1 Febbraio 2020

Sabato della III Settimana T. O.

2Sam 12,1-7a.10-17; Sal 50 (51); Mc 4,35-41

Colletta: O Dio onnipotente ed eterno, guida i nostri atti secondo la tua volontà, perché nel nome del tuo diletto Figlio portiamo frutti generosi di opere buone. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Nella narrazione si possono cogliere le contrastanti reazioni dei personaggi che animano il racconto: mentre la tempesta infuria, Gesù dorme; i discepoli, svegli, hanno gli occhi sbarrati per la paura; e mentre quest’ultimi sono atterriti, Gesù si presenta calmissimo. Altri particolari, che non sono ornamentali, ma essenziali al racconto, suggeriscono come tutto è spinto all’estremo: una grande tempesta di vento, una grande bonaccia, un grande timore. In questa estrema situazione, ridotti a mal partito, i discepoli svegliano Gesù rimproverandolo di non interessarsi della sorte dei suoi amici. Questa lamentela provoca l’immediato intervento di Gesù che è autoritario: egli non prega il Padre, ma agisce di persona. La tempesta si seda e il Maestro rimprovera i discepoli: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Gesù, comandando con autorità al vento e alla tempesta, rivela di essere Dio. Nella sua Persona si manifesta la potente sovranità di Dio sugli elementi cosmici. Il timore, che l’intervento miracoloso di Cristo suscita nei discepoli, è il timore riverenziale dell’uomo di fronte alla presenza di Dio: la paura in questo modo lascia il posto alla preghiera e alla fede.

Dal Vangelo secondo Marco 4,35-41: In quel medesimo giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

La fede - Nell’Antico Testamento - Helen Schüngel: In ebraico la radice amen significa “essere saldo”, “avere consistenza”, la forma causativa heemin “ritenere fermamente per attendibile”, “avere fiducia”. Mediante questa radice verbale Israele esprime il proprio rapporto con JHWH: “resta fedele” a Dio e alla sua promessa nella quale confida anche senza vederne il compimento. Basandosi su tale fiducia nella promessa di Dio, il popolo possiede la giusta disposizione d'animo nei confronti dell'alleanza. Il tipo esemplare di questa fede, che su comando di Dio abbandona ogni cosa, è Abramo (Gen 12); egli confida in Dio e crede quando gli promette qualcosa di umanamente impossibile (Gen 15,6). Ciò gli viene “computato a giustizia”, vale a dire, egli ha il giusto atteggiamento, conforme all'alleanza, nei confronti di JHWH. Anche in una prova disperata (Gen 22), questa fede dà prova di sé come fedeltà nei confronti dell'ordine di Dio. Tra i profeti classici è soprattutto Isaia a sottolineare la fede come atteggiamento di fondo dell'uomo di fronte a Dio. Isaia considera ineluttabile la catastrofe storica a causa della colpa del popolo (Is 2,6). Fede significa in questa situazione la rinuncia a farsi giustizia da sé e la ricerca di fermezza e stabilità soltanto presso il Dio dell'alleanza, contro ogni speranza e passando per il giudizio. Tipico di Isaia è il gioco di parole ebraiche: “se non credete (taaminu), non avrete stabilità (taamenu)” (Is 7,9).
In Osea e Geremia il rapporto con Dio espresso col sintagma “conoscenza di JHWH”. Anche qui non ci si riferisce a  una conoscenza intellettuale di Dio, bensì a determinazione e ubbidienza secondo la parola di Dio. La fede, dunque, nell'Antico Testamento non è un atto sempre uguale dell'intelletto o della volontà, ma la fiducia e la fedeltà, corrispondenti alle mutevoli situazioni nei confronti della promessa di Dio.

La fede - Nel Nuovo Testamento - Odilo Kaiser: Nel suo annuncio Gesù avanza la pretesa di portare a compimento in maniera assoluta l'appello rivolto da JHWH a Israele per bocca dei profeti fino a Giovanni Battista. Egli comincia così ad attualizzare, in maniera finora inaudita, la fede dei suoi contemporanei. Egli vuole incoraggiare gli uditori del suo messaggio a credere che nella sua parola si fa evento escatologico nientemeno che la signoria di Dio e che in tal modo si farà strada nella storia e nel mondo (Mc 1,15). Per poter dire un sì incondizionato a questo annuncio di Gesù è necessaria la conoscenza di ciò che questo messaggio può significare per colui che di volta in volta viene interpellato. È necessaria la fiducia nella parola di Gesù e la disponibilità a prestar loro obbedienza. Con ciò sono menzionati gli elementi fondamentali dei quali si esprime la fede veterotestamentaria in JHWH - e orientati verso la parola e la persona di Gesù. Al tempo stesso risulta evidente quanto la fede anche secondo la tradizione sinottica, sia vista come una disposizione di fondo che penetra in tutti gli aspetti della vita. La fede si incentra sulla  parola di Gesù perché e quando la signoria di Dio deve “attuarsi” (Mc 4,26-32), come Gesù la annuncia richiamandosi alla volontà definitivamente obbligante di Dio. In Gesù traspare il futuro definitivo dell'uomo in rapporto al suo Dio. Davanti a questa fede che si attua con una certezza che determina la vita, cadono i miraggi, anche quelli ammontati religiosamente: speranze politiche coeve, attese nazionalistiche e speculazioni cosmologiche non possono più spacciarsi per aspettative del regno escatologico di Dio, non possono più pretendere di essere immagini, degne di fede, di promesse fatte. Al contrario, esse si rivelano come aperta o nascosta incredulità. In quale misura ogni attesa della fede debba orientarsi secondo l'agire di Dio in Gesù, e su di lui, lo dimostra un esempio: molto al di là di ogni possibile situazione unica nella storia, l'attesa di fede sperimenta la sua correzione ammonitrice nella risposta profetica di Gesù alla richiesta di Giovanni (Mt 11,2-6). Da questo punto di vista il rifiuto di una fede nel re crocifisso d'Israele da parte delle autorità giudaiche (Mt 27,42) appare infine soltanto come ultima conseguenza dell'incredulità di fronte alla parola e all'azione di Dio presente nell'annuncio e nella vita di Gesù.

