostoli (cfr. Lc 6,13) dando loro la forma di collegio, cioè di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro (cfr. Gv 21 15-17). Li mandò prima ai figli d’Israele e poi a tutte le genti (cfr. Rm 1,16) affinché, partecipi del suo potere, rendessero tutti i popoli suoi discepoli, li santificassero e governassero (cfr. Mt 28,16-20; Mc 16,15; Lc 24,45-48), diffondendo così la Chiesa e, sotto la guida del Signore, ne fossero i ministri e i pastori, tutti i giorni sino alla fine del mondo (cfr. Mt 28,20). In questa missione furono pienamente confermati il giorno di Pentecoste (cfr. At 2,1-36) secondo la promessa del Signore: « Riceverete una forza, quella dello Spirito Santo che discenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria, e sino alle estremità della terra » (At 1,8). Gli apostoli, quindi, predicando dovunque il Vangelo (cfr. Mc 16,20), accolto dagli uditori grazie all’azione dello Spirito Santo, radunano la Chiesa universale che il Signore ha fondato su di essi e edificato sul beato Pietro, loro capo, con Gesù Cristo stesso come pietra maestra angolare (cfr. Ap 21,14; Mt 16,18; Ef 2,20).

Dal Vangelo secondo Giovanni 21,15-19: In quel tempo, [quando si fu manifestato ai discepoli ed] essi ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse "Mi vuoi bene?", e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

Dopo aver mangiato, Gesù offre a Pietro, con una triplice professione d’amore, l’opportunità di controbilanciare il triplice rinnegamento (cfr. Mt 26,69-75; Mc 14,66-72; Lc 22,54-62; Gv 18,25-27). E solo alla fine di questa triplice professione di amore, Pietro, da Gesù, viene rinvestito nel suo mandato, quello di reggere e di pascere in suo nome il gregge (cfr. Mt 16,18; Lc 22,31s). È da notare che il racconto della riabilitazione di Pietro abbonda di sinonimi, due diversi verbi per amare; due verbi per pascere; due nomi per pecore e agnelli; due verbi per sapere; come a voler esaltare l’episodio dell’investitura. Ormai purificato e rinnovato nel cuore e nella mente, Pietro può conoscere «con quale morte egli avrebbe glorificato Dio»: «...quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». Una profezia che si compirà a Roma, luogo della sua morte violenta: morirà crocifisso come il suo Signore. L’immagine di cingersi ai fianchi la veste è «propria dell’uso di quei tempi di vestiti molto ampi che era necessario raccogliere e cingere per i viaggi molto lunghi. Pietro dovrà farlo, perché si troverà come un uomo anziano e indifeso davanti a coloro che lo metteranno a morte per la sua fede. D’altra parte, la scena mette in rilievo un altro pensiero interessante. Finora, Gesù era stato pastore. Ora, nel tempo della Chiesa, quest’ufficio è affidato a Pietro» (Felipe F. Ramos). E solo ora, al termine di questo lungo cammino di purificazione, può, finalmente, risuonare nel cuore di Simone la voce di Dio che lo invita alla sequela: «E detto questo aggiunse: “Seguimi”» (cfr. 13,36: Simon Pietro gli dice: «Signore, dove vai?». Gli risponde Gesù: «Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi»). La sequela è sempre un dono di Dio, mai iniziativa dell’uomo.

La riabilitazione di Pietro - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): Il vangelo di oggi si divide in due parti. Nella prima Gesù conferisce all’apostolo Pietro un’investitura pastorale preminente, e nella seconda gli preannuncia il destino di martire. Sullo sfondo di questo vangelo è presente la tradizione neotestamentaria di un’apparizione del Signore risorto a Simon Pietro, e vi troviamo anche delle affinità con il brano del primato secondo Matteo (16,18s).
Nella triplice domanda di Cristo: «Simone di Giovanni, mi ami?», e nella corrispondente risposta dell’apostolo con il suo triplice e umile: «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo», c’è da parte di Gesù una riabilitazione di Pietro alla sua condizione di discepolo, dopo la triplice negazione nella notte della passione. È la sua opportunità e il suo riscatto. A ogni risposta di Pietro, Gesù aggiunge: «Pasci le mie pecorelle». È una triplice investitura che, con questa dimostrazione di fiducia, opera la sua riabilitazione. Quindi qui abbiamo una testimonianza scritta, risalente alla fine del primo secolo, sul giudizio della comunità riguardo alla missione e all’autorità pastorale di Pietro nella Chiesa.
Il ministero di Pietro - e del suo successore il papa, vescovo di Roma - è il primato del servizio e della carità nella Chiesa di Cristo. Carisma che non gli viene concesso per il suo prestigio, né è basato sulla sua capacità personale e straordinaria, perché la sua debolezza umana è evidente. Tutto è grazia, dono e presenza invisibile di Gesù attraverso la forza del suo Spirito.
Gesù esamina Pietro sull’amore e bisogna riconoscere che, chi in altra occasione avrebbe meritato di essere rimandato, qui ottiene un ottimo. E lo esamina sull’amore perché il suo compito alla guida delle pecore di Cristo, il buon pastore, dovrà essere esercitato in base all’amore per il gregge, secondo le parole di sant’ Ambrogio: «Cristo ci lasciò Pietro come vicario del suo amore».
Già nell’ultima cena Gesù aveva detto all’apostolo: «Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31s). Pietro è, effettivamente, il primo tra i fratelli. Ma l’autorità, all’interno della comunità cristiana, è servizio sull’esempio di Cristo: « Ma chi è più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve» (Lc 22,26).

