IL VANGELO DEL GIORNO

1 APRILE 2018

DOMENICA DI PASQUA



Oggi Gesù ci dice: “Sono risorto, e sono sempre con te; tu hai posto su di me la tua mano, è stupenda per me la tua saggezza. Alleluia” (Cfr. Sal 138,18.5-6).


Dal Vangelo secondo Giovanni 20,1-9: Tutti i Vangeli sono concordi nell’attestare la risurrezione di Cristo Gesù. È l’evento che suggella la sua vita terrena e che allo stesso tempo ne disvela tutta la grandezza e singolarità. Ad avvalorare la verità della risurrezione di Gesù gli Apostoli adducono due fatti: il sepolcro vuoto (Mc16,1; Mt 28,1; Lc 24,1; Gv 20,1) e i loro incontri con Gesù (Lc 24,36; Mc 16,14; Gv 20,19; Mt 28,16). In questi incontri gli Apostoli vedono, parlano, toccano, mangiano con Gesù risorto. La risurrezione di Gesù è attestata anche da parte di san Paolo. Nella prima lettera ai Corinti egli scrive: «A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti.. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto» (1Cor 15,1.3-6.8). “La risurrezione di Gesù è la verità culminante della nostra fede in Cristo […]. La tomba vuota e le bende per terra significano già per se stesse che il Corpo di Cristo è sfuggito ai legami della morte e della corruzione, per la potenza di Dio. Esse preparano i discepoli all’incontro con il Risorto. Cristo, «il primogenito di coloro che risuscitano dai morti» (Col 1,18), è il principio della nostra risurrezione, fin d’ora per la giustificazione della nostra anima, più tardi per la vivificazione del nostro corpo” (CCC 638.657-658).


La Bibbia e i Padri della Chiesa (I Padri vivi): La Domenica della Risurrezione, inizialmente, non aveva una sua liturgia poiché la Vigilia pasquale si prolungava fino alle ore mattutine. Quando le celebrazioni vigiliari furono trasferite al sabato mattina, la Messa della Domenica divenne nelle coscienze dei fedeli la Messa principale della festa.
La gioia e la commozione rispecchiano in tutti i testi liturgici di oggi. In bocca al Cristo risorto, la Chiesa mette le parole del Salmo: «Io sono risorto, o Padre. Io sono di nuovo con Te poni su di me la tua mano; stupenda per me la tua saggezza» (Sal 138). È un canto di gioia per la vittoria sulla morte, il canto di esultanza per il ritorno al Padre, l’inno di glorificazione del Padre per la sua fedeltà, l’ammirazione per le sue vie inconcepibili. Cristo è risorto, non subisce più la morte, è il Signore dei vivi e dei morti. «La morte è stata ingoiata dalla vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?» (1Cor 15,55). Ecco il canto di gioia cantato da tutti coloro che appartengono a Cristo. Cristo è risorto e la sua vittoria è la nostra vittoria.
Al mattino della domenica si affrettano al sepolcro le donne con gli unguenti. Vedono l’angelo e odono le parole: «Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù, il Crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti!» (Mt 28,5).
Il Signore è risorto dai morti: questo messaggio del mattino di Pasqua risuona nella Chiesa e attraverso la Chiesa risuona nel mondo da venti secoli. Lo sostiene l’autorità di Pietro stesso: «Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio» (At 10,4). Nel gioioso giorno di Pasqua, nel giorno «che ha fatto il Signore», bisogna di nuovo rendersi conto che il Signore è veramente risorto, rafforzare la nostra fede nella fede della Chiesa e se nel cuore dell’uomo nasce il dubbio, bisogna richiamarsi all’autorità di Pietro nella Chiesa. Insieme a tutti coloro che portano nel mondo il nome di discepoli di Cristo, bisogna oggi rendere grazie al Padre, che attraverso il suo Unico Figlio ha vinto la nostra morte e ci ha aperto l’accesso alla vita eterna.
Insieme con Cristo siamo risorti ad una nuova vita. Ci ricorda san Paolo: «Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio» (Col 3,1). Cristo è risorto e insieme con lui anche noi siamo risorti alla nuova vita. Il gioioso giorno della Risurrezione ricorda ai discepoli di Cristo, che portano in sé la vita del Signore risorto e che non appartengono più solo a questo mondo. Il cristiano rimane sulla terra, ma già cammina nella gloria della risurrezione. Cristo è risorto ed ha trasformato tutto.
Cantando il gioioso «Alleluia», l’uomo può non desiderare la trasformazione interiore e il miglioramento? Cristo fu sacrificato come nostra Pasqua. Bisogna perciò buttar via «il lievito vecchio, lievito di malizia e di perversità» e cominciare a vivere in «sincerità e verità» (1Cor 5,8).