Non avete ancora fede? - J. Duplacy: La fede della Chiesa - La perfezione della fede. - Quando Gesù, il servo, prende la via di Gerusalemme per obbedire fino alla morte (Fil 2,7s), «fa il viso duro» (Lc 9,51; cfr. Is 50,7). In presenza della morte egli «porta alla perfezione la fede» (Ebr 12,2) dei poveri (Lc 23,46 = Sal 31,6; Mt 27,46 par. = Sal 22), mostrando una fiducia assoluta in «colui che poteva», con la risurrezione, «salvarlo dalla morte» (Ebr 5,7). Malgrado la loro conoscenza dei misteri del regno (Mt 13,11 par.), i discepoli ebbero difficoltà a mettersi sulla via in cui, nella fede, dovevano seguire il figlio dell‘uomo (16,21-23 par.). La fiducia che esclude ogni preoccupazione ed ogni timore (Lc 12,22-32 par.) non era loro abituale (Mc 4,35-41; Mt 16,5-12 par.). Quindi, la prova della passione (Mt 26, 41) sarà per essi uno scandalo (26,33). Ciò che allora essi vedono richiede molta fede (cfr. Mc 15,31s). La fede dello stesso Pietro, senza sparire - perché Gesù aveva pregato per essa (Lc 22,32) - non ebbe il coraggio di affermarsi (22,54-62 par.). La fede dei discepoli doveva ancora fare un passo decisivo per diventare la fede della Chiesa.
1. La fede pasquale - Questo passo fu compiuto quando i discepoli, dopo molte esitazioni in occasione delle apparizioni di Gesù (Mt 28, 17; Mc 16,11-14; Lc 24,11), credettero alla sua risurrezione. Testimoni di tutto ciò che Gesù ha detto e fatto (Atti 10,39), essi lo proclamano «Signore e Cristo», nel quale sono compiute invisibilmente le promesse (2,33-36). Ora la loro fede è capace di giungere «fino al sangue» (cfr. Ebr 12,4). Essi chiamano i loro uditori a condividerla per beneficiare della promessa ottenendo la remissione dei loro peccati (Atti 2,38 s; 10,43). La fede della Chiesa è nata.
2. La fede nella parola. - Credere significa innanzitutto accogliere questa predicazione dei testimoni, il vangelo (Atti 15,7; 1 Cor 15,2), la parola (Atti 2,41; Rom 10,17; 1Piet 2,8), confessando Gesù come Signore (1Cor 12, 3; Rom 10,9; cfr. 1Gv 2,22). Questo messaggio iniziale, trasmesso come una tradizione (1Cor 15,1-3), potrà arricchirsi e precisarsi in un insegnamento (1 Tim 4,6; 2Tim 4,1-5): questa parola umana sarà sempre, per la fede, la parola stessa di Dio (1Tess 2,13). Riceverla, vuol dire per il pagano abbandonare gli idoli e rivolgersi al Dio vivo e vero (1Tess 1,8ss), significa per tutti riconoscere che il Signore Gesù porta a compimento il disegno di Dio (Atti 5,14; 13,27- 37; cfr. 1Gv 2,24). Significa, ricevendo il battesimo, confessare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (Mt 28,19).
Questa fede, come constaterà Paolo, apre all‘intelligenza «i tesori di sapienza e di scienza» che sono in Cristo (Col 2,3): la sapienza stessa di Dio rivelata dallo Spirito (1Cor 2), così diversa dalla sapienza umana (1Cor 1,17-31; cfr. Giac 2,1-5; 3,13-18; cfr. Is 29,14) e la conoscenza di Cristo e del suo amore (Fil 3, 8; Ef 3, 19; cfr. 1 Gv 3, 16).
3. La fede e la vita del battezzato. - Condotto dalla fede sino al battesimo e alla imposizione delle mani che lo fanno entrare pienamente nella Chiesa, colui che ha creduto nella parola partecipa all‘insegnamento, allo spirito, alla «liturgia» di questa Chiesa (Atti 2,41-46). In essa infatti Dio realizza il suo  disegno operando la salvezza di coloro che credono (2,47; 1Cor 1,18): la fede si manifesta nell‘obbedienza a questo disegno (Atti 6,7; 2Tess 1,8). Si dispiega nell‘attività (1Tess 1,3; Giac 1,21s) di una vita morale fedele alla  legge di Cristo (Gal 6,2; Rom 8, 2; Giac 1, 25; 2,12); agisce per mezzo dell‘amore fraterno (Gal 5,6; Giac 2,14-26). Si conserva in una fedeltà capace di affrontare la morte sull‘esempio di Gesù (Ebr 12; Atti 7,55-60), in una fiducia assoluta in Colui «nel quale ha creduto» (2Tm 1,12; 4,17s). Fede nella parola, obbedienza nella fiducia, questa è la fede della Chiesa, che separa coloro i quali si perdono - l‘eretico, per esempio (Tito 3, 10) - da coloro che sono salvati (2Tess 1,3-10; 1Piet 2,7s; Mc 16,16).

La fede - Catechismo degli Adulti n. 87: Affidamento - La fede è atteggiamento esistenziale: ci dà la convinzione di essere amati, ci libera dalla solitudine e dall’angoscia del nulla, ci dispone ad accettare noi stessi e ad amare gli altri, ci dà il coraggio di sfidare l’ignoto. Ecco come si presenta in alcune figure emblematiche.
Abramo, il padre dei credenti, «ebbe fede sperando contro ogni speranza» (Rm 4,18); si fidò di Dio e delle sue promesse; lasciò la propria patria e la propria parentela; affrontò, lui vecchio e senza figli, un lungo viaggio «senza sapere dove andava» (Eb 11,8), per poter ricevere dal Signore una nuova terra e una numerosa discendenza. La sua figura esprime e sintetizza la fede del popolo di Dio: «Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia» (Gen 15,6).
La Vergine Maria, colei che è beata perché ha creduto nel modo più puro e totalenota, all’annuncio dell’angelo uscì dal suo piccolo mondo di promessa sposa, aprendosi al progetto di Dio: «Eccomi, sono la serva del Signore» (Lc 1,38). Divenuta madre del Messia, avanzò nell’oscurità della fede fino al dramma angoscioso del Calvario.
I due discepoli di Giovanni Battista, che videro passare Gesù, gli andarono dietro, fecero amicizia con lui, corsero ad annunciarlo ad altri, iniziarono una nuova esistenzanota.
n. 88  Credere è aprirsi, uscire da se stessi, fidarsi, obbedire, rischiare, mettersi in cammino verso le cose «che non si vedono» (Eb 11,1), andare dietro a Gesù «autore e perfezionatore della fede» (Eb 12,2). È assumere un atteggiamento di accoglienza operosa, che consente a Dio di fare storia insieme a noi, al di là delle umane possibilità.
Assenso n. 89 - Allo stesso tempo la fede è assenso a un contenuto dottrinale. È conforme alla nostra dignità dar credito alle dichiarazioni e alle promesse di persone oneste; a maggior ragione si deve dar credito a quelle di Dio, che è la veracità stessa. Affidarsi a Dio significa aderire fermamente al suo messaggio, alla dottrina da lui rivelata e proposta autorevolmente in suo nome dalla Chiesa. La fede non è vago sentimento, né solo un impegno pratico; ha un contenuto di verità, che il credente deve conoscere sempre meglio

