1 Maggio 2023
San Giuseppe Lavoratore - Memoria
At 11,1-18; Sal 41 (42) e 42 (43); Gv 10,11-18
Colletta
O Dio, che hai chiamato l’uomo a cooperare con il lavoro
al disegno della tua creazione,
fa’ che per l’esempio e l’intercessione di san Giuseppe
siamo fedeli ai compiti che ci affidi,
e riceviamo la ricompensa che ci prometti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
San Giuseppe, Patrono della Chiesa del nostro tempo - Redemptoris custos N. 28: In tempi difficili per la Chiesa Pio IX, volendo affidarla alla speciale protezione del santo patriarca Giuseppe, lo dichiarò «Patrono della Chiesa cattolica» (S. Rituum Congreg., «Quemadmodum Deus», die 8 dec. 1870: «Pii IX P. M. Acta», pars I, vol. V, 283). Il Pontefice sapeva di non compiere un gesto peregrino, perché a motivo dell’eccelsa dignità concessa da Dio a questo suo fedelissimo servo, «la Chiesa, dopo la Vergine Santa, sposa di lui, ebbe sempre in grande onore e ricolmò di lodi il beato Giuseppe, e di preferenza a lui ricorse nelle angustie» (S. Rituum Congreg., «Quemadmodum Deus, die 8 dec. 1870: «Pii IX P. M. Acta», pars I, vol. V, 282s).
Quali sono i motivi di tanta fiducia? Leone XIII li espone così: «Le ragioni per cui il beato Giuseppe deve essere considerato speciale Patrono della Chiesa, e la Chiesa, a sua volta, ripromettersi moltissimo dalla tutela e dal patrocinio di lui, nascono principalmente dall’essere egli sposo di Maria e padre putativo di Gesù... Giuseppe fu a suo tempo legittimo e naturale custode, capo e difensore della divina Famiglia... E’ dunque cosa conveniente e sommamente degna del beato Giuseppe, che, a quel modo che egli un tempo soleva tutelare santamente in ogni evento la famiglia di Nazaret, così ora copra e difenda col suo celeste patrocinio la Chiesa di Cristo» («Quamquam Pluries», die 15 aug. 1889: «Leonis XIII P. M. Acta», IX [1890] 177-179).
N. 29. Questo patrocinio deve essere invocato ed è necessario tuttora alla Chiesa non soltanto a difesa contro gli insorgenti pericoli, ma anche e soprattutto a conforto del suo rinnovato impegno di evangelizzazione nel mondo e di rievangelizzazione in quei «paesi e nazioni dove - come ho scritto nell’esortazione apostolica “Christifideles Laici” - la religione e la vita cristiana erano un tempo quanto mai fiorenti», e che «sono ora messi a dura prova» (34). Per portare il primo annuncio di Cristo o per riportarlo laddove esso è trascurato o dimenticato, la Chiesa ha bisogno di una speciale «virtù dall’alto» (cfr. Lc 24,49; At 1,8), donazione certo dello Spirito del Signore non disgiunta dall’intercessione e dall’esempio dei suoi santi.
I Lettura: Ancora tra le fila della novella Chiesa molti che si sono convertiti dal giudaismo sono arroccati alla Legge di Mosè, e si sentono autorizzati a rimproverare Pietro: «Sei entrato in casa di uomini non circoncisi e hai mangiato insieme con loro!». testo occ. (è Cristo che dà lo Spirito). Pietro “dà spiegazioni circa il battesimo conferito aun pagano; non risponde invece all’accusa di aver accettato l’ospitalità da un non circonciso (cf. v 3; 10.1+). Secondo Luca, fu Pietro che, almeno idealmente ammise per primo i pagani nella Chiesa. Qualunque sia il valore del battesimo conferito all’eunuco etiope 18.26-39) o la cronologia relativa nell’evangelizzazione di Antiochia, il cui racconto è riservato per il seguito (vv. 19s). In questa prospettiva il concilio di Gerusalemme (15,5-29) apparirà un po’ come il seguito o la riconferma della deliberazione di 11,1-18” (Bibbia di Gerusalemme nota a AT 11,17).
Vangelo
Il buon pastore dà la vita per le pecore.
Bibbia per la formazione cristiana: La parabola del buon pastore mette in evidenza la preoccupazione di Gesù per l’unità. Ci sarà un solo gregge e un solo pastore.