Il sepolcro vuoto - GIUSEPPE TOSATTO (Risurrezione, in Schede Bibliche Pastorali): Si tratta di un argomento che solo più tardi fu inserito nel ciclo della risurrezione, essenzialmente per motivi polemico-apologetici, anche se l’antica tradizione già lo conosceva; ce ne ha con­servate tracce in 1Cor. 15,4 e in Atti 13,29 s., così come in Atti 2 ove il contrasto tra David, il cui «sepolcro è ancora tra noi», e Gesù, che «non ha visto la corruzione del sepolcro», presuppone la costatazione del sepolcro vuoto.
Che tale argomento non sia stato subito ampiamente utilizzato dagli apostoli risulta evidente se si considera il carattere non perentorio e non kerygmatico, ma apologetico e negativo che il fatto rivestiva. Del resto, in nessuna pericope evangelica la scoperta del sepolcro vuoto è presentata come argomento fondamentale per la verità del messaggio pasquale, ma solo come una conferma apologetica indiretta che, attraverso angelofanie e cristofanie successive, ottiene il suo pieno valore. Non è infatti il sepolcro vuoto che causò la fede pasquale (Solo Giovanni [Gv 20,8] crede vedendo il sepolcro vuoto.), bensì l’incontro del Signore vivente dopo la sua morte. Tre sono le narrazioni incentrate sulla verifica del sepolcro, trovato vuoto, su una apparizione angelica che notifica la risurrezione e invia le donne agli apostoli (Mt. 28,1-8; Mc. 16,1-8; Lc. 24,1-12).
Il valore di testimonianza è evidente: la risurrezione implicava la morte di Gesù; sul Calvario e presso il sepolcro gli apostoli non c’erano, per cui non potevano addurre argomenti in base a questi fatti, né parlare del sepolcro vuoto; per questo fu conservato il ricordo della presenza delle pie donne che poterono testimoniare il fatto della morte di Gesù, della sua sepoltura e del sepolcro vuoto, da cui, attraverso la rivelazione e il messaggio dell’angelo, apprendono poi la risurrezione del Maestro. L’aspetto polemico è chiaro soprattutto in Matteo (Cf. Mt. 27,62-66) che inquadra il fatto del sepolcro vuoto come replica alle calunnie del rapimento del corpo di Gesù (Mt. 28,11-15) e come invito a tutti a controllare la realtà dei fatti.
Infine lo scetticismo con cui gli apostoli accolsero la notizia delle pie donne sta a dimostrare che i dodici non erano dei creduloni, ma si convinsero della risurrezione di Gesù solo in base a dati di fatto riscontrati personalmente. Alla notizia data dalla Maddalena che il corpo di Gesù non c’era più, Pietro e «l’altro discepolo» corrono al sepolcro e costatano la verità della parola della donna. Questo testo giovanneo conferma, attraverso la testimonianza di due apostoli, la realtà del sepolcro vuoto e, descrivendo la loro sorpresa di fronte alla pietra rovesciata, respinge la calunnia che il corpo del redentore fosse stato trafugato.
Oltre al motivo apologetico, è da sottolineare quello parenetico-teologico. Pareneticamente si vuol insegnare che la fede nella risurrezione non è una soluzione a buon mercato escogitata dai discepoli, ma una conquista lenta e difficile; per questo anche i neo convertiti non dovevano scoraggiarsi di fronte alle difficoltà della fede in Cristo risorto, ma trovare in questi fatti motivo di fiducia e di consolazione. Infine teologicamente si ricorda che la fede pasquale, oltre che nelle apparizioni, trova suo fondamento nelle prove profetiche della Scrittura, pienamente avveratesi in Cristo.
In tal modo la tradizione del sepolcro vuoto, storicamente fondata, diventa una prova sussidiaria della risurrezione ed una conferma indiretta alla veridicità e realtà delle apparizioni testimoniate dagli apostoli come fondamento della loro fede.


Giovanni Paolo II (Giovanni Paolo II, Messaggio Urbi et Orbi, 20 aprile 2003): 1. “Surrexit Dominus de sepulcro qui pro nobis pependit in ligno” (dalla Liturgia). “È risorto dal sepolcro il Signore, che per noi fu appeso alla croce”. Alleluia! Risuona festoso l’annuncio pasquale: Cristo è risorto, è veramente risorto! Colui che “patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto”, Gesù, Figlio di Dio nato dalla Vergine Maria, “è risorto il terzo giorno secondo le Scritture” (Credo). 2. Questo annuncio è il fondamento della speranza dell’umanità. Se infatti Cristo non fosse risorto, non solo sarebbe vana la nostra fede (cfr. 1Cor 15,14), ma vana sarebbe anche la nostra speranza, perché il male e la morte ci terrebbero tutti in ostaggio. “Ora, invece, - proclama l’odierna Liturgia - Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1Cor 15,20). Morendo Gesù ha infranto e vinto la ferrea legge della morte, estirpandone la radice velenosa per sempre. 3. “Pace a voi!” (Gv 20,19.20). Questo è il primo saluto del Risorto ai discepoli; saluto che quest’oggi ripete al mondo intero. O Buona Novella tanto attesa e desiderata! O annuncio consolante per chi è oppresso sotto il peso del peccato e delle sue molteplici strutture! Per tutti, specialmente per i piccoli e i poveri, proclamiamo oggi la speranza della pace, della pace vera, fondata sui solidi pilastri dell’amore e della giustizia, della verità e della libertà.


La risurrezione di Cristo Gesù continua:
1. Nei credenti, quando dallo stato di peccato, immergendo la loro vita nel salutare sangue di Cristo, risorgono dalla morte spirituale.
2. Nella Chiesa, Madre e Vergine, quando partorisce nelle acque salutari del battesimo nuovi figli. Finché dura questa esperienza terrena, la Chiesa, fortificata dalla potenza del Signore risorto, sarà icona perfettissima di Cristo portando nelle sue membra i segni della passione del suo Signore. Alla fine dei tempi la Chiesa tutta sarà associata a Cristo risorto.
“La chiesa «avanza nel suo pellegrinaggio fra le persecuzioni e le consolazioni di Dio», annunciando la croce e la morte del Signore fino a che venga [1Cor 11,26]. Dalla potenza del Signore risorto viene fortificata, per poter superare con pazienza e amore le afflizioni e difficoltà tanto interne che esterne, e per svelare fedelmente al mondo il mistero del Signore, anche se sotto l’ombra dei segni, fino al giorno in cui finalmente risplenderà nella pienezza della luce” (LG 8).
3. Nella creazione, la quale “attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rom 8,19-21).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** “Il Cristo è risorto: tutto e tutti devono riflettere la luce di lui: l’uomo e la famiglia, le leggi e il costume, e le varie forme di vita comunitaria delle nazioni. Poiché Cristo ha vinto il peccato e la morte, instaurando nuovo ordine nei rapporti dell’uomo con Dio, nulla può ormai esimersi dal suo divino imperio: «come Cristo risuscitò da morte per la gloria del Padre, così noi camminiamo in novità di vita» [Rom. 6,4]” (Giovanni XXIII, Messaggio Urbi et Orbi, 14 aprile 1963).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che in questo giorno, per mezzo del tuo unico Figlio, hai vinto la morte e ci hai aperto il passaggio alla vita eterna, concedi a noi, che celebriamo la Pasqua di risurrezione, di essere rinnovati nel tuo Spirito, per rinascere nella luce del Signore risorto. Egli è Dio e vive e regna con te...






