IL PENSIERO DEL GIORNO


1 Novembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28; Cf Acclamazione al Vangelo).  


Vangelo secondo Matteo 5,1-12a: I santi hanno amato e vissuto intensamente le beatitudini. Ma una beatitudine in particolare ha ispirato e sostenuto la loro vita: Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati. I santi sono coloro che hanno avuto fame e sete di giustizia, cioè, nel linguaggio biblico, di santità. Non si sono rassegnati alla mediocrità, non si sono accontentati delle mezze misure. Hanno messo le ali e sono volati in alto, sempre più in alto, fino a raggiungere il Cielo.


La beatitudine - Anselm Urban: Le beatitudini sulle labbra di Gesù hanno un suono tutto particolare. Chiama beati gli occhi che sono testimoni della sua azione, e gli orecchi ai quali è dato di udire il suo messaggio (Mt 13,16s). È beato chi accetta con fede questa rivelazione decisiva (Mt 16,17; cf. Lc 1,45) e non si scandalizza (Mt 11,6). La beatitudine della fede continua a valere proprio quando l’ora particolare della salvezza è passata (Gv 20,29). Le beatitudini sono collocate all’inizio del grande discorso della montagna (Mt 5,3-12) e del discorso della pianura (Lc 6,20- 23); in Mt quindi sono poste all’inizio assoluto della predicazione di Gesù. Nella forma breve di Lc, ai quattro “beati” corrispondono quattro “guai” (cf. le coppie di contrapposizioni in Is 65,13s), il che sottolinea maggiormente il paradosso di questa “beatitudine”; viene promessa ai poveri e agli oppressi che agli occhi degli uomini sono da compatire. Ma proprio a questi, secondo Lc 4,18s, Gesù porta il suo “lieto messaggio”. L’evangelo della signoria di Dio che ora si è avvicinata (Mc 1,15) significa “sovvertimento di tutti i valori”. Soltanto per amore di questo unico assoluto “valore” (cf. Mt 13,44-46) ciascuno può essere dichiarato, in verità, beato. Tutte le beatitudini promettono una futura salvezza, il regno di Dio compiuto, che tuttavia viene promesso già ora, per il quale si può essere “iscritti in cielo” (cf. Lc 10,30).  La Scrittura non definisce beato lo stato di perfezione (per es. Lc 14,15), ma l’uomo che è in cammino verso di essa, tra chiamata (Ap 19,9) e superamento della prova (Gc 1,12).


Tutti i Santi: Benedetto XVI (Angelus, 1 novembre 2011): La Solennità di Tutti i Santi è occasione propizia per elevare lo sguardo dalle realtà terrene, scandite dal tempo, alla dimensione di Dio, la dimensione dell’eternità e della santità. La Liturgia ci ricorda oggi che la santità è l’originaria vocazione di ogni battezzato (cfr. Lumen gentium, 40). Cristo infatti, che col Padre e con lo Spirito è il solo Santo (cfr. Ap 15,4), ha amato la Chiesa come sua sposa e ha dato se stesso per lei, al fine di santificarla (cfr. Ef 5,25-26). Per questa ragione tutti i membri del Popolo di Dio sono chiamati a diventare santi, secondo l’affermazione dell’apostolo Paolo: «Questa infatti è la volontà di Dio, la vostra santificazione» (1Ts 4,3). Siamo dunque invitati a guardare la Chiesa non nel suo aspetto solo temporale ed umano, segnato dalla fragilità, ma come Cristo l’ha voluta, cioè «comunione dei santi» (Catechismo della Cattolica, 946). Nel Credo professiamo la Chiesa «santa», santa in quanto è il Corpo di Cristo, è strumento di partecipazione ai santi Misteri - in primo luogo l’Eucaristia - e famiglia dei Santi, alla cui protezione veniamo affidati nel giorno del Battesimo. Oggi veneriamo proprio questa innumerevole comunità di Tutti i Santi, i quali, attraverso i loro differenti percorsi di vita, ci indicano diverse strade di santità, accomunate da un unico denominatore: seguire Cristo e conformarsi a Lui, fine ultimo della nostra vicenda umana. Tutti gli stati di vita, infatti, possono diventare, con l’azione della grazia e con l’impegno e la perseveranza di ciascuno, vie di santificazione.


La Chiesa indefettibilmente santa - Lumen gentium 39: La Chiesa, il cui mistero è esposto dal sacro Concilio, è agli occhi della fede indefettibilmente santa. Infatti Cristo, Figlio di Dio, il quale col Padre e lo Spirito è proclamato «il solo Santo», amò la Chiesa come sua sposa e diede se stesso per essa, al fine di santificarla (cfr. Ef 5,25-26), l’ha unita a sé come suo corpo e l’ha riempita col dono dello Spirito Santo, per la gloria di Dio. Perciò tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla gerarchia, sia che siano retti da essa, sono chiamati alla santità, secondo le parole dell’Apostolo: «Sì, ciò che Dio vuole è la vostra santificazione» (1Ts 4,3; cfr. Ef 1,4). Orbene, questa santità della Chiesa costantemente si manifesta e si deve manifestare nei frutti della grazia che lo Spirito produce nei fedeli; si esprime in varie forme in ciascuno di quelli che tendono alla carità perfetta nella linea propria di vita ed edificano gli altri; e in un modo tutto suo proprio si manifesta nella pratica dei consigli che si sogliono chiamare evangelici. Questa pratica dei consigli, abbracciata da molti cristiani per impulso dello Spirito Santo, sia a titolo privato, sia in una condizione o stato sanciti nella Chiesa, porta e deve portare nel mondo una luminosa testimonianza e un esempio di questa santità.


