Venerdì 1 Gennaio 2021

Maria Santissima Madre di Dio, Solennità

 Nm 6,22-27; Salmo Responsoriale 66 [67]; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21

 

Dal Martirologio: Nell’ottava del Natale del Signore e nel giorno della sua Circoncisione, solennità della santa Madre di Dio, Maria: i Padri del Concilio di Efeso l’acclamarono Theotókos, perché da lei il Verbo prese la carne e il Figlio di Dio abitò in mezzo agli uomini, principe della pace, a cui fu dato il Nome che è al di sopra di ogni nome.

Colletta: Padre buono, che in Maria, vergine e madre, benedetta fra tutte le donne, hai stabilito la dimora del tuo Verbo fatto uomo tra noi, donaci il tuo Spirito, perché tutta la nostra vita nel segno della tua benedizione si renda disponibile ad accogliere il tuo dono. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio...

Benedetto XVI (Omelia 1 Gennaio 2011): Il brano del Vangelo di oggi termina con l’imposizione del nome di Gesù, mentre Maria partecipa in silenzio, meditando nel cuore, al mistero di questo suo Figlio, che in modo del tutto singolare è dono di Dio. Ma la pericope evangelica che abbiamo ascoltato mette in particolare evidenza i pastori, che se ne tornarono “glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto” (Lc 2,20). L’angelo aveva annunciato loro che nella città di Davide, cioè Betlemme, era nato il Salvatore e che avrebbero trovato il segno: un bambino avvolto in fasce dentro una mangiatoia (cfr Lc 2,11-12). Partiti in fretta, essi avevano trovato Maria e Giuseppe e il Bambino. Notiamo come l’Evangelista parli della maternità di Maria a partire dal Figlio, da quel “bambino avvolto in fasce”, perché è Lui – il Verbo di Dio (Gv 1,14) – il punto di riferimento, il centro dell’evento che si sta compiendo ed è Lui a far sì che la maternità di Maria sia qualificata come “divina”.
Questa attenzione prevalente che le letture odierne dedicano al “Figlio”, a Gesù, non riduce il ruolo della Madre, anzi, la colloca nella giusta prospettiva: Maria, infatti, è vera Madre di Dio proprio in virtù della sua totale relazione a Cristo. Pertanto, glorificando il Figlio si onora la Madre e onorando la Madre si glorifica il Figlio. Il titolo di “Madre di Dio”, che oggi la liturgia pone in risalto, sottolinea la missione unica della Vergine Santa nella storia della salvezza: missione che sta alla base del culto e della devozione che il popolo cristiano le riserva. Maria infatti non ha ricevuto il dono di Dio solo per se stessa, ma per recarlo nel mondo: nella sua verginità feconda, Dio ha donato agli uomini i beni della salvezza eterna (cfr Colletta). E Maria offre continuamente la sua mediazione al Popolo di Dio peregrinante nella storia verso l’eternità, come un tempo la offrì ai pastori di Betlemme. Ella, che ha dato la vita terrena al Figlio di Dio, continua a donare agli uomini la vita divina, che è Gesù stesso e il suo Santo Spirito. Per questo viene considerata madre di ogni uomo che nasce alla Grazia e insieme è invocata come Madre della Chiesa.

I Lettura: Ti benedica il Signore e ti custodisca: la preghiera sacerdotale ricordata dal libro dei Numeri trova ricchezza e compimento nel nome di Gesù: nel mistero del Dio umanato, e nella sua dolcezza, tutti gli uomini saranno benedetti da Dio. In Gesù ogni uomo ha trovato grazia e salvezza.

Salmo: Atanasio: “Questo salmo annuncia che il Verbo di Dio si manifesterà tra gli uomini. Il profeta prega per affrettare l’incarnazione che porterà tutte le benedizioni messianiche e soprattutto la conoscenza di Dio. Cita Gv 14,9: Chi vede me, vede il Padre, e aggiunge che, chiedendo la manifestazione del volto, chiede di vedere Dio faccia a faccia”

II Lettura: Quando venne la pienezza del tempo: questa espressione designa la venuta dei tempi messianici o escatologici, che colmano la lunga attesa dei secoli come una misura finalmente piena. Inoltre, in modo mirabile, Paolo mette in risalto “i due aspetti, negativo e positivo della redenzione: divenendo figlio, lo schiavo acquista la libertà. Lo schiavo liberato è adottato come figlio, non solamente per l’accesso legale all’eredità, ma con il dono reale della vita divina, nella quale le tre Persone sono associate” (Bibbia di Gerusalemme).

Vangelo: I pastori entrano nella grotta e vedono tutto ciò che era stato loro annunciato dall’angelo e, colmi di gioia, trasmettono il messaggio angelico, udendolo la gente si meraviglia, come si erano meravigliati i parenti di Zaccaria così si meraviglieranno il padre e la madre di Gesù.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo, come per Giovanni, il nome era già stato indicato dall’angelo, prima del concepimento. Nella concezione semitica il nome non serve solo come denominazione di un uomo, ma si identifica con la sua stessa persona (1Sam 25,25).
Gesù, un nome “voluto da Dio ricco di significato [Mt 1,21 lo spiega], ma soprattutto carico di destino. Un nome che sintetizza bene il valore della persona che lo porta, che rinchiude in sé l’oggetto del vangelo: la salvezza” (Carlo Ghidelli, Vangelo secondo Luca).
 