IL VANGELO DEL GIORNO

31 Marzo 2018

SABATO SANTO



Oggi Gesù ci dice: “Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita” (Lc 21,16-19).


Dal Vangelo secondo Giovanni 19,25-42: Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé. Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: “Ho sete”. Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: “È compiuto!”. E, chinato il capo, consegnò lo spirito. Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato - era infatti un giorno solenne quel sabato -, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.  Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo - quello che in precedenza era andato da lui di notte - e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di àloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.


Corrado Bruno SDB: Il Sabato Santo, incastonato tra il dolore della Croce e la gioia della Pasqua, si colloca al centro della nostra fede. È un giorno denso di sofferenza, di attesa e di speranza; segnato da un profondo silenzio.
I discepoli hanno ancora nel cuore le immagini dolorose della morte di Gesù che segna la fine dei loro sogni messianici. In quel giorno sperimentano il silenzio di Dio, la pesantezza della sua apparente sconfitta, la disperazione dovuta all’assenza del Maestro prigioniero della morte.
C’è stato, a partire dalla cena pasquale, un succedersi vorticoso di fatti imprevedibili, che li ha sorpresi e ammutoliti. Le anticipazioni sulla sua passione più volte fatte da Gesù, i segni rassicuranti e miracolosi che le avevano sostenute, l’amore mostrato nell’Ultima Cena... tutto, in questo giorno, sembra svanito.
I discepoli hanno l’impressione che Dio sia divenuto muto e che non suggerisca più linee interpretative della storia.
A ciò si aggiunge la vergogna d’essere fuggiti e d’aver rinnegato il Signore: si sentono traditori, incapaci di far fronte al presente e senza prospettiva di futuro, non vedono come uscire da una situazione di crollo delle illusioni, mancando ancora quei segni che incominceranno a scuoterli a partire dal mattino della Domenica con il racconto del sepolcro vuoto e le apparizioni del Risorto.
Tuttavia, i discepoli, proprio attraverso la porta del Sabato Santo, ci aiutano a riflettere sul senso del nostro tempo e a leggere il passaggio dei nostri giorni, riconoscendo nel loro disorientamento, le nostalgie e le paure che caratterizzano la nostra vita di credenti nello scenario che s’appresta all’inizio di questo millennio.
La presenza di Maria - Ma questo giorno è anche il Sabato di Maria. Ella lo vive nelle lacrime unite alla forza della fede. Veglia nell’attesa fiduciosa e paziente; sa che le promesse di Dio si avverano per la potenza divina che risuscita i morti. Così Maria con la sua forza d’animo sorregge la fragile speranza dei discepoli amareggiati e delusi. Con la Madonna del Sabato Santo, anche noi leggeremo la nostra attesa e le nostre speranze, la fede vissuta come continuo e faticoso cammino verso il mistero, per rispondere con verità, speranza ed amore alle domande che ci portiamo dentro: “Chi siamo e dove siamo diretti? Dove va il cristianesimo e la Chiesa che amiamo?”. Anche nel sabato del tempo in cui ci troviamo è necessario riscoprire l’importanza dell’attesa. L’assenza di speranza è forse la malattia mortale delle coscienze di oggi.
Siamo nel sabato del tempo, è vero, un sabato che indica quasi assenza di direzione, tempo sospeso ma pur sempre un tempo santificato dall’azione di Dio, anche se un Dio silente, che tace e si nasconde.
Verrà quindi per tutti il giorno ottavo, il giorno del ritorno del Signore Gesù, non fuori, ma dentro le contraddizioni della storia. Per questo, dobbiamo lasciarci ispirare dalla Pasqua e riflettere sulla gioia degli apostoli quando incontrano Gesù vivente e risorto: “E i discepoli gioirono al vedere il Signore”.
All’indifferenza, alla frustrazione e alla delusione senza attese di futuro, deve opporsi come antidoto soltanto la speranza, non quella fondata su calcoli, ma sull’unico fondamento della promessa di Dio.
La Madonna del Sabato Santo getta luce sul compito che ci aspetta e che ci è reso possibile dal dono dello Spirito del Risorto. Si tratta di irradiare attorno a noi, con gli atti semplici della vita quotidiana, e senza forzature, la gioia interiore e la pace, frutti della consolazione dello Spirito. Perché credere in Cristo, morto e risorto, per noi significa essere testimoni, con la parola e con la vita, della speranza che non muore.
                                                                                                