In che senso la Chiesa è santa?: Compendio Catechismo della Chiesa Cattolica 165: La Chiesa è santa, in quanto Dio Santissimo è il suo autore; Cristo ha dato se stesso per lei, per santificarla e renderla santificante; lo Spirito Santo la vivifica con la carità. In essa si trova la pienezza dei mezzi di salvezza. La santità è la vocazione di ogni suo membro e il fine di ogni sua attività. La Chiesa annovera al suo interno la Vergine Maria e innumerevoli Santi, quali modelli e intercessori. La santità della Chiesa è la sorgente della santificazione dei suoi figli, i quali, qui sulla terra, si riconoscono tutti peccatori, sempre bisognosi di conversione e di purificazione.


Vocazione universale alla santità - Lumen gentium 40: Il Signore Gesù, maestro e modello divino di ogni perfezione, a tutti e a ciascuno dei suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato quella santità di vita, di cui egli stesso è autore e perfezionatore: «Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste» (Mt 5,48) . Mandò infatti a tutti lo Spirito Santo, che li muova internamente ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutte le forze (cfr Mc 12,30), e ad amarsi a vicenda come Cristo ha amato loro (cfr. Gv 13,34; 15,12). I seguaci di Cristo, chiamati da Dio, non a titolo delle loro opere, ma a titolo del suo disegno e della grazia, giustificati in Gesù nostro Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi quindi devono, con l’aiuto di Dio, mantenere e perfezionare con la loro vita la santità che hanno ricevuto. Li ammonisce l’Apostolo che vivano «come si conviene a santi» (Ef 5,3), si rivestano «come si conviene a eletti di Dio, santi e prediletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di dolcezza e di pazienza » (Col 3,12) e portino i frutti dello Spirito per la loro santificazione (cfr. Gal 5,22; Rm 6,22). E poiché tutti commettiamo molti sbagli (cfr. Gc 3,2), abbiamo continuamente bisogno della misericordia di Dio e dobbiamo ogni giorno pregare: « Rimetti a noi i nostri debiti » (Mt 6,12).
È dunque evidente per tutti, che tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità e che tale santità promuove nella stessa società terrena un tenore di vita più umano. Per raggiungere questa perfezione i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura con cui Cristo volle donarle, affinché, seguendo l’esempio di lui e diventati conformi alla sua immagine, in tutto obbedienti alla volontà del Padre, con piena generosità si consacrino alla gloria di Dio e al servizio del prossimo. Così la santità del popolo di Dio crescerà in frutti abbondanti, come è splendidamente dimostrato nella storia della Chiesa dalla vita di tanti santi.


Il Rosario una via per la santità: Giovanni Paolo II (Angelus, 1 novembre 2003): Celebriamo oggi la Solennità di Tutti i Santi. Essa, invitandoci a volgere lo sguardo alla moltitudine immensa di coloro che hanno già raggiunto la Patria beata, ci addita il cammino che conduce a quella meta. A noi, pellegrini sulla Terra, i Santi e i Beati del Paradiso ricordano che il sostegno d’ogni giorno per non perdere mai di vista questo nostro eterno destino è anzitutto la preghiera. Per molti di loro è stato il Rosario - preghiera a cui era dedicato l’Anno ieri concluso - ad offrire un mezzo privilegiato per il loro quotidiano colloquio con il Signore. Il Rosario li ha condotti a un’intimità sempre più profonda con Cristo e con la Vergine Santa. Il Rosario può veramente essere una via semplice e accessibile a tutti verso la santità, che è la vocazione di ogni battezzato, come ben sottolinea l’odierna ricorrenza. Nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte ho ricordato a tutti i fedeli che la santità è l’esigenza prioritaria della vita cristiana (cfr. nn. 30-31). Maria, Regina di tutti i Santi, già immersa totalmente nella gloria divina, ci aiuti a procedere con slancio sul cammino esigente della perfezione cristiana. Ci faccia comprendere ed apprezzare sempre più la recita del Rosario come itinerario evangelico di contemplazione del mistero di Cristo e di adesione fedele alla sua volontà.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Lumen gentium 42: Tutti i fedeli del Cristo quindi sono invitati e tenuti a perseguire la santità e la perfezione del proprio stato. Perciò tutti si sforzino di dirigere rettamente i propri affetti, affinché dall’uso delle cose di questo mondo e da un attaccamento alle ricchezze contrario allo spirito della povertà evangelica non siano impediti di tendere alla carità perfetta; ammonisce infatti l’Apostolo: Quelli che usano di questo mondo, non vi ci si arrestino, perché passa la scena di questo mondo (cfr. 1Cor 7,31 gr.)  
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa:  O Padre, unica fonte di ogni santità, mirabile in tutti i tuoi Santi, fa’ che raggiungiamo anche noi la pienezza del tuo amore, per passare da questa mensa eucaristica, che ci sostiene nel pellegrinaggio terreno, al festoso banchetto del cielo. Per Cristo nostro Signore.