Dal Vangelo secondo Luca 2,16-21: In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Maria poi serbava tutte queste cose...; lo stesso concetto ritorna al vers. 51. Il racconto descrive due sentimenti ponendoli l’uno accanto all’altro, cioè: l’ammirazione di quelli che hanno ascoltato i fatti riferiti dai pastori e la riflessione profonda e penetrante che Maria compiva sugli eventi visti e ascoltati. Il rapporto tra gli atteggiamenti psicologici di questi due tipi di personaggi (coloro che hanno ascoltato i racconti riferiti dai pastori e Maria) fa anche emergere la loro differenza; da una parte infatti si ha una ammirazione fugace e di superficie (ἐδαύμασαν = aoristo che indica un’azione transeunte o azione puntiforme), dall’altra vi è una riflessione prolungata (συνετήρει = imperfetto che designa un’azione iterata, duratura, cioè un’azione lineare). Questa precisione stilistica mette a punto una finezza psicologica: i sentimenti di quelli che hanno ascoltato i pastori presentano una proprietà avventizia, occasionale; i sentimenti invece di Maria hanno un carattere prolungato ed abituale. Il verbo συντερέω può essere tradotto con «conservare» ed anche «osservare», perché suppone il verbo ebraico shamar (aramaico: natar) che ha questi due sensi. E le meditava in cuor suo; il greco ha il participio συμβάλλουσα ([le] meditava) che determina ulteriormente l’imperfetto precedente del testo (serbava). La frase usata da Luca più che designare una doppia azione psicologica (serbava e meditava) indica un’attività intellettuale intensa, quindi in essa più che uno sdoppiamento di azione bisogna vedere un’intensità o profondità di un unico atto della mente. «Tutte queste cose» (fatti visti e parole udite) intorno al piccolo Gesù sono state conservate o osservate con interesse ed attenzione da Maria, vale a dire: la madre di Cristo le ha profondamente meditate. Questa intensa attività dello spirito è stata indicata con il participio συμβάλλουσα, verbo proprio del vocabolario di Luca, che designa una riflessione profonda su un problema importante e di difficile soluzione (cf. Lc., 14, 31; Atti, 4, 15). «In cuor suo», cioè: nel suo intimo; l’evangelista con questo rilievo indica che la «meditazione» di Maria aveva carattere religioso, essa cioè consisteva in una riflessione intima sul senso religioso dei fatti; l’espressione quindi «in cuor suo» non indica propriamente la facoltà che compiva tale meditazione (il cuore, secondo la psicologia ebraica, era la sede del pensiero), ma la religiosità con la quale Maria considerava gli eventi. L’osservazione dell’evangelista, oltre la sua importanza storica, poiché accenna velatamente alla fonte da cui provengono, almeno in parte, le notizie del vangelo dell’infanzia, ha un valore dottrinale notevole. Essa infatti puntualizza un aspetto della personalità della madre di Gesù; Maria è presentata come un’anima riflessiva, desiderosa di maggiori approfondimenti (cf. Lc., 1, 29; 2, 51); ella è una fervida ebrea che ama meditare sulla Scrittura per comprendere meglio, nella luce di essa, i fatti di cui è protagonista o spettatrice. Israele ha conosciuto gruppi di persone ferventi che meditavano sulla Scrittura e sugli eventi della storia per scoprirne le mutue relazioni ed i misteriosi richiami. Ampie parti dell’Antico Testamento documentano abbondantemente, con le composizioni a carattere rievocativo ed antologico, l’esistenza di questo genere di meditazione religiosa praticata da quei «saggi» di cui non pochi hanno lasciato in vari salmi e in lunghe sezioni dei libri sapienziali il dolce frutto di questa loro riflessione interamente ispirata dalla loro vibrante pietà, dal loro vivo attaccamento alla storia ed alla religione. Nel vangelo dell’infanzia (Lc., 1-2), penetrato da questa riflessione religiosa, si rileva che Maria ama approfondire il significato religioso delle cose (cf. Lc., 1, 29; 2, 19, 51) e scoprire il nesso che li congiunge con le affermazioni della Scrittura. Il Magnificat rappresenta una chiara conferma dei rilievi compiuti; questo cantico infatti, che è un richiamo continuo di passi biblici, attesta che la Madre di Gesù non soltanto conosce l’Antico Testamento, ma che ella ne vede anche la perfetta consonanza con gli avvenimenti della sua vita. Da questo modo di presentare i fatti si deduce che Maria, nel pensiero dell’evangelista, non è soltanto una protagonista ed una spettatrice degli eventi, ma che ella ne è anche la prima coordinatrice, poiché proprio la Madre di Gesù è la persona, la quale, con una penetrante riflessione religiosa, scorge questi fatti nella luce del Vecchio Testamento considerandoli come la realizzazione delle promesse e dell’economia divina antecedenti alla venuta del Messia. Di queste riflessioni religiose di cui Maria è stata l’iniziatrice il vangelo dell’infanzia rappresenta l’ultimo e definitivo sviluppo (cf. R. Laurentin, o. c., p. 99-100).
 
Maternità divina - Catechismo degli Adulti 773-774: Fin dalle origini la dignità della divina maternità ha attirato l’attenzione e lo stupore della Chiesa. L’evangelista Luca onora Maria come la Madre del Signore, tenda della divina presenza, arca della nuova alleanza. I cristiani cominciano presto a invocarla come Madre di Dio. Lo attesta già una bella preghiera del III secolo: «Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta». Più tardi, nel 431, il concilio di Efeso definisce che Maria è Madre di Dio. Ovviamente con ciò non intende affermare che Maria è stata principio della divinità, cosa evidentemente assurda; ma che ha generato nella sua umanità il Figlio eterno, che è vero Dio e veramente è diventato uomo.
Per ogni donna la maternità comporta un legame personale permanente con il figlio. La maternità di Maria integra questa dimensione umana ordinaria in una comunione con Dio senza pari. Il Padre celeste le comunica lo Spirito di infinita tenerezza, con cui egli si compiace del Figlio generandolo nell’eternità; la fa partecipare alla propria fecondità perché il Figlio nasca anche nella storia, come uomo e come primogenito di molti fratelli. Madre di Dio è «il nome proprio dell’unione con Dio, concessa a Maria Vergine», «che realizza nel modo più eminente la predestinazione soprannaturale... elargita a ogni uomo». Maria vive questa grazia singolarissima con atteggiamento di accoglienza grata, amante e adorante, in modo simile a tutti i credenti, ma con una radicalità e pienezza inaudita. Questo è il suo modo di ricevere la Parola e di partecipare alla vita divina. Allo stesso tempo è il modo più sublime di attuare la femminilità, come accoglienza e donazione di vita.
«Vergine Madre di Dio, colui che il mondo non può contenere facendosi uomo si chiuse nel tuo grembo
 
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio. (II Lettura)
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
 
I sacramenti ricevuti con gioia, o Signore,
conducano alla vita eterna noi
che ci gloriamo di riconoscere la beata sempre Vergine Maria
Madre del tuo Figlio e Madre della Chiesa.
Per Cristo nostro Signore.

1 Gennaio 2021

 Maria Santissima Madre di Dio

La solennità di Maria SS. Madre di Dio è la prima festa mariana comparsa nella Chiesa occidentale. Originariamente la festa rimpiazzava l’uso pagano delle “strenae” (strenne), i cui riti contrastavano con la santità delle celebrazioni cristiane. Il “Natale Sanctae Mariae” cominciò ad essere celebrato a Roma intorno al VI secolo, probabilmente in concomitanza con la dedicazione di una delle prime chiese mariane di Roma: S. Maria Antiqua al Foro romano, a sud del tempio dei Castori.  La liturgia veniva ricollegata a quella del Natale e il primo gennaio fu chiamato “in octava Domini”: in ricordo del rito compiuto otto giorni dopo la nascita di Gesù, veniva proclamato il vangelo della circoncisione, che dava nome anch’essa alla festa che inaugurava l’anno nuovo. La recente riforma del calendario ha riportato al 1° gennaio la festa della maternità divina, che dal 1931 veniva celebrata l’11 ottobre, a ricordo del concilio di Efeso (431), che aveva sancìto solennemente una verità tanto cara al popolo cristiano: Maria è vera Madre di Cristo, che è vero Figlio di Dio. Nestorio aveva osato dichiarare: “Dio ha dunque una madre? Allora non condanniamo la mitologia greca, che attribuisce una madre agli dèi”; S. Cirillo di Alessandria però aveva replicato: “Si dirà: la Vergine è madre della divinità? Al che noi rispondiamo: il Verbo vivente, sussistente, è stato generato dalla sostanza medesima di Dio Padre, esiste da tutta l’eternità... Ma nel tempo egli si è fatto carne, perciò si può dire che è nato da donna”. Gesù, Figlio di Dio, è nato da Maria. È da questa eccelsa ed esclusiva prerogativa che derivano alla Vergine tutti i titoli di onore che le attribuiamo, anche se possiamo fare tra la santità personale di Maria e la sua maternità divina una distinzione suggerita da Cristo stesso: “Una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!”. Ma egli disse: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” (Lc 11,27s). In realtà, “Maria, figlia di Adamo, acconsentendo alla parola divina, diventò madre di Gesù e, abbracciando con tutto l’animo e senza peso alcuno di peccato la volontà salvifica di Dio, consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, servendo al mistero della redenzione sotto di Lui e con Lui, con la grazia di Dio onnipotente” (Lumen Gentium, 56).                 Autore: Piero Bargellini
 

Alla scuola di Maria però possiamo cogliere con il cuore quello che gli occhi e la mente non riescono da soli a percepire, né possono contenere: Benedetto XVI (Omelia 1 gennaio 2008)

Cari fratelli e sorelle!