La morte di Cristo - Ambrogio (Ambrogio, Exp. Ev. Luc., 10, 140 s., 144): E non è senza scopo che un altro evangelista abbia scritto che il sepolcro era nuovo (cf. Gv 19,41), un altro che era il sepolcro di Giuseppe (cf. Mt 27,60). Di conseguenza, Cristo non aveva un sepolcro di sua proprietà. Effettivamente, il sepolcro viene allestito per quanti stanno sotto la legge della morte (cf. Rm 7,6); ma il vincitore della morte non ha un sepolcro proprio. Che rapporto ci potrebbe essere tra un sepolcro e Dio? Del resto l’Ecclesiaste dice di colui che medita sul bene (cf. Sir 14,22): Egli non ha sepoltura (Qo 6,3). Perciò, se la morte è comune a tutti, la morte di Cristo è unica, e perciò Egli non viene seppellito insieme con altri, ma è rinchiuso, solo, in un sepolcro; infatti l’incarnazione del Signore ebbe tutte le proprietà simili a quelle degli uomini, però la somiglianza va insieme con la differenza della natura: è nato da una Vergine con la somiglianza della generazione, e con la dissomiglianza della concezione. Curava gli ammalati, ma intanto imperava (cf. Lc 5,24). Giovanni battezzava con l’acqua, Egli con lo Spirito (cf. Lc 3,16). Perciò anche la morte di Cristo è comune a quella degli altri secondo la natura corporea, ma unica secondo la potenza.
E chi è mai questo Giuseppe, nel cui sepolcro Egli viene deposto? Senz’alcun dubbio è un giusto. È bello perciò che Cristo sia affidato al sepolcro di un giusto, e là il Figlio dell’uomo abbia dove posare il capo (cf. Lc 9,58) e trovi riposo nel domicilio della giustizia...
Non tutti riescono a seppellire il Cristo. Del resto le donne, sebbene pietose, stanno lontano, e appunto perché sono pietose osservano con ogni cura il posto per poter recare gli unguenti e cospargere il corpo (cf. Lc 23,55; Mt 27,55). Ma poiché sono piene d’ansia, si allontanano per ultime dal sepolcro e ritornano per prime al sepolcro (cf. Lc 23,55). Sebbene manchi la fermezza, non manca la premura.


La Bibbia e i Padri della Chiesa [I Padri vivi]: Secondo una vecchia tradizione, questo è il giorno senza l’Eucaristia, il giorno del silenzio e del digiuno a causa della morte del Redentore. Solo la sera si radunano i fedeli per la veglia notturna e le preghiere. I riti del Sabato Santo, anche se celebrati ancora la sera di questo giorno, in sostanza appartengono già alla liturgia della Domenica della Risurrezione.
Il corpo del Figlio di Dio riposa nel sepolcro. All’entrata del sepolcro fu posta una grande pietra, furono apposti i sigilli e le guardie. Se n’è andato il nostro Pastore, la fonte dell’acqua viva; perciò, la Chiesa piange su di lui come si piange l’unico figlio l’Innocente, il Signore è stato ucciso. Il Signore disse una volta: «Come Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra» (Mt 12,40); «distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,9).
Nella Liturgia delle ore, nella sua quotidiana preghiera, la Chiesa professa la fede nella Risurrezione di Gesù, nella vittoria di Gesù sulla morte. Il Signore riposa in pace, ma nella speranza che il suo corpo non subirà la corruzione della morte; si apriranno le porte eterne ed entrerà il Re della Gloria; il Signore sconfiggerà le forze infernali e le porte della morte; il Padre salverà la sua anima dal potere delle tenebre.
Fra poco il Signore acclamerà: «Ero morto, adesso vivo in eterno - mie sono le chiavi della morte e dell’abisso». Il chicco di grano gettato in terra porterà frutto. La Chiesa in preghiera attende la Risurrezione del Signore. La preghiera della Chiesa può essere riassunta nel canto, che inizia la odierna liturgia delle ore: «Venite, adoriamo il Signore, il crocifisso e sepolto per noi».


Primo Mazzolari (Il segno dei chiodi): Per i discepoli, la notte del Sabato fu la notte più spenta, anche se il plenilunio continuava. Dopo la giornata del Sabato, eguale e interminabile come le giornate che seguono le sepolture, la notte fu veramente la fine per dei cuori che avevano osato collocare una speranza immortale sovra un uomo mortale. Chi non sa vincere la morte è un poveruomo come noi.
Sulla strada della Pasqua non un passo, non un cuore: il sepolcro senza gloria aveva tutto inghiottito.
Solo un gruppo di donne sospirava «verso l’alba del primo giorno della settimana per andare al sepolcro a imbalsamare Gesù» (cfr. Mc. 16,1): omaggio pietoso di una fede perduta, che la tomba aveva composto per la religione dei ricordi. Nessuna di esse avrebbe portato con gli aromi, sia pur ben celato, l’alleluia.
Se si chiedevano chi le avrebbe aiutate a rimuovere la pietra, non era certo con l’intenzione di «far strada alla vita», ma per un’ultima devozione alla morte...
Tutti avevano bisogno di vita e nessuno chiamava il Vivente; tutti avevano bisogno ch’Egli vincesse la morte e nessuno osava immaginarlo trionfante.
L’alleluia è nato unicamente dall’infinita carità del Signore, che dal Sepolcro non guardò se di qua c’erano cuori consapevoli e vigilanti...
Il Mistero della Pasqua si ripete. La notte della veglia pasquale, col suo cuore adorante, è sulla strada del Cristo che ritorna vincitore della morte.
Ma l’uomo dov’è col suo povero cuore?
Chi di noi crede veramente a Colui che, risorgendo, suggella «l’eccesso inestimabile di quella divina carità che per redimere il servo consegna alla croce il figlio»? (Annuncio pasquale).
Quanti, tra i molti che affolleranno le chiese per i riti pasquali, «sentiranno» il Risorto negli avvenimenti che si preparano?
Come le donne ci metteremo in cammino all’alba per recarci nelle nostre Chiese, giacché non riusciamo a sottrarci all’ingiunzione di certi segreti richiami, le braccia ingombre d’aromi per imbalsamare ancora una volta il Signore.
Così purtroppo è la nostra Pasqua: un omaggio di pietà, come se il Cristo, in questo momento, avesse bisogno della nostra piccola pietà. I morti hanno bisogno di pietà: il Vivente di audacia.
«Non vi spaventate - parlano gli angioli. - Voi cercate Gesù. Non è qui. Ecco il luogo dove l’avevan posto» (Mc. 16,6).
Il passato, le civiltà, le culture, le nostre stesse basiliche, le nostre stesse più care tradizioni possono essere i luoghi ove l’avevano posto gli uomini di un tempo.
«Andate e dite ai discepoli e a Pietro, ch’Egli vi precede» (Mc. 16,7). Dove? Dappertutto. In Galilea e sul monte: nel Cenacolo e lungo la strada di Emmaus: sul mare e nei deserti, ovunque l’uomo pianta la sua tenda, spezza il suo pane, costruisce le sue città, piangendo, sospirando, cantando, imprecando. Egli vi precede: ecco la consegna di questa Pasqua. Se alzandoci dalla Tavola eucaristica saremo disposti a seguirlo ovunque, «ovunque lo vedremo, così come egli ha detto».
 

