1 Novembre 2018
Tutti i Santi
Oggi Gesù ci dice: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.” (Mt 11,28 - Acclamazione al Vangelo).
Dal Vangelo secondo Matteo 5,1-12a: La parola chiave del brano evangelico è beati, e ha il senso di una esclamazione di gioia. Beati è una formula ricorrente nei Salmi, nei libri sapienziali e nel Nuovo Testamento, soprattutto nel libro dell’Apocalisse. Beato è l’uomo che cammina nella legge del Signore e per questo è ricolmo delle benedizioni di Dio, dei suoi favori e delle sue consolazioni divine soprattutto nei momenti cruciali in cui deve sopportare umiliazioni, affanni e persecuzioni. Gesù apre il suo discorso proclamando beati i “poveri in spirito”, una aggiunta questa che fa bene intendere che il Maestro fa riferimento non agli indigenti, ma ai “poveri di Iahvé”, cioè a coloro che nonostante tutto restano fedeli al Signore, anzi le prove sono spinte a fidarsi di Dio, a chiudersi nel suo cuore, a rinserrarsi tra le sue braccia. I “poveri in spirito” sono coloro che fanno del dolore una scala per salire fino a Dio. Sono coloro che restano nonostante tutto saldi nelle promesse di Dio (Cf. Mt 27,39-44). In questa ottica sono beati quelli che sono nel pianto, i perseguitati per la giustizia, i diffamati. Ai miti fanno corona coloro che hanno fame e sete della giustizia, cioè coloro che amano vivere all’ombra della volontà di Dio, attuandola nella loro vita e mettendola sempre al primo posto. Beati sono i misericordiosi cioè coloro che imitano la bontà, la pietà e la misericordia di Dio soprattutto a favore dei più infelici e dei più bisognosi. I puri di cuore sono beati per la purezza delle intenzioni, l’onestà della vita, perché sempre disponibili ai progetti divini. E infine, gli operatori di pace, che «nella Bibbia esprime la comunione con Dio e con gli uomini ed è il dono che riassume il vangelo [Cf. Lc 2,14], sono i più evidenti figli del Padre celeste» (S. Garofalo).
Santità - Lisa Cremaschi: Il termine santità designa il mistero della vita divina e il modo con cui gli uomini, per grazia, vi partecipano.
La santità nell’Antico Testamento. L’attributo della santità in senso pieno, assoluto, viene applicato nell’Antico Testamento soltanto a JHWH; Dio è santo e santo è il suo nome. Ma il Dio santo, colui che è separato, “altro” rispetto all’uomo, ha voluto farsi presente nella storia del popolo da lui eletto fino a diventare “il Santo di Israele” (cfr. Is 1,4; 5,19; 10,20). La sua santità si rivela come potenza, gloria e maestà, ma soprattutto come amore e misericordia che perdona (Os 11,9). Dio santifica il suo popolo, per questo lo elegge come sua proprietà e stipula con lui l’alleanza (Es 19,3-8). Israele non è santificato per i suoi meriti, ma per l’elezione gratuita di JHWH. Tale elezione esige da parte del popolo di Israele la santità, cioè l’obbedienza all’alleanza, il camminare nelle vie di Dio (Dt 7,7 s.; 26,16-19). “Siate santi perché io sono santo”, ordina il Signore (Lv 19,2). Questa santità deve manifestarsi nell’esistenza concreta del credente affinché anche gli altri popoli riconoscano la santità di Dio (Ez 37,28; 39,27).
Il Dio santo rende partecipi della sua santità luoghi, templi, oggetti, persone. Santi sono i luoghi in cui è apparso JHWH (cfr. Gn 28,16-22; Es 3,5 ecc.), santa è l’Arca dell’Alleanza, santo il Tempio, santa la città di Gerusalemme, santi tutti gli oggetti attinenti al culto. Se è vero che tutto il popolo di Israele è chiamato alla santità, tuttavia JHWH si è riservato i nazirei, a lui consacrati (Nm 6,5-8), i sacerdoti e i leviti addetti al culto. Santo, talora, vien detto anche il profeta (2 Re 4,9; Ger 1,5). Anche il tempo è santificato; i giorni di festa e in particolare il sabato sono santi perché in essi Israele fa memoria del Dio santo che lo santifica (Es 20,8; Dt 5,12-15; Ez 20,12). E, infine, la terra di Canaan è terra santa poiché appartiene a Dio stesso (Lv 25,23).