Iniziamo quest’oggi un nuovo anno e ci prende per mano la speranza cristiana; lo iniziamo invocando su di esso la benedizione divina ed implorando, per intercessione di Maria, Madre di Dio, il dono della pace: per le nostre famiglie, per le nostre città, per il mondo intero. Con questo auspicio saluto tutti voi qui presenti ad iniziare dagli illustri Ambasciatori del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, convenuti a questa celebrazione in occasione della Giornata Mondiale della Pace. Saluto il Cardinale Tarcisio Bertone, mio Segretario di Stato, il Cardinale Renato Raffaele Martino e tutti i componenti del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Ad essi sono particolarmente grato per il loro impegno nel diffondere il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, che quest’anno ha come tema: “Famiglia umana, comunità di pace”.
La pace. Nella prima Lettura, tratta dal Libro dei Numeri, abbiamo ascoltato l’invocazione: “Il Signore ti conceda pace” (6,26); il Signore doni pace a ciascuno di voi, alle vostre famiglie, al mondo intero. Tutti aspiriamo a vivere nella pace, ma la pace vera, quella annunciata dagli angeli nella notte di Natale, non è semplice conquista dell’uomo o frutto di accordi politici; è innanzitutto dono divino da implorare costantemente e, allo stesso tempo, impegno da portare avanti con pazienza restando sempre docili ai comandi del Signore. Quest’anno, nel Messaggio per l’odierna Giornata Mondiale della Pace, ho voluto porre in luce lo stretto rapporto che esiste tra la famiglia e la costruzione della pace nel mondo. La famiglia naturale, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, è “culla della vita e dell’amore” e “la prima e insostituibile educatrice alla pace”. Proprio per questo la famiglia è “la principale ‘agenzia’ di pace” e “la negazione o anche la restrizione dei diritti della famiglia, oscurando la verità dell’uomo, minaccia gli stessi fondamenti della pace” (cfr nn. 1-5). Poiché poi l’umanità è una “grande famiglia”, se vuole vivere in pace non può non ispirarsi a quei valori sui quali si fonda e si regge la comunità familiare. La provvidenziale coincidenza di varie ricorrenze ci sprona quest’anno ad uno sforzo ancor più sentito per realizzare la pace nel mondo. Sessant’anni or sono, nel 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite rese pubblica la “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”; quarant’anni fa il mio venerato Predecessore Paolo VI celebrò la prima Giornata Mondiale della Pace; quest’anno inoltre ricorderemo il 25° anniversario dell’adozione da parte della Santa Sede della “Carta dei diritti della famiglia”. “Alla luce di queste significative ricorrenze - riprendo qui quanto ho scritto proprio a conclusione del Messaggio - invito ogni uomo e ogni donna a prendere più lucida consapevolezza della comune appartenenza all’unica famiglia umana e ad impegnarsi perché la convivenza sulla terra rispecchi sempre più questa convinzione da cui dipende l’instaurazione di una pace vera e duratura”.
Il nostro pensiero si volge ora naturalmente alla Madonna, che oggi invochiamo come Madre di Dio. Fu il Papa Paolo VI a trasferire al primo gennaio la festa della Divina Maternità di Maria, che un tempo cadeva l’11 di ottobre. Prima infatti della riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II, nel primo giorno dell’anno si celebrava la memoria della circoncisione di Gesù nell’ottavo giorno dopo la sua nascita - come segno della sottomissione alla legge, il suo inserimento ufficiale nel popolo eletto - e la domenica seguente si celebrava la festa del nome di Gesù. Di queste ricorrenze scorgiamo qualche traccia nella pagina evangelica che è stata poco fa proclamata, in cui san Luca riferisce che otto giorni dopo la nascita il Bambino venne circonciso e gli fu posto il nome di Gesù, “come era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre” (Lc 2,21). Quella odierna pertanto, oltre che essere una quanto mai significativa festa mariana, conserva pure un contenuto fortemente cristologico, perché, potremmo dire, prima della Madre, riguarda proprio il Figlio, Gesù vero Dio e vero Uomo.
Al mistero della divina maternità di Maria, la Theotokos, fa riferimento l’apostolo Paolo nella Lettera ai Galati. “Quando venne la pienezza del tempo, - egli scrive - Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge” (4,4). In poche parole troviamo sintetizzati il mistero dell’incarnazione del Verbo eterno e la divina maternità di Maria: il grande privilegio della Vergine sta proprio nell’essere Madre del Figlio che è Dio. A otto giorni dal Natale trova pertanto la sua più logica e giusta collocazione questa festa mariana. Infatti, nella notte di Betlemme, quando “diede alla luce il suo figlio primogenito” (Lc 2,7), si compirono le profezie concernenti il Messia. “Una Vergine concepirà e partorirà un figlio”, aveva preannunciato Isaia (7,14); “ecco concepirai nel seno e partorirai un figlio”, disse a Maria l’angelo Gabriele (Lc 1,31); e ancora un angelo del Signore - narra l’evangelista Matteo -, apparendo in sogno a Giuseppe, lo rassicurò dicendogli: “non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quello che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio” (Mt 1,20-21).
Il titolo di Madre di Dio è il fondamento di tutti gli altri titoli con cui la Madonna è stata venerata e continua ad essere invocata di generazione in generazione, in Oriente e in Occidente. Al mistero della sua divina maternità fanno riferimento tanti inni e tante preghiere della tradizione cristiana, come ad esempio un’antifona mariana del tempo natalizio, l’Alma Redemptoris mater con la quale così preghiamo: “Tu quae genuisti, natura mirante, tuum sanctum Genitorem, Virgo prius ac posterius - Tu, nello stupore di tutto il creato, hai generato il tuo Creatore, Madre sempre vergine”. Cari fratelli e sorelle, contempliamo quest’oggi Maria, madre sempre vergine del Figlio unigenito del Padre; impariamo da Lei ad accogliere il Bambino che per noi è nato a Betlemme. Se nel Bimbo nato da Lei riconosciamo il Figlio eterno di Dio e lo accogliamo come il nostro unico Salvatore, possiamo essere detti e lo siamo realmente figli di Dio: figli nel Figlio. Scrive l’Apostolo: “Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4,4).
L’evangelista Luca ripete più volte che la Madonna meditava silenziosa su questi eventi straordinari nei quali Iddio l’aveva coinvolta. Lo abbiamo ascoltato anche nel breve brano evangelico che quest’oggi la liturgia ci ripropone. “Maria serbava queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Il verbo greco usato “sumbállousa” letteralmente significa “mettere insieme” e fa pensare a un mistero grande da scoprire poco a poco. Il Bambino che vagisce nella mangiatoia, pur apparentemente simile a tutti i bimbi del mondo, è al tempo stesso del tutto differente: è il Figlio di Dio, è Dio, vero Dio e vero uomo. Questo mistero - l’incarnazione del Verbo e la divina maternità di Maria - è grande e certamente non facile da comprendere con la sola umana intelligenza.
Alla scuola di Maria però possiamo cogliere con il cuore quello che gli occhi e la mente non riescono da soli a percepire, né possono contenere. Si tratta, infatti, di un dono così grande che solo nella fede ci è dato accogliere pur senza tutto comprendere. Ed è proprio in questo cammino di fede che Maria ci viene incontro, ci è sostegno e guida. Lei è madre perché ha generato nella carne Gesù; lo è perché ha aderito totalmente alla volontà del Padre. Scrive sant’Agostino: “Di nessun valore sarebbe stata per lei la stessa divina maternità, se lei il Cristo non l’avesse portato nel cuore, con una sorte più fortunata di quando lo concepì nella carne” (De sancta Virginitate, 3,3). E nel suo cuore Maria continuò a conservare, a “mettere insieme” gli eventi successivi di cui sarà testimone e protagonista, sino alla morte in croce e alla risurrezione del suo Figlio Gesù.
Cari fratelli e sorelle, solo conservando nel cuore, mettendo cioè insieme e trovando un’unità di tutto ciò che viviamo, possiamo addentrarci, seguendo Maria, nel mistero di un Dio che per amore si è fatto uomo e ci chiama a seguirlo sulla strada dell’amore; amore da tradurre ogni giorno in un generoso servizio ai fratelli. Possa il nuovo anno, che oggi fiduciosi iniziamo, essere un tempo nel quale avanzare in quella conoscenza del cuore, che è la sapienza dei santi. Preghiamo perché, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura, il Signore “faccia brillare il suo volto” su di noi, ci “sia propizio” (cfr. Nm 6,24-7), e ci benedica. Possiamo esserne certi: se non ci stanchiamo di ricercare il suo volto, se non cediamo alla tentazione dello scoraggiamento e del dubbio, se pur fra le tante difficoltà che incontriamo restiamo sempre ancorati a Lui, sperimenteremo la potenza del suo amore e della sua misericordia. Il fragile Bambino che la Vergine quest’oggi mostra al mondo, ci renda operatori di pace, testimoni di Lui, Principe della pace. Amen!
 