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Se alzandoci dalla Tavola eucaristica saremo disposti a seguirlo ovunque, «ovunque lo vedremo, così come egli ha detto».
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, noi ti ringraziamo per questo silenzio che precede la risurrezione. Cristo è stato posto nel sepolcro. La guardia vigila perché non si venga a rubare il suo corpo. Cristo, tu sei ora nel grembo della terra, per riconfortare i nostri padri. Se il seme non muore, non può dare frutti. Concedimi, Signore, di morire con te, per portare frutti abbondanti, come il seme nella terra, che aspetta che nasca e cresca una nuova vita.




IL VANGELO DEL GIORNO

30 Marzo 2018

VENERDÌ SANTO



Oggi Gesù ci dice: “Poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede” (II Lettura).


Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 18,1-19,42: Giovanni, il figlio di Zebedeo, per la tradizione cristiana è l’autore del quarto Vangelo, è il discepolo che Gesù amava. Il figlio del tuono, così come lo chiamò Gesù (Mc 3,17), nel vergare queste ultime pagine della sua Opera vuole ricordare alla sua comunità gli ultimi momenti della vita del Signore, che lui conosceva bene essendogli stato intimo e vicino fino alla fine. L’immagine che ne esce dal suo ricordo è quella del Maestro che ha insegnato le vie dell’amore al suo popolo, ha fatto segni chiarissimi davanti ad esso, segni che indicavano la sua provenienza dall’alto, ma ora era tragicamente solo davanti alla tortura della passione e alla morte. Passione e morte che non hanno niente di glorioso agli occhi degli uomini. Sembrano una passione e una morte di un malfattore, non degne di essere ricordate e celebrate. Eppure quella morte fu la più alta manifestazione dell’amore di Gesù per tutti gli uomini: In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi (1Gv 3,16). È un amore che venne eternato con la sua risurrezione al terzo giorno e ora può essere sperimentato da chi tiene lo sguardo su di Lui, il Signore, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento (Eb 12,1).


La Bibbia e i Padri della Chiesa [I Padri vivi]: Da quando si cominciò a celebrare la Pasqua in giorno di domenica, il Venerdì Santo diventò il giorno della commemorazione della morte del Signore. A Gerusalemme verso la fine del IV secolo, prima del mezzogiorno si esponevano nella chiesa della Santa Croce sul Golgota le reliquie della Croce del Signore, che erano venerate dai fedeli. A mezzogiorno, il popolo si radunava di nuovo davanti alla stessa chiesa: dalle 12 fino alle 15, si leggeva la Sacra Scrittura e si cantavano i salmi. Sia in Oriente che in Occidente, in questo giorno non si celebrava lEucaristia. A Roma, si celebrava una funzione sacra la sera: si leggevano due brani dal Vecchio Testamento e la Passione del Signore secondo Giovanni. La liturgia si concludeva con le solenni preghiere di origine antica, per i rispettivi ceti della Chiesa. Ladorazione della Croce, sullesempio delladorazione di Gerusalemme, venne introdotta nel secolo VII. Roma era in possesso nientemeno che delle reliquie della santa Croce. Il papa si recava dal Laterano alla chiesa di Santa Croce in Gerusalemme insieme con alcuni diaconi, che portavano le reliquie. Queste venivano poste sullaltare e in grande semplicità si iniziava ladorazione. In Spagna e in Gallia si arriva alla drammatizzazione della liturgia: si svelava ed esponeva la Croce, ci si prostrava per tre volte davanti al Legno sacro, si cantavano gli improperi «Popolo mio» e altri inni. Questi elementi saranno introdotti nella liturgia romana nel IX-X secolo. La santa Comunione delle specie consacrate il Giovedì Santo compare a Roma sotto linflusso della liturgia orientale nel VII-VIII secolo, però nel XIII secolo verrà limitata al solo celebrante.
Nei paesi nordici, c’è un rito simile alla reposizione del Santissimo Sacramento il Giovedì Santo, che viene chiamato «la deposizione della Croce e dell’Ostia». Ben presto, il rito viene accolto in molte chiese eccetto la romana. Alcuni deponevano nel sepolcro il Santissimo Sacramento (Augsburg), altri invece la Croce (Inghilterra, Francia). I fedeli adoravano l’Ostia e la Croce fino al mattino di Pasqua.
La Chiesa rimane oggi con il Signore che affronta la Passione per la salvezza del mondo. Sta insieme con Gesù nel Giardino degli Olivi, vive insieme con Lui l’arresto e il giudizio, cammina col Salvatore lungo la Via della Croce, resta con lui sul Calvario e sperimenta il silenzio del sepolcro. La liturgia della parola ci introduce nel mistero della Passione del Signore. Il sofferente Servo di Dio, disprezzato e respinto dagli uomini, viene condotto come agnello al macello. Dio pose su di lui le colpe di noi tutti. Cristo muore nel momento in cui nel tempio vengono sacrificati gli agnelli necessari alla celebrazione della cena pasquale. È Lui il vero Agnello, che toglie i peccati del mondo. Egli viene offerto come nostra Pasqua. Cristo morì per tutti gli uomini e perciò in questo giorno la Chiesa, secondo la sua più antica tradizione, rivolge a Dio una grande preghiera. Prega per tutta la Chiesa nel mondo, chiede l’unificazione di tutti i credenti in Cristo, intercede per il Popolo Eletto. Ricorda tutti i credenti delle altre religioni come anche chi non crede, prega per i governanti e per gli afflitti.
Come non ringraziare Dio in questo giorno? Lodiamo Gesù e rendiamogli grazie, adorando la Croce su cui si compì la salvezza del mondo. Non solo glorifichiamo il Signore, ma ricevendo la santa Comunione dai doni consacrati ieri ci uniamo a Cristo: ogni volta che mangiamo di questo Pane annunziamo la morte del Signore, nell’attesa della sua venuta.