La santità nel Nuovo Testamento. Nel Nuovo Testamento la santità di Dio si è manifestata nel Figlio suo. Gesù è il Santo di Dio (Mc 1,24; Lc 4,34; Gv 6,69), che santifica e diventa fonte di santità per i suoi discepoli, donando la sua vita per amore (Gv 17,19; 1Cor 1,30; Eb 2,11 ecc.). “Santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Cristo” (Eb 10,10), i cristiani ripetono la preghiera insegnata da Gesù e invocano nel Padre nostro: “Sia santificato il tuo nome” (Mt 6,9; Lc 11,2), cioè, sia resa manifesta la tua santità nella nostra storia. Mediante il battesimo i credenti divengono partecipi della vita di Cristo e della sua santità (1Cor 1,2; 2Cor 1,1; Fil 1,1; Rm 1,7). Lo Spirito rende santa la Chiesa (Ef 5,6) e manifesta i suoi frutti di santità nei credenti (Gal 5,18-26), i quali rendono culto a Dio offrendo se stessi “in sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” (Rm 12,1). Già santo, perché già salvato in Gesù Cristo mediante il battesimo, e tuttavia non ancora pienamente santo perché non ancora interamente morto al peccato, il discepolo del Signore tende alla santificazione (2Cor 7,1), memore delle parole di Paolo: “Colui che ha iniziato l’opera in voi la porterà fino al compimento” (Fil 1,6).
Santità e santi - Gianni Colzani: Riferita ai credenti, la santità consiste nel vivere secondo la fede e l’amore. Per questo il concilio Vaticano II ha dedicato il capitolo V della Lumen Gentium a insegnare l’universale vocazione alla santità; riprendendo l’antico discorso biblico che presentava i cristiani come santi ed eletti e valorizzando una tradizione teologica che vedeva la Chiesa come “comunione dei santi”, il concilio ha insegnato che "tutti coloro che credono nel Cristo, di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità”.
Il culto dei santi. Il culto dei santi ha origine dal culto dei martiri; all’inizio la comunità cristiana pregava per essi come per tutti gli altri defunti ma, ben presto, ci si rese conto dell’anomalia di questa consuetudine: “E sconveniente pregare per i martiri”, scrive Agostino, “perché siamo noi a doverci raccomandare alla loro preghiera”. In loro è presente la forza di quel Dio che li ha resi capaci di testimoniare la fede con la vita: “In loro si dà una presenza di Cristo”, osserverà Tertulliano. A partire dai martiri le forme di santità riconosciute si moltiplicarono: ai martiri si aggiunsero i confessori (chi ha patito per la fede), i vescovi e i monaci (considerati per la scelta di vita i successori dei martiri), i laici. Il secondo concilio di Nicea (787) distinse tra adorazione, che si rivolge unicamente a Dio e a Cristo, e venerazione (dulia) che si rivolge ai santi.
Beati: Le “beatitudini” sono presenti soltanto nel Vangelo di Matteo e in quello di Luca, ma con sfumature molto diverse (Cf. Mt 5,1-12; Lc 6,20-23).
Luca alle “beatitudini” aggiunge “quattro guai” (Cf. 6,24-26). Diverso è il contesto in cui vengono collocate dagli evangelisti e anche il numero, nove in Matteo e quattro in Luca.
Per quanto riguarda il numero delle beatitudini, la nona beatitudine del vangelo di Matteo «va distinta e separata dalle altre otto che da sole costituiscono un’unità letteraria completa: essa appare come una semplice aggiunta, che estende ed applica agli ascoltatori di quell’elenco il contenuto dell’ottava beatitudine» (Don Alfonso Sidoti).
La formula delle beatitudini è nota sia dalla Bibbia sia dalla letteratura ellenistica e rabbinica.
L’Antico Testamento «usa talvolta formule di felicitazione come queste, a proposito di pietà, saggezza, prosperità, timor di Dio [Sal 1,1-2; 33,12; 128,5-6; Pr 3,3; Sir 31,8; ecc.]. Gesù ricorda, nello spirito dei profeti, che anche i poveri hanno parte a queste “benedizioni”: le prime tre “beatitudini” (Mt 5,3-5; Lc 6,20-21) dichiarano che uomini, considerati sventurati o maledetti, sono felici, perché sono preparati a ricevere la benedizione del regno. Le beatitudini successive interessano più direttamente l’atteggiamento morale dell’uomo» (Bibbia di Gerusalemme).
Matteo conclude il discorso di Gesù con due beatitudini che sono di una novità scioccante: se la persecuzione, il sopportare la violenza sia fisica che morale, era anche per i pii ebrei una punizione, un castigo, ora nell’insegnamento del Cristo diventa fonte di felicità, di gioia, perché partecipazione intima, reale e completa al destino del Maestro (Cf. Gv 15,18-21), quindi sorgente di beatitudine: «Perciò sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e ... a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Gli apostoli hanno amato e vissuto la povertà e la Chiesa di Gerusalemme ha accolto e vissuto l’ideale di povertà del suo Maestro con la comunione dei beni e l’assistenza ai poveri. La persecuzione, pur essendo entrata di diritto nel bagaglio apostolico della Chiesa, non l’atterrisce, anzi per essa è motivo di vanto e di gioia, così come promesso dal suo Fondatore: «richiamati gli apostoli, li fecero flagellare... Quindi li rimisero in libertà. Essi allora se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù» (Atti 5,40-41).
Beati i poveri in spirito (anawîm) - I poveri occupano un grande posto nella Bibbia e sono anzitutto gli oppressi, infatti nel “termine figurato ebraico «gli umiliati», i «piegati» confluiscono tre significati per «povero»: bisognoso, oppresso e paziente, silenzioso [...]. Un povero non aveva il diritto di interloquire, non aveva alcuna influenza, veniva truffato anche davanti al giudice, era l’«oppresso»” (K. P.).
Il Deuteronomio risponde ai loro appelli con una legislazione umanitaria (Dt 24,10s; Es 22,20-26; 23,6), mentre i profeti, sempre al fianco dei più deboli, dei piccoli e degli indigenti, hanno difeso la loro misera sorte reclamando, spesso con forza e veemenza, giustizia, protezione e imparzialità soprattutto nei giudizi (Is 10,1-2; Am 2,6s). Con Sofonia il vocabolario sulla povertà prende una sfumatura morale ed escatologica, gli anawîm sono gli Israeliti sottomessi alla volontà divina e a loro sarà inviato il Messia (Is 61,1; 11,4; Sal 72,12s; Lc 4,18). Egli stesso sarà “mite e umile di cuore” (Zac 9,9; Mt 11,29; 21,5), dolce e anche oppresso ingiustamente (Is 53,4; Sal 22,25).
Gesù Cristo nel proclamare beati i poveri, nel Vangelo di Matteo e non in quello di Luca, riprende la parola «povero» con la sfumatura morale già percepibile in Sofonia. Ma questo non esclude tutte quelle sfumature che richiamo l’indigenza, la povertà come essere privi di ogni bene di sussistenza, che bene troviamo esplicitate in tutto il vangelo di Luca.
Beati i perseguitati per la giustizia … Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno: Il “discorso della Montagna” si chiude con due beatitudini rivolte ai perseguitati. Israele in tutta la sua storia aveva dovuto fare i conti con numerosi persecutori e se, quasi sempre, aveva accettato l’umiliazione delle catene, della tortura fisica e dell’esilio, come purificazione e liberazione dal peccato, mai avrebbe pensato alla persecuzione come a una fonte di gioia e di felicità. Il discorso di Gesù va poi collocato proprio in un momento doloroso della storia ebraica: Israele gemeva sotto il durissimo e spietato giogo di Roma.
Nel nuovo Regno bandito da Gesù di Nazaret la persecuzione, e anche la calunnia, l’ingiustizia o l’odio gratuito, sono sorgenti di felicità se sopportate per «causa sua». Ancora di più, la sofferenza vicaria dà «compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Solo in questa prospettiva la persecuzione è la via grande, spaziosa e larga, spalancata al dono della salvezza e apportatrice di ogni bene e dono: «Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». Un discorso che è rivolto a tutti: ai discepoli e alla folla, nessuno escluso.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.” (Vangelo).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente ed eterno, che doni alla tua Chiesa la gioia di celebrare in un’unica festa i meriti e la gloria di tutti i Santi, concedi al tuo popolo, per la comune intercessione di tanti nostri fratelli, l’abbondanza della tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...