IL PENSIERO DEL GIORNO

 31 Ottobre 2017



Oggi Gesù ci dice: «Il regno di Dio è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata». » (Cf. Vangelo).  


Vangelo secondo Luca 13,18-21: Il tema del Vangelo è quello della pazienza. Se l’uomo è impaziente, Dio invece dà un’impostazione più ampia e più tollerante al suo piano di salvezza: «Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi» (2Pt 3,9). La parabola del granello di senape e del lievito mettono in evidenza il sorprendente contrasto tra i piccoli inizi del regno e della sua espansione. Un monito alla pazienza e a lasciare a Dio la regolazione dei conti. È un invito ad avere fiducia nell’azione di Dio, una forza intensiva ed estensiva che arriva a trasformare e a sconvolgere l’intera vita dell’uomo


A che cosa è simile il regno di Dio: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 4 Novembre 1987): L’instaurazione del regno di Dio nella storia dell’umanità è lo scopo della vocazione e della missione degli apostoli - e quindi della Chiesa - in tutto il mondo (cf. Mc 16,15; Mt 28,19-20). Gesù sapeva che questa missione, al pari della sua missione messianica, avrebbe incontrato e suscitato forti opposizioni. Fin dai giorni dell’invio nei primi esperimenti di collaborazione con lui, egli avvertiva gli apostoli: “Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt 10,16).
Nel testo di Matteo è condensato anche ciò che Gesù avrebbe detto in seguito sulla sorte dei suoi missionari (cf. Mt 10,17-25); tema sul quale egli ritorna in uno degli ultimi discorsi polemici con “scribi e farisei”, ribadendo: “Ecco io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città . . .” (Mt 23,34). Sorte che del resto era già toccata ai profeti e ad altri personaggi dell’antica alleanza, ai quali accenna il testo (cf. Mt 23,35). Ma Gesù dava ai suoi seguaci la sicurezza della durata dell’opera sua e loro: “et portae inferi non praevalebunt...”.
Malgrado le opposizioni e contraddizioni che avrebbe conosciuto nel suo svolgersi storico, il regno di Dio, instaurato una volta per sempre nel mondo con la potenza di Dio stesso mediante il Vangelo e il mistero pasquale del Figlio, avrebbe sempre portato non solo i segni della sua passione e morte, ma anche il suggello della potenza divina, sfolgorata nella risurrezione. Lo avrebbe dimostrato la storia. Ma la certezza degli apostoli e di tutti i credenti è fondata sulla rivelazione del potere divino di Cristo, storico, escatologico ed eterno, sul quale il Concilio Vaticano II insegna: “Cristo, fattosi obbediente fino alla morte e perciò esaltato dal Padre (cf. Fil 2,8-9), entrò nella gloria del suo regno; a lui sono sottomesse tutte le cose, fino a che egli sottometta al Padre se stesso e tutte le creature affinché Dio sia tutto in tutti (cf. 1 Cor 15,27-28)” (Lumen gentium 36).


È simile a un granello di senape: Papa Francesco (Omelia, 13 Novembre 2014): Il Regno di Dio è umile, come il seme: umile ma viene grande, per la forza dello Spirito Santo. A noi tocca lasciarlo crescere in noi, senza vantarci: lasciare che lo Spirito venga, ci cambi l’anima e ci porti avanti nel silenzio, nella pace, nella quiete, nella vicinanza a Dio, agli altri, nell’adorazione a Dio, senza spettacoli.


Chi segue fedelmente Cristo cerca anzitutto il regno di Dio: Gaudium et spes 72: I cristiani che partecipano attivamente allo sviluppo economico-sociale contemporaneo e alla lotta per la giustizia e la carità siano convinti di poter contribuire molto alla prosperità del genere umano e alla pace del mondo. In tali attività, sia che agiscano come singoli, sia come associati, brillino per il loro esempio. A tal fine è di grande importanza che, acquisite la competenza e l’esperienza assolutamente indispensabili, mentre svolgono le attività terrestri conservino una giusta gerarchia di valori, rimanendo fedeli a Cristo e al suo Vangelo, cosicché tutta la loro vita, individuale e sociale, sia compenetrata dello spirito delle beatitudini, specialmente dello spirito di povertà. Chi segue fedelmente Cristo cerca anzitutto il regno di Dio e vi trova un più valido e puro amore per aiutare i suoi fratelli e per realizzare, con l’ispirazione della carità, le opere della giustizia (Per il giusto uso dei beni secondo la dottrina del Nuovo Testamento cf. Lc 3,11; 10,30ss; 11,41; 1Pt 5,3; Mc 8,36; 12,29-31; Gc 5,1-6; 1Tm 6,8; Ef 4,28; 2 Cor 8,13ss; 1 Gv 3,17-18).