Il Calvario è il dramma che da duemila anni turba l’intera umanità, perché non si può restare indifferenti dinanzi alla morte atroce di un Uomo, tradito da un amico che era stato elevato alla dignità di Apostolo. Non si può restare indifferenti dinanzi ai dolori e alle sofferenze di un Uomo trascinato in tribunale con false accuse, vilipeso, umiliato solo per il gusto di umiliarlo e di farlo soffrire, messo a morte avvalorando la sua presunta colpevolezza con menzogne, falsi testimoni, ricorrendo al ricatto perché il debole Pilato cedesse all’arroganza del Sinedrio, dei Farisei, che con gioia luciferina esultavano appagati nel loro cuore, perché finalmente agguantavano la meta tanto agognata e desiderata, la morte del Figlio di Maria. In qualsiasi fronte si trovi l’uomo non può restare indifferente. Il credente non può non piangere i suoi peccati, terribili chiodi che tengono affisso alla Croce il Figlio di Dio, il non credente non può non protestare sconcertato per l’ingiusta condanna, e disapprovarla sinceramente; non può restare inerte dinanzi alla morte di un Uomo innocente, non può e non può non accogliere il dono della pace, del perdono, della misericordia che quell’Uomo crocifisso, in questa drammatica ora, gli offre. Ancora una volta noi cristiani meditiamo, la Passione di nostro Signore Gesù, ma dobbiamo essere sinceri e onesti, un anno fa abbiamo fatto la stessa cosa, ma cosa è cambiato nella nostra vita? Il Crocifisso non è soltanto una icona dolorosa ma un esame di coscienza. È testimonianza dell’amore di Dio, ed è un “forte grido” (Mc 15,37) alle nostre coscienze fin troppo indolenti e rese opache dall’abitudine del peccato, un grido perché abbandoniamo le tortuose vie della malvagità per convertirci, ed entrare nella nuova vita, preludio della somma gloria che attende l’uomo appena varcati i miseri confini della vita terrena.


Padre Raniero Cantalamessa (Omelia 10 Aprile 2009): Cristo, con la sua passione e morte, ha ribaltato il rapporto tra piacere e dolore. Egli “in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottomise alla croce” (Eb 12,2). Non più un piacere che termina in sofferenza, ma una sofferenza che porta alla vita e alla gioia. Non si tratta solo di un diverso susseguirsi delle due cose; è la gioia, in questo modo, ad avere l’ultima parola, non la sofferenza, e una gioia che durerà in eterno. “Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui” (Rom 6,9). E non lo avrà neppure su di noi. Questo nuovo rapporto tra sofferenza e piacere si riflette nel modo di scandire il tempo della Bibbia. Nel calcolo umano, il giorno inizia con la mattina e termina con la notte; per la Bibbia comincia con la notte e termina con il giorno: “E fu sera e fu mattina: primo giorno”, recita il racconto della creazione (Gen 1,5). Non è senza significato che Gesù morì di sera e risorse di mattino. Senza Dio, la vita è un giorno che termina nella notte; con Dio è una notte che termina nel giorno, e un giorno senza tramonto.


Collocazione provvisoria – Don Tonino Bello, Vescovo: Nel Duomo vecchio di Molfetta c’è un grande crocifisso di terracotta. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l’ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria. La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell’opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere per nessuna ragione il crocifisso di lì, da quella parete nuda, da quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito. Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce. La mia, la tua croce, non so quella di Cristo
Coraggio, allora, tu che soffri inchiodato su una carrozzella. Animo, tu che provi i morsi della solitudine. Abbi fiducia, tu che bevi al calice amaro dell’abbandono. Non imprecare, sorella, che ti vedi distruggere giorno dopo giorno da un male che non perdona. Asciugati le lacrime, fratello, che sei stato pugnalato alle spalle da coloro che ritenevi tuoi amici. Non tirare i remi in barca, tu che sei stanco di lottare e hai accumulato delusioni a non finire. Coraggio. La tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre “collocazione provvisoria”. Il Calvario, dove essa è piantata, non è zona residenziale. E il terreno di questa collina, dove si consuma la tua sofferenza, non si venderà mai come suolo edificatorio. Anche il Vangelo ci invita a considerare la provvisorietà della croce. C’è una frase immensa, che riassume la tragedia del creato al momento della morte di Cristo. “Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra”. Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti invalicabili, il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Ecco le saracinesche che comprimono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si consumano tutte le agonie dei figli dell’uomo. Da  mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quell’orario, c’è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio. Coraggio, fratello che soffri. Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio. Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.