Pratica: Come il Signore mi è propizio, così allevierò le pene e le sofferenze di chi giace nell’indigenza e nella povertà.

Preghiera: Padre buono, che in Maria, vergine e madre, benedetta fra tutte le donne, hai stabilito la dimora del tuo Verbo fatto uomo tra noi, donaci il tuo Spirito, perché tutta la nostra vita nel segno della tua benedizione si renda disponibile ad accogliere il tuo dono. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio...

 

 

 

 


 GIOVEDÌ 31 DICEMBRE 2020
 
SETTIMO GIORNO FRA L’OTTAVA DI NATALE
 
 1Gv 2,18-21; Sal 95 (96); Gv 1,1-18
 
Colletta: Dio onnipotente ed eterno, che nella nascita del tuo Figlio hai stabilito l’inizio e la pienezza della vera fede, accogli anche noi come membra del Cristo, che compendia in sé la salvezza del mondo. Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
Il Verbo si fece Carne: Benedetto XVI (Udienza Generale, 21 dicembre 2011): A noi credenti la celebrazione del Natale rinnova la certezza che Dio è realmente presente con noi, ancora “carne” e non solo lontano: pur essendo col Padre è vicino a noi. Dio, in quel Bambino nato a Betlemme, si è avvicinato all’uomo: noi Lo possiamo incontrare adesso, in un «oggi» che non ha tramonto. Vorrei insistere su questo punto, perché l’uomo contemporaneo, uomo del “sensibile”, dello sperimentabile empiricamente, fa sempre più fatica ad aprire gli orizzonti ed entrare nel mondo di Dio. La redenzione dell’umanità avviene certo in un momento preciso e identificabile della storia: nell’evento di Gesù di Nazaret; ma Gesù è il Figlio di Dio, è Dio stesso, che non solo ha parlato all’uomo, gli ha mostrato segni mirabili, lo ha guidato lungo tutta una storia di salvezza, ma si è fatto uomo e rimane uomo. L’Eterno è entrato nei limiti del tempo e dello spazio, per rendere possibile «oggi» l’incontro con Lui. I testi liturgici natalizi ci aiutano a capire che gli eventi della salvezza operata da Cristo sono sempre attuali, interessano ogni uomo e tutti gli uomini. Quando ascoltiamo o pronunciamo, nelle celebrazioni liturgiche, questo «oggi è nato per noi il Salvatore», non stiamo utilizzando una vuota espressione convenzionale, ma intendiamo che Dio ci offre «oggi», adesso, a me, ad ognuno di noi la possibilità di riconoscerlo e di accoglierlo, come fecero i pastori a Betlemme, perché Egli nasca anche nella nostra vita e la rinnovi, la illumini, la trasformi con la sua Grazia, con la sua Presenza. Il Natale, dunque, mentre commemora la nascita di Gesù nella carne, dalla Vergine Maria - e numerosi testi liturgici fanno rivivere ai nostri occhi questo o quell’episodio -, è un evento efficace per noi. Il Papa san Leone Magno, presentando il senso profondo della Festa del Natale, invitava i suoi fedeli con queste parole: «Esultiamo nel Signore, o miei cari, e apriamo il nostro cuore alla gioia più pura, perché è spuntato il giorno che per noi significa la nuova redenzione, l’antica preparazione, la felicità eterna. Si rinnova infatti per noi nel ricorrente ciclo annuale l’alto mistero della nostra salvezza, che, promesso all’inizio e accordato alla fine dei tempi, è destinato a durare senza fine» (Sermo 22In Nativitate Domini, 2,1: PL 54,193). E, sempre san Leone Magno, in un’altra delle sue Omelie natalizie, affermava: «Oggi l’autore del mondo è stato generato dal seno di una vergine: colui che aveva fatto tutte le cose si è fatto figlio di una donna da lui stesso creata. Oggi il Verbo di Dio è apparso rivestito di carne e, mentre mai era stato visibile a occhio umano, si è reso anche visibilmente palpabile. Oggi i pastori hanno appreso dalla voce degli angeli che era nato il Salvatore nella sostanza del nostro corpo e della nostra anima» (Sermo 26, In Nativitate Domini, 6,1: PL54,213)”. 
 
Nel brano giovanneo viene proclamata la natura del Cristo: egli é Dio, è la luce vera, che illumina ogni uomo. È lui che dà il potere di diventare figli di Dio. È lui l’unigenito che ci fa conoscere Dio. Egli ci permette persino di contemplare la sua gloria, lo splendore della sua presenza, che nessun ebreo poteva intravedere senza morirne. In sostanza, egli ci porta la vita stessa di Dio, la legge interiore scolpita nel cuore (Ger 31,31), legge che egli chiama «grazia e verità», non più soltanto «ombra» (Eb 10,1), qual era la legge esteriore di Mosé, scolpita sulla pietra. È l’Emmanuele, il Dio con noi che ha piantato la sua tenda in mezzo agli uomini, lui è il vero tempio nel quale risiede la pienezza della divinità e nel quale l’uomo può incontrare il Padre, conoscerlo, amarlo, adorarlo in spirito e verità.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni 1,1-18 In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio  ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.
   
Giovanni venne come testimone - La testimonianza del Battista dovrebbe suggerire ai credenti l’urgenza della testimonianza, un impegno perentorio che scaturisce dal dono del battesimo: «Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce» (1Pt 2,9).
I cristiani, a somiglianza del precursore del Messia, «devono essere i testimoni della parola e della persona di Gesù Cristo. La loro condotta quindi deve costituire una testimonianza vivente della rivelazione del Verbo incarnato. I credenti, nel mondo ostile al messaggio del Cristo, debbono partecipare alla lotta contro le tenebre, caratterizzate dall’incredulità, dall’odio, dalla violenza e dall’egoismo, lasciandosi penetrare sempre più dalla luce del Verbo incarnato, dalla sua parola e dalla sua persona, rendendo in tal modo al Figlio di Dio la testimonianza di una vita impregnata di amore e di fede» (S. A. PANIMOLLE, Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni).
Nella mirabile opera missionaria, tutti i credenti sono assistiti dal Cristo (Cf. Mt 28,20). Corroborati da questa Presenza, tutti i battezzati sono chiamati a dare, di fronte alle genti, testimonianza alla Parola: «Tutti i discepoli di Cristo, perseverando nella preghiera e lodando insieme Dio [Cf. At 2,42-47], offrano se stessi come oblazione vivente, santa, gradita a Dio [Cf. Rom 12,1], diano ovunque testimonianza a Cristo, e rendano ragione, a chi lo richieda, della speranza di vita eterna che è in loro [Cf. 1Pt 3,15]» (LG 10). E poiché sono «arricchiti di una forza speciale dello Spirito Santo, sono tenuti più strettamente a diffondere e a difendere la fede con la parola e con l’azione, come veri testimoni di Cristo» (LG 11).
Quest’ultima affermazione ricorda ai cristiani che il martirio è la più sincera testimonianza resa a Cristo e alla verità della fede: «Il martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede; il martire è un testimone che arriva fino alla morte. Egli rende testimonianza a Cristo, morto e risorto, al quale è unito dalla carità. Rende testimonianza alla verità della fede e della dottrina cristiana. Affronta la morte con un atto di fortezza. “Lasciate che diventi pasto delle belve. Solo così mi sarà concesso di raggiungere Dio”» (CCC 2472).
Ma, in modo particolare, ai vescovi è affidata la testimonianza del Vangelo: «In mezzo ai credenti è presente il Signore Gesù Cristo pontefice sommo, nella persona dei vescovi assistiti dai presbiteri. Assiso alla destra di Dio Padre, non è però assente dall’assemblea dei suoi pontefici. È lui innanzi tutto che predica la parola di Dio a tutte le genti in primo luogo per mezzo del loro insigne ministero, e continua ad amministrare ai credenti i sacramenti della fede; è lui che fa rinascere dall’alto e inserisce nel suo corpo nuove membra per mezzo della loro funzione di padri [Cf. 1Cor 4,15]; è lui che per mezzo della loro saggezza e prudenza dirige e ordina il popolo del Nuovo Testamento nel suo pellegrinare verso la beatitudine eterna. Questi pastori, eletti per pascere il gregge del Signore, sono i ministri di Cristo e i dispensatori dei misteri di Dio [Cf. 1Cor 4,1], ai quali è stato affidato il compito di testimoniare il Vangelo della grazia di Dio [Cf. Rom 15,16; At 20,24] e il glorioso ministero dello Spirito e della salvezza divina [Cf. 2 Cor 3,8-9]» (LG 21).
Quindi, i credenti, in virtù del battesimo, sono testimoni del Redentore, di colui che è la «luce del mondo». Senza ritenersi luce o redentori, ma umili testimoni, devono avere un solo obiettivo: quello di favorire «la fede di coloro che non credono nel Cristo. Come il Battista rese testimonianza alla luce “affinché tutti credessero per mezzo di lui” (Gv 1,7), così il cristiano deve impegnarsi di persona per favorire la fede dei suoi fratelli nel figlio di Dio» (S. A. Panimolle, o. c.).
In sintesi, i cristiani dovrebbero fare, ad ogni istante, quello che gli angeli hanno fatto nella notte di Betlemme: portare ad ogni uomo l’annuncio di una grande gioia: «oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore» (Lc 2,10-11). Anche a costo della vita.
 
Anton Grabner-Haider: L’incarnazione di Dio è una delle affermazioni centrali del messaggio neotestamentario. Dio esiste nell’uomo Gesù  Cristo. In Cristo, Dio incontra tutti gli uomini alla stessa maniera; egli è il “Figlio di Dio il suo ultimo inviato e plenipotenziario. Chi vede il Figlio, in lui vede il Padre; chi incontra Cristo incontra Dio. Nella morte e risurrezione di Gesù, Dio si è promesso al mondo in maniera vincolante. Cristo Gesù “pur essendo di natura divina, / non considerò un tesoro geloso / la sua uguaglianza con Dio; / ma spogliò se stesso. / assumendo la condizione di servo / e divenendo simile agli uomini” (Fil 2,5-7). Con un linguaggio ellenistico viene espresso qui, nel Nuovo Testamento, qualcosa che per una mentalità ellenistica è assolutamente impossibile: Dio si è fatto uomo. Filone riassumeva invece l’idea delle religioni misteriche che conoscono un’unione dell’uomo con Dio e un’ascesa a Dio nell’espressione: “È più facile che l’uomo diventi Dio. piuttosto che Dio diventi uomo”. La fondamentale professione neotestamentaria di fede dell’incarnazione di Dio viene espressa in diverse modalità rappresentative e linguistiche: il Figlio di Dio nacque, per quanto riguarda la sua vita umana, dalla stirpe di Davide; fu però costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti (Rm 1,3-4). Colui che era Figlio di Dio nacque come uomo; la potenza creatrice di Dio lo ha chiamato dalla morte a una nuova vita rendendolo definitivamente Figlio e Signore del mondo.
La stessa realtà viene affermata nel prologo di Giovanni mediante l’uso di altre categorie mentali: “II Logos si fece carne / e venne ad abitare in mezzo a noi; / e noi vedemmo la sua gloria, / gloria come di unigenito dal Padre” (1,14). L’attesa veterotestamentaria è rivolta al tempo in cui Dio abiterà definitivamente tra i suoi e pianterà per sempre la sua tenda in mezzo al suo popolo. Nell’uomo Gesù Cristo, ora Dio ha preso definitivamente dimora tra gli uomini. In Gesù, infatti, Dio è qui per noi e d’ora in poi non lo si troverà in nessun altro luogo che non sia quest’uomo e di conseguenza in ogni uomo. L’incarnazione di Dio significa che Dio d’ora in poi non sarà più rinvenibile in luoghi santi, nella natura o nel cosmo, e nemmeno nel profondo della propria anima (mistica greca), ma in Gesù Cristo, nel proprio simile, in tutte le relazioni e in tutti gli incontri interumani. Il fratello, la sorella sono chance dell’incontro con Dio.
 
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. (1Gv 4,9 - Antifona alla comunione)
 
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
 
Sostieni, Signore, con la tua provvidenza
questo popolo nel presente e nel futuro,
perché con le semplici gioie che disponi sul suo cammino
aspiri con serena fiducia alla gioia che non ha fine.
Per Cristo nostro Signore.


31 Dicembre 2020
 
San Silvestro I Papa
 
È il primo Papa di una Chiesa non più minacciata dalle terribili persecuzioni dei primi secoli. Nell’anno 313, infatti, gli imperatori Costantino e Licinio hanno dato piena libertà di culto ai cristiani, essendo Papa l’africano Milziade, che è morto l’anno dopo. Gli succede il prete romano Silvestro. A lui Costantino dona come residenza il palazzo del Laterano, affiancato più tardi dalla basilica di San Giovanni, e costruisce la prima basilica di San Pietro.
In pace con l’autorità civile, ma non tra di loro: così sono i cristiani del tempo. Il lungo pontificato di Silvestro (ben 21 anni) è infatti tribolato dalle controversie disciplinari e teologiche, e l’autorità ordinaria della Chiesa di Roma su tutte le altre Chiese, diffuse ormai intorno all’intero Mediterraneo, non è ancora compiutamente precisata.
Costantino, poi, interviene nelle controversie religiose (o i vescovi e i fedeli lo fanno intervenire) non tanto per “abbassare” Silvestro, ma piuttosto per dare tranquillità all’Impero. (Tanto più che lui non è cristiano, all’epoca; e infondata è la voce secondo cui l’avrebbe battezzato Silvestro).
Costantino indice nel 314 il Concilio occidentale di Arles, in Gallia, sulla questione donatista (i comportamenti dei cristiani durante le persecuzione di Diocleziano). E sempre lui, nel 325, indice il primo Concilio ecumenico a Nicea, dove si approva il Credo che contro le dottrine di Ario riafferma la divinità di Gesù Cristo («Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre»).
Papa Silvestro non ha alcun modo di intervenire nei dibattiti: gli vengono solo comunicate, con solennità e rispetto, le decisioni prese. E, insomma, ci appare sbiadito, non per colpa sua (e nemmeno tutta di Costantino); è come schiacciato dagli avvenimenti. Ma pure deve aver colpito i suoi contemporanei, meglio informati di noi: tant’è che, appena morto, viene subito onorato pubblicamente come “Confessore”. Anzi, è tra i primi a ricevere questo titolo, attribuito dal IV secolo in poi a chi, pur senza martirio, ha trascorso una vita sacrificata a Cristo.
Silvestro è un Papa anche sfortunato con la storia, e senza sua colpa: per alcuni secoli, infatti, è stato creduto autentico un documento, detto “donazione costantiniana”, con cui l’imperatore donava a Silvestro e ai suoi successori la città di Roma e alcune province italiane; un documento già dubbio nel X secolo e riconosciuto del tutto falso nel XV.
Un anno dopo la sua morte, a papa Silvestro era già dedicata una festa al 31dicembre; mentre in Oriente lo si ricorda il 2 gennaio.
Autore: Domenico Agasso
 
 
Pratica:
Sarò “confessore” di Cristo.
 
Preghiamo:
Assisti, Signore, il tuo popolo che confida nell’intercessione del papa san Silvestro I, perché nel cammino della vita, goda sempre della tua guida e giunga felicemente alla città dei santi. Per il nostro Signore.

 

 

 

GIOVEDÌ 30 DICEMBRE 2020
 
SETTIMO GIORNO FRA L’OTTAVA DI NATALE
 
 1Gv 2,18-21; Sal 95 (96); Gv 1,1-18
 
Colletta: Dio onnipotente ed eterno, che nella nascita del tuo Figlio hai stabilito l’inizio e la pienezza della vera fede, accogli anche noi come membra del Cristo, che compendia in sé la salvezza del mondo. Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
Il Verbo si fece Carne: Benedetto XVI (Udienza Generale, 21 dicembre 2011): A noi credenti la celebrazione del Natale rinnova la certezza che Dio è realmente presente con noi, ancora “carne” e non solo lontano: pur essendo col Padre è vicino a noi. Dio, in quel Bambino nato a Betlemme, si è avvicinato all’uomo: noi Lo possiamo incontrare adesso, in un «oggi» che non ha tramonto. Vorrei insistere su questo punto, perché l’uomo contemporaneo, uomo del “sensibile”, dello sperimentabile empiricamente, fa sempre più fatica ad aprire gli orizzonti ed entrare nel mondo di Dio. La redenzione dell’umanità avviene certo in un momento preciso e identificabile della storia: nell’evento di Gesù di Nazaret; ma Gesù è il Figlio di Dio, è Dio stesso, che non solo ha parlato all’uomo, gli ha mostrato segni mirabili, lo ha guidato lungo tutta una storia di salvezza, ma si è fatto uomo e rimane uomo. L’Eterno è entrato nei limiti del tempo e dello spazio, per rendere possibile «oggi» l’incontro con Lui. I testi liturgici natalizi ci aiutano a capire che gli eventi della salvezza operata da Cristo sono sempre attuali, interessano ogni uomo e tutti gli uomini. Quando ascoltiamo o pronunciamo, nelle celebrazioni liturgiche, questo «oggi è nato per noi il Salvatore», non stiamo utilizzando una vuota espressione convenzionale, ma intendiamo che Dio ci offre «oggi», adesso, a me, ad ognuno di noi la possibilità di riconoscerlo e di accoglierlo, come fecero i pastori a Betlemme, perché Egli nasca anche nella nostra vita e la rinnovi, la illumini, la trasformi con la sua Grazia, con la sua Presenza. Il Natale, dunque, mentre commemora la nascita di Gesù nella carne, dalla Vergine Maria - e numerosi testi liturgici fanno rivivere ai nostri occhi questo o quell’episodio -, è un evento efficace per noi. Il Papa san Leone Magno, presentando il senso profondo della Festa del Natale, invitava i suoi fedeli con queste parole: «Esultiamo nel Signore, o miei cari, e apriamo il nostro cuore alla gioia più pura, perché è spuntato il giorno che per noi significa la nuova redenzione, l’antica preparazione, la felicità eterna. Si rinnova infatti per noi nel ricorrente ciclo annuale l’alto mistero della nostra salvezza, che, promesso all’inizio e accordato alla fine dei tempi, è destinato a durare senza fine» (Sermo 22In Nativitate Domini, 2,1: PL 54,193). E, sempre san Leone Magno, in un’altra delle sue Omelie natalizie, affermava: «Oggi l’autore del mondo è stato generato dal seno di una vergine: colui che aveva fatto tutte le cose si è fatto figlio di una donna da lui stesso creata. Oggi il Verbo di Dio è apparso rivestito di carne e, mentre mai era stato visibile a occhio umano, si è reso anche visibilmente palpabile. Oggi i pastori hanno appreso dalla voce degli angeli che era nato il Salvatore nella sostanza del nostro corpo e della nostra anima» (Sermo 26, In Nativitate Domini, 6,1: PL54,213)”. 
 
Nel brano giovanneo viene proclamata la natura del Cristo: egli é Dio, è la luce vera, che illumina ogni uomo. È lui che dà il potere di diventare figli di Dio. È lui l’unigenito che ci fa conoscere Dio. Egli ci permette persino di contemplare la sua gloria, lo splendore della sua presenza, che nessun ebreo poteva intravedere senza morirne. In sostanza, egli ci porta la vita stessa di Dio, la legge interiore scolpita nel cuore (Ger 31,31), legge che egli chiama «grazia e verità», non più soltanto «ombra» (Eb 10,1), qual era la legge esteriore di Mosè, scolpita sulla pietra. È l’Emmanuele, il Dio con noi che ha piantato la sua tenda in mezzo agli uomini, lui è il vero tempio nel quale risiede la pienezza della divinità e nel quale l’uomo può incontrare il Padre, conoscerlo, amarlo, adorarlo in spirito e verità.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni 1,1-18: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.
   
Giovanni venne come testimone - La testimonianza del Battista dovrebbe suggerire ai credenti l’urgenza della testimonianza, un impegno perentorio che scaturisce dal dono del battesimo: «Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce» (1Pt 2,9).
I cristiani, a somiglianza del precursore del Messia, «devono essere i testimoni della parola e della persona di Gesù Cristo. La loro condotta quindi deve costituire una testimonianza vivente della rivelazione del Verbo incarnato. I credenti, nel mondo ostile al messaggio del Cristo, debbono partecipare alla lotta contro le tenebre, caratterizzate dall’incredulità, dall’odio, dalla violenza e dall’egoismo, lasciandosi penetrare sempre più dalla luce del Verbo incarnato, dalla sua parola e dalla sua persona, rendendo in tal modo al Figlio di Dio la testimonianza di una vita impregnata di amore e di fede» (S. A. PANIMOLLE, Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni).
Nella mirabile opera missionaria, tutti i credenti sono assistiti dal Cristo (Cf. Mt 28,20). Corroborati da questa Presenza, tutti i battezzati sono chiamati a dare, di fronte alle genti, testimonianza alla Parola: «Tutti i discepoli di Cristo, perseverando nella preghiera e lodando insieme Dio [Cf. At 2,42-47], offrano se stessi come oblazione vivente, santa, gradita a Dio [Cf. Rom 12,1], diano ovunque testimonianza a Cristo, e rendano ragione, a chi lo richieda, della speranza di vita eterna che è in loro [Cf. 1Pt 3,15]» (LG 10). E poiché sono «arricchiti di una forza speciale dello Spirito Santo, sono tenuti più strettamente a diffondere e a difendere la fede con la parola e con l’azione, come veri testimoni di Cristo» (LG 11).
Quest’ultima affermazione ricorda ai cristiani che il martirio è la più sincera testimonianza resa a Cristo e alla verità della fede: «Il martirio è la suprema testimonianza resa alla verità della fede; il martire è un testimone che arriva fino alla morte. Egli rende testimonianza a Cristo, morto e risorto, al quale è unito dalla carità. Rende testimonianza alla verità della fede e della dottrina cristiana. Affronta la morte con un atto di fortezza. “Lasciate che diventi pasto delle belve. Solo così mi sarà concesso di raggiungere Dio”» (CCC 2472).
Ma, in modo particolare, ai vescovi è affidata la testimonianza del Vangelo: «In mezzo ai credenti è presente il Signore Gesù Cristo pontefice sommo, nella persona dei vescovi assistiti dai presbiteri. Assiso alla destra di Dio Padre, non è però assente dall’assemblea dei suoi pontefici. È lui innanzi tutto che predica la parola di Dio a tutte le genti in primo luogo per mezzo del loro insigne ministero, e continua ad amministrare ai credenti i sacramenti della fede; è lui che fa rinascere dall’alto e inserisce nel suo corpo nuove membra per mezzo della loro funzione di padri [Cf. 1Cor 4,15]; è lui che per mezzo della loro saggezza e prudenza dirige e ordina il popolo del Nuovo Testamento nel suo pellegrinare verso la beatitudine eterna. Questi pastori, eletti per pascere il gregge del Signore, sono i ministri di Cristo e i dispensatori dei misteri di Dio [Cf. 1Cor 4,1], ai quali è stato affidato il compito di testimoniare il Vangelo della grazia di Dio [Cf. Rom 15,16; At 20,24] e il glorioso ministero dello Spirito e della salvezza divina [Cf. 2Cor 3,8-9]» (LG 21).
Quindi, i credenti, in virtù del battesimo, sono testimoni del Redentore, di colui che è la «luce del mondo». Senza ritenersi luce o redentori, ma umili testimoni, devono avere un solo obiettivo: quello di favorire «la fede di coloro che non credono nel Cristo. Come il Battista rese testimonianza alla luce “affinché tutti credessero per mezzo di lui” (Gv 1,7), così il cristiano deve impegnarsi di persona per favorire la fede dei suoi fratelli nel figlio di Dio» (S. A. Panimolle, o. c.).
In sintesi, i cristiani dovrebbero fare, ad ogni istante, quello che gli angeli hanno fatto nella notte di Betlemme: portare ad ogni uomo l’annuncio di una grande gioia: «oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore» (Lc 2,10-11). Anche a costo della vita.
 
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. (1Gv 4,9 - Antifona alla comunione)
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
 
Anton Grabner-Haider: L’incarnazione di Dio è una delle affermazioni centrali del messaggio neotestamentario. Dio esiste nell’uomo Gesù  Cristo. In Cristo, Dio incontra tutti gli uomini alla stessa maniera; egli è il “Figlio di Dio il suo ultimo inviato e plenipotenziario. Chi vede il Figlio, in lui vede il Padre; chi incontra Cristo incontra Dio. Nella morte e risurrezione di Gesù, Dio si è promesso al mondo in maniera vincolante. Cristo Gesù “pur essendo di natura divina, / non considerò un tesoro geloso / la sua uguaglianza con Dio; / ma spogliò se stesso. / assumendo la condizione di servo / e divenendo simile agli uomini” (Fil 2,5-7). Con un linguaggio ellenistico viene espresso qui, nel Nuovo Testamento, qualcosa che per una mentalità ellenistica è assolutamente impossibile: Dio si è fatto uomo. Filone riassumeva invece l’idea delle religioni misteriche che conoscono un’unione dell’uomo con Dio e un’ascesa a Dio nell’espressione: “È più facile che l’uomo diventi Dio. piuttosto che Dio diventi uomo”. La fondamentale professione neotestamentaria di fede dell’incarnazione di Dio viene espressa in diverse modalità rappresentative e linguistiche: il Figlio di Dio nacque, per quanto riguarda la sua vita umana, dalla stirpe di Davide; fu però costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti (Rm 1,3-4). Colui che era Figlio di Dio nacque come uomo; la potenza creatrice di Dio lo ha chiamato dalla morte a una nuova vita rendendolo definitivamente Figlio e Signore del mondo.
La stessa realtà viene affermata nel prologo di Giovanni mediante l’uso di altre categorie mentali: “II Logos si fece carne / e venne ad abitare in mezzo a noi; / e noi vedemmo la sua gloria, / gloria come di unigenito dal Padre” (1,14). L’attesa veterotestamentaria è rivolta al tempo in cui Dio abiterà definitivamente tra i suoi e pianterà per sempre la sua tenda in mezzo al suo popolo. Nell’uomo Gesù Cristo, ora Dio ha preso definitivamente dimora tra gli uomini. In Gesù, infatti, Dio è qui per noi e d’ora in poi non lo si troverà in nessun altro luogo che non sia quest’uomo e di conseguenza in ogni uomo. L’incarnazione di Dio significa che Dio d’ora in poi non sarà più rinvenibile in luoghi santi, nella natura o nel cosmo, e nemmeno nel profondo della propria anima (mistica greca), ma in Gesù Cristo, nel proprio simile, in tutte le relazioni e in tutti gli incontri interumani. Il fratello, la sorella sono chance dell’incontro con Dio.
 
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui. (1Gv 4,9 - Antifona alla comunione)
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
 
Sostieni, Signore, con la tua provvidenza
questo popolo nel presente e nel futuro,
perché con le semplici gioie che disponi sul suo cammino
aspiri con serena fiducia alla gioia che non ha fine.
Per Cristo nostro Signore.


 30 Dicembre 2020

Beato Giovanni Maria Boccardo

Il Beato Giovanni Maria Boccardo nacque a Moncalieri, provincia e diocesi di Torino, il 20 novembre 1848. Dall’ambiente familiare Giovanni imparò la pratica della virtù, coltivata dalla preghiera, da una fede professata senza vergogna e dall’amore ai poveri. Al termine degli studi ginnasiali entrò nel Seminario diocesano; desideroso di una vita di sempre maggior perfezione, sembrava voler entrare nella Compagnia di Gesù, ma il suo Vescovo, mons. Riccardi, gli disse che il suo Ordine era... il Seminario. Cosi il 3 giugno 1871 veniva ordinato Sacerdote. Anche dopo l’Ordinazione pareva volesse entrare tra i Giuseppini del Murialdo, ma mons. Gastaldi, Arcivescovo di Torino, gli diede la stessa risposta del suo predecessore. E don Giovanni Maria Boccardo, per undici anni, fu direttore spirituale nei seminari di Chieri e di Torino. Nel 1882 fu nominato parroco di Pancalieri, dove restò fino alla morte, per 31 anni. Pastore buono, visse come un padre amorevole e premuroso per i suoi parrocchiani, cui distribuì copiosamente i beni della Redenzione, offrendo l’esempio di una assoluta fedeltà alla sua vocazione e missione. Ebbe come viceparroco per alcuni mesi suo fratello don Luigi, ora anch’egli beatificato (Torino - 2007). Nel 1884 Pancalieri fu colpita da un’epidemia di colera. Il pievano Boccardo si prodigò, anche a rischio della propria vita, per i colerosi. Passata l’epidemia, egli, con consenso del suo cardinal Arcivescovo, il 6 novembre dello stesso anno provvide a un Ospizio di carità per i poveri, gli anziani, gli orfani, gli abbandonati rimasti in miseria e soli dopo il morbo. Per la cura dei suoi ospitati si servì di alcune giovani della Compagnia della “Pia Unione”, che in parrocchia egli stesso aveva formate e che vivevano una loro consacrazione privata. Esse formano il primo nucleo della Congregazione religiosa delle suore “Povere Figlie di San Gaetano”, la cui data di nascita viene considerata il 21 novembre 1884. Il carisma e lo spirito del nuovo Istituto religioso, posto sotto la protezione di san Gaetano Thiene, fu la ricerca, in primo luogo, del regno di Dio e della sua giustizia, mediante l’esercizio della più pura carità verso il prossimo, immagine di Cristo, in povertà, semplicità e umiltà, abbandonate alla Divina Paterna Provvidenza. In collaborazione con la superiora generale, Madre Gaetana Fontana, il canonico Giovanni M. Boccardo, che nel 1905 aveva ottenuto l’approvazione diocesana delle Costituzioni da lui scritte, provvide allo sviluppo e al consolidamento del suo Istituto, che aprì numerose case per l’assistenza agli anziani, ai malati e agli orfani; per l’educazione dei bimbi nelle scuole materne; dei giovani e per le opere parrocchiali. Oggi, le Figlie del Beato Boccardo sono presenti in Italia (Piemonte, Marche, Lazio), e anche in terra di missione: Brasile, Argentina, Africa (Togo), Ecuador. Superando, con l’aiuto della Provvidenza divina, con umiltà e fiducia ogni difficoltà, don Boccardo dette mirabili esempi di santità e di virtù sacerdotali. Dopo 31 mesi di paralisi, in seguito a un ictus cerebrale, il Beato Giovanni Maria Boccardo moriva in Pancalieri il 30 dicembre 1913. La fama di santità che lo aveva accompagnato in vita si consolidò e crebbe negli anni successivi, e nel 1960 il cardinal Maurilio Fossati, Arcivescovo di Torino, iniziava il processo informativo, terminato nel 1978 dal cardinal Alberto Ballestrero. Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, il 6 aprile 1998, proclamava l’eroicità delle virtù teologali, cardinali ed annesse, del Servo di Dio, che, con l’ultima fase dello studio di un miracolo, avvenuto in Brasile per intercessione del Ven. don Boccardo, il 21 aprile 1998 - Congregazione dei Cardinali e dei Vescovi, ha avuto aperta la via alla sua glorificazione in terra. Il 2 maggio 1998 il Santo Padre Giovanni Paolo II promulgava il Decreto sul miracolo, e così il 24 maggio 1998, a Torino, il Venerabile Servo di Dio canonico Giovanni Maria Boccardo viene iscritto da Sua Santità Giovanni Paolo II nell’albo dei Beati, nostro modello, guida e intercessore presso Dio.