Non chi dice «Signore», ma chi fa la volontà del Padre entra nel regno: Gaudium et spes 93: I cristiani, ricordando le parole del Signore: «in questo conosceranno tutti che siete i miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri» (Gv 13,35), niente possono desiderare più ardentemente che servire con maggiore generosità ed efficacia gli uomini del mondo contemporaneo. Perciò, aderendo fedelmente al Vangelo e beneficiando della sua forza, uniti con tutti coloro che amano e praticano la giustizia, hanno assunto un compito immenso da adempiere su questa terra: di esso dovranno rendere conto a colui che tutti giudicherà nell’ultimo giorno.
Non tutti infatti quelli che dicono: «Signore, Signore», entreranno nel regno dei cieli, ma quelli che fanno la volontà del Padre e coraggiosamente agiscono. Perché la volontà del Padre è che in tutti gli uomini noi riconosciamo ed efficacemente amiamo Cristo fratello, con la parola e con l’azione, rendendo così testimonianza alla verità, e comunichiamo agli altri il mistero dell’amore del Padre celeste.
Così facendo, risveglieremo in tutti gli uomini della terra una viva speranza, dono dello Spirito Santo, affinché alla fine essi vengano ammessi nella pace e felicità somma, nella patria che risplende della gloria del Signore. «A colui che, mediante la potenza che opera in noi, può compiere infinitamente di più di tutto ciò che noi possiamo domandare o pensare, a lui sia la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù, per tutte le generazioni nei secoli dei secoli. Amen» (Ef 3,20-21).


Il fine della Chiesa: la diffusione del regno di Cristo: Apostolicam actuositatem 2: Questo è il fine della Chiesa: con la diffusione del regno di Cristo su tutta la terra a gloria di Dio Padre, rendere partecipi tutti gli uomini della salvezza operata dalla redenzione, e per mezzo di essi ordinare effettivamente il mondo intero a Cristo. Tutta l’attività del corpo mistico ordinata a questo fine si chiama «apostolato»; la Chiesa lo esercita mediante tutti i suoi membri, naturalmente in modi diversi; la vocazione cristiana infatti è per sua natura anche vocazione all’apostolato. Come nella compagine di un corpo vivente non vi è membro alcuno che si comporti in maniera del tutto passiva, ma unitamente alla vita partecipa anche alla sua attività, così nel corpo di Cristo, che è la Chiesa «tutto il corpo... secondo l’energia propria ad ogni singolo membro... contribuisce alla crescita del corpo stesso» (Ef 4,16). Anzi in questo corpo è tanta l’armonia e la compattezza delle membra (cfr. Ef 4,16), che un membro il quale non operasse per la crescita del corpo secondo la propria energia dovrebbe dirsi inutile per la Chiesa e per se stesso.
C’è nella Chiesa diversità di ministero ma unità di missione. Gli apostoli e i loro successori hanno avuto da Cristo l’ufficio di insegnare, reggere e santificare in suo nome e con la sua autorità. Ma anche i laici, essendo partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, all’interno della missione di tutto il popolo di Dio hanno il proprio compito nella Chiesa e nel mondo. In realtà essi esercitano l’apostolato evangelizzando e santificando gli uomini, e animando e perfezionando con lo spirito evangelico l’ordine temporale, in modo che la loro attività in quest’ordine costituisca una chiara testimonianza a Cristo e serva alla salvezza degli uomini. Siccome è proprio dello stato dei laici che essi vivano nel mondo e in mezzo agli affari profani, sono chiamati da Dio affinché, ripieni di spirito cristiano, esercitino il loro apostolato nel mondo, a modo di fermento.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Apostolicam actuositatem 4: Nel pellegrinaggio della vita presente, [i laici] nascosti con Cristo in Dio e liberi dalla schiavitù delle ricchezze, mentre mirano ai beni eterni, con animo generoso si dedicano totalmente ad estendere il regno di Dio e ad animare e perfezionare con lo spirito cristiano l’ordine delle realtà temporali. Nelle avversità della vita trovano la forza nella speranza, pensando che « le sofferenze del tempo presente non reggono il confronto con la gloria futura che si rivelerà in noi» (Rm 8,18).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente ed eterno, accresci in noi la fede, la speranza e la carità, e perché possiamo ottenere ciò che prometti, fa’ che amiamo ciò che comandi. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


IL PENSIERO DEL GIORNO


30 Ottobre 2017



Oggi Gesù ci dice: «Gioisca il cuore di chi cerca il Signore. Cercate il Signore e la sua potenza,
cercate sempre il suo volto
» (Sal 104,3-4; Cf. Antifona).   


Vangelo secondo Luca 13,10-17: Il capo della sinagoga è sdegnato perché Gesù ha guarito una donna in giorno di sabato. Gesù reagisce alla contestazione ricordando al suo interlocutore indignato la pratica corrente di abbeverare il bue o l’asino anche in giorno di sabato. È un argomento a fortiori: se in giorno di sabato si possono portare all'abbeveratoio l’asino e il bue perché non periscano di sete, un gesto per la vita per gli animali che non infrange la Legge, a maggiore ragione anche in giorno di sabato si può restituire la vita a una persona inferma. Un ragionamento sano ed equilibrato che fa precipitare i soliti contestatori nella vergogna: ancora una volta la loro ipocrisia è stata messa a nudo dinanzi alla folla che comprende il sapiente insegnamento e applaude per tutte le meraviglie operate da Gesù.