Siamo arrivati al terminePossiamo mettere in evidenza:
*** Coraggio, fratello che soffri. Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio. Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che nella passione del Cristo nostro Signore ci hai liberati dalla morte, eredità dell’antico peccato trasmessa a tutto il genere umano, rinnovaci a somiglianza del tuo Figlio; e come abbiamo portato in noi, per la nostra nascita, l’immagine dell’uomo terreno, così per l’azione del tuo Spirito, fa’ che portiamo l’immagine dell’uomo celeste. Per Cristo nostro Signore.






IL VANGELO DEL GIORNO

29 Marzo 2018

GIOVEDÌ SANTO

IN COENA DOMINI


Oggi Gesù ci dice: “Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore: come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Cfr. Gv 13,34).


Dal Vangelo secondo Giovanni 13,1-15: Ormai la Passione è vicina, e Gesù vuol stare con i suoi Amici (Gv 15,15), e in questa riunione svela loro tutto il suo amore: un amore ab aeterno, dall’eternità, che si è manifestato in tanti piccoli e grandi gesti di amore durante la sua vita terrena, e che ora si farà palese in tutta la sua “ampiezza, lunghezza, altezza e profondità” (Ef 3,18) consumandosi sulla Croce: li amò sino alla fine. Il brano di Giovanni mette in evidenza: la logica del grembiule che si edifica e poggia sulla bella virtù della umiltà, è la logica della carità, la logica del “piegarsi” dinanzi al fratello per lavargli i “piedi”. Una immagine da prendere anche alla lettera: quanti infermi, paralitici, hanno bisogno di un “buon samaritano” che presti loro le attenzioni anche più “intime”, come quello di lavargli il corpo, di asciugare il sudore, di imboccarlo... Il brano giovanneo mette in evidenza il comando di Gesù: “Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”. Da qui si evince la linea di demarcazione che separa il mondo e la Chiesa. La carità della Chiesa non è filantropia, ma amore di Cristo che si fa “carne” di consolazione per i più miseri, per i più poveri: “I poveri infatti li avete sempre con voi” (Gv 12,8). La Presenza di Gesù continua nel mistero dell’Eucarestia, ma continua nel mistero del dolore che sfigura la vita di tanti uomini, li sfigura ma allo stesso tempo li trasfigura se raggiunti dall’Amore del Cristo attraverso la pietà e la misericordia della Chiesa.


Messale delle Domeniche e Feste (ELLEDICI): L’amare e il sapere di Gesù - Il capitolo 13 di Giovanni pone subito al primo versetto i due I verbi che reggeranno tutta l’ultima parte del quarto vangelo (cf Gv 13.1).
«Amare» è il primo fra i due. Gesù ha amato e ama i suoi discepoli. Si approssima alla passione per amore dell’umanità. Nella parte finale del capitolo consegna il «comandamento nuovo» (cf Gv 13,34a); invita i discepoli ad amare seguendo il suo esempio (cf Gv 13,34b); indica l’amore come la testimonianza più credibile del discepolato (cf Gv 13,35). L’amore di Gesù accetta l’abbassamento radicale della croce, del dono della vita (cf Gv 15,13).
L’amore, però, deve tradursi in azioni concrete di servizio. Di questo Gesù dà l’esempio con il suo chinarsi davanti ai discepoli per compiere un gesto di umiltà estrema: lavare loro i piedi.
Il secondo verbo che reggerà tutta l’ultima parte del vangelo di Giovanni è «sapere». Gesù è consapevole di quanto sta accadendo; accondiscende, perché condivide la volontà di salvezza del Padre; accetta in piena libertà le conseguenze della scelta e gli eventi. Ne è testimonianza la lettura dei fatti della passione, dei quali, nel quarto vangelo, Gesù stesso è protagonista, quasi regista. Nella lavanda Gesù depone le vesti e le riprende (cf Gv 13,4.12), riferimento al suo consegnare la vita nella passione, per poi riaverla nella resurrezione.