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano... Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!” (Meditazione, Via Crucis al Colosseo, 2004).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Dio che in questi santi misteri
ci hai nutriti con il corpo e il sangue del tuo Figlio,
fà che ci rallegriamo sempre del tuo dono,
sorgente inesauribile di vita nuova.
Per Cristo nostro Signore.




31 Gennaio 2020

Venerdì III Settimana Tempo Ordinario

2Sam 11,1-4a,5-10a.13-17; Sal 50 (51); Mc 4,26,34

SAN GIOVANNI BOSCO, SACERDOTE

Dal Martirologio: Memoria di san Giovanni Bosco, sacerdote: dopo una dura fanciullezza, ordinato sacerdote, dedicò tutte le sue forze all’educazione degli adolescenti, fondando la Società Salesiana e, con la collaborazione di santa Maria Domenica Mazzarello, l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, per la formazione della gioventù al lavoro e alla vita cristiana. In questo giorno a Torino, dopo aver compiuto molte opere, passò piamente al banchetto eterno.

Colletta: O Dio, che in san Giovanni Bosco hai dato alla tua Chiesa un padre e un maestro dei giovani, suscita anche in noi la stessa fiamma di carità a servizio della tua gloria per la salvezza dei fratelli. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Le due parabole, la parabola del seme che spunta da solo e la parabola del granello di senape, vogliono suggerire che il regno di Dio “porta in se stesso un principio di sviluppo, una forza segreta che lo condurrà al pieno compimento” (Bibbia di Gerusalemme, nota a Mc 4,29).
La parabola del granello di senape (Mc 4,30-34) la troviamo nel Vangelo di Matteo (13,31-32) e nel Vangelo di Luca (13,18-19). La parabola mette in evidenza il sorprendente contrasto tra i piccoli inizi del regno e della sua espansione. Nonostante “l’insignificanza del suo ministero e l’apparente insuccesso, il regno si sarebbe attuato progressivamente in tutta la sua grandiosità. Il regno non va identificato con la Chiesa, ma la rapida diffusione del Vangelo tra le nazioni pagane l’azione di Dio nel mondo, quale manifestazione incoativa del regno di Dio. Lo dimostra la citazione di Ezechiele [17,22-23], che parla della dimora dei popoli all’ombra del cedro magnifico, piantato dal Signore sul monte alto d’Israele” (Angelico Poppi).
Le due parabole sono un convincente monito alla pazienza. Se l’uomo è impaziente, Dio invece dà una impostazione più ampia e più tollerante al suo piano di salvezza: «Il Signore non ritarda nell’adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi» (2Pt 3,9). Ed è anche un invito ad avere fiducia nell’azione di Dio, una forza intensiva ed estensiva che arriva a trasformare e a sconvolgere l’intera vita dell’uomo.

Dal Vangelo secondo Marco 4,26-34: In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Così è il regno di Dio… Bibbia di Navarra : versetti 26-29 Gli agricoltori si affaticano a preparare il terreno per la semina; una volta però che il grano sia stato seminato, null’altro possono fare per esso, fino al momento della mietitura; il grano, infatti, cresce per potenza sua propria. Con questo paragone il Signore esprime il vigore insito nello sviluppo del regno di Dio sulla terra, fino al giorno della mietitura (cfr Gl 4,13 e Ap 14,15), ossia fino al giorno del giudizio finale.
Ai discepoli Gesù parla della Chiesa: la predicazione del vangelo, che è la semente generosamente sparsa, darà certamente frutti, poiché questi non dipendono da chi semina o da chi irriga, ma da Dio che li fa crescere (cfr 1Cor 3,5-9). Tutto avverrà senza che il seminatore stesso sappia “come”", senza che gli uomini se ne rendano pienamente conto. Al tempo stesso il regno di Dio designa l’azione della grazia in ogni anima: Dio opera silenziosamente dentro di noi una trasformazione, mentre dormiamo o siamo svegli, facendo germogliare nel fondo della nostra anima propositi di fedeltà, di dedizione, di corrispondenza alla grazia, fino a portarci alla “maturità” (cfr Ef 4,13). Sebbene lo sforzo dell’uomo sia necessario, in definitiva è Dio che agisce, “perché è lo Spirito Santo che con le sue ispirazioni dà tono soprannaturale ai nostri pensieri, ai nostri desideri e alle nostre opere. È Lui che ci spinge ad aderire alla dottrina di Cristo e ad assimilarla in tutta la sua profondità; è Lui che ci illumina per farci prendere coscienza della nostra vocazione personale e ci sostiene per farci realizzare tutto ciò che Dio si attende da noi. Se siamo docili allo Spirito Santo, l’immagine di Cristo verrà a formarsi sempre più nitidamente in noi, e in questo modo saremo sempre più vicini a Dio Padre. Sono infatti coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio, i veri figli di Dio (Rm 8,14)” (È Gesù che passa, n. 135).