Fonte: www.suoresangaetano.it

La storia
Nel 1884 un’epidemia di colera infierisce in Piemonte e fa vittime anche a Pancalieri, piccolo comune della provincia di Torino. Giovanni Maria Boccardo, parroco, organizza eroicamente i soccorsi agli ammalati ricoverandoli nel santuario della Madonna dell’Eremo. Questi vengono assistiti dalle ragazze della Parrocchia che il parroco seguiva spiritualmente e quindi capaci di eroicità. Il dopo colera non lascia indifferente l’amore del parroco che si rivolge ai tanti bisognosi: poveri, ammalati, vecchi, bambini, donne. Nelle notti trascorse in preghiera cerca di scoprire il progetto di Dio in quella situazione. Il suo grande cuore si rivolge alle giovani affinché continuino a prendersi cura di “coloro che soffrono”. In una vecchia filanda, non utilizzata e fatiscente, in seguito restaurata dallo stesso proprietario che voleva partecipare all’opera benefica del Padre, vengono alloggiati in maniera più degna i tanto amati poveri e bisognosi di cure. Il 6 novembre 1884 viene inaugurata la prima sede di accoglienza: inizia così l’opera di carità. Profetica è stata l’espressione del padre Fondatore: “Figlie mie… bisogna che questa nuova opera di carità sia come il granello di senape…” (Mt. 13, 31). Sorge così il problema dell’assistenza continua ai poveri ricoverati, che diventeranno sempre più numerosi. Alcune giovani si dichiarano pronte a consacrarsi interamente all’opera. Tra queste spicca Carlotta Fontana che sarà angelo e sorriso dei poveri, per la determinazione nelle scelte e per l’eroicità nel servizio quotidiano pur nella sua giovanissima età. Alla sua Consacrazione prende il nome di suor Gaetana del SS. Sacramento. Ben presto segue quella della sua amica Giovanna Chiattone che l’affiancherà in tutta la sua opera di carità. Il loro esempio è stato seguito da altre giovani dei paesi limitrofi. “…il granello di senape cresce come un albero tanto grande ove gli uccelli vengono a fare il nido tra i suoi rami” (Mt. 13, 31). Alle prime giovani che si consacrarono al Signore il Fondatore disse: “Preparatevi un abito semplice, austero, povero senza ornamenti, sarà il vostro abito religioso.” Gesù, centro di tutto, povertà e abbandono alla Provvidenza, amore ai poveri, la vita intera per Gesù nei poveri, spiritualità di S. Gaetano Thiene, alla quale il Beato Boccardo si ispirò per lo stile di vita e di carità per il suo Istituto nascente dandogli il titolo di: “Povere Figlie di S. Gaetano”. 
 
Il Carisma
Il carisma è una parola difficile: è quello che ogni suora è chiamata a vivere.
Noi Suore di San Gaetano desideriamo imitare la povertà di Cristo, confidando nella Divina Provvidenza che pensa ai gigli del campo e agli uccelli del cielo (Vangelo secondo Matteo 6,26-28).
Il nostro carisma si incarna in due percorsi.
Nelle Povere Figlie il carisma diventa il servizio ai fratelli e alle sorelle più bisognosi e abbandonati, per far sentire loro l’amore e la vicinanza di Dio. È il pensiero del fondatore Giovanni Maria Boccardo: la sequela di Gesù e l’annuncio del Vangelo sono strettamente intrecciati al servizio di istruzione, consolazione, santificazione, soccorso e salvezza dei poveri.
Vivendo la vita accanto a loro condividono la stessa missione che Gesù ha avuto dal Padre.
Nelle Figlie di Gesù Re il carisma diventa contemplazione e testimonianza della carità di Cristo, secondo l’intuizione del loro fondatore Luigi Boccardo.
Vivendo la vita nella preghiera e nel nascondimento partecipano alla missione con le loro sorelle di vita attiva.
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Giovanni Paolo II (Omelia 24 Maggio 1998)
 
Don Giovanni Maria Boccardo fu uomo di profonda spiritualità e, nel contempo, apostolo dinamico, promotore della vita religiosa e del laicato, sempre attento a discernere i segni dei tempi. Nell’ascolto orante della parola di Dio, maturò una fede vivissima e profonda. Scriveva: “Sì, mio Dio, quel che vuoi Tu, lo voglio pure io”. E che dire del suo instancabile zelo per i più poveri? Seppe chinarsi su ogni umana miseria con lo spirito di san Gaetano da Thiene, spirito che trasfuse nella Congregazione femminile da lui fondata per la cura degli anziani, dei sofferenti e per l’educazione della gioventù. Fece suo il motto evangelico: "Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia" (Mt 6,33). Come il santo Curato d’Ars, di cui era devoto, indicò ai suoi parrocchiani, con la parola e soprattutto con l’esempio, la via del Cielo. Il giorno del suo ingresso come Parroco a Pancalieri, parlò così ai fedeli: “Vengo a voi, o cari, per vivere come uno di voi, vostro padre, fratello e amico, e per dividere con voi le gioie e le pene della vita... Vengo a voi come servo di tutti, e ciascuno potrà disporre di me, ed io mi stimerò sempre fortunato e felice di potervi servire, non cercando altro che di far del bene a tutti”.
Della Madonna si proclamava sempre figlio devoto ed a lei ricorreva con costante fiducia. A chi gli chiedeva: “È tanto difficile guadagnare il Paradiso?”, rispondeva: “Sii devoto di Maria, che ne è la «Porta», e vi entrerai”. Il suo esempio è ancor vivo nella memoria della gente, che da oggi può invocarlo come intercessore in Cielo.
 
 
Pratica: “Sì, mio Dio, quel che vuoi Tu, lo voglio pure io” (Beato Giovanni Maria Boccardo)
 
Preghiera: O Dio, che nell’amore verso di te e verso i fratelli hai compendiato i tuoi comandamenti, fa’ che ad imitazione del beato Giovanni Maria Boccardo dedichiamo la nostra vita a servizio del prossimo, per essere da te benedetti nel regno dei cieli. Per il nostro Signore.