1 Agosto 2020
Sant’Alfonso Maria De’ Liguori
Vescovo e Dottore della Chiesa
Ger 26,11-16.24; Sal 68 (69); Mt 14,1-12
Dal Martirologio: Memoria di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, vescovo e dottore della Chiesa, che rifulse per la sua premura per le anime, i suoi scritti, la sua parola e il suo esempio. Al fine di promuovere la vita cristiana nel popolo, si impegnò nella predicazione e scrisse libri, specialmente di morale, disciplina in cui è ritenuto un maestro, e, sia pure tra molti ostacoli, istituì la Congregazione del Santissimo Redentore per l’evangelizzazione dei semplici.
Eletto vescovo di Sant’Agata dei Goti, si impegnò oltremodo in questo ministero, che dovette lasciare quindici anni più tardi per il sopraggiungere di gravi malattie. Passò, quindi, il resto della sua vita a Nocera dei Pagani in Campania, tra grandi sacrifici e difficoltà.
Colletta: O Dio, che proponi alla tua Chiesa modelli sempre nuovi di vita cristiana, fa’ che imitiamo l’ardore apostolico del santo vescovo Alfonso Maria de’ Liguori nel servizio dei fratelli, per ricevere con lui il premio riservato ai tuoi servi fedeli. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
Benedetto XVI (Udienza Generale 1 Agosto 2012): L’odierna ricorrenza ci offre l’occasione di soffermarci sugli insegnamenti di sant’Alfonso riguardo alla preghiera, quanto mai preziosi e pieni di afflato spirituale. Risale all’anno 1759 il suo trattato Del gran mezzo della Preghiera, che egli considerava il più utile tra tutti i suoi scritti. Infatti, descrive la preghiera come «il mezzo necessario e sicuro per ottenere la salvezza e tutte le grazie di cui abbiamo bisogno per conseguirla» (Introduzione). In questa frase è sintetizzato il modo alfonsiano di intendere la preghiera.
Innanzitutto, dicendo che è un mezzo, ci richiama al fine da raggiungere: Dio ha creato per amore, per poterci donare la vita in pienezza; ma questa meta, questa vita in pienezza, a causa del peccato si è, per così dire, allontanata - lo sappiamo tutti - e solo la grazia di Dio la può rendere accessibile. Per spiegare questa verità basilare e far capire con immediatezza come sia reale per l’uomo il rischio di «perdersi», sant’Alfonso aveva coniato una famosa massima, molto elementare, che dice: «Chi prega si salva, chi non prega si danna!». A commento di tale frase lapidaria, aggiungeva: «Il salvarsi insomma senza pregare è difficilissimo, anzi impossibile … ma pregando il salvarsi è cosa sicura e facilissima» (II, Conclusione). E ancora egli dice: «Se non preghiamo, per noi non v’è scusa, perché la grazia di pregare è data ad ognuno … se non ci salveremo, tutta la colpa sarà nostra, perché non avremo pregato» (ibid.). Dicendo quindi che la preghiera è un mezzo necessario, sant’Alfonso voleva far comprendere che in ogni situazione della vita non si può fare a meno di pregare, specie nel momento della prova e nelle difficoltà. Sempre dobbiamo bussare con fiducia alla porta del Signore, sapendo che in tutto Egli si prende cura dei suoi figli, di noi. Per questo, siamo invitati a non temere di ricorrere a Lui e di presentargli con fiducia le nostre richieste, nella certezza di ottenere ciò di cui abbiamo bisogno.
Il re Erode, tristemente debole nella carne e nella volontà, soggiace ai perversi desideri della regina Erodiade. All’adulterio si assomma il delitto, pianificato e portato a compimento con freddezza e determinazione. Un innocente cade sotto i colpi della mannaia, un debole è vinto dalla danza sensuale di una fanciulla spudorata, un’adultera ciecamente seguita a percorrere un cammino di perversione. Nel mondo il sangue innocente continua ad essere versato dai malvagi, il peccato e il male continuano a dilagare sulla terra ad opera degli empi: “Quel che è stato sarà e quel che si è fatto si rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole. C’è forse qualcosa di cui si possa dire: “Ecco, questa è una novità”? Proprio questa è già avvenuta nei secoli che ci hanno preceduto” (Qo 1,9-10).
Dal Vangelo secondo Matteo 14,1-12: In quel tempo al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Gesù. Egli disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista. È risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi!». Erode infatti aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo. Giovanni infatti gli diceva: «Non ti è lecito tenerla con te!». Erode, benché volesse farlo morire, ebbe paura della folla perché lo considerava un profeta. Quando fu il compleanno di Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle quello che avesse chiesto. Ella, istigata da sua madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re si rattristò, ma a motivo del giuramento e dei commensali ordinò che le venisse data e mandò a decapitare Giovanni nella prigione. La sua testa venne portata su un vassoio, fu data alla fanciulla e lei la portò a sua madre. I suoi discepoli si presentarono a prendere il cadavere, lo seppellirono e andarono a informare Gesù.
Opinione di Erode su Gesù (14,1-2) - Angelico Poppi (Sinossi e Commento Esegetico-Spirituale dei Quattro Vangeli)): Gesù, il profeta incompreso “nella sua patria” sarà perseguitato e assassinato come il Battista, eliminato da Erode Antipa per avergli rimproverato l’unione incestuosa con la moglie del fratellastro Filippo. Il tetrarca, che risiedeva a Tiberiade e governava la Galilea e la Perea, incominciò a interessarsi di Gesù. In Matteo e Marco appare un uomo superstizioso, che considerava Gesù il Battista redivivo. Nel contesto di Matteo, dove questo passo è inserito dopo il rifiuto dei nazaretani, l’attenzione sospettosa di Antipa suggerisce che stava verificandosi una situazione di pericolo anche per Gesù.
L’episodio funge da transizione al racconto della morte del Battista. La fine drammatica del Precursore, anche se storicamente avvenne in antecedenza (come appare da Marco che la colloca subito dopo la missione dei Dodici), qui è collegata con l’episodio del rifiuto di Gesù a Nazaret, quale prefigurazione della mede ima orte tragica per lui.
Morte di Giovanni Battista (14,3-12) - Anche Matteo narra questo avvenimento in forma retrospettiva, per indicare il pericolo che incombeva pure su Gesù da parte dell’impudico tetrarca. L’ evangelista attribuisce a Erode Antipa l’intenzione di uccidere il Battista (v. 5). Invece Marco addossa la responsabilità dell’omicidio alla moglie Erodiade, che odiava mortalmente il Precursore. Si noti però come anche Matteo presenti il tetrarca “rattristato” (v. 9) per l’imbroglio in cui si era cacciato con la promessa di donare alla figlia di Erodiade quello che avesse richiesto (v. 7).
Matteo ha semplificato il racconto di Marco, molto più dettagliato, per sottolineare la valenza cristologica dell’avvenimento. Lo redige come un resoconto di martirio, la sorte comune riservata ai profeti.
v. 5 È interessante questa notazione: Erode aveva timore di uccidere il Battista, perché le folle “lo consideravano come un profeta”. È evidente il richiamo al detto pronunciato da Gesù a Nazaret, con il quale si attribuiva il titolo di “profeta disprezzato” nella sua patria (l3,57c). Matteo stabilisce uno stretto parallelismo tra Gesù e il Battista, entrambi “profeti” perseguitati.
v.12 I discepoli di Giovanni, dopo avergli data sepoltura, andarono a “riferirlo a Gesù”. Questa aggiunta in Matteo è significativa. Le vicende del Battista assumono il significato simbolico di profezie in azione, in riferimento alla persona e all’opera di Gesù. Tutta la vita del Precursore appare così intrecciata con quella del Cristo e orientata a prefigurare il significato della sua missione e della sua morte. Inoltre, tale annotazione indica il buon rapporto esistente tra i cristiani e i giovanniti, anche se costoro restavano ancora legati al passato, n n aderendo pienamente al Vangelo (cf. At 18,24-19,7).
La missione della Chiesa - Dignitatis humanae 14: La Chiesa cattolica per obbedire al divino mandato: « Istruite tutte le genti (Mt 28,19), è tenuta ad operare instancabilmente «affinché la parola di Dio corra e sia glorificata» (2Ts 3,1). La Chiesa esorta quindi ardentemente i suoi figli affinché « anzitutto si facciano suppliche, orazioni, voti, ringraziamenti per tutti gli uomini... Ciò infatti è bene e gradito al cospetto del Salvatore e Dio nostro, il quale vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità» (1Tm 2, 1-4).
I cristiani, però, nella formazione della loro coscienza, devono considerare diligentemente la dottrina sacra e certa della Chiesa. Infatti per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità e sua missione è di annunziare e di insegnare autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare autoritativamente i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana. Inoltre i cristiani, comportandosi sapientemente con coloro che non hanno la fede, s’adoperino a diffondere la luce della vita con ogni fiducia e con fortezza apostolica, fino all’effusione del sangue, « nello Spirito Santo, con la carità non simulata, con la parola di verità» (2 Cor 6,6-7).
Infatti il discepolo ha verso Cristo Maestro il dovere grave di conoscere sempre meglio la verità da lui ricevuta, di annunciarla fedelmente e di difenderla con fierezza, non utilizzando mai mezzi contrari allo spirito evangelico. Nello stesso tempo, però, la carità di Cristo lo spinge a trattare con amore, con prudenza e con pazienza gli esseri umani che sono nell’errore o nell’ignoranza circa la fede. Si deve quindi aver riguardo sia ai doveri verso Cristo, il Verbo vivificante che deve essere annunciato, sia ai diritti della persona umana, sia alla misura secondo la quale Dio attraverso il Cristo distribuisce la sua grazia agli esseri umani che vengono invitati ad accettare e a professare la fede liberamente.
L’uomo è capace con un colpo di mannaia a mettere fine a un sogno di un uomo giusto, ma non può fermare i “sogni di Dio”. Dio “sogna” un uomo libero dal peccato, affrancato dalla morte, e il “sogno”, un giorno, si è “fatto carne” in Cristo Gesù: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Ma l’uomo, molto abile nel perseverare nel male e nell’empietà, sarà capace di intrufolarsi, con tutta la sua malvagità, anche in questa vicenda di amore, l’Incarnazione del Figlio di Dio. L’uomo se è stato capace per una ballerina decapitare un innocente, per perversi obiettivi sarà capace di mandare a morte il Figlio di Dio. Nella morte di Giovanni Battista si è dispiegata la malvagità e la gelosia di una donna, pur sempre disonesta anche se nella società occupava l’alto rango di regina; nella morte del Giusto scendono in campo l’albagia, l’oscurità mentale di poveri uomini che si proclamavano uomini liberi e invece erano schiavi della loro ottusità, e peggio ancora della spada romana. Come Erodiade fa ricorso a una giovinetta facendola danzare spudoratamente dinanzi al re, debole di carattere e di carne davanti a certi spettacoli, così il Sinedrio farà ricorso alla pavidità di un procuratore romano interessato soltanto a conservare la seggiola del potere che l’imperatore gli aveva conferito. Due storie che per il sangue versato si intrecciano, mettono a nudo la malvagità e la cecità dell’uomo, dall’altra mettono in luce, assai chiara, l’amore di Dio, la sua pazienza nel perseverare nel suo progetto di salvezza. L’uomo è uscito dalle sue mani, è sua fattura, l’ha fatto a sua immagine è somiglianza; è vero, è diventato cattivo e perverso, ma Dio sa che nel cuore dell’uomo, nel cuore di Erode, di Erodiade, dei Sinedriti, e ancora oggi li incontriamo sulla nostra strada, pur sempre brilla una “luce tutta divina” che nessuna tenebra potrà mai oscurare, e questa luce è la carità che Dio ha infuso nel cuore dell’uomo per mezzo dello Spirito Santo (Rm 5,5). E per questo “continua a sognare”!
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Cari amici, sant’Alfonso ci ricorda che il rapporto con Dio è essenziale nella nostra vita. Senza il rapporto con Dio manca la relazione fondamentale e la relazione con Dio si realizza nel parlare con Dio, nella preghiera personale quotidiana e con la partecipazione ai Sacramenti, e così questa relazione può crescere in noi, può crescere in noi la presenza divina che indirizza il nostro cammino, lo illumina e lo rende sicuro e sereno, anche in mezzo a difficoltà e pericoli” (Benedetto XVI Udienza Generale 1 Agosto 2012).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
O Dio, che nel vescovo sant’Alfonso Maria de’ Liguori
hai dato alla tua Chiesa un fedele ministro e apostolo dell’Eucaristia,
concedi al tuo popolo di partecipare assiduamente a questo mistero,
per cantare in eterno la tua lode.
Per Cristo nostro Signore.
hai dato alla tua Chiesa un fedele ministro e apostolo dell’Eucaristia,
concedi al tuo popolo di partecipare assiduamente a questo mistero,
per cantare in eterno la tua lode.
Per Cristo nostro Signore.