1 OTTOBRE 2023
 
XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A
 
Ez 18,25-28: Salmo Responsoriale Dal Salmo 24 (25); Fil 2,1-11; Mt 21,28-32
 
Colletta
O Padre, che prometti vita e salvezza
a ogni uomo che desiste dall’ingiustizia,
donaci gli stessi sentimenti di Cristo,
perché possiamo donare la nostra vita
e camminare con i fratelli verso il tuo regno.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco (Udienza Generale 20 Marzo 2019): Dio non è ambiguo, non si nasconde dietro ad enigmi, non ha pianificato l’avvenire del mondo in maniera indecifrabile. No, Lui è chiaro. Se non comprendiamo questo, rischiamo di non capire il senso della terza espressione del “Padre nostro” («Sia fatta la tua volontà»). Infatti, la Bibbia è piena di espressioni che ci raccontano la volontà positiva di Dio nei confronti del mondo. E nel Catechismo della Chiesa Cattolica troviamo una raccolta di citazioni che testimoniano questa fedele e paziente volontà divina (cfr nn. 2821-2827). E San Paolo, nella Prima Lettera a Timoteo, scrive: «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (2,4). Questa, senza ombra di dubbio, è la volontà di Dio: la salvezza dell’uomo, degli uomini, di ognuno di noi. Dio con il suo amore bussa alla porta del nostro cuore. Perché? Per attirarci; per attirarci a Lui e portarci avanti nel cammino della salvezza. Dio è vicino ad ognuno di noi con il suo amore, per portarci per mano alla salvezza. Quanto amore c’è dietro di questo!
Quindi, pregando “sia fatta la tua volontà”, non siamo invitati a piegare servilmente la testa, come se fossimo schiavi. No! Dio ci vuole liberi; è l’amore di Lui che ci libera. Il “Padre nostro”, infatti, è la preghiera dei figli, non degli schiavi; ma dei figli che conoscono il cuore del loro padre e sono certi del suo disegno di amore.
Guai a noi se, pronunciando queste parole, alzassimo le spalle in segno di resa davanti a un destino che ci ripugna e che non riusciamo a cambiare. Al contrario, è una preghiera piena di ardente fiducia in Dio che vuole per noi il bene, la vita, la salvezza. Una preghiera coraggiosa, anche combattiva, perché nel mondo ci sono tante, troppe realtà che non sono secondo il piano di Dio. Tutti le conosciamo. Parafrasando il profeta Isaia, potremmo dire: “Qui, Padre, c’è la guerra, la prevaricazione, lo sfruttamento; ma sappiamo che Tu vuoi il nostro bene, perciò ti supplichiamo: sia fatta la tua volontà! Signore, sovverti i piani del mondo, trasforma le spade in aratri e le lance in falci; che nessuno si eserciti più nell’arte della guerra!” (cfr 2,4). Dio vuole la pace.
 
I lettura: Ai sedicenti sapienti d’Israele che accusavano Dio di non essere retto nel suo agire, il profeta Ezechiele ricorda il principio della responsabilità individuale. Da questa controversia scaturisce anche una novità: l’uomo non è condizionato dal suo passato; se è stato un malvagio, se vuole, può convertirsi e godere della salvezza. Ma come il perverso può diventare buono, così il giusto può diventare cattivo. Ogni uomo è costruttore del proprio destino, o di morte o di vita. Nessuno, quindi, disperi della salvezza e nessuno sia così arrogante da sentirsi già salvo: timore e tremore sono per tutti (Cf. Fil 2,12).
 
II lettura: I versetti 6-11 da molti sono ritenuti un inno cristologico anteriore a Paolo. Mette in evidenza le diverse tappe del mistero del Cristo: la preesistenza divina, l’umiliazione della incarnazione, l’abbassamento ulteriore della morte, la glorificazione celeste, l’adorazione dell’universo, il titolo nuovo del Cristo. Si tratta del Cristo storico, Dio e uomo, nell’unità della sua personalità concreta che Paolo non divide mai, sebbene distingua i suoi diversi stati di esistenza (Cf. Col 1,13s). Additando il Cristo come servo, Paolo vuole evidenziare il fatto che il Figlio di Dio, fatto uomo, ha adottato una via di umiliazione e di obbedienza. Forse Paolo pensa al «servo sofferente» di Isaia (42,1; 52,13-53,12). Le affermazioni paoline sull’incarnazione di Gesù fanno intendere a chiare lettere che il Cristo non fu soltanto un vero uomo, ma un uomo «come gli altri», condividendo tutte le debolezze della condizione umana, «escluso il peccato» (Eb 4,15).
 
Vangelo
Pentitosi andò. I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.
 
La parabola dei due figli denuncia la mancanza di docilità da parte d’Israele. È da collegarsi alla precedente discussione su Giovanni, il precursore del Cristo, nel corso della quale le guide spirituali d’Israele, per timore della folla, avevano rifiutato di pronunziarsi sulla autenticità della missione del Battista. La parabola è una risposta chiara alla loro albagìa smascherandoli palesemente come disobbedienti alla volontà di Dio.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 21,28-32
 
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Non ne ho voglia. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò.
Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
 
Parola del Signore.
 
Un uomo aveva due figli - La parabola dei due figli appartiene solo a Matteo. In modo esplicito annunzia l’imminente giudizio divino e la conseguente condanna dei capi del popolo d’Israele. Lo stesso tema lo si trova nelle due parabole che seguono: quella dei vignaiòli omicidi (21,33-46) e quella del banchetto nuziale (22,1-14).
I due figli rappresentano, da una parte, i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo che si ritenevano giusti davanti agli uomini (Cf. Lc 16,15); dall’altra, gli ultimi, gli emarginati, i peccatori i quali, nonostante tutto, si erano dimostrati disposti ad accogliere il Vangelo. I capi dei sacerdoti e gli anziani erano generalmente mal visti dal popolo e spesso additati come uomini ipocriti: non nel senso «più grossolano della parola, gente che finge, che conduce una doppia vita, ma in un senso molto più profondo, sdoppiati e insinceri innanzi tutto con se stessi. In realtà essi si sforzano di obbedire, prendono sul serio la Legge, si sforzano di adempierla fin nelle prescrizioni più piccole, persino quelle non obbligatorie [Mt 23,23; Cf. Lc 18,11s]. Eppure, nonostante tutto questo affannarsi, la loro obbedienza non è autentica» (Vittorio Fusco). Prova ne sia che al momento decisivo essi non hanno saputo cogliere gli appelli che Dio rivolgeva loro, attraverso Giovanni il Battista e Gesù di Nazaret.
Respingendo quegli appelli, essi rivelarono una radicale disobbedienza alla volontà salvifica di Dio. I due figli rappresentano queste due categorie di persone con i loro rispettivi modi di rispondere agli inviti pressanti di Dio.
La risposta dei due figli, che passano dal sì al no e dal no al sì, collima con la dottrina della responsabilità individuale del profeta Ezechiele (Cf. prima lettura): ogni uomo è libero come è libera la sua risposta agli appelli di Dio e con la sua risposta determina in modo irreversibile il suo futuro terreno ed eterno.
I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno. Non è una debolezza squisitamente divina che porta questa “gente poco onorabile” a salire vertiginosamente i gradini della salvezza, ma è la loro disponibilità ad aprirsi alla Buona Novella e a comportarsi di conseguenza mettendo in campo anche scelte che fanno sanguinare. In quest’ottica, la parabola dei due figli mette in luce la categoria di uomini sui quali si posano le preferenze divine: «Perché mi chiamate: Signore, Signore, e poi non fate ciò che dico? Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Lc 6,46; Mt 7,21).
La ferma intenzione dell’empio a volgersi al bene apre un nuovo rapporto non soltanto con il futuro, ma anche con il passato. Se ha deciso di ritornare nella casa del Padre la vita passata non lo condiziona più, perché nel momento in cui si slancia tra le braccia di Dio, il Signore, una volta per sempre, straccia il documento scritto del suo debito, le cui condizioni gli erano sfavorevoli (Cf. Col 1,14).
Quindi, la bilancia del giudizio divino «non pende verso l’obbedienza o la disobbedienza come tali [non basta aver obbedito una volta per essere salvi, né aver disobbedito una volta per essere condannati], e neppure su una comparazione quantitativa [tanti anni di vita buona contro tanti anni di vita cattiva] ma pende sempre verso la scelta più recente, l’ultima compiuta» (Vittorio Fusco).
Nelle parole di Gesù è sottintéso così un importante messaggio ascetico; praticamente, l’uomo si costruisce momento per momento attraverso le sue scelte. La destinazione finale, Inferno o Paradiso, non è stata già determinata da una volontà superiore quanto capricciosa, ma è il frutto di un sì o di un no liberamente offerti ad una proposta di salvezza e mantenuti poi perpetuamente nel tempo.
Era venuto Giovanni a preparare la venuta del Messia e la sua predicazione, in perfetta sintonia con la predicazione profetica dell’Antico Testamento, aveva sollecitato gli uomini a camminare sulla «via della giustizia», ovvero a cercare il bene e ad abbandonare le strade tortuose del male e del peccato. A questa predicazione i peccatori avevano risposto in massa immergendosi nelle acque del Giordano per ricevere un battesimo di penitenza; invece, le guide spirituali del popolo eletto, all’inizio, avevano nicchiato e alla fine avevano opposto un netto rifiuto. Tanta ostinazione li smascherava palesemente come disobbedienti alla voce del Signore e di fatto si escludevano dal progetto salvifico di Dio. Solo chi fa la volontà di Dio è giusto e si incammina nella via della salvezza.
 
Preghiera e volontà di Dio -  Antonio Bonora (Volontà di Dio in Schede Bibliche Pastorali - Vol VIII): Gesù ha insegnato a pregare dicendo: «Padre, sia fatta la tua volontà» (Mt 6,10). Il cristiano chiede a Dio di realizzare i suoi progetti, i suoi desideri, la sua volontà. Tale atteggiamento nasce dalla convinzione di fede che Dio vuole il bene dell’uomo, conosce quale sia veramente e può efficacemente realizzarlo. In altre parole, con la preghiera «sia fatta la tua volontà» l’uomo si mette dalla parte di Dio per volere ciò che Dio vuole. Pregare infatti non è altro che fare nostri i desideri di Dio. Giustamente s. Ignazio di Loyola diceva, riguardo alla preghiera degli Esercizi spirituali, che essi sono interamente protesi a «cercare e trovare la volontà divina».
Cercare la volontà divina significa innanzitutto riceverla attraverso la parola di Gesù e il dono del suo Spirito: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15).
Gli amici di Gesù conoscono tutta la volontà del Padre. Di conseguenza, «Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato» (Gv 15,7). Una volta interiorizzata e assimilata la parola di Gesù, possiamo chiedere «quel che vogliamo», ossia chiedere quel che anche Dio vuole: «Questa è la fiducia che abbiamo in lui: qualunque cosa gli chiediamo secondo la sua volontà, egli ci ascolta. E se sappiamo che ci ascolta in quello che gli chiediamo, sappiamo di avere già quello che gli abbiamo chiesto» (1Gv 5,14).
Inoltre solo lo Spirito di Cristo ci fa conoscere veramente la volontà di Dio e ci fa chiedere quel bene che anch’egli desidera: «Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (Rom 8,26-27). Lo Spirito ci fa chiedere «secondo i disegni di Dio», cioè secondo la sua volontà.
La preghiera, dunque, non è fatalistica rassegnazione a una volontà insondabile, ma ricerca di consonanza con la volontà salvifica e amante di Dio manifestataci nella vicenda storica di Gesù. La preghiera fa venire in luce il «non ancora» della realizzazione della volontà del Padre. La domanda «sia fatta la tua volontà» è congiunta con l’altra «venga il tuo regno». Il regno di Dio, inaugurato con e da Gesù si compirà soltanto alla fine e allora troverà pieno compimento la volontà del Padre.
Nella storia il cristiano è chiamato a cercare e discernere, in mezzo alle vicende del mondo, la volontà di Dio. San Paolo esorta infatti così: «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rom 12,2). E l’apostolo prega per le sue comunità: «Noi non cessiamo di pregare per voi e di chiedere che abbiate una conoscenza piena della volontà di Dio con ogni sapienza e intelligenza spirituale» (Col 1,9).
La vita cristiana è una progressiva scoperta, conoscenza e attuazione della volontà divina fino a quando «Dio sarà tutto in tutti» (1Cor 15,28). Alla fine apparirà che la volontà di Dio è soltanto amore, vita, perdono, felicità.
Qual è sinteticamente la volontà di Dio per noi, qui e adesso? Possiamo prendere il testo in certo modo «riassuntivo» di 1Ts 5,16-22, in cui è tracciato un intero programma di vita cristiana: «State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa infatti è la volontà di Dio in Cristo verso di voi. Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male».
Letizia, preghiera, rendimento di grazie, ascolto dello Spirito, rispetto per la parola dei profeti cristiani, discernimento spirituale, buona condotta: ecco, in sintesi, ciò che ci può introdurre veramente nella conoscenza e nell’attuazione della volontà di Dio Padre.
 
Richard Gutzwiller (Meditazioni su Matteo): La parabola è un monito contro l’indurimento spirituale, la presunzione religiosa e la falsa sicurezza interiore, ed è un incitamento ad ascoltare Iddio, a seguire il suo richiamo. L’uomo deve sempre convertirsi e lasciarsi convertire, perché corre sempre il pericolo di battere strade sbagliate per colpa d’un contegno interiore sbagliato. Il pericolo è particolarmente grave allorché tutto, esteriormente, sembra in ordine. Vi è qualcosa di stupefacente nel fatto che Cristo preferisca i pubblicani e le meretrici ai farisei e agli scribi. Per le orecchie giudaiche è addirittura scandaloso. Ma Cristo guarda all’interno dell’uomo, e un peccatore conscio del proprio stato di colpa, che si converte nell’ora della grazia, è incomparabilmente più meritevole d’un devoto conscio della propria religiosità, che si sottrae al richiamo della grazia.
Considerata cosi, la parabola è di particolare importanza e gravità non tanto per quelli che stanno di fuori, quanto per coloro che stanno dentro. Non è il no iniziale che vien lodato, ma la conversione, cosi come non viene biasimato il si iniziale, ma la falsa «conversione» Esiste una falsa conversione dal si al no; ne esiste una giusta dal no al sì. L’uomo vive costantemente in pericolo di rispondere con un no alla richiesta di Dio, perciò è importante che sia sempre disposto alla conversione, e che la realizzi totalmente.
 
Tommaso d’Aquino (Super ev. Matth., XXI, 1 726): Un uomo aveva due figli ... : quest’uomo è Dio, e i due tigli sono due generi di uomini: i giusti e i peccatori; non però tutti i giusti, ma solo quelli che affermano di esserlo, e non tutti i peccatori, ma solo quelli disposti a pentirsi.
 
Il Santo del Giorno - 1 Ottobre 2023 - Santa Teresa di Gesù Bambino, Vergine e Dottore della Chiesa - Quella «piccola via» verso la grandezza di Dio: Dio scava nell’anima, entra nel profondo della nostra vita, incide con il suo amore le fondamenta del nostro esistere, ma non sempre è facile seguire le sue tracce. Capitò anche a santa Teresa di Lisieux di “perdersi”, di chiedersi dove fosse Dio e il suo smarrimento è narrato in “Storia di un’anima”. Dal senso del limite e dell’imperfezione, però, per santa Teresa passò la scoperta della sua “piccola via” verso Dio: è nelle imperfezioni della vita che è possibile cogliere con più forza l’amore del Signore. Nata nel 1873 ad Alençon in Francia, Teresa era cresciuta in una famiglia “santa” (anche i genitori sono stati canonizzati) e, giovanissima, era entrata nel Carmelo di Lisieux. Il suo intenso cammino spirituale alla ricerca della santità venne interrotto dalla tubercolosi: morì nel 1897 all’età di 24 anni. Nel 1997 è stata proclamata dottore della Chiesa. (Autore Matteo Liut)
 
Questo sacramento di vita eterna
ci rinnovi, o Padre, nell’anima e nel corpo,
perché, annunciando la morte del tuo Figlio,
partecipiamo alla sua passione
per diventare eredi con lui nella gloria.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
 

 30 SETTEMBRE 2023

 
San Girolamo PRESBITERO E DOTTORE DELLA CHIESA – MEMORIA
 
Zc 2,5-9.14-15a; Salmo Responsoriale  Ger 31,10-12b.13: Lc 9,43b-45
 
Colletta
O Dio, che hai dato al santo presbitero Girolamo
un amore soave e vivo per la Sacra Scrittura,
fa’ che il tuo popolo si nutra sempre più largamente
della tua parola e trovi in essa la fonte della vita.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Mettetevi bene in mente queste parole - Catechismo della Chiesa Cattolica 554: Dal giorno in cui Pietro ha confessato che Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, il Maestro «cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme, e soffrire molto... e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno» (Mt 16,21). Pietro protesta a questo annunzio, gli altri addirittura non lo comprendono. In tale contesto si colloca l’episodio misterioso della Trasfigurazione di Gesù su un alto monte, davanti a tre testimoni da lui scelti: Pietro, Giacomo e Giovanni. Il volto e la veste di Gesù diventano sfolgoranti di luce, appaiono Mosè ed Elia che parlano «della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme» (Lc 9,31). Una nube li avvolge e una voce dal cielo dice: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo» ( Lc 9,35).
 
La consapevolezza di Gesù: Catechismo degli Adulti 226: Da tempo Gesù si rendeva conto del rischio mortale. Ripetutamente aveva affermato che quanti si convertono al Regno vanno incontro a persecuzioni: a maggior ragione la stessa sorte sarebbe toccata a lui; tanto più che anche Giovanni Battista era stato ucciso, per ordine di Erode. Nei Vangeli troviamo numerose predizioni di Gesù riguardo a un suo futuro di sofferenza: alcune sono allusive; tre sono piuttosto dettagliate, rese probabilmente più esplicite dai discepoli alla luce degli eventi compiuti. Gesù dunque è consapevole del pericolo; ma gli va incontro con decisione: «Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore» (Mc 10,32). Il pericolo non indebolisce la sua fedeltà a Dio e non rallenta i suoi passi
 
Prima Lettura: Gerusalemme sarà riedificata, sarà una metropoli e accoglierà una moltitudine di uomini e di animali. Non sarà difesa da mura o da torrioni o da fossati, ma sarà protetta da Dio: il Signore le farà da muro di fuoco all’intorno e sarà una gloria in mezzo ad essa. Dio ricostruirà Gerusalemme e  ritornerà in mezzo al suo popolo: come al tempo dell’esodo manifesterà la sua presenza nel fuoco e nella gloria.
 
Vangelo
Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato. Avevano timore di interrogarlo su questo argomento.
 
Gesù spiega ai discepoli la sua missione alla luce del progetto di salvezza di Dio. Un progetto che necessariamente deve passare attraverso la croce e la morte del Figlio di Dio: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini».
…il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini: ad architettare questa tragedia concorreranno satana, Giuda, il Sinedrio, Pilato, ma tutto sapientemente era previsto dal Padre, tutto entrava nel suo progetto di salvezza, e in questa luce si può affermare che Gesù è stato consegnato dal Padre nelle mani degli uomini perché si compisse la sua volontà salvifica a favore di tutto il genere umano.
Il discorso-profezia di Gesù risulta ostico agli Apostoli. È da sottolineare il verbo consegnare. Esso indica il progetto che Dio ha pensato per gli uomini: «per la loro salvezza Dio “consegna” Gesù nelle loro mani. Gesù, infatti, non è stato tradito ... solo da Giuda o dagli Anziani, ma è stato “consegnato” a morte da Dio stesso. Gesù non è stato ucciso [nel senso teologico] dai contemporanei [anche se storicamente essi hanno preso parte al consumarsi di questa morte], ma dalle “mani” di ogni uomo [= dai suoi peccati] alle quali Dio ha consegnato Gesù» (Don Primo Gironi).
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 9,43b-45
 
In quel giorno, mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, Gesù disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini».
Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.
 
Parola del Signore.
 
Gesù per la seconda volta istruisce i discepoli sulla sua missione salvifica che si sarebbe conclusa a Gerusalemme, crocifisso su una croce. Un insegnamento che ha una cornice ben precisa: mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva. Da qui si comprende che Gesù vuole spegnere nei cuori dei discepoli ogni principio vanesio di esaltazione, non vuole che sognino un messianismo di gloria o di potenza militare così come era nel sentire comune.
Ormai la vita pubblica di Gesù volge al termine e la sua morte cruenta è a un passo: il diavolo (Lc 4,13) e i nemici del giovane Rabbi di Nazaret stanno affilando le armi per l’ultimo, decisivo assalto.
Gesù è consapevole di tutto questo, non è affatto turbato, ma si premura di istruire «tutti i suoi discepoli», coloro che avrebbero dovuto continuare la sua opera di salvezza nel mondo (2Ts 2,4).
Non vuole che la sua morte orrenda, maledetta dalla Legge (Gal 3,13; cf. Dt 21,23), colga gli Apostoli impreparati. Non vuole che la sua morte frantumi la loro debole fede. Non vuole che la sua morte, a motivo della loro estrema debolezza, possa gettarli tra gli artigli di satana (cf. Lc 22,31). Vuole che la sua morte sia invece un messaggio di speranza, una porta spalancata sulla vita. Ecco perché spesso vuol stare solo con i suoi discepoli: li vuole istruire fin nei più minuti dettagli perché comprendano, perché accettino la volontà del Padre.
«Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini...», è un’espressione biblica «che indica una prova tremenda, in cui il malcapitato può aspettarsi qualunque crudeltà e non può neppure far appello alla pietà o alla misericordia come farebbe con Dio [cf. Mc 14,41; 2Sam 24,14; Sir 2,18]» (Adalberto Sisti, Marco).
Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini, è il secondo annuncio che Gesù fa della sua imminente morte, ma i discepoli «non capivano» ancora. Comprendevano le parole, ma aggrappati com’erano a un messianismo rivoluzionario, non potevano capire il vero senso del discorso. Avevano timore di interrogarlo, Temevano che Gesù fugasse per sempre quelle esili certezze alle quali si erano abbarbicati nella speranza di aver capito male, di aver forse frainteso. In verità, non riuscivano ad entrare dentro gli ingranaggi del progetto salvifico: non riuscivano a capire perché la salvezza dell’uomo doveva passare necessariamente attraverso la morte del Verbo di Dio.
 
Cristo muore per noi: Pierre Grelot (Morte in Dizionario di Teologia Biblica): [Cristo] per fare la volontà del Padre (Mc 14,36par.), è stato «obbediente sino alla morte» (Fil 2,8). E questo perché era necessario che egli «compisse le Scritture» (Mt 26,54): non era forse egli stesso il servo annunziato da Isaia, il giusto annoverato tra i malfattori (Lc 22,37; cfr. Is 53, 12)? Effettivamente, quantunque Pilato non abbia trovato in lui nulla che meritasse la sentenza capitale (Lc 23,15.22; Atti 3,13; 13,28), egli accettò che la sua morte avesse l’apparenza di un castigo richiesto dalla legge (Mt 26,66 par.). E questo perché, «nato sotto la legge» (Gal 4,4) ed avendo preso «una carne simile alla carne di peccato» (Rom 8,3), era solidale con il suo popolo e con tutta la razza umana. «Dio l’aveva fatto peccato per noi» (2Cor 5,21; cfr. Gal 3,13), per modo che il castigo meritato dal peccato umano doveva ricadere su di lui. Perciò morendo tolse ogni potere al peccato (Rom 6,10): benché innocente, assunse sino alla fine la condizione dei peccatori, «gustando la morte» come essi tutti (Ebr 2,8 s; cfr. 1Tess 4,14; Rom 8,34) e discendendo con essi «agli inferi». Ma recandosi così «dai morti», egli apportava la buona novella che la vita sarebbe stata loro restituita (1Piet 3,19; 4,6). Di fatto la morte di Cristo era feconda, come la morte del granello di frumento gettato nel solco (Gv 12,24-32). Imposta apparentemente come un castigo del peccato, essa in realtà era un sacrificio espiatorio (Ebr 9; cfr. Is 53,10). Cristo, realizzando alla lettera, ma in altro senso, la profezia involontaria di Caifa, è morto «per il popolo» (Gv 11,50s; 18,14) e non soltanto per il suo popolo, ma «per tutti gli uomini» (2Cor 5,14s). È morto «per noi» (1Tess 5,10), mentre eravamo peccatori (Rom 5,6ss), dandoci in tal modo il segno supremo di amore (5,7; Gv 15,13; 1Gv 4, 10). Per noi: non al nostro posto, ma a nostro beneficio; infatti, morendo «per i nostri peccati» (1Cor 15,3; 1Piet 3,18), ci ha riconciliati con Dio mediante la sua morte (Rom 5,10) cosicché possiamo ricevere 1’eredità promessa (Ebr 9,15s).
 
Giovanni Paolo II (Omelia  23 Febbraio 1980): Ogni volta che ci raduniamo per partecipare all’eucaristia, sappiamo che ci parleranno i testi ispirati della Sacra Scrittura, i brani scelti dall’Antico e dal Nuovo Testamento; che le nostre labbra pronunceranno le parole della preghiera liturgica di adorazione, di ringraziamento, di propiziazione e di impetrazione.
Tuttavia, al di sopra di tutto ciò, parla la croce invisibile del Calvario e il sacrificio offerto su di essa. Le parole della transustanziazione si riferiscono direttamente a quel sacrificio e non soltanto lo evocano nella memoria, ma lo ripetono di nuovo, lo compiono di nuovo, in modo incruento, sotto le specie del pane e del vino: “...il mio corpo offerto in sacrificio per voi…” / “...il calice del mio sangue... versato per voi e per tutti”.
Il sacrificio è Cristo: “Colui che non aveva conosciuto peccato” (2Co 5,21), innocente e puro, “il Santo di Dio” (Lc 4,34): Cristo - l’Agnello di Dio.
Cristo aveva la consapevolezza che per la salvezza del mondo era necessario il suo sacrificio: “è bene per voi che io me ne vada” (Gv 16,7), “il Figlio dell’uomo dovrà soffrire” (Mt 17,12), “il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini che lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà” (Mt 17,22-23), “...bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3,14).
Nel disegno di Dio, era stabilito che non si poteva salvare in altro modo l’uomo. A ciò non sarebbe bastata alcun’altra parola, alcun altro atto.
Fu necessaria la parola della croce; fu necessaria la morte dell’Innocente, come atto definitivo della sua missione. Fu necessario per “giustificare l’uomo…” per scuotere il cuore e la coscienza, per costituire l’argomento definitivo in quello scontro tra il bene ed il male, che cammina lungo la storia dell’uomo e la storia dei popoli…
Fu necessario il sacrificio. La morte dell’Innocente.
Cristo ha lasciato questo suo sacrificio alla Chiesa come il suo più grande dono. Lo ha lasciato nell’eucaristia. E non soltanto nell’eucaristia: lo ha lasciato nella testimonianza dei suoi discepoli e confessori.
 
Il Santo del Giorno - Martirologio Romano: Memoria di san Girolamo, sacerdote e dottore della Chiesa: nato in Dalmazia, nell’odierna Croazia, uomo di grande cultura letteraria, compì a Roma tutti gli studi e qui fu battezzato; rapito poi dal fascino di una vita di contemplazione, abbracciò la vita ascetica e, recatosi in Oriente, fu ordinato sacerdote. Tornato a Roma, divenne segretario di papa Damaso e, stabilitosi poi a Betlemme di Giuda, si ritirò a vita monastica. Fu dottore insigne nel tradurre e spiegare le Sacre Scritture e fu partecipe in modo mirabile delle varie necessità della Chiesa. Giunto infine a un’età avanzata, riposò in pace.
 
Benedetto XVI (Udienza Generale, 14 Novembre 2007): Girolamo sottolineava la gioia e l’importanza di familiarizzarsi con i testi biblici: «Non ti sembra di abitare - già qui, sulla terra - nel regno dei cieli, quando si vive fra questi testi, quando li si medita, quando non si conosce e non si cerca nient’altro?» (Ep. 53,10). In realtà, dialogare con Dio, con la sua Parola, è in un certo senso presenza del cielo, cioè presenza di Dio. Accostare i testi biblici, soprattutto il Nuovo Testamento, è essenziale per il credente, perché «ignorare la Scrittura è ignorare Cristo» (Commento ad Isaia, prol.). È sua questa celebre frase, citata anche dal Concilio Vaticano II nella Costituzione dei Verbum (n. 25). Veramente «innamorato» della Parola di Dio, egli si domandava: «Come si potrebbe vivere senza la scienza delle Scritture, attraverso le quali si impara a conoscere Cristo stesso, che è la vita dei credenti?» (Ep. 30,7). La Bibbia, strumento «con cui ogni giorno Dio parla ai fedeli» (Ep. 133,13), diventa così stimolo e sorgente della vita cristiana per tutte le situazioni e per ogni persona.
 
Essi però non capivano queste parole: “Quest’ignoranza dei discepoli non derivava però da lentezza nel comprendere, ma da amore per il Salvatore. Essi, che pur ancora carnali ignari del mistero della croce, avevano conosciuto il Dio vero, non erano in grado di credere che avrebbe affrontato l’esperienza della morte; e poiché erano abituati a sentirlo spesso parlare in senso figurato, inorridendo all’idea della sua morte, anche se Egli aveva loro apertamente parlato della sua cattura e passione, ritenevano che volesse alludere a qualcosa di simbolico” (Beda, Catena Aurea).
 
I divini misteri che abbiamo ricevuto
nella gioiosa memoria di san Girolamo
risveglino, o Signore, i cuori dei tuoi fedeli,
perché, meditando i santi insegnamenti,
comprendano il cammino da seguire
e, seguendolo, ottengano la vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 
 29 Settembre 2023
 
Santi Arcangeli Michele, Gabriele, Raffaele
 
Dn 7,9-10.13-14 (oppure Ap 12,7-12a); Sal 137 [138]; Gv 1,47-51
 
Catechismo della Chiesa 335 Nella liturgia, la Chiesa si unisce agli angeli per adorare il Dio tre volte santo; invoca la loro assistenza (così nell’In paradisum deducant te angeli... In paradiso ti accompagnino gli angeli nella liturgia dei defunti, o ancora nell’«Inno dei cherubini» della liturgia bizantina), e celebra la memoria di alcuni angeli in particolare (san Michele, san Gabriele, san Raffaele, gli angeli custodi).  
 
Colletta
O Dio, che con ordine mirabile
affidi agli angeli e agli uomini la loro missione,
fa’ che la nostra vita sia difesa sulla terra
da coloro che in cielo
stanno sempre davanti a te per servirti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Catechismo degli Adulti - Creazione degli angeli [368] Dio ha creato anche gli angeli, che sono creature personali, puri spiriti, immortali, più intelligenti e potenti degli uomini. La libertà umana non è sola nell’universo e il mondo è più vasto e profondo di quanto la mentalità razionalista possa supporre. Peraltro appare del tutto plausibile che gli esseri materiali della natura e gli uomini, esseri materiali e spirituali nello stesso tempo, abbiano al di sopra di sé altri esseri puramente spirituali. Anche questi sono stati creati per mezzo di Cristo e in vista di lui; sono stati chiamati a vivere in comunione con lui e a cooperare per l’avvento del regno di Dio.
Servitori di Dio e di Cristo [378] Nella nostra cultura dubbi e negazioni riguardo agli angeli e ai demòni coesistono con il fascino dell’occulto. Occorre chiarire e chiedersi: ci sono davvero queste presenze nella storia? quale incidenza hanno? La rivelazione attesta la creazione dei puri spiriti e la loro chiamata alla comunione con Cristo. Creati liberi, possono liberamente accogliere o rifiutare il disegno di Dio. Una parte di essi lo accoglie: sono gli angeli santi. Ora stanno davanti a Dio per servirlo, contemplano la gloria del suo volto e giorno e notte cantano la sua lode. «Potenti esecutori dei suoi comandi, pronti alla voce della sua parola» (Sal 103,20), intervengono nella storia, a servizio del suo disegno di salvezza.
[379] Cristo è il loro capo ed essi sono «i suoi angeli» (Mt 25,31); gli sono accanto come servitori in alcuni momenti decisivi della sua vita. Un angelo porta a Maria e a Giuseppe l’annuncio dell’incarnazione del Figlio di Dio; una moltitudine di angeli loda Dio per la sua nascita; un angelo lo protegge dalla persecuzione di Erode; gli angeli lo servono nel deserto; un angelo lo conforta nell’agonia del Getsemani; gli angeli annunciano la sua risurrezione; infine, saranno ancora gli angeli ad assisterlo nell’ultimo giudizio.
Protettori della Chiesa [380] In modo analogo gli angeli accompagnano e aiutano la Chiesa nel suo cammino. Incoraggiano gli apostoli; li liberano dalla prigione; li sostengono nell’evangelizzazione. Proteggono tutti i fedeli e li guidano alla salvezza: «Ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita». Si comprende così la tradizionale e bella devozione agli angeli custodi.
 
I Lettura: In questa seconda parte del libro di Daniele predominano un linguaggio e uno stile che vengono definiti apocalittici (rivelazione). Le visioni sono caratterizzate da simboli complessi, per questo si ha spesso l’intervento di un angelo che le interpreta per Daniele. I troni che vengono collocati sono i troni dei giudici, i santi di Dio che vengono chiamati a giudicare con lui. Il fiume di fuoco che scorre dinanzi al vegliardo (Dio), simboleggia l’ira di Dio, quale fuoco divorante i suoi nemici. Il titolo Figlio dell’uomo (aramaico bar nasha’, o l’ebraico ben ‘adam) equivale in primo luogo a «uomo» (cfr. Sal 8,5). Ma l’espressione ha qui un senso particolare, eminente, per cui designa un uomo che supera misteriosamente la condizione umana. Nei vangeli indica Gesù. Una lettura delle visioni notturne alla luce del Nuovo Testamento fa comprendere che il testo parla di un futuro molto lontano dal tempo di Daniele, un futuro nel quale i cieli sono aperti.
 
Vangelo
Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo.
 
Nell’incontrare Natanaèle, Gesù manifesta una conoscenza sovraumana: Ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi. Nel vangelo di Giovanni, Gesù dà spesso prova di una conoscenza superiore degli avvenimenti e delle persone (6,61; 13,1), e di essere padrone di ogni situazione che gli si presenta: Gesù, conosce tutti e non ha bisogno che alcuno dia testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosce quello che c’è nell’uomo (Gv 2,23-25). Vedrete i cieli aperti e gli angeli di Dio… Giovanni si ispira alla scala di Giacobbe (Gn 28,10-17). Come in quell’episodio della Genesi, il riferimento agli angeli significava l’incontro e la comunicazione di Dio con gli uomini, così qui Gesù, in quanto Figlio dell’uomo, è diventato il luogo d’incontro tra Dio e l’uomo, tra il cielo e la terra.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
1,47-51
 
In quel tempo, Gesù, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!».
Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».
 
Parola del Signore
 
Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): L’incontro Gesù-Natanaele è ben descritto. Gesù gli fa capire che lo conosce in profondità; anzi, che l’ha conosciuto e visto, e perciò scelto, prima ancora che Filippo lo chiamasse. Gesù già sapeva che Natanaele era un vero israelita, cioè che apparteneva a quel resto di Israele, povero e umile, che viveva, alimentandosi alle Scritture, l’ansiosa attesa del Messia.
Di fronte a questa esperienza Natanaele pronuncia il suo atto di fede, premettendo di riconoscersi discepolo. Egli chiama Gesù «Rabbi», cioè «Maestro», e poi aggiunge: «Tu sei il Figlio di Dio; tu sei il re d’Israele». Il suo atto di fede è unicamente fondato sulle Scritture ed è strettamente legato alle profezie messianiche davidiche. L’espressione «Figlio di Dio» non ha qui la solennità di 1,34. Qui è spiegata dall’espressione: «Tu sei il re d’Israele». Il Messia, atteso come discendente di Davide, era, secondo la promessa, chiamato «figlio di Dio» (2 Sam 7,14; Sal 89,4-5.27-28). Natanaele si mantiene come Filippo, in un orizzonte puramente naziona­listico. Gesù che lo porta a conoscere il di più: «Vedrai cose maggiori di queste»; e poi passa all’uso del plurale, chiaro indizio che qui Natanaele è visto come tipo di un gruppo: «Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo» (l,51).
Natanaele, sentendo Gesù, è subito riportato alle Scrit­ture, a quanto scrisse Mosè; in particolare al sogno di Giacobbe (Gn 28,10-22). Ora però, si parla di «cielo aperto», e non si parla di «terra»; perciò MO si ò dire con Giacobbe: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è la casa di Dio; questa è la porta del cielo». Ora questo luogo, questa casa, questa porta è il Figlio dell’uomo, come ama chiamarsi Gesù; ed è lui che apre la via del cielo.
È difficile dire che cosa, quel giorno, abbia capito Natanaele, ma è certo che per l’evangelista e la comunità cristiana Gesù è il tempio di Dio, il luogo di incontro tra Dio e l’umanità, tra Dio e ciascun uomo. Certamente le Scritture (per noi cristiani l’Antico Testamento) ci parlano e ci conducono a Gesù, come hanno condotto Filippo e Natanaele. Il compimento delle Scritture, però, va oltre il previsto: la realtà, supera la promessa.
 
Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele: Dell’esistenza di questi Angeli parla esplicitamente la Sacra Scrittura. Michele, “chi è come Dio?”, è citato nella Bibbia come primo dei principi e custode del popolo di Israele (Dn 12,1), nella Lettera di Giuda è definito come arcangelo, mentre nell’Apocalisse di Giovanni, conduce i suoi angeli nella battaglia contro satana, e lo sconfigge (Ap 12,7-8). Gabriele, “fortezza di Dio”, è l’annunciatore delle divine rivelazioni. Rivela a Daniele i segreti del piano di Dio (Dn 9,21-22). Annunzia a Zaccaria la nascita di Giovanni (Lc 1,11-19) e a Maria la nascita di Gesù (Lc 1,26-31). Raffaele, “medicina di Dio”, ha il compito di accompagnare il giovane Tobi per rendergli sicuro il cammino in strade sconosciute e gli suggerisce come guarire il padre dalla temporanea cecità.
Al «nostro disincantato mondo occidentale basato sulla scienza sperimentale manca, molto spesso, quello sguardo di stupore che contraddistingue invece le persone semplici e i bambini. Il nostro tempo seleziona le verità della fede col criterio del “politicamente corretto” e del “credibile”, buttando nella pattumiera tutto ciò che - a parer nostro, dominatori dell’universo - stride con il buon senso. Parlare di angeli significa parlare di Dio, aprirsi alla fede nell’altrove, nel di più significa credere che non tutta la realtà si esaurisce sotto le nostre dita. Tra questi amici di Dio tre angeli rivestono un ruolo fondamentale: Michele Raffaele e Gabriele, annunciatori, validi combattenti, discreti compagni di strada. Vuoi sapere cosa pensa Dio di te? Chiama in soccorso Gabriele, mille volte meglio della posta celere. Ti senti depresso e non trovi cura al tuo malumore? È lì per te Raffaele - medicina di Dio - che ti guida come ha fatto discretamente con Tobia. Ti senti travolto dalla negatività e dalla parte oscura della vita? Michele è lì per te: carattere impetuoso e combattivo non vede l’ora di fare a botte. Ci sono amici, ci sono, provate a chiamarli, vedrete che vengono, gente di poca fede!» (Paolo Curtaz).
 
La presenza degli angeli - Origene, Comment. in Luc., 23, 8-9: Quanto a me, non esito affatto a pensare che gli angeli siano presenti anche nella nostra assemblea, in quanto essi vegliano non soltanto su tutta la Chiesa presa nel suo insieme, ma anche su ciascuno di noi. È di essi che parla il Salvatore, quando dice: I loro angeli vedono sempre il volto del Padre mio che è nei cieli (Mt 18,10). Ci sono qui due Chiese: quella degli uomini e quella degli angeli. Se quanto noi diciamo è conforme al pensiero divino e all’intenzione delle Scritture, gli angeli ne godono e pregano per noi. Ed è perché gli angeli sono presenti nelle Chiese, in tutte, o almeno in quelle che lo meritano e che appartengono a Cristo, che è prescritto alle donne, durante la preghiera, di avere un velo sulla testa a causa degli angeli (1Cor 11,10). Di quali angeli si tratta? Senza alcun dubbio degli angeli che assistono i santi e si rallegrano nella Chiesa; angeli che noi non vediamo perché il fango del peccato ci copre gli occhi, ma che vedono gli apostoli di Gesù ai quali il Signore dice: In verità, in verità vi dico: voi vedrete i cieli aperti e gli angeli di Dio che salgono e discendono sul Figlio dell’uomo (Gv l,51).
Se io avessi la grazia di vederli come gli apostoli e di guardarli come li contemplò Paolo, scorgerei senza dubbio ora la folla di angeli che vedeva Eliseo e che Gihezi, che era al suo fianco, non vedeva affatto. Gihezi aveva paura di essere catturato dai nemici, perché vedeva Eliseo tutto solo. Ma Eliseo, in quanto era profeta del Signore, si mise a pregare e disse: O Signore, apri gli occhi di questo servo in modo che egli veda che ci sono più con noi che con loro (2Re 6,17). E subito, alla preghiera di quel santo, Gihezi vide gli angeli che non vedeva prima.
 
Il Santo del Giorno - Michele, Gabriele e Raffaele. Le voci e i volti «amici» di un Dio che sembra lontano ma ci è accanto - Nel buio delle nostre solitudini, delle nostre fatiche quotidiane, degli ostacoli che l’esistenza ci pone giorno dopo giorno, il nostro cuore ha bisogno di sentire che l’universo ci è accanto. I cristiani sanno, in realtà, che lo stesso Creatore dell’universo cammina assieme a noi, perché ha condiviso con l’umanità anche la morte, sconfiggendola. E gli angeli e gli arcangeli come Michele, Gabriele e Raffaele sono lì a ricordarci che la nostra forza sta nell’amore di Dio. Essi, infatti, sono coloro che mediano, che portano come messaggeri le parole di Dio fino alle nostre orecchie e ci mostrano il volto del Signore. La devozione popolare da sempre si rivolge a loro perché si facciano anche portatori delle nostre parole fino al cuore di Dio, proteggendoci così dai marosi della vita. E l’identità dei tre arcangeli celebrati oggi ci parla di un Signore che ci è amico e compagno di strada, ricordandoci che Egli è unico (Michele l’avversario del maligno), che ha un progetto di salvezza da offrire a tutto il mondo (Gabriele il messaggero) e ci sostiene a ogni nostro passo, anche il più incerto e doloroso (Raffaele il soccorritore). Il culto ha radici antiche che affondano nella tradizione veterotestamentaria e trovano alimento anche nel Nuovo Testamento (Gabriele è l’angelo che annuncia a Maria la nascita di Gesù). La loro identità porta un messaggio di speranza: Dio ci parla, sta a noi saperlo ascoltare davvero. (Matteo Liut)
 
Nutriti con il pane del cielo,
ti preghiamo, o Signore, perché, rinvigoriti dalla sua forza,
sotto la fedele custodia dei tuoi angeli
progrediamo con coraggio nella via della salvezza.
Per Cristo nostro Signore. 
 
28 SETTEMBRE 2023
 
GIOVEDÌ DELLA XXV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO DISPARI)
 
Ag 1,1-8; Salmo Responsoriale Dal Salmo 149; Lc 9,7-9
 
Colletta
O Dio, che nell’amore verso di te e verso il prossimo
hai posto il fondamento di tutta la legge,
fa’ che osservando i tuoi comandamenti
possiamo giungere alla vita eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Riflettete bene sul vostro comportamento! - Papa Francesco (Omelia 23 Settembre 2021): Riflettere è ciò che il Signore invita anzitutto a fare per mezzo del profeta Aggeo: «Riflettete bene sul vostro comportamento». Due volte lo dice al popolo (Ag 1,5.7). Su quali aspetti del proprio comportamento doveva riflettere il popolo di Dio? Ascoltiamo cosa dice il Signore: «Vi sembra questo il momento di abitare tranquilli nelle vostre case ben coperte, mentre questa casa è ancora in rovina?» (v. 4). Il popolo, tornato dall’esilio, si era preoccupato di risistemare le sue abitazioni. E ora si accontenta di starsene comodo e tranquillo a casa, mentre il tempio di Dio è in macerie e nessuno lo riedifica. Questo invito a riflettere ci interpella: infatti, anche oggi in Europa noi cristiani abbiamo la tentazione di starcene comodi nelle nostre strutture, nelle nostre case e nelle nostre chiese, nelle nostre sicurezze date dalle tradizioni, nell’appagamento di un certo consenso, mentre tutt’intorno i templi si svuotano e Gesù viene sempre più dimenticato.
Riflettiamo: quante persone non hanno più fame e sete di Dio! Non perché siano cattive, no, ma perché manca chi faccia loro venire l’appetito della fede e riaccenda quella sete che c’è nel cuore dell’uomo: quella «concreata e perpetua sete» di cui parla Dante (Paradiso, II,19) e che la dittatura del consumismo, dittatura leggera ma soffocante, prova a estinguere. Tanti sono portati ad avvertire solo bisogni materiali, non la mancanza di Dio. E noi di certo ce ne preoccupiamo, ma quanto ce ne occupiamo davvero? È facile giudicare chi non crede, è comodo elencare i motivi della secolarizzazione, del relativismo e di tanti altri ismi, ma in fondo è sterile. La Parola di Dio ci porta a riflettere su di noi: proviamo affetto e compassione per chi non ha avuto la gioia di incontrare Gesù oppure l’ha smarrita? Siamo tranquilli perché in fondo non ci manca nulla per vivere, oppure inquieti nel vedere tanti fratelli e sorelle lontani dalla gioia di Gesù?
Su un’altra cosa il Signore, tramite il profeta Aggeo, chiede al suo popolo di riflettere. Dice così: «Avete mangiato, ma non da togliervi la fame; avete bevuto, ma non fino a inebriarvi; vi siete vestiti, ma non vi siete riscaldati» (v. 6). Il popolo, insomma, aveva quanto voleva, e non era felice. Che cosa gli mancava? Ce lo suggerisce Gesù, con parole che sembrano ricalcare quelle di Aggeo: «Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, […] ero nudo e non mi avete vestito» (Mt 25,42-43). La mancanza di carità causa l’infelicità, perché solo l’amore sazia il cuore. Solo l’amore sazia il cuore. Chiusi nell’interesse per le proprie cose, gli abitanti di Gerusalemme avevano perso il sapore della gratuità. Può essere anche il nostro problema: concentrarsi sulle varie posizioni nella Chiesa, su dibattiti, agende e strategie, e perdere di vista il vero programma, quello del Vangelo: lo slancio della carità, l’ardore della gratuità. La via di uscita dai problemi e dalle chiusure è sempre quella del dono gratuito. Non ce n’è un’altra. Riflettiamoci.
 
Prima Lettura: Il tempio non è certamente un monumento, ma è la presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Il ritardare la costruzione del tempio e pensare principalmente ai propri interessi, ad avere come unica preoccupazione l’abbellire le proprie case, e come unico assillo il procacciarsi il cibo, agli occhi del profeta Aggeo è un grave peccato. E da questo peccato il popolo ne tiri fuori le giuste conseguenze: scarsità di raccolti, penuria di provviste, mancanza di lavoro e di guadagni. Bisogna riequilibrare il tutto: prima il servizio religioso dovuto a Dio, poi le preoccupazioni quotidiane, un imperativo che si ritroverà nell’insegnamento di Gesù: «Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.» (Mt 6,31-33). 
 
Vangelo
Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?
 
Carlo Ghidelli (Luca): Erode e Gesù. Lc ci ha informati circa l’arresto di Giovanni il battezzatore (3,19s) e circa i rapporti tra Giovanni in carcere e Gesù impegnato nella predicazione (7,18-35). Ora perciò Le omette il racconto della condanna del Battista, perché sostanzialmente ne ha già parlato e, forse, anche per una sua tendenza a tralasciare fatti troppo scandalosi o scene troppo violente e passionali: ancora una volta Lc ci si presenta come lo scriba mansetudinis Christi (Dante). L’intenzione di questo brano è certamente quella di preparare l’incontro di Erode con Gesù (23,8-12): lo sta ad indicare l’osservazione di 9c e cercava di vederlo. Il confronto tra Gesù e Giovanni (v. 7) ci fa sospettare che la predicazione di Gesù, all’inizio, assomigliasse molto a quella del Battista. Per il confronto con Elia cfr anche 1,17; 9,28-36; 19,38. Al v. 9 Lc, diversamente da Mc, non attribuisce ad Erode la convinzione che Giovanni è risorto in Gesù: è troppo inverosimile che un uomo, così scettico ed impregnato di cultura ellenistica, abbia condiviso quella credenza popolare. Emerge così la vera personalità di Erode, il cui desiderio di vedere Gesù va interpretato non come espressione di fede, ma solo di curiosità (23,8) o di malizia (13,31): pertanto il tentativo fatto da Lc di attutire, o addirittura, abbellire il dramma non riesce a fuorviare la nostra intelligenza dei fatti e delle persone. Per Lc Erode diventa il paradigma di coloro che pur desiderosi di vedere non riescono a «vedere» (= credere). A costoro Gesù risponde non con un miracolo ma con un invito alla penitenza (cfr 11,29ss).
Gesù rimane un enigma per coloro che lo cercano solo per curiosità (cfr 4,23 e Gv 6,30; 12,37.40). Solo coloro che accostano Gesù con fede «vedono» i suoi miracoli nel loro vero significato e, finalmente «vedono» Gesù (cfr 9,27; 13,35 e Gv 11,40). Come non riconoscere in questo una grossa affinità tra Lc e Gv?
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 9,7-9
 
In quel tempo, il tetràrca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risorto dai morti», altri: «È apparso Elìa», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti». Ma Erode diceva: «Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?». E cercava di vederlo.
 
Parola del Signore.
 
Erode e Gesù - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): versetto 7 Il tetrarca Erode udì tutto quello che accadeva; l’insegnamento, i miracoli, la missione svolta dagli inviati di Cristo avevano suscitato dell’entusiasmo nella folla ed avevano fatto giungere la fama del Maestro agli orecchi di Erode Antipa; tuttavia sulla popolarità del Salvatore circolavano nel popolo le voci più discordanti che Luca, contrariamente a Matteo e Marco, fa giungere fino al tetrarca, causando in questo dell’inquietudine e della perplessità. L’evangelista ritocca notevolmente le espressioni dei testi paralleli degli altri Sinottici (cf. Mt., 14,1-2; Mc., 6,14-16) dando al racconto un suo sviluppo personale. «Tetrarca»: titolo più esatto di quello usato da Marco («re»; cf., Mc., 6,14), poiché ad Erode Antipa non fu riconosciuto da Roma l’appellativo di re, ma quello di tetrarca (capo di una quarta parte del territorio). Ed era molto perplesso; osservazione psicologica determinata dalle circostanze, come queste sono presentate dallo storico; Luca infatti, facendo giungere al tetrarca i vari apprezzamenti che circolavano sul conto di Gesù, doveva anche segnalare la reazione psicologica che essi suscitavano nella mente di Erode. L’imperfetto διηπόρει (δι-α-πορέω, verbo composto da διά: da ogni parte; ἀ-πορος: senza via) sintetizza tutto un atteggiamento psicologico; infatti il verbo διαπορέω (sono incerto da ogni parte mi volgo) significa perplessità nel giudizio, ansietà interiore, irrisolutezza nell’agire. Giovanni è risorto da morte; probabilmente questa voce circolava tra i discepoli di Giovanni Battista ai quali l’opera del loro maestro sembrava incompiuta.
versetto 8 È riapparso Elia; Marco ha semplicemente: «è Elia»; Luca si spiega meglio (cf. commento a Mc., 6,15). È da ritenere che questo giudizio esprima la convinzione di alcuni gruppi interamente presi dall’aspettativa messianica; in questi ambienti si riteneva che la venuta del Messia doveva essere preparata da Elia, ridisceso in terra.Uno degli antichi profeti è risuscitato; l’espressione in Luca è più forte di quella di Marco («è un profeta come uno dei profeti»; Mc., 6,15); l’epoca dei profeti sembrava chiusa da secoli; per questi tempi difficili si attendeva la risurrezione di uno tra i grandi profeti del lontano passato.
versetto 9 Chi è dunque costui del quale sento dire tali cose? L’evangelista si distacca sensibilmente dal testo di Marco («Giovanni che ho fatto decapitare; è lui che è risorto»; Mc., 6,16), perché esprime ancora il dubbio che aveva il tetrarca («Chi è dunque costui...?») e soprattutto afferma chiaramente che Erode non condivideva l’opinione che il Battista fosse risorto, perché lo aveva fatto decapitare. E cercava di vederlo; rilievo che soltanto Luca trasmette con l’esplicito intento di stabilire un nesso con quanto egli narrerà più avanti (cf. Lc., 23,8).

Epifanio Gallego (Commento della Bibbia Liturgica): Se volessimo riassumere in qualche modo la situazione riflessa nella presente lettura, potremmo dire semplicemente così: l’ignavia di fronte al problema religioso.
Il popolo e i suoi dirigenti avevano certamente le loro ragioni, e non si erano dimenticati di Yahveh e dei suoi interessi riflessi nella ricostruzione del tempio. ma l’atteggiamento del popolo è che vi è ancora tempo, che non è ancora giunto il momento opportuno.
La risposta e 1’atteggiamento di Aggeo sono estremamente curiosi, se paragonati con quelli dei profeti dell’esilio o anteriori all’esilio. Per quelli, la cosa importante era la religione del cuore, l’interiorità. Gerusalemme con le sue mura e il tempio col suo culto non avevano più valore perché e si avevano sfigurato il senso della loro presenza, ritcnendoli quali amuleti e feticci. Improvvisamente, Aggeo torna a concentrare tutta l’attenzione del popolo intorno al tempio.
Un tempio presentare come simbolo orientatore. Se pensassero a Yahveh, penserebbero anche alla casa di Yahveh; ma essi pensano solo alle loro case, perché pensano solo a se tessi. Ecco le loro case, probabilmente costruite e rese più decenti - non crediamo che si possa dire abbellite - con legname trasportato dal Libano per la ricostruzione del tempio! Le loro case, essi: e Dio?
«Non è ancora venuto il tempo», dicono. Non sarà tutto il contrario se si tiene conto delle esigenze divine espresse nel prime comandamento del decalogo?
Ebbene, «dice il Signor degli eserciti: riflettete bene al vostro comportamento». La situazione non era punto allegra. Da vari anni, avevano raccolti disastrosi. Si era fatta sentire la necessità, l’indigenza e quasi la penuria nel mangiare, nel bere, nel vestire, in tutto. II profeta interpreta questi avvenimenti secondo la teologia della rigida retribuzione. Se una vita giusta e buona merita benedizione, le calamità che subiscono e la mancanza di benedizione sono la migliore testimonianza d’una vita in disaccordo con la volontà di Yahveh, d’una vita di negligenza e d’incipiente corruzione morale, che Aggeo vede simboleggiata nella trascuratezza delle opere del tempio.
Per conseguenza. come segno di compiacenza divina, devono riprendere con urgenza l’opera della ricostruzione del tempio. Allora, Yahveh mostrerà la sua gloria e la sue benedizioni verranno sulle terre e sulle loro vite.
Sebbene la mentalità sia ristretta e le aspirazioni assai limitate, il nuovo ordine di valori proposto dal profeta costituisce un principio base nella religione rivelata. Gesù ce lo ricorderà con insistenza: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date, in aggiunta» (Mt 6,33). Questo universalismo evangelico, fu preparato da quel nazionalismo aperto del profeta Aggeo.
 
Don Dolindo Ruotolo (Nuovo Testamento - I Quattro vangeli): Siccome gli apostoli in questa loro prima missione fecero molte guarigioni, si determinò certamente un movimento popolare in tutti i luoghi dove andarono, e questo giunse agli orecchi di Erode. Il tetrarca però non si preoccupò tanto degli apostoli, quanto di Gesù annunziato da essi. Questa circostanza ci fa capire con quanta fedeltà ed entusiasmo gli apostoli dovettero parlare del Maestro divino. I miracoli che essi operavano, li riferivano a Lui, ed i paesi dove si recavano risuonavano del nome di Lui, fra grandi benedizioni.
Erode, che per la stessa sua astuzia e per timore di perdere il regno, vigilava su tutti, come succede nei regimi autoritari e tiranni, s’informò da parecchie persone ed in diversi modi chi fosse Gesù. Le risposte che ebbe erano disparate, e quella che diceva che fosse Giovanni Battista risorto da morte, gli sembrò addirittura assurda, essendo egli certo di averlo fatto decapitare. Per lui, perfido, impuro e materialista, era inconcepibile che un decapitato potesse rivivere. Rimase, perciò, ancora più preoccupato, e cercava di vedere Gesù, ma voleva farlo senza dargli importanza. È questa la ragione per la quale godette molto quando Pilato nei giorni della Passione lo mandò a lui. Egli riuscì a vederlo allora, perché era il momento del potere delle tenebre, ed egli era tutto tenebre di delitti e d’iniquità, ma non poté ascoltare da Lui alcuna parola, perché non ne era capace.
Il Signore non si fa trovare da chi lo cerca per vana curiosità o per male animo, né va alle persone che non accolgono la sua parola; per cercare Gesù e trovarlo bisogna essere pentiti, penitenti e puri, e correre a Lui per averne la vita. Quanti cuori traviati, come Erode, sentono parlare di Gesù in vario modo, e vogliono darsene conto, ma solo come una curiosità storica, ed attingono le loro cognizioni da fonti falsate, restando sempre più confusi!
 
Erode è preso dalla paura: “Osserva quanto sia grande la virtù, perché ha paura del Battista anche dopo la sua morte e, per effetto di tale paura, pensa alla risurrezione. [...] Così sono le anime irrazionali: spesso recepiscono un miscuglio di passioni opposte. Luca afferma che la gente diceva: Costui è Elia a Geremia a uno degli antichi profeti; Erode invece ha parlato così, come se dicesse qualche cosa di più saggio degli altri. E verosimile che in precedenza, di fronte a coloro che dicevano che quello era Giovanni - molti infatti lo dicevano -, lo negasse e, con orgoglio e facendosene un vanto, dicesse: «Io l’ho fatto uccidere». Marco e Luca affermano che egli diceva: Io ho fatto decapitare Giovanni [Mc 6,16; Lc 9, 9]. Ma poi, diffusasi questa fama, anche lui dice lo stesso della gente. (Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo 48,2).
 
Il santo del giorno - 28 Settembre 2023 Santi Lorenzo Ruiz e quindici compagni, martiri: Martirologio Romano: Preti, religiosi e laici, dopo aver seminato la fede cristiana nelle isole Filippine, a Taiwan e nel Giappone, per ordine del comandante supremo Tokugawa Yemitsu subirono in giorni diversi a Nagasaki in Giappone il martirio per amore di Cristo, ma vengono oggi celebrati tutti in un’unica commemorazione.    
 
Guida e sostieni, o Signore, con il tuo continuo aiuto
il popolo che hai nutrito con i tuoi sacramenti,
perché la redenzione operata da questi misteri
trasformi tutta la nostra vita.
Per Cristo nostro Signore.