Il regno di Dio e la regalità di Gesù -  R. Deville e P. Grelot: Nel Nuovo Testamento i due temi del regno di Dio e della regalità messianica si uniscono nel modo più stretto, perché il re-Messia è il Figlio di Dio stesso. Questa posizione di Gesù al centro del mistero del regno si ritrova nelle tre tappe successive, attraverso le quali questo deve passare: la vita terrena di Gesù, il tempo della Chiesa e la consumazione finale delle cose.
1. Durante la sua vita, Gesù si dimostra molto riservato nei confronti del titolo di  re. Se lo accetta in quanto titolo messianico rispondente alle promesse profetiche (Mt 21,1-11 par.), lo deve spogliare delle risonanze politiche (cfr. Lc 23,2), per rivelare la regalità «che non è di questo mondo» e che si manifesta mediante la testimonianza resa alla verità (Gv 18,36s). In compenso, non esita ad identificare la causa del regno di Dio con la sua propria: lasciare tutto per il regno di Dio (Lc 18,29), significa lasciare tutto «per il suo nome» (Mt 19,29; cfr. Mc 10,29). Descrivendo in anticipo la ricompensa escatologica che attende gli uomini, egli identifica il «regno del figlio dell’uomo» ed il «regno del Padre» (Mt 13,41ss), ed assicura ai suoi apostoli che egli dispone per essi del regno come il Padre ne ha disposto per lui (Lc 22,29s).
2. La sua intronizzazione regale non giunge tuttavia se non al momento della risurrezione: allora egli prende posto sul trono stesso del Padre (Apoc 3,21), è esaltato alla destra di Dio (Atti 2,30-35). Durante tutto il tempo della Chiesa, la regalità di Dio si esercita così sugli uomini per mezzo della regalità di Cristo, Signore universale (Fil 2,11); perché il Padre ha costituito il Figlio suo «Re dei re e Signore dei signori» (Apoc 19,16; 17,14; cfr. 1,5).
3. Al termine dei tempi, Cristo vincitore di tutti i suoi nemici «rimetterà il regno a Dio Padre» (1Cor 15,24). Allora questo regno «sarà pienamente acquisito al nostro Signore ed al suo Cristo» (Apoc 11,15; 12,10), ed i fedeli riceveranno «l’eredità nel regno di Cristo e di Dio» (Ef 5,5). Così Dio, padrone di tutto, prenderà pieno possesso del suo regno (Apoc 19,6). I discepoli di Gesù saranno chiamati a condividere la gloria di questo regno (Apoc 3,21), perché già in terra Gesù ha fatto di essi «un regno di sacerdoti per il loro Dio e Padre» (Apoc 1,6; 5,10; 1Piet 2,9; cfr. Es 19,6).

Il regno di Dio - Catechismo degli Adulti [120]: Il regno di Dio, che Gesù annuncia e inaugura, desta interesse; ma rischia anche di lasciare sconcertati e delusi. Il Maestro se ne rende conto e afferma: «Beato colui che non si scandalizza di me» (Mt 11,6).
Perché questa difficoltà a credere, nonostante la lunga preparazione e la viva attesa? Deriva dalla mentalità dell’ambiente o dalla natura stessa del Regno? Riguarda anche noi? Sono domande da considerare con attenzione.
Il futuro [121] - Secondo Gesù, il Regno si affermerà pienamente solo nel futuro: adesso comincia appena a realizzarsi. Bisogna ancora pregare con insistenza e invocare: «Venga il tuo regno» (Mt 6,10). Presto, entro la durata di una generazione, accadrà qualcosa di nuovo: «In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza» (Mc 9,1). Finalmente, al termine della storia, la gloria del Regno riempirà il mondo intero.
Il presente [122] - D’altra parte il futuro è anticipato già nel presente. Nelle parole, nei gesti e nella persona di Gesù, il Padre comincia a manifestare la sua sovranità salvifica: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi» (Lc 17,21); «Se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio» (Mt 12,28).
Il presente, umile e nascosto, contiene una meravigliosa virtualità, che si dispiegherà nel futuro. È come il seme che silenziosamente germoglia dalla terra e produce la spiga; come il minuscolo granello di senape che poi diventa un albero; come il modesto pugno di lievito che finisce per fermentare tutta la pasta.
[123] - Il regno di Dio non si impone in modo clamoroso e spettacolare, come la gente immagina che debba succedere. Non viene in un istante. Non risolve magicamente tutti i problemi. Si propone piuttosto alla nostra cooperazione. Per sperimentarlo, bisogna accoglierlo attivamente, bisogna convertirsi. E, comunque, si tratta sempre di una esperienza germinale, destinata a compiersi perfettamente solo nell’eternità.
Il vissuto quotidiano [124] - Il Regno è più semplice e umano di quanto gli uomini stessi si aspettino. Si nasconde nella normalità della vita quotidiana e addirittura nella debolezza, nell’apparente fallimento. Non a caso Gesù, per le sue parabole, prende lo spunto dall’esperienza comune di tutti i giorni: il seminatore che esce a seminare, gli operai che lavorano nella vigna, il lievito che la donna mette nella pasta, il figlio che scappa di casa, il pastore che smarrisce una pecora.
Una proclamazione di felicità [127] - Il regno di Dio non risolve i problemi e non cambia le situazioni come per incanto. Ci si può chiedere, allora, in che senso esso sia una buona notizia, quale felicità porti e a quali condizioni se ne possa fare l’esperienza.
Senz’altro Gesù di Nàzaret intende fare un annuncio e un’offerta di felicità. Le beatitudini del Regno, riferite dagli evangelisti Matteo e Luca, non vogliono essere soltanto una promessa, ma una proclamazione. A motivo del futuro che comincia a venire, assicurano già nel presente gioia e bellezza di vita, come un anticipo.

Il seme - Lumen Gentium 5: Il mistero della santa Chiesa si manifesta nella sua stessa fondazione. Il Signore Gesù, infatti, diede inizio ad essa predicando la buona novella, cioè l’avvento del regno di Dio da secoli promesso nella Scrittura: «Poiché il tempo è compiuto, e vicino è il regno di Dio» (Mc 1,15; cfr. Mt 4,17). Questo regno si manifesta chiaramente agli uomini nelle parole, nelle opere e nella presenza di Cristo. La parola del Signore è paragonata appunto al seme che viene seminato nel campo (cfr. Mc 4,14): quelli che lo ascoltano con fede e appartengono al piccolo gregge di Cristo (cfr. Lc 12,32), hanno accolto il regno stesso di Dio; poi il seme per virtù propria germoglia e cresce fino al tempo del raccolto (cfr. Mc 4,26-29). Anche i miracoli di Gesù provano che il regno è arrivato sulla terra: «Se con il dito di Dio io scaccio i demoni, allora è già pervenuto tra voi il regno di Dio» (Lc 11,20; cfr. Mt 12,28). Ma innanzi tutto il regno si manifesta nella stessa persona di Cristo, figlio di Dio e figlio dell’uomo, il quale è venuto «a servire, e a dare la sua vita in riscatto per i molti» (Mc 10,45). Quando poi Gesù, dopo aver sofferto la morte in croce per gli uomini, risorse, apparve quale Signore e messia e sacerdote in eterno (cfr. At 2,36; Eb 5,6; 7,17-21), ed effuse sui suoi discepoli lo Spirito promesso dal Padre (cfr. At 2,33). La Chiesa perciò, fornita dei doni del suo fondatore e osservando fedelmente i suoi precetti di carità, umiltà e abnegazione, riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l’inizio. Intanto, mentre va lentamente crescendo, anela al regno perfetto e con tutte le sue forze spera e brama di unirsi col suo re nella gloria.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere” (Vangelo).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, nostro Padre,
che ci hai nutriti con il pane della vita,
fa’ che seguendo l’esempio di san Giovanni Bosco
ti onoriamo con fedele servizio,
e ci prodighiamo con carità instancabile per il bene dei fratelli.
Per Cristo nostro Signore.



30 Gennaio 2020

Giovedì III Settimana Tempo Ordinario

2Sam 7,18-19.24-29; Sal 131 (132); Mc 4,21-25

Colletta: Dio onnipotente ed eterno, guida i nostri atti secondo la tua volontà, perché nel nome del tuo diletto Figlio portiamo frutti generosi di opere buone. Per il nostro Signore...

Tutti i cristiani sono testimoni della Luce e missionari della Luce, quindi i versetti del Vangelo di oggi sono un richiamo alla missione apostolica di cui ogni cristiano è investito per il fatto di essere tale. Ogni cristiano è tenuto a a fare luce “dentro la sua vita”, ma anche nella vita degli uomini, suoi fratelli e compagni di viaggio verso cieli nuovi e terra nuova. È Gesù a insegnarlo con l’analogia della luce. Come la luce illumina, rischiara e dà calore, così il cristiano, illuminato da Cristo, rischiara le cose che sono in ombra, e dà calore a chi è immerso nella morsa gelida del peccato.

Dal Vangelo secondo Marco 4,21-25: In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: “Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro? Non vi è infatti nulla di segreto che non debba essere manifestato e nulla di nascosto che non debba essere messo in luce. Se uno ha orecchi per ascoltare, ascolti!”. Diceva loro: “Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più. Perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha”. 

Viene forse la lampada… - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli a confronto): Le due immagini della lucerna (v. 21) e della misura (vv. 24-25) sono introdotte con la medesima espressione, “e diceva loro” (vv. 21a.24a). L’invito all’ascolto nel v. 23 sottolinea l’importanza dell’insegnamento di Gesù. L’immagine della misura (v. 24) fa riferimento al giudizio escatologico (v. 25).
vv. 21-23 Il “moggio” (un mastello) indica un recipiente per misurare i cereali. Con l’espressione semitica della lucerna che “viene” (érchetai) è probabile che Marco si riferisca alla venuta del Cristo, vera luce che illumina il mondo con il suo insegnamento (cf. Gv8,12; 12,46; 13,35). L’invito all’ascolto del v. 23, ribadito nel v. 24, sottolinea l’importanza della comprensione progressiva del significato simbolico delle parabole.
vv. 24-25 L’immagine della misura in Marco si riferisce alla comprensione delle parabole: a chi ascolta correttamente Parola, Dio donerà una conoscenza sempre più profonda del regno, connesso con la passione e morte di Gesù, quando sarà svelato il mistero del Messia crocifisso. In Matteo l’immagine è utilizzata come monito a non giudicare il prossimo in Luca (6,38b) come invito a largheggiare nell’elemosina. Matteo inserisce il logion del v. 25 nella parabola del seminatore (13,12). Da questa diversa utilizzazione di alcuni detti risulta che erano trasmesse nella Chiesa in modo fluttuante, a prescindere dal contesto storico in cui li aveva pronunciati Gesù.

La parabola - Alice Baum: Parabola. Genere retorico nel quale un determinato pensiero viene illustrato servendosi di un’immagine. Il termine greco parabole usato nel Nuovo Testamento significa accostamento. Nelle parabole vengono accostate due realtà, una religiosa, la “metà oggettiva”, e una tratta dalla vita quotidiana dell’uomo, la “metà illustrativa”. Laddove la metà oggettiva, ciò che veramente la p. vuol dire, rimane il più delle volte inespressa. L’uditore, o il lettore, la deve ricavare lui stesso dalla metà illustrativa. Così per es. nella parabola  del seme che spunta da solo (Mc 4,26-29) la metà oggettiva va completata con l’immagine: il regno di Dio viene in maniera così inarrestabile come la messe dopo la semina. La parabola va distinta dall’allegoria. Mentre in un’allegoria ogni tratto dell’immagine ha un significato proprio, a ciò che è presentato nella parabola  corrisponde un’unica realtà religiosa.
Nei discorsi di Gesù in parabole possiamo distinguere tre diverse forme. La parabole  vera e propria si serve di un procedimento, o di un dato di fatto per esprimere una verità religiosa (parabola del granello di senape, la pecora smarrita e altre). La cosiddetta parabola è una storia inventata che racconta un caso singolo, talvolta fuori del comune (dieci vergini, Mt 25,1-13; figlio prodigo - o meglio: padre amorevole -, Lc 15,1132). Nel racconto esemplare non viene traslata un’immagine o una storia nella realtà religiosa, “ma un pensiero religioso-morale viene illustrato per mezzo di un caso singolo”. Non si tratta tanto della conoscenza della verità, quanto del retto agire (buon samaritano. Lc 10,30-37; fariseo e pubblicano, Lc 18,9-14). Le parabole di Gesù fanno parte dello “strato originario della tradizione”. Per i suoi uditori non erano nulla di nuovo. Le si trovano anche nell’Antico Testamento e nell’insegnamento rabbinico. Nuovo era il contenuto: il regno di Dio che viene e la pretesa di Gesù di esserne il portatore. Le parabole rispecchiano l’ambiente palestinese in maniera così chiara che non si può dubitare della loro autenticità. Una spiegazione obiettiva non è tuttavia possibile se non si tiene presente che le parabole hanno un triplice Sitz im Leben, vale a dire vanno comprese a partire da tre diverse situazioni: l’annuncio di Gesù, la vita della chiesa primitiva e la prospettiva teologica del singolo evangelista.

La lampada, simbolo della presenza umana - J.-E. Brunon: Con la sua luce, la lampada significa una presenza viva, quella di Dio, quella dell’uomo.
l. La lampada, simbolo della presenza divina. - «La mia lampada sei tu, o Jahve» (2Sam 2,29). Con questo grido il salmista proclama che Dio solo può dare luce e vita. Non è egli forse il creatore dello spirito che è nell’uomo come «una lampada di Jahve» (Prov 20,27)? Non rischiara forse egli come una lampada la  via del fedele con la sua  parola (Sal 119,105), con i suoi comandamenti (Prov 6,23)? Le Scritture profetiche non sono forse «una lampada che brilla in luogo oscuro, sino a che il giorno incominci a spuntare e l’astro del mattino si levi nei nostri cuori» (2Piet 1,19)? Quando verrà questo giorno supremo non ci sarà più «notte; gli eletti faranno a meno di lampada o di sole per farsi luce», perché «l’agnello sarà la loro lucerna» (Apoc 22,5; 21,23).
2. La lampada, simbolo della presenza umana. - Il simbolismo della lampada si ritrova nel piano più umile della presenza umana. A David, Jahve promette una lampada, cioè una discendenza perpetua (2Re 8,19; 1 Re 11,36; 15,4). Per contro, se il paese è infedele, Dio minaccia di fare sparire da esso «la luce della lampada» (Ger 25,10): allora non ci sarà più felicità duratura per il malvagio la cui lampada presto si spegne (Prov 13,9; Giob 18,5s).
Per esprimere la sua fedeltà a Dio e la continuità della sua preghiera, Israele fa ardere in perpetuo una lampada nel santuario (Es 27,20ss; 1Sam 3,3); lasciarla spegnere, significherebbe far intendere a Dio che lo si abbandona (2Cron 29,7). Per contro, beati coloro che vegliano nell’attesa del Signore, come le giovani donne prudenti (Mt 25,1-8) od il servo fedele (Lc 12,35), le cui lampade restano accese.
Dio attende ancora di più dal suo fedele: invece di lasciare la sua lampada sotto il moggio (Mt 5,15 s par.), egli deve brillare come un luminare in mezzo ad un mondo perverso (Fil 2,15), Come già il profeta Elia, la cui «parola bruciava come una fiaccola» (Eccli 48,1), come ancora Giovanni Battista, questa «lucerna che arde e risplende» (Gv 5,35) per rendere testimonianza alla vera luce (1,7s). Così anche la Chiesa, fondata su Pietro e Paolo, «i due olivi e le due lucerne che stanno dinanzi al Signore della terra» (Apoc 11, 4), deve far risplendere fino alla fine dei tempi la gloria del figlio dell’uomo (1,12s).

Illuminati dalla luce di Cristo - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): La parabola della lampada evidenzia l’opposizione che esiste tra la luce e le tenebre, cioè tra la fede e l’incredulità. Gesù affermò di se stesso: «Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre» (Gv 12,46).
Allo stesso modo, la parabola della lampada sottolinea anche la necessità di passare dalla fede alla vita, perché Cristo e il suo vangelo sono luce, e questa devo illuminare l’esistenza di chi crede sinceramente; e non solo la sua esistenza, ma anche quella degli altri. «Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa, cosi risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5,14ss).
La fede del battesimo è la lampada accesa all’inizio del nostro cammino cristiano per illuminare tutta la nostra vita e la nostra condotta. Per questo il battesimo, sacramento della fede, è visto nella tradizione ecclesiale come sacramento di iniziazione e illuminazione, fino al punto da indicare i battezzati con il titolo di «illuminati» dalla luce di Cristo. «Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre » (Ef 5,8ss). Tutta la nostra vita, i nostri criteri, i nostri valori e la nostra condotta devono essere conformi a questa luce di Cristo che ci ha illuminati. Luce che ci fu data non per conservarla nel baule dei ricordi, ma perché illumini gli altri con le nostre opere buone. Chiediamoci se per paura o codardia, opportunismo o convenienza, nascondiamo la luce della fede in Cristo negli ambienti in cui ci muoviamo. Perché Cristo disse: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc 8,38).

La parabola della misura - Jacques Hervieux (Vangelo di Marco): Questa parabola per immagini è delle più brevi ma non per questo delle più semplici. Comincia con un’esortazione a un attento ascolto (v. 24a); ma l’immagine che segue è vaga (v. 24b): la «misura» in questione è «l’importanza» concessa all’accoglienza del seme-parola? Se questa accoglienza è generosa, Dio saprà accrescerla ancora. Quest’interpretazione è plausibile, visto il contesto precedente in cui si tratta della disposizione dei cuori, del modo - limitato o generoso - di ricevere la buona novella: ma non possiamo esserne certi. La spiegazione che ne viene subito data è ancora più oscura della parabola stessa (v. 25). E nota la predilezione degli orientali per i paradossi. Notiamo anzitutto che queste parole di Gesù restano assai enigmatiche per i primi cristiani stessi, come dimostra il fatto che si ritrovano nella tradizione evangelica in contesti assai diversi (Mt 13,12 e 25,29). Si tratta di parole dal significato incerto, perché di esse si è ben presto smarrito il contesto tipico e inequivocabile. Qui - secondo quest’ipotesi - esse potrebbero riguardare il popolo giudaico: il popolo eletto, nel suo complesso, non ha accolto la buona novella. Non sta quindi per vedersi privare delle promesse stesse di Dio da parte dei pagani che entrano nella Chiesa? Ma di questo non possiamo fidarci, tanto l’espressione di Gesù resta sibillina. Se non altro, il lettore è invitato ad analizzare la propria qualità di ascolto della parola di Dio che ha ricevuto.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più. Perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha”» (Vangelo). 
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che in questi santi misteri
ci hai nutriti col corpo e col sangue del tuo Figlio,
fa’ che ci rallegriamo sempre del tuo dono,
sorgente inesauribile di vita nuova.
Per Cristo nostro Signore.



29 Gennaio 2020

Mercoledì III Settimana Tempo Ordinario

2Sam 7,4-17; Sal 88 (89); Mc 4,1-20

Colletta: Dio onnipotente ed eterno, guida i nostri atti secondo la tua volontà, perché nel nome del tuo diletto Figlio portiamo frutti generosi di opere buone. Per il nostro Signore...

Il brano marciano può essere diviso in tre parti. La prima parte raccoglie la “parabola del seminatore”, la seconda parte viene suggerito perché Gesù parla in parabole, e nella terza vi è la spiegazione della parabola del seminatore. Sia Matteo (13,1-23) che Luca (8,4-15) riportano la parabola del seminatore.
La parabola del seminatore è “un invito ad accogliere la parola che il Signore sparge a larghe mani in mezzo a noi, attraverso il ministero della sua Santa Chiesa. È soprattutto un invito a far fruttificare ciò che si è ricevuto. La parabola ci dà poi la chiave per comprendere il mistero del bene e del male esistente nel mondo, e cioè il mistero della libertà umana, che può aprirsi o chiudersi all’opera della grazia di Dio. La stessa pagina del Vangelo ci dà pure un senso di grande speranza, facendoci notare l’intimo dinamismo della semente che viene sparsa nel mondo. Essa sempre cresce, lo avverta o meno l’agricoltore che l’ha gettata nel solco. È questa la sua innata vitalità. Lo ricordava Gesù ai suoi discepoli anche con l’analoga parabola del granello di senapa “che un uomo prese e seminò nel suo campo. Certo, è il più piccolo di tutti i semi, ma cresciuto che sia, ... diventa un albero in modo che gli uccelli del cielo vanno a posarsi fra i suoi rami” (Mt 13,31-32). Questa è la Chiesa: un albero che ha messo le sue radici nella profondità della storia umana, offrendo poi i suoi rami come rifugio sicuro a tutti gli uomini di buona volontà” (Card. Angelo Sodano).

Dal Vangelo secondo Marco 4,1-20: In quel tempo, Gesù cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva. Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: «Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno». E diceva: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!». Quando poi furono da soli, quelli che erano intorno a lui insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli diceva loro: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato». E disse loro: «Non capite questa parabola, e come potrete comprendere tutte le parabole? Il seminatore semina la Parola. Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la Parola, ma, quando l’ascoltano, subito viene Satana e porta via la Parola seminata in loro. Quelli seminati sul terreno sassoso sono coloro che, quando ascoltano la Parola, subito l’accolgono con gioia, ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della Parola, subito vengono meno. Altri sono quelli seminati tra i rovi: questi sono coloro che hanno ascoltato la Parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto. Altri ancora sono quelli seminati sul terreno buono: sono coloro che ascoltano la Parola, l’accolgono e portano frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno».

Le parabole: Catechismo degli Adulti 125: Le parabole sono racconti simbolici, in cui il paragone fra due realtà viene elaborato in una narrazione. Si tratta di un genere letterario che aveva precedenti nell’Antico Testamento, come ad esempio la severa parabola con cui il profeta Natan indusse a conversione il re David; ma Gesù lo impiega in modo estremamente originale. Vi fa ricorso per lo più quando si rivolge a quelli che non fanno parte della cerchia dei discepoli: i notabili, le autorità, la folla dei curiosi. Narra con eleganza piccole storie verosimili, ambientandole nella vita ordinaria, quasi a insinuare che il Regno è già all’opera con la sua potenza nascosta. Ma ecco, nel bel mezzo della normalità, uscir fuori spesso l’imprevedibile, l’insolito, come ad esempio la paga data agli operai della vigna: uguale per tutti, malgrado il diverso lavoro. È la novità del Regno, il suo carattere di dono gratuito e incomparabile. Gesù fa appello all’esperienza delle persone. Invita a riflettere e a capire, a liberarsi dai pregiudizi. Il suo punto di vista si pone in contrasto con quello degli interlocutori. Ascoltando la parabola, costoro si trovano coinvolti dentro una dinamica conflittuale e sono costretti a scegliere, a schierarsi con lui o contro di lui. Anzi, la provocazione risulterebbe ancor più evidente, se conoscessimo le situazioni originarie concrete, in cui le parabole furono pronunciate. La loro forza comunque è ben superiore a quella di una generica esortazione moraleggiante.

Hidelgard Gollinger: 1. Gesù sfrutta le parabole per rendere comprensibile il suo messaggio a tutti gli uomini. La maggior parte delle parabole parla dell’avvento certo della signoria di Dio, che è già stata inaugurata nell’opera e nella predicazione di Gesù. (L’operare di Gesù è come la semente - il regno di Dio viene, a dispetto di tutti gli ostacoli, in modo certo come la messe). Altre parabole si rivolgono a discepoli dubbiosi e impazienti: anche se il principio è piccolo e invisibile, la fine sarà tuttavia gloriosa - come il piccolo seme di senape diventa un grande albero. Agli oppositori di Gesù viene detto: Dio non addebita gli errori agli uomini, al contrario, ha un amore traboccante per i peccatori, va in cerca di chi è perduto (cfr. padre amorevole, pecora smarrita, dramma perduta; ciò che è stato smarrito). Nell’annuncio di Gesù le parabole erano comprensibili a partire dalla situazione del momento e non avevano bisogno di una spiegazione particolare.
2. La chiesa primitiva fa proprie le parabole per attualizzarle nella situazione mutata rispetto al tempo di Gesù. La parabole diventa uno strumento di ammonizione (a) o di istruzione (b). Questo può accadere per una trasformazione in allegoria (c) e per mezzo di un’interpretazione aggiuntiva (d).
a) La parabola della pecora smarrita è rivolta, nella situazione di Gesù, agli avversari che dovrebbero riconoscere, per mezzo di essa, l’amore di Dio anche per i peccatori e il diritto di Gesù, di annunciarlo anche a queste persone (Lc 15,1-7). Nella situazione della chiesa primitiva i referenti dell’esortazione sono coloro che presiedono le comunità, affinché non rifiutino i membri della comunità diventati infedeli, ma si prendano cura di loro con vera sollecitudine di pastori (si noti la connessione con Mt 18,12-14).
b) La parabola della zizzania (Mt 13,24-30 culmina originariamente nell’esortazione alla pazienza. Nel Sitz im Leben della chiesa questa parabola viene trasformata in un’illustrazione didattica della venuta del Figlio dell’uomo e del giudizio (Mt 13,36-43).
c) Nella misura in cui la parabola dei vignaioli omicidi (Mc 12,1-12; Mt 21,33-46; Lc 20,9-19) è ancora ricostruibile, originariamente essa doveva parlare di tre messaggeri maltrattati e infine dell’invio del figlio; questo viene ucciso e la vigna, per castigo, viene data ad altri vignaioli. Nel Sitz im Leben di Gesù è importante l’ultimo tratto del racconto: Gesù minaccia che l’offerta di salvezza sarà tolta a Israele e data “ad altri”, ai pagani.
d) La parabola del seminatore (Me 4,3-8) mostra come, nonostante molte resistenze, alla fine il grande successo s’imporrà. I discepoli che dubitano del successo di Gesù debbono riconoscere dall’immagine della semente che, nonostante tutto, alla fine il raccolto c’è. L’interpretazione allegorizzante della comunità (Mc 4,14-20) suddivide i cristiani in diverse classi e spiega così la tiepidezza e l’abbandono, ma anche lo zelo di molti cristiani.
3. Nel conteso di un Vangelo scritto, la singola parabola viene a rivestire una nuova funzione. Varie parabole vengono raccolte in “discorsi” (Mc 4; Mt 25) e diventano al tempo stesso illustrazioni delle affermazioni dell’evangelista. La parabole del seminatore, per es., serve ora da esempio per l’“insegnamento” che Gesù offre: per coloro che sono “dentro” è rivelazione, mentre per quelli che sono “fuori” resta un discorso enigmatico.

Il seminatore semina la Parola - A. Feuillet e P. Grelot (Parola di Dio, in Dizionario Teologia Bblica): Gesù annunzia il vangelo del regno, «annunzia la parola» (Mc 4,33), facendo conoscere in parabole i misteri del regno di Dio (Mt 13,11 par.). Apparentemente egli è un profeta (Gv 6,14) od un dottore che insegna in nome di Dio (Mt 22,16 par.). In realtà parla «con autorità» (Mc 1,22 par.), come in proprio, con la certezza che «le sue parole non passeranno» (Mt 24,35 par.). Questo atteggiamento lascia intravvedere un mistero, sul quale il quarto vangelo si china con predilezione. Gesù «dice le parole di Dio» (Gv 3,34), dice «ciò che il Padre gli ha insegnato» (Gv 8, 28). Perciò «le sue parole sono spirito e vita» (Gv 6,63). A più riprese l’evangelista usa con enfasi il verbo «parlare» per sottolineare l’importanza di questo aspetto di Gesù (ad es. Gv 3,11; 8,25-40; 15,11; 16,4...), perché Gesù «non parla da sé» (Gv 12,49 s; 14,10), ma «come il Padre gli ha parlato prima» (Gv 12,50). Il mistero della parola profetica, inaugurato nel Vecchio Testamento, raggiunge quindi in lui il suo perfetto compimento. Perciò agli uomini viene intimato di prendere posizione di fronte a questa parola che li mette in contatto con Dio stesso. I sinottici riferiscono discorsi di Gesù che mostrano chiaramente la posta di questa scelta. Nella parabola del seme, la parola - che è il vangelo del regno - è accolta diversamente dai suoi diversi uditori: tutti «sentono»; ma soltanto quelli che la «comprendono» (Mt 13,23) o l’«accolgono» (Mc 4,20 par.) o la «custodiscono» (Lc 8,15), la vedono portare in essi il suo frutto. Così pure, al termine del discorso della montagna in cui ha proclamato la nuova legge, Gesù oppone la sorte di coloro che «ascoltano la sua parola e la mettono in pratica» alla sorte di coloro che «l’ascoltano senza metterla in pratica» (Mt 7,24.26; Lc 6,47.49): casa fondata sulla roccia, da una parte; sulla sabbia, dall’altra. Queste immagini introducono una prospettiva di giudizio; ognuno sarà giudicato sul suo atteggiamento di fronte alla parola: «Se uno avrà arrossito di me e delle mie parole, il figlio dell’uomo arrossirà anche di lui quando verrà nella gloria del Padre suo» (Mc 8,38 par.)

Il seminatore semina la Parola: Lumen gentium 5: Il mistero della santa Chiesa si manifesta nella sua stessa fondazione. Il Signore Gesù, infatti, diede inizio ad essa predicando la buona novella, cioè l’avvento del regno di Dio da secoli promesso nella Scrittura: «Poiché il tempo è compiuto, e vicino è il regno di Dio» (Mc 1,15; cfr. Mt 4,17). Questo regno si manifesta chiaramente agli uomini nelle parole, nelle opere e nella presenza di Cristo. La parola del Signore è paragonata appunto al seme che viene seminato nel campo (cfr. Mc 4,14): quelli che lo ascoltano con fede e appartengono al piccolo gregge di Cristo (cfr. Lc 12,32), hanno accolto il regno stesso di Dio; poi il seme per virtù propria germoglia e cresce fino al tempo del raccolto (cfr. Mc 4,26-29). Anche i miracoli di Gesù provano che il regno è arrivato sulla terra: «Se con il dito di Dio io scaccio i demoni, allora è già pervenuto tra voi il regno di Dio» (Lc 11,20 cfr. Mt 12,28). Ma innanzi tutto il regno si manifesta nella stessa persona di Cristo, figlio di Dio e figlio dell’uomo, il quale è venuto «a servire, e a dare la sua vita in riscatto per i molti» (Mc 10,45). Quando poi Gesù, dopo aver sofferto la morte in croce per gli uomini, risorse, apparve quale Signore e messia e sacerdote in eterno (cfr. At 2,36; Eb 5,6; 7,17-21), ed effuse sui suoi discepoli lo Spirito promesso dal Padre (cfr. At 2,33). La Chiesa perciò, fornita dei doni del suo fondatore e osservando fedelmente i suoi precetti di carità, umiltà e abnegazione, riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l’inizio. Intanto, mentre va lentamente crescendo, anela al regno perfetto e con tutte le sue forze spera e brama di unirsi col suo re nella gloria.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Altri ancora sono quelli seminati sul terreno buono: sono coloro che ascoltano la Parola, l’accolgono e portano frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno». (Vangelo)
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che in questi santi misteri
ci hai nutriti col corpo e col sangue del tuo Figlio,
fa’ che ci rallegriamo sempre del tuo dono,
sorgente inesauribile di vita nuova.
Per Cristo nostro Signore.