L’amore per il Cristo, condizione indispensabile per esercitare funzioni pastorali - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): Il brano di Gv 21,15-17 mostra chiaramente che Gesù, prima di costituire Pietro pastore delle sue pecore e dei suoi agnelli, esige una confessione di amore.
Questo dato mostra che l’amore per il Signore è condizione indispensabile per esercitare funzioni pastorali. Solo chi ama profondamente il Cristo, è in grado di pascolare il suo gregge. Anzi quest’amore del pastore deve superare quello degli altri discepoli. In effetti tutti i seguaci di Gesù debbono amare il loro Maestro, però chi vuole esercitare funzioni pastorali, deve amare il Cristo più degli altri: «Mi ami tu più di costoro?» (Gv 21,15).
Ma per quale ragione profonda il pastore deve amare il Signore più degli altri cristiani? Perché gli agnelli e le pecore non sono sua proprietà, ma appartengono a Gesù. Questi infatti dice a Simone: «Pasci i miei agnelli ... Pasci le mie pecore!» (Gv 21,15-17). II gregge è affidato a Pietro, ma non è di Pietro. Una sola persona è il Signore della chiesa, il Cristo Gesù; solo lui può dire: «la mia chiesa» (Mt 16,18), la mia comunità, il mio gregge. Solo il Cristo è il padrone degli agnelli e delle pecore, anche se le ha affidate a Pietro.
In tale situazione è comprensibile la necessità, nel pastore, di un amore per Gesù, più intenso e più forte di quello dei semplici fedeli. Dover guidare, nutrire, curare con affetto e pazienza un gregge che non è proprio, richiede una dose non indifferente di amore per colui che è il Signore della chiesa. Il Cristo risorto ha affidato i suoi agnelli e le sue pecore a Simon Pietro, solo dopo che questi ha professato il suo amore per Gesù, più forte e più intenso di quello degli altri di cepoli. «Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?» ... «Sì, Signore, tu sai che ti amo!» ... «Pasci i miei agnelli!. .. Pasci le mie pecore!».

Giovanni Paolo II (Udienza Generale 9 Dicembre 1992): Quando Gesù sta per conferire la missione a Pietro, si rivolge a lui con un appellativo ufficiale: “Simone, figlio di Giovanni” (Gv 21,15), ma assume poi un tono familiare e d’amicizia: “Mi ami tu più di costoro?”. Questa domanda esprime un interesse per la persona di Simon Pietro e sta in rapporto con la sua elezione per una missione personale. Gesù la formula a tre riprese, non senza un implicito riferimento al triplice rinnegamento. E Pietro dà una risposta che non è fondata sulla fiducia nelle proprie forze e capacità personali, sui propri meriti. Ormai sa bene che deve riporre tutta la sua fiducia soltanto in Cristo: “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo” (Gv 21,17). Evidentemente il compito di pastore richiede un amore particolare verso Cristo. Ma è lui, è Dio che dà tutto, anche la capacità di rispondere alla vocazione, di adempiere la propria missione. Sì, bisogna dire che “tutto è grazia”, specialmente a quel livello! 
E avuta la risposta desiderata, Gesù conferisce a Simon Pietro la missione pastorale: “Pasci i miei agnelli”; “Pasci le mie pecorelle”. È come un prolungamento della missione di Gesù, che ha detto di sé: “Io sono il buon Pastore” (Gv 10,11). Gesù, che ha partecipato a Simone la sua qualità di “pietra”, gli comunica anche la sua missione di “pastore”. È una comunicazione che implica una comunione intima, che traspare anche dalla formulazione di Gesù: “Pasci i miei agnelli .. le mie pecorelle”; come aveva già detto: “Su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt 16,18). La Chiesa è proprietà di Cristo, non di Pietro. Agnelli e pecorelle appartengono a Cristo, e a nessun altro. Gli appartengono come a “buon Pastore”, che “offre la vita per le sue pecore” (Gv 10,11). Pietro deve assumersi il ministero pastorale nei riguardi degli uomini redenti “con il sangue prezioso di Cristo” (1Pt 1,19). Sul rapporto tra Cristo e gli uomini, diventati sua proprietà mediante la redenzione, si fonda il carattere di servizio che contrassegna il potere annesso alla missione conferita a Pietro: servizio a Colui che solo è “pastore e guardiano delle nostre anime” (1Pt 2,25), e nello stesso tempo a tutti coloro che Cristo-buon Pastore ha redento a prezzo del sacrificio della croce. È chiaro, peraltro, il contenuto di tale servizio: come il pastore guida le pecore verso i luoghi in cui possono trovare cibo e sicurezza, così il pastore delle anime deve offrir loro il cibo della parola di Dio e della sua santa volontà (cf. Gv 4, 34), assicurando l’unità del gregge e difendendolo da ogni ostile incursione. 
Certo, la missione comporta un potere, ma per Pietro - e per i suoi successori - è una potestà ordinata al servizio, a un servizio specifico, un ministerium. Pietro la riceve nella comunità dei Dodici. Egli è uno della comunità degli Apostoli. Ma non c’è dubbio che Gesù, sia mediante l’annuncio (cf. Mt 16,18-19), sia mediante il conferimento della missione dopo la sua risurrezione, riferisce in modo particolare a Pietro quanto trasmette a tutti gli Apostoli, come missione e come potere. Solo a lui Gesù dice: “Pasci”, ripetendoglielo tre volte. Ne deriva che, nell’ambito del comune compito dei Dodici, si delineano per Pietro una missione e un potere, che toccano soltanto a lui.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Lo Spirito Santo vi insegnerà ogni cosa; vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto. (Gv 14,26)
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che ci santifichi e ci nutri con i tuoi santi misteri,
concedi che i doni di questa tua mensa
ci ottengano la vita senza fine.
Per Cristo nostro Signore.