Al servizio della liberazione - Basilio Caballero (La Parola per ogni giorno): Il miracolo del vangelo di oggi, la guarigione di una donna incurvata dalla malattia, è narrato solamente da Luca. Con quello che vedremo venerdì prossimo, la guarigione di un idropico, ha in comune il fatto che Gesù compie entrambi i miracoli di sabato, anche se il primo nella sinagoga e il secondo a un banchetto.
Luca presenta tre racconti di guarigioni operate da Gesù di sabato, a differenza di Marco e di Matteo che raccontano solo la guarigione di un paralitico (cfr. Mc 3,1ss). Quindi, nei vangeli sinottici c’è la tradizione di una guarigione di Gesù di sabato, nella sinagoga e in un contesto polemico (cfr. Lc 6,l-11).
È probabile che i tre casi riportati da Luca costituiscano varianti di un miracolo originariamente identico, poiché le caratteristiche vengono ripetute fedelmente. Più che il miracolo in sé, sembra che venga messo in rilievo che accadde di sabato, e questo rivela l’atteggiamento di Gesù e della comunità cristiana primitiva sull’osservanza del sabato.
Dato che la malattia non è mortale in nessuno dei tre casi, Gesù avrebbe potuto rimandare la guarigione per non «violare» il riposo sabatico, come dice oggi indignato il capo della sinagoga alla gente: «Ci sono sei giorni in cui i deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi curare e non in giorno di sabato». È ovvio che il destinatario di queste parole cariche di rancore, più che la gente, è Gesù stesso. Ma se egli agisce così di sabato, di propria iniziativa e senza richiesta da parte dei beneficiari, non è per disprezzo della legge, ma per servire la liberazione dell’uomo.
Un’opera di carità e di misericordia come quella che Gesù compie sulla povera donna malata e incurvata già da diciotto anni, più che costituire una trasgressione del sabato, viene a perfezionare il suo significato e il suo scopo: la gloria e il culto a Dio con la liberazione dell’uomo da ogni schiavitù.
La risposta di Gesù al capo della sinagoga è un chiaro attacco ai dirigenti religiosi del popolo: «Ipocriti, non scioglie forse, di sabato, ciascuno di voi il bue e l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi?». Argo­mento parallelo a quello usato da Gesù quando guari­sce il paralitico (Mt 12,11) e l’idropico (Lc 14,5): di sa­bato permettete di salvare un animale infortunato. Per questo, incalzando i suoi oppositori, Gesù continua: «E questa figlia di Abramo, che satana ha tenuta legata diciott’anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?”. Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano».


Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato: Catechismo della Chiesa Cattolica 2173: Il Vangelo riferisce numerose occasioni nelle quali Gesù viene accusato di violare la legge del sabato. Ma Gesù non viola mai la santità di tale giorno. Egli con autorità ne dà l’interpretazione autentica: “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (Mc 2,27) Nella sua bontà, Cristo ritiene lecito in giorno di sabato fare il bene anziché il male, salvare una vita anziché toglierla (Mc 3,4). Il sabato è il giorno del Signore delle misericordie e dell’onore di Dio. “Il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato” (Mc 2,28).


Ci sono sei giorni…: Dies Domini: «Ricordare» per «santificare» - Il comandamento del Decalogo con cui Dio impone l’osservanza del sabato ha, nel Libro dell’Esodo, una formulazione caratteristica: «Ricordati del giorno di sabato per santificarlo» (20,8). E più oltre il testo ispirato ne dà la motivazione richiamando l’opera di Dio: «perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perché il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro» (v. 11). Prima di imporre qualcosa da fare, il comandamento segnala qualcosa da ricordare. Invita a risvegliare la memoria di quella grande e fondamentale opera di Dio che è la creazione. E memoria che deve animare tutta la vita religiosa dell’uomo, per confluire poi nel giorno in cui l’uomo è chiamato a riposare. Il riposo assume così una tipica valenza sacra: il fedele è invitato a riposare non solo come Dio ha riposato, ma a riposare nel Signore, riportando a lui tutta la creazione, nella lode, nel rendimento di grazie, nell’intimità filiale e nell’amicizia sponsale.


Il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato: Catechismo della Chiesa Cattolica 2173: Il Vangelo riferisce numerose occasioni nelle quali Gesù viene accusato di violare la legge del sabato. Ma Gesù non viola mai la santità di tale giorno. Egli con autorità ne dà l’interpretazione autentica: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc 2,27). Nella sua bontà, Cristo ritiene lecito in giorno di sabato fare il bene anziché il male, salvare una vita anziché toglierla. Il sabato è il giorno del Signore delle misericordie e dell’onore di Dio. «Il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato» (Mc 2,28).


La domenica compimento del Sabato: Catechismo della Chiesa Cattolica 2175: La domenica si distingue nettamente dal sabato al quale, ogni settimana, cronologicamente succede, e del quale, per i cristiani, sostituisce la prescrizione rituale. Porta a compimento, nella pasqua di Cristo, la verità spirituale del sabato ebraico ed annuncia il riposo eterno dell’uomo in Dio. Infatti, il culto della Legge preparava il mistero di Cristo, e ciò che vi si compiva prefigurava qualche aspetto relativo a Cristo: «Coloro che vivevano nell’antico ordine di cose si sono rivolti alla nuova speranza, non più guardando al sabato, ma vivendo secondo la domenica, giorno in cui è sorta la nostra vita, per la grazia del Signore e per la sua morte».