Marco Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): Gesù e Satana - I primi versetti di questa pagina evangelica presentano subito i due antagonisti della lotta che sta per iniziare e ci dicono che cosa farà Gesù nella sua «ora» e con quale coscienza la affronterà. Già siamo preparati per capirla. Gesù infatti ha già definito la sua ora come il momento in cui il Figlio dell’uomo sarà glorificato (12,23), come l’«adesso» in cui il Principe di questo mondo (qui chiamato il «diavolo») sarà gettato fuori (12,31) e come il momento in cui «elevato da terra, attirerà tutti a sé» (12,32). Perciò il Gesù che si presenta a noi è già sicuro della vittoria. E non può essere altrimenti: egli sa che il Padre ha posto ogni cosa nelle sue mani, gli ha dato, cioè, ogni potere affinché chiunque creda abbia la vita eterna (vedi 3,35-36).
L’agire di Gesù tende alla vita. Non così quello del suo nemico, il diavolo, che non agisce a volto scoperto, ma per mezzo di emissari, qui per mezzo di Giuda, oramai in suo potere; non lo lascerà più e lo condurrà sino in fondo nel suo tradimento.
Osserviamo meglio Gesù - L’evangelista sottolinea con forza la coscienza che Gesù ha di sé, usando per due volte il participio «sapendo». Gesù sa che è venuta l’ora di passare da questo mondo al Padre e sa che quest’ora è il punto cardine della sua parabola umana. Il suo infatti non è un «andare», ma un «ritorno», poiché egli sa che è venuto da Dio e che a Dio ritorna. Ebbene, egli intende vivere quest’ora non per costrizione, ma per amore. Per questo l’evangelista annota che avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine, cioè: sino all’ultimo istante della sua vita, sino alla perfezione. La sua ora sarà un atto di supremo amore.
Questa è la vera chiave di lettura di tutta la sua Passione, non ce n’è un’altra; e il gesto di lavare i piedi ai suoi discepoli ne è il segno. Esso dice con quali occhi e con quali sentimenti dobbiamo leggere il resto: come un «servizio-amore».
Gesù e Pietro - Ecco Gesù servo! La scena si svolge in modo assai vivace. L’alternanza presente-passato di tanti verbi la fa rivivere in ogni suo dettaglio: «si alza... depone... prendendo... si cinse... versa... incominciò...». È il servizio degli schiavi non ebrei quello che Gesù compie. E non lo compie all’inizio della Cena, ma mentre cenavano. Ciò fa meglio risaltare l’agire di Gesù e quello che egli vuole insegnare ai discepoli.
Eccolo davanti a Simon Pietro. Prima si è parlato di Giuda, già intenzionato a tradire, ora si parla di Pietro che lo rinnegherà. Egli però non lo sa ancora, lo sa solo Gesù. Pietro a prima vista sembra mosso da amore verso il Maestro; ma vuole che agisca a modo suo, non così: è il Maestro e il Signore; non può fare il «servo». In realtà non riesce a capire come Gesù vuole essere Messia, e se lo intuisce, lo rifiuta: il Messia deve occupare il trono di Israele (vedi commento a 6,15), non servire.
Gesù invece vuole cambiare questa mentalità. Egli vuole insegnare loro ad amare. Ora lo fa con l’esempio, poi lo farà con la parola (soprattutto nel c. 15). Egli vuol essere il primo nell’amore, non vuole imporre un comandamento che non abbia vissuto per primo. Ma questo Pietro «lo capirà più tardi». Ora Gesù gli chiede soltanto di lasciarlo fare e, di fronte al rifiuto di Pietro, gli risponde: «Se non ti laverò (cioè: se non mi accetti come «Servo»), non avrai niente da spartire con me (non potrai continuare ad essere mio discepolo)».
Pietro si spaventa e lo lascia fare, anzi vuole che gli lavi anche le mani e la testa. Ma Gesù gli dice che per lui e altri basta lavare i piedi, perché già sono «puri» ma aggiunge: «... non tutti». L’evangelista come al solito, commenta:  «Sapeva chi lo avrebbe tradito». L’ombra di Giuda pesa su tutta la scena.


Vi ho dato un esempio: Veritatis splendor 20: Gesù chiede di seguirlo e di imitarlo sulla strada dell’amore, di un amore che si dona totalmente ai fratelli per amore di Dio: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15,12). Questo “come” esige l’imitazione di Gesù, del suo amore di cui la lavanda dei piedi è segno: “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,14-15). L’agire di Gesù e la sua parola, le sue azioni e i suoi precetti costituiscono la regola morale della vita cristiana. Infatti, queste sue azioni e, in modo particolare, la passione e la morte in croce, sono la viva rivelazione del suo amore per il Padre e per gli uomini. Proprio questo amore Gesù chiede che sia imitato da quanti lo seguono. Esso è il comandamento “nuovo”: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35). Questo “come” indica anche la misura con la quale Gesù ha amato, e con la quale devono amarsi tra loro i suoi discepoli. Dopo aver detto: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15,12), Gesù prosegue con le parole che indicano il dono sacrificale della sua vita sulla croce, quale testimonianza di un amore “sino alla fine” (Gv 13,1): “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Chiamando il giovane a seguirlo sulla strada della perfezione, Gesù gli chiede di essere perfetto nel comandamento dell’amore, nel “suo” comandamento: di inserirsi nel movimento della sua donazione totale, di imitare e di rivivere l’amore stesso del Maestro “buono”, di colui che ha amato “sino alla fine”. È quanto Gesù chiede ad ogni uomo che vuole mettersi alla sua sequela: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24).


ADORARE, RINGRAZIARE, AMARE CRISTO PRESENTE TRA NOI - Paolo VI (Omelia, 7 Aprile 1966): Fratelli e Figli, come il grande rito vuole, un grande sforzo di memoria a noi questa sera è domandato. Dobbiamo ricordare Gesù Cristo con tutte le forze del nostro spirito. Questo è l’amore che ora gli dobbiamo. Ricorda chi ama. La nostra grande colpa è l’oblio, è la dimenticanza. È la colpa ricorrente nella vicenda biblica: mentre Dio non si dimentica mai di noi ... «Potrà mai una donna dimenticarsi del suo bambino, da non sentire più compassione per il figlio delle sue viscere? ...» (Is. 49,15), noi ci dimentichiamo così facilmente di Lui. Siamo giunti a tanto, nel nostro tempo, da credere una liberazione lo scordarci di Dio, da volere scordarci di Lui; come fosse liberazione lo scordarci del sole della nostra vita! Noi spingiamo sovente la giusta distinzione dei vari ordini sia del sapere, che dell’azione, la quale non vuole confusione fra il sacro e il profano e rivendica a ciascuno la loro relativa autonomia, fino alla negazione dell’ordine religioso, e alla diffidenza e alla resistenza nei suoi confronti, per l’errata convinzione che nel laicismo radicale sia prestigio umano e vera sapienza. Così la dimenticanza di Cristo si fa abituale anche in una società che tanto da Lui ha ricevuto e tuttora riceve; e si insinua qualche volta anche nella comunità ecclesiale: «Tutti cercano, lamenta l’Apostolo, le cose proprie, non quelle di Gesù Cristo» (Phil. 2,21).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che ci hai riuniti per celebrare la santa Cena nella quale il tuo unico Figlio, prima di consegnarsi alla morte, affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore, fa’ che dalla partecipazione a così grande mistero attingiamo pienezza di carità e di vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo...