1 Ottobre 2019
Martedì XXVI Settimana T. O.
S. TERESA DI GESÙ BAMBINO, VERGINE E DOTTORE DELLA CHIESA – MEMORIA
Zac 8,20-23; Sal 86 (87); Lc 9,51-56
Dal Martirologio: Memoria di santa Teresa di Gesù Bambino, vergine e dottore della Chiesa: entrata ancora adolescente nel Carmelo di Lisieux in Francia, divenne per purezza e semplicità di vita maestra di santità in Cristo, insegnando la via dell’infanzia spirituale per giungere alla perfezione cristiana e ponendo ogni mistica sollecitudine al servizio della salvezza delle anime e della crescita della Chiesa. Concluse la sua vita il 30 settembre, all’età di venticinque anni.
Colletta: O Dio, nostro Padre, che apri le porte del tuo regno agli umili e ai piccoli, fa’ che seguiamo con serena fiducia la via tracciata da santa Teresa di Gesù Bambino, perché anche a noi si riveli la gloria del tuo volto. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
Dovremmo provare amarezza dinanzi a certi fatti…, mentre Gesù decisamente si mette in cammino verso Gerusalemme, dove avrebbe compiuto la volontà de Padre bevendo fino all’ultima goccia dall’amaro calice della passione, i litigiosi fratelli Giacomo e Giovanni propongono di incenerire i Samaritani colpevoli di non aver accolto il loro Maestro. Decisamente una proposta omicida. Gesù, spinto dall’amore, offre la sua vita per salvare tutti gli uomini, Giacomo e Giovanni vogliono togliere la vita ai Samaritani a motivo di un gretto nazionalismo. Si potrebbe obiettare che i due apostoli non avevano ancora ricevuto lo Spirito Santo e che a motivo di questo le loro menti erano oscurate e fissate a norme e comandamenti tribali, sarà vero, ma c’è un capo di accusa che li condanna. È la vita di Gesù, le sue opere, i suoi insegnamenti, le sue parole, i suoi richiami …, a farci caso tutti tesi a creare un cuore nuovo, aperto alla carità, al perdono, all’amore … dinanzi a questi cristallini inviti di comportamento non ci sono scuse che tengono. Forse è lo stesso dilemma che dilania tanti cristiani, tengono in mano la Parola di Dio, l’ascoltano, magari con molta attenzione, eppure vivono nella ipocrisia, nella invidia, nell’odio, e spesso non contenti di tutto questo, e per torti veri o presunti, a piè sospinto, invocano il fuoco della vendetta divina che consumi l’umanità intera. In verità, a ben considerare, non c’è nulla di nuovo sotto il sole (Qo 1,9).
Dal Vangelo secondo Luca 9,51-56: Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Gesù prese la ferma decisione... - Gesù è diretto a Gerusalemme, la città santa, dove si deve compire il suo destino di dolore e di gloria. L’espressione i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto oltre i giorni dell’assunzione di Gesù (Cf. At 1,2) ricorda anche i giorni della passione, morte e resurrezione.
La frase prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme, in greco letteralmente suona egli indurì il volto per andare a Gerusalemme, un modo di dire semitico (Cf. Ger 21,10; Ez 6,2; 21,2) con cui l’evangelista Luca vuole sottolineare la risolutezza di Gesù nell’affrontare il suo destino di morte che lo attende a Gerusalemme: «Ho un battesimo nel quale sarò battezzato; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!» (Lc 12,50). La stessa espressione la troviamo in Isaia 50,7 quando si sottolinea la missione del Servo sofferente: «II Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso».
Il percorso più rapido che dalla Galilea porta a Gerusalemme prevede l’attraversamento della regione dei Samaritani, i quali, sempre molto mal disposti verso i Giudei (Cf. Gv 4,9), si rifiutano di accogliere Gesù. Da qui l’inimmaginabile reazione degli apostoli Giacomo e Giovanni.
La richiesta dei «figli del tuono» (Mc 3,17) cavalca l’onda di un messianismo terreno e ricorda 2Re 1,10-12 in cui Elia, per due volte, chiama il fuoco dal cielo per incenerire i suoi nemici.
La risposta di Gesù non si fa attendere ed è molto dura: si voltò e li rimproverò. Il verbo che Luca usa è epitimao che significa, letteralmente, vincere con un comando, minacciare, usato da Gesù negli esorcismi. In questo modo il senso della richiesta e del rimprovero si fanno più chiari.
In sostanza, come Satana, Giacomo e Giovanni propongono a Gesù un messianismo trionfalistico che sottende il rifiuto della croce. A questa proposta Gesù si oppone con forza. È lo stesso rimprovero che aveva mosso a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16,23).
Rosanna Virgili (Vangelo secondo Luca): Il rifiuto di Samaria e l’inizio del cammino (vv. 51-56) - I versetti iniziali introducono il tempo di tutto il cammino che va fino alla fine del vangelo. La menzione dei «giorni della sua salita (analémpseos)» evoca l’ascensione del Signore risorto in Lc 24,51 («Mentre li benediceva, si separò da loro e veniva fatto salire su, in cielo»), cioè del suo ritorno al Padre. All’origine di questo cammino che si concluderà con la morte e poi con la risurrezione, c’è la decisione di Gesù, segno di come la croce non fosse la meccanica esecuzione di una volontà divina, ma come il Figlio vi partecipasse con la propria fede. Gesù «rese duro il suo volto» (v. 51, to prósopon estérisen), proprio come il Servo, per affrontare il suo destino di sofferenza (cf Is 50,6-7). I preparativi per la partenza vengono fatti in Samaria, che si mostra chiusa all’accoglienza del Maestro (v. 53, cf v. 48). Un dettaglio teologico, più che di cronaca, per manifestare come la salvezza che sarebbe venuta da Gesù dovesse appartenere alla Giudea ed a Gerusalemme e non alla Samaria (cf Gv 4,22: «La salvezza viene dai giudei»). La reazione di Giacomo e Giovanni è tipica dell’atteggiamento profetico (cf 2Re 1,10-14), ma Gesù li rimprovera. Nonostante la città dove la sua resa di amore dovrà consumarsi fosse Gerusalemme, Gesù amerà Samaria e apprezzerà i samaritani più dei giudei (cf Lc 10,29-36; 17,15-17).
Ancor più toccante è, per questo, la reazione frequente di rifiuto che Gesù si trova ad avere. Oltre che qui, all’inizio del cammino per Gerusalemme, Gesù fu rifiutato a Nazaret dai suoi concittadini (cf 4,28-29), all’inizio della missione in Galilea, e poi sarà rifiutato a Gerusalemme (cf 19,41-44). Il modello è quello del profeta perseguitato, secondo la profezia di Simeone (il “segno di contraddizione” di Lc 2,34).
Mentre stavano compiendosi i giorni… - Carlo Ghidelli (Luca): stava per compiersi il tempo: il verbo greco sumplérousthai Luca lo usa per caratterizzare i grandi momenti della storia, oggetto della sua opera di evangelista (cfr Lc 4,21 all’inizio del ministero di Gesù; At 2,1 il giorno di Pentecoste, inizio del ministero apostolico; At 19,21 quando Paolo decide di andare a Gerusalemme e poi a Roma). Quindi questo viaggio di Gesù realizza un momento nevralgico nel piano salvifico di Dio; è un tempo forte della storia della salvezza. - il tempo della sua assunzione: qui per analémpsis si deve intendere (cfr Lc 9,31 e At 1,2) non solo l’ascensione di Gesù al cielo, ma l’intero mistero pasquale, nella totalità dei suoi momenti (passione-morte-risurrezione-ascensione-pentecoste). La mèta di questo viaggio è Gerusalemme, verso la quale Gesù procede con estrema decisione; Gerusalemme non è più dunque solamente una mèta geografica ma un tèlos, non è una fine ma un fine, punto di attrazione e traguardo finale di un destino lungamente atteso e fortemente desiderato (cfr specialmente 13,33; 19,11.28).
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani... - Alice Baum: Abitanti della città e della provincia di Samaria, che dopo la divisione del regno divenne la regione centrale del regno del nord. Dopo la conquista da parte degli assiri nel 722 a.C., parte della sua popolazione fu deportata e al suo posto furono insediati coloni assiri che si mescolarono con gli israeliti rimasti. Quando i giudei reduci dall’esilio iniziarono a ricostruire il tempio, rifiutarono la collaborazione offerta loro dai Samaritani. La diffidenza verso la popolazione mista considerata cultualmente impura - ma forse, più propriamente, l’antico contrasto fra nord e sud - fu la causa del rifiuto, che ebbe come strascico un’ostilità esasperata. I Samaritani ostacolarono la costruzione del tempio e delle mura e successivamente si costituirono come comunità religiosa autonoma, con un proprio culto e il ritorno alle tradizioni più antiche. Costruirono un tempio sul monte Garizim. Il rapporto fra giudei e Samaritani rimase teso fino al periodo neotestamentario e postbiblico. I giudei consideravano i Samaritani pagani e il loro culto illegittimo. I Samaritani ricambiavano il rifiuto. Gesù si rivolge a loro proprio perché erano considerati pagani ed emarginati, e annuncia loro l’evangelo (Gv 4). I Samaritani si attenevano rigorosamente al monoteismo e alla Legge. Sacra Scrittura è soltanto la Torah (con notevoli varianti), il cosiddetto Pentateuco samaritano. Tutti i rimanenti libri biblici e le dottrine posteriori della tradizione giudaica non vengono accettati. Si origina una tradizione samaritana autonoma. I Samaritani attendono il messia (non davidico) secondo Dt 18,15 come colui che ripristinerà il culto. Oggi ci sono ancora circa 400 Samaritani che vivono a Nablus (Sichem) e nelle vicinanze di Tel Aviv.
Il fuoco alla fine dei tempi - Il fuoco del giudizio diventa castigo senza rimedio, vero fuoco dell’ira, quando cade sul peccatore indurito. Ma allora - tale è la forza del simbolo - questo fuoco, che non può più consumare l’impurità, rimesta ancora le scorie (cfr. Ez 22,18-22). La rivelazione esprime così quel che può essere l’esistenza di una creatura che rifiuta di essere purificata dal fuoco divino, ma ne rimane bruciata. Qui c’è qualcosa di più che non nella tradizione che riferisce l’annientamento di Sodoma e Gomorra (Gen 19,24). Fondandosi forse sulle liturgie sacrileghe della Geenna (Lev 18, 21; 2 Re 16, 3; 21, 6; Ger 7, 31; 19, 5 s), approfondendo le immagini profetiche dell’incendio (Is 29, 6; 30, 27-33; 31, 9) e della fusione dei metalli, si giunge a rappresentare il giudizio escatologico come un fuoco (Is 66,15s), che prova l’oro (Zac 13, 9). Il giorno di Jahve è come il fuoco del fonditore (Mal 3,2), e brucia come una fornace (Mal 3,19) e divora tutta la terra (Sof 1,18; 3,8) a cominciare da Gerusalemme (Ez 10, 2; Is 29, 6). Ora questo fuoco sembra bruciare dall’interno, come quello che «esce di mezzo a Tiro» (Ez 28,18). Dei cadaveri di quelli che furono ribelli, «il verme non morrà ed il loro fuoco non si spegnerà» (Is 66, 24; cfr. Mc 9,48), «fuoco e verme saranno nella loro carne» (Giudit 16,17). Ma qui si ritrova ancora l’ambivalenza del simbolo: mentre gli empi sono abbandonati al loro fuoco interiore ed ai vermi (Eccli 7,17), gli scampati dal fuoco si trovano circondati dal muro di fuoco che Jahve rappresenta per essi (Is 4,4 s; Zac 2,9). Giacobbe ed Israele, purificati, diventano a loro volta un fuoco (Ab 18), come se partecipassero alla vita di Dio. Con la venuta di Cristo sono incominciati gli ultimi tempi, quantunque la fine dei tempi non sia ancora giunta. Anche nel Nuovo Testamento il fuoco conserva il suo valore escatologico tradizionale, ma la realtà religiosa che esso significa si attua già nel tempo della Chiesa. Annunciato come il vàgliatore che getta la paglia nel fuoco (Mt 3,10) e battezza nel fuoco (3,11s), Gesù, pur rifiutando la funzione di giustiziere, ha mantenuto i suoi uditori nell’attesa del fuoco del giudizio, riprendendo il linguaggio classico del Vecchio Testamento. Egli parla della «Geenna del fuoco» (5,22), del fuoco in cui saranno gettati la zizzania improduttiva (13,40; cfr. 7,19) ed i sarmenti (Gv 15,6): sarà un fuoco che non si spegne (Mc 9,43 s), in cui «il loro verme» non muore (9,48), vera fornace ardente (Mt 13,42.50). Null’altro che un’eco solenne del Vecchio Testamento (cfr. Lc 17, 29)
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “La santità non consiste nel dire cose belle, non consiste neppure nel pensarle o nel sentirle. La santità consiste nel soffrire e nel soffrire di tutto” (Santa Teresa del Bambino Gesù).
Nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
La comunione al tuo sacramento, Signore,
ci infiammi di quel fuoco di carità che ispirò
la tua santa vergine Teresa di Gesù Bambino
a offrirsi a te per la salvezza di tutti gli uomini.
Per Cristo nostro Signore.
ci infiammi di quel fuoco di carità che ispirò
la tua santa vergine Teresa di Gesù Bambino
a offrirsi a te per la salvezza di tutti gli uomini.
Per Cristo nostro Signore.