E il gregge non sarà formato soltanto dalle pecore disperse della casa di Israele, ma da tutti coloro che ascolteranno la sua voce e lo seguiranno fino alla vita eterna. Il nuovo popolo di Dio non è unito da vincoli di razza, di nazionalità o di cultura, ma dalla fede in Gesù. Tutti sono chiamati a farne parte, e il pastore cerca e conosce tutti. Gesù coglie l’occasione per annunciare che affronterà liberamente la morte per le sue pecore.
Si avvicina l’ora di compiere con amore la volontà del Padre, perché le pecore abbiano la vita.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 10,11-18
In quel tempo, Gesù disse:
«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Parola del Signore.
Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni - Vol. II): Lo scopo dell’incarnazione del Figlio di Dio è donare la vita in abbondanza (Gv 10,10), è portare la salvezza piena a tutta l’umanità (Gv 3,17; 12,47). Egli infatti è la fonte della vita (Gv 1,4; 1Gv 1,ls; 5,11), è l’acqua viva (Gv 4,10ss), è il pane della vita (Gv 6,35.48), ossia è la vita personificata. Quindi Gesù può concedere la vita al mondo e in effetti la porta in abbondanza (Gv 10,10), come dona lo Spirito senza misura (Gv 3,34) e offre il vino della sua rivelazione salvifica in sovrabbondanza (Gv 2,6ss).
Il Verbo incarnato infatti è il buon Pastore che depone la sua vita per le sue pecore (Gv 10,11). Precedentemente il Maestro aveva già insinuato di essere il vero pastore, con un linguaggio alquanto oscuro e allusivo (Gv 10,2ss.7s). In questi passi il significato primo delle espressioni enigmatiche riguardava i pastori d’Israele, i quali per essere veri devono passare per la porta che è il Cristo.
Tuttavia anche qui possiamo trovare una chiara allusione al Verbo incarnato, il pastore escatologico del popolo di Dio. Que ti infatti conosce profondamente le sue pecore (Gv 10,3.14) e le conduce fuori dal recinto della sinagoga, mettendosi in testa al uo gregge, che lo segue docilmente (Gv 10,3s; 1,37ss). L’insinuazione che Gesù è il buon Pastore appare più chiaramente ancora nell’antitesi tra il ladro, che causa solo rovina, e il Verbo incarnato che porta vita e salvezza (Gv 10,10).
Questi passi, quindi, possono e debbono essere letti a un duplice livello.
Con la solenne proclamazione Io sono il buon Pastore! (Gv 10,11), il Maestro chiarisce in modo inequivocabile le precedenti allusioni alla sua missione pastorale. Gesù è il vero pastore d’Israele, che realizza pienamente le promesse dell’AT (cf. Ger 3,15; 23,3s; Sal 23), tra le quali l’oracolo di Ez 34,1-25 ricopre un ruolo di primo piano. Anzi nel brano finale di questa pericope profetica, Dio promette il pastore escatologico della discendenza davidica, il Messia che regnerà su Israele (Ez 34,23ss).
È il Verbo incarnato questo pastore perfetto, perché non solo conduce il suo gregge ad acque tranquille e lo fa riposare in pascoli di erbe’ fresche, preparandogli una mensa abbondante ( Sal 23,ls.5), ma, per la salvezza delle sue pecore, giunge anche a privarsi della vita (Gv 10,10 ). Gesù dona la sua persona a favore del suo popolo; la sua carne è per la vita del mondo (Gv 6,51). Con l’epsressione deporre l’anima a favore di qualcuno è indicato il dono della vita, il sacrificio supremo di una persona per salvare un amicò.L’uso della preposizione «hypér», in riferimento al dono della vita (Gv 6,51; 10,11.15.17s; cf. Gv 11,50), insinua l’allusione alla morte redentrice di Cristo, come si può costatare nelle formule dell’istituzione dell’eucaristia (cf. Mc 14,24; Lc 22,19s; 1Cor 11,24).
Il verbo deporre («tithénai») in Gv 10,11.15.17s indica l’estrema libertà del Cristo nel sacrificare la sua persona a favore del suo gregge. Egli dispone pienamente della sua vita e può deporla come un vestito (cf. Gv 13,4), per riaverla a suo piacimento (Gv 10,18): egli è il Signore della vita e della morte.
Richard Gutzwiller (Meditazioni su Giovanni): La vittima. Il pastore dà la propria vita per le sue pecore. Cristo ha sacrificato agli uomini il suo tempo, le sue forze ed infine la sua vita. La vittima della croce si è immolata per tutti. Perciò S. Paolo scrive: «Mi ha amato e si è donato per me». Ciascuno di noi può e deve ripetere queste parole applicandole a se stesso, perché Cristo si è immolato personalmente per lui. Del pari, anche tutti coloro ai quali è stata affidata la salvezza altrui devono essere pronti a sacrificarsi per gli altri: il dono disinteressato di sé per gli altri è lo spirito di Cristo.
Per tutti. Non si tratta solo di un piccolo gregge, di pochi prescelti, previa abbandono o addirittura disprezzo degli altri. Il cristianesimo non è una società segreta: la chiamata è rivolta a tutti, la salvezza è fondamentalmente aperta a tutti. Nelle parole di Gesù c’è una sfumatura di inquietudine e di ansia: «Ed ho altre pecore, che non sono di quest’ovile; anche quelle bisogna che io guidi; e daranno ascolto alla mia voce, sicché si avrà un solo gregge ed un solo pastore». Pensa a tutti, conosce tutti, vuole difendere tutti e si immola per tutti. Su quest’affermazione si profila l’universalità del regno di Dio.
La figura del «pastor bonus» ha una grande importanza soprattutto per coloro che sono detti «pastores ecclesiae». Proprio oggi, nell’epoca della partecipazione dei laici al lavoro apostolico, essa assume per tutti un significate che non è puramente passivo, consistente cioè nella coscienza di sentirsi protetti da Cristo, ma è anche attivo, ossia ci mostra il compito e la responsabilità che abbiamo nei confronti degli altri.
San Giuseppe figura degli apostoli: “In seguito, morto Erode, Giuseppe è avvertito da un angelo di riportarsi in Giudea con il bambino e sua madre. Nel far ritorno, avendo appreso che il figlio di Erode, Archelao, era re, ebbe paura di andarvi, e venne ancora avvertito da un angelo di passare in Galilea e di fissare la sua dimora in una cittadina di quella regione, Nazareth [cfr. Mt 2,22-23]. Così, egli riceve avviso di far ritorno in Giudea e, ritornato, ha paura. E, ricevuto nuovo avviso in sogno, ha l’ordine di recarsi in paese di pagani. Tuttavia, non avrebbe dovuto aver paura, dal momento che aveva ricevuto un avvertimento, oppure l’avvertimento che in seguito sarebbe stato modificato non avrebbe dovuto essere apportato da un angelo. Ma è stata osservata una ragione tipologica. Giuseppe è figura degli apostoli, ai quali è stato affidato Cristo per essere portato dovunque. Siccome Erode passava per morto, cioè il suo popolo si era perduto in occasione della Passione del Signore, essi hanno ricevuto il comando di predicare ai Giudei. Erano infatti stati inviati alle pecore perdute della casa d’Israele [cfr. Mt 15,24], ma, permanendo il dominio dell’incredulità ereditaria, essi temono e si ritirano. Avvertiti da un sogno, ovvero contemplando nei pagani il dono dello Spirito Santo [cfr. Gl 2,28-31], portano Cristo a questi ultimi, pur essendo stato inviato alla Giudea, chiamato però vita e salvezza dei pagani” (Ilario di Poitiers, In Matth., 2, 1).
Il Santo del Giorno - 1 Maggio 2023 - Giuseppe lavoratore. Il lavoro, partecipazione all’opera della salvezza - Il lavoro di San Giuseppe «ci ricorda che Dio stesso fatto uomo non ha disdegnato di lavorare. La perdita del lavoro che colpisce tanti fratelli e sorelle, e che è aumentata negli ultimi tempi a causa della pandemia di Covid-19, dev’essere un richiamo a rivedere le nostre priorità». Oggi non si può celebrare la memoria di san Giuseppe lavoratore senza tornare alle parole di papa Francesco nella lettera apostolica «Patris corde», dedicata proprio allo sposo di Maria. Un carisma, quello di san Giuseppe, che si riassume nella capacità di essere «custode» di un tesoro prezioso, perché, spiega ancora il Papa, egli ci insegna che il lavoro è «partecipazione all’opera stessa della salvezza, occasione per affrettare l’avvento del Regno, sviluppare le proprie potenzialità e qualità, mettendole al servizio della società e della comunione». La memoria liturgica odierna fu istituita nel 1955 da Pio XII proprio per testimoniare l’importanza del lavoro nella visione cristiana. (Matteo Liut)
O Signore, che ci hai nutriti con il pane del cielo,
fa’ che, sull’esempio di san Giuseppe,
conserviamo nei nostri cuori la memoria del tuo amore,
per godere il frutto della pace senza fine.
Per Cristo nostro Signore.