La cura dei malati: Catechismo degli Adulti 712-713: Profonda è l’unità di spirito e corpo: il disordine del peccato danneggia indirettamente il fisico; viceversa la malattia dell’organismo colpisce anche lo spirito, in quanto causa sofferenza, senso di impotenza, pericolo di morte, solitudine e angoscia. Il malato ha particolarmente bisogno di sincera solidarietà, che lo aiuti a superare la tentazione di abbattersi, di chiudersi nei confronti degli altri, di ribellarsi a Dio. In ogni epoca, «animata da quella carità con cui ci ha amato Dio, ... la Chiesa attraverso i suoi figli si unisce agli uomini di qualsiasi condizione, ma soprattutto ai poveri e ai sofferenti, e si prodiga volentieri per loro». È una storia bellissima, malgrado gli inevitabili limiti umani: strutture ospedaliere, ordini religiosi, associazioni caritative, pastorale degli infermi, dedizione eroica di santi, tra i quali ricordiamo san Camillo de’ Lellis, san Giovanni di Dio, san Vincenzo de’ Paoli, san Giuseppe Cottolengo, il medico san Giuseppe Moscati. Oggi urge qualificare in senso cristiano gli operatori sanitari e promuovere il volontariato, per sottrarre i malati e gli anziani all’isolamento, in cui troppo spesso vengono a trovarsi.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Oggi urge qualificare in senso cristiano gli operatori sanitari e promuovere il volontariato, per sottrarre i malati e gli anziani all’isolamento, in cui troppo spesso vengono a trovarsi.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che fai ogni cosa per amore e sei la più sicura difesa degli umili e dei poveri, donaci un cuore libero da tutti gli idoli, per servire te solo e amare i fratelli secondo lo Spirito del tuo Figlio, facendo del suo comandamento nuovo l’unica legge della vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

IL PENSIERO DEL GIORNO

29 Ottobre 2017



Oggi Gesù ci dice: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui» (Gv 14,23; Cf. Acclamazione al Vangelo).


G. B. (Amore, in Schede Bibliche, Volume I, Ed. Dehoniane - Bologna): Amerai il prossimo tuo come te stesso - Nel Nuovo Testamento s’impone subito all’attenzione nostra un detto di Gesù che, rispondendo alla domanda di un rabbino circa il comandamento più importante, anzitutto riporta letteralmente dal libro del Dt il comandamento dell’amore totale di Dio, ma poi aggiunge la citazione del comandamento dell’amore del prossimo di Lv 19,18 (Cf. Mt 22,34-40; Mc 12,28-34; Lc 10,25-28). La conclusione del dialogo appare diversa nei tre sinottici: Luca esorta alla pratica dei due comandamenti necessaria per la vita eterna (10,28). Marco mette in risalto il rabbino che mostra il suo accordo con la risposta di Gesù e ne riceve un lusinghiero encomio (12,32-34). Matteo invece riporta il seguente detto conclusivo di Gesù: «Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti» (22,40).
Già nell’Antico Testamento era presente la problematica del comandamento più importante. Nello schema della conclusione dell’alleanza era prevista la proclamazione della stipulazione fondamentale che precedeva l’elenco delle condizioni secondarie. Nel Dt il comandamento dell’amore di Dio era inteso appunto come stipulazione principale. Gesù dunque nella prima parte della sua risposta non fa che ripetere un luogo tradizionale. Più originale invece si mostra nell’abbinare il comandamento dell’amore del prossimo. Infatti, è vero che nel giudaismo questa prescrizione del Lv era intesa come sintesi di tutta la legge e che non erano mancate voci che avevano accostato i due comandamenti.
Ma prima di Gesù nessuno li aveva equiparati con tanta chiarezza e forza.
Ma che cosa significa di fatto parlare del comandamento più grande? Vuol dire che le esigenze divine sono ricondotte ad unità. Cristo è venuto come portavoce autorizzato della parola definitiva del Padre all’umanità: parola che, a suo giudizio, ruota attorno al perno dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo. Il confronto di chi si apre nella fede alla prospettiva del regno annunciato da Cristo non avviene sulla base di numerose prescrizioni e proibizioni, ma in rapporto a un atteggiamento fondamentale capace di dare coesione alla vita religiosa ed etica della persona. Nella stessa visuale si colloca la cosiddetta regola d’oro dell’azione umana, testimoniata da Matteo e da Luca: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti» (Mt 7,12; Cf. Lc 6,31). Sia pure in forma negativa, era già nota nel mondo giudaico. Gesù l’ha fatta propria dandole forma positiva. Non si pensi però che questo sia un cambiamento di grande importanza. Più significativo nella parola di Cristo è invece l’orizzonte in cui è fatta valere: il regno di Dio viene incontro all’uomo e lo provoca ad un atteggiamento di apertura e disponibilità. Ebbene, l’amore fattivo del prossimo costituisce la quintessenza della conversione dell’uomo al lieto annuncio del messia. Non è poi senza peso che nella regola d’oro l’amore sia inteso come un fare: si tratta di amore che chiama in causa la prassi dell’uomo.
Infine, non deve passare inosservato che si tratta di un comandamento. Ci si meraviglierà che l’amore sia comandato: il proverbio popolare non dice forse che al cuore non si comanda? Ma in questo modo non si comprende il significato vero dell’amore. In realtà, la Bibbia mette a confronto la volontà dell’uomo con la volontà di Dio. L’amore del prossimo esprime la nostra obbedienza al Padre, che vuole catturare la nostra volontà, ma per volgerne la prassi verso gli altri.
Resta da determinare chi è il prossimo per Gesù.
Soprattutto Luca ci aiuta a dare una risposta.
Infatti il terzo evangelista ci ha conservato il seguito del dialogo tra Gesù e il rabbino riguardante appunto l’identità del prossimo da amare. Alla domanda: «E chi è il mio prossimo?» Gesù risponde con una parabola incentrata sul diverso atteggiamento assunto da tre persone emblematiche di fronte alla vittima di un’aggressione: un sacerdote e un levita passano oltre, mentre un samaritano si cura del poveretto. Poi, a sua volta, domanda all’interrogante quale dei tre è stato il prossimo. Riferendosi al samaritano, il rabbino da una descrizione precisa del prossimo: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù allora conclude esortandolo a fare altrettanto. Sono così superati i confini del particolarismo religioso ed etnico del comandamento di Lv 19, ma soprattutto sono superati i limiti di un discorso teorico. In primo piano Cristo mette l’agire concreto da prossimo. Il concetto di prossimo cessa di essere una categoria più o meno comprensiva del mondo circostante e diventa esigenza operativa di amore  rivolta a ciascuno di noi.


Amerai il Signore tuo Dio, e il tuo prossimo come te stesso - Benedetto XVI, Caritas in veritate n. 2: La carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa. Ogni responsabilità e impegno delineati da tale dottrina sono attinti alla carità che, secondo l’insegnamento di Gesù, è la sintesi di tutta la Legge (Cf. Mt 22,36-40). Essa dà vera sostanza alla relazione personale con Dio e con il prossimo; è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici. Per la Chiesa - ammaestrata dal Vangelo - la carità è tutto perché, come insegna san Giovanni (Cf. 1Gv 4,8; 1Gv 4,16) e come ho ricordato nella mia prima Lettera enciclica, «Dio è carità» (Deus caritas est): dalla carità di Dio tutto proviene, per essa tutto prende forma, ad essa tutto tende. La carità è il dono più grande che Dio abbia dato agli uomini, è sua promessa e nostra speranza.


Il più grande comandamento della legge - I farisei per mettere alla prova Gesù, questa volta, si alleano con i sadducei, loro naturali nemici. Una coalizione anomala che mette in evidenza l’esasperazione dei farisei. Un’alleanza atipica perché i sadducei, diversamente dai farisei, riconoscevano come legittima solo la Legge scritta, non l’interpretazione che era stata fatta dalla tradizione orale in corrispondenza alle esigenze dei tempi; rifiutavano come normativi anche gli scritti dei Profeti; inoltre, negavano l’esistenza degli angeli, la risurrezione del corpo e la continuazione della vita dopo la morte (Cf. Mt 22,23-32). Predominanti nel sinedrio erano aperti al mondo orientato verso l’ellenismo. Interessati a cercare un compromesso con Roma, la loro influenza decadde dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio (70 d.C.). In Atti 23,6ss si narra come Paolo abbia sfruttato a suo favore i dissidi che c’erano tra queste due sette.
Il racconto della controversia è comune a Marco (12,28-31) e a Luca (10,25-28). Matteo e Luca attribuiscono alla domanda del dottore della Legge un’intenzione non corretta. Al contrario, Marco presenta lo scriba come una persona posata, intelligente, aperta al dialogo, meritevole di lode, quindi, non lontano dal regno di Dio (Mc 12,34).
La disputa ha come sfondo i precetti della legge mosaica, ripartiti dai rabbini in 613 norme, 248 precetti positivi (come il numero delle membra del corpo umano) e 365 negativi (come i giorni dell’anno). In questa cornice, la domanda posta dal dottore della legge non è capziosa, poiché, in tale selva di comandamenti, era di capitale importanza statuire una gerarchia per stabilire un primo ed un ultimo. E in questo senso va compresa la domanda che viene posta a Gesù, anche se le intenzioni degli interlocutori erano ben altre.
Gesù nel rispondere salda due precetti, il primo tratto dal libro del Deuteronomio (6,5), il secondo dal libro del Levitico: «Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore».
Quest’ultimo brano biblico descrive l’orizzonte strettamente etnico che l’amore verso il prossimo aveva per l’israelita: l’amore del prossimo prendeva senso dalla solidarietà che doveva legare nell’unità del popolo tutti i discendenti di Israele.
Il secondo poi è simile, il senso di questa affermazione non è chiaro perché l’aggettivo omoios (simile) nella sacra Scrittura ha diverse valenze. Può designare «una somiglianza lontana [Cf. Cant 2,9; Prov 19,22; Gv 9,9; Ap 1,13)] o più stretta [tra esseri della stessa natura: Cf. Gen 2,20, la donna è simile all’uomo], come un’identità assoluta [Cf. Sap 18,11]. Altre volte l’omoios introduce una qualifica d’eccellenza. Per esaltare un patriarca [Cf. Prov 44,19], un giusto [Cf. Giob 1,8; 2,3], i re d’Israele [Cf. 1Sam 10,24; 1Re 3,12-13, ecc.], Dio [Cf. Es 15,11; Sal 35,10, ecc.]. L’ebreo ricorre a una frase stereotipa: “Chi è come te? Nessuno ti assomiglia, nessuno è a te simile. Tu sei senza eguali, ecc.”. In considerazione di quest’uso si può ritenere che il secondo comandamento è della medesima natura o della medesima portata del primo. Costituisce col primo una classe, una categoria di precetti assolutamente distinta da tutti gli altri» (Ortensio da Spinetoli).
Ma Gesù, saldando i due precetti, voleva far comprendere ben altro al suo interlocutore; una sfumatura che il dottore della Legge certamente non sapeva cogliere ed era la sua Persona: Colui che gli stava dinanzi non era venuto «per abolire la Legge o i Profeti..., ma per dare compimento» (Mt 5,17). Praticamente, i comandamenti mosaici devono essere letti alla luce della sua Persona e del suo insegnamento: soltanto se si effettua questa operazione, allora, la risposta di Gesù, anche per i credenti, diventa dirompente, di una novità assoluta rispetto alla mentalità giudaica. In concreto, essendo Cristo Gesù il sacramento dell’amore del Padre, il prossimo va amato come il Padre ama gli uomini (Cf. Gv 3,16). E poiché Lui si è fatto «carne» per amore degli uomini (Cf. Gv 1,14), il prossimo va amato come il Padre ama il Figlio, perché nel Figlio v’è ogni uomo (Cf. Gv 17,21).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** La carità è il dono più grande che Dio abbia dato agli uomini, è sua promessa e nostra speranza.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che fai ogni cosa per amore e sei la più sicura difesa degli umili e dei poveri, donaci un cuore libero da tutti gli idoli, per servire te solo e amare i fratelli secondo lo Spirito del tuo Figlio, facendo del suo comandamento nuovo l'unica legge della vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


IL PENSIERO DEL GIORNO

28 Ottobre 2017



Oggi Gesù ci dice: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,18-19).


Dal Vangelo secondo Luca 6,12-19) - La preghiera, la vocazione degli Apostoli, le guarigioni degli infermi sono i temi che si intrecciano nel Vangelo odierno. A motivo della festa dei Apostoli Simone e Giuda l’attenzione va spostata sulla chiamata dei Dodici ai quali Gesù diede il nome di apostoli. Apostolos, nell’ellenismo, era un termine tecnico della navigazione, specialmente di quella militare e stava a significare l’invio di una flotta o di un esercito. Con questo termine si designava anche il comandante di una spedizione. In seguito la parola assunse significati diversi, come «lettera di accompagnamento» o «foglio di consegna» o anche «passaporto». Nel giudaismo a significare meglio il termine e il concetto di apostolo, quale avremo nel Nuovo Testamento, è la figura giuridica dello shaliah, che significa servo o ministro. Il termine denota una specie di ambasciatore o rappresentante, incaricato a svolgere con autorità il compito affidatogli, religioso o profano che fosse. Così si stabilisce una relazione profonda tra Gesù e i suoi apostoli: come egli è l’inviato del Padre, così gli apostoli sono i suoi inviati; come il Padre dimora nel Figlio inviato da lui, così anche il Figlio dimora nei suoi apostoli; come il Padre compie in lui le sue opere, così il Figlio compie negli apostoli le sue opere.


I Dodici: Pastores gregis 6: Il Signore Gesù, durante il suo pellegrinaggio sulla terra, annunciò il Vangelo del Regno e lo inaugurò in se stesso, rivelandone a tutti gli uomini il mistero. Chiamò uomini e donne alla sua sequela e, fra i discepoli, ne scelse Dodici, perché «stessero con Lui» (Mc 3,14). Il Vangelo secondo Luca specifica che Gesù fece questa sua scelta dopo una notte di preghiera trascorsa sulla montagna (cfr. Lc 6,12). Il Vangelo secondo Marco, a sua volta, sembra qualificare tale azione di Gesù come un atto sovrano, un atto costitutivo che dà identità a coloro che ha scelto: «ne costituì Dodici» (Mc 3,14). Si svela, così, il mistero dell’elezione dei Dodici: è un atto di amore, liberamente voluto da Gesù in unione profonda con il Padre e con lo Spirito Santo. La missione affidata da Gesù agli Apostoli deve durare sino alla fine dei secoli (cfr. Mt 28,20), poiché il Vangelo che essi sono incaricati di trasmettere è la vita per la Chiesa di ogni tempo. Proprio per questo essi hanno avuto cura di costituirsi dei successori, in modo che, come attesta S. Ireneo, la tradizione apostolica fosse manifestata e custodita nel corso dei secoli.


L’istituzione dei Dodici: Lumen Gentium 19:  Il Signore Gesù, dopo aver pregato il Padre, chiamò a sé quelli che egli volle, e ne costituì dodici perché stessero con lui e per mandarli a predicare il regno di Dio (cfr. Mc 3,13-19; Mt 10,1-42); ne fece i suoi apostoli (cfr. Lc 6,13) dando loro la forma di collegio, cioè di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro (cfr. Gv 21 15-17). Li mandò prima ai figli d’Israele e poi a tutte le genti (cfr. Rm 1,16) affinché, partecipi del suo potere, rendessero tutti i popoli suoi discepoli, li santificassero e governassero (cfr. Mt 28,16-20; Mc 16,15; Lc 24,45-48), diffondendo così la Chiesa e, sotto la guida del Signore, ne fossero i ministri e i pastori, tutti i giorni sino alla fine del mondo (cfr. Mt 28,20). In questa missione furono pienamente confermati il giorno di Pentecoste (cfr. At 2,1-36) secondo la promessa del Signore: " Riceverete una forza, quella dello Spirito Santo che discenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria, e sino alle estremità della terra " (At 1,8). Gli apostoli, quindi, predicando dovunque il Vangelo (cfr. Mc 16,20), accolto dagli uditori grazie all’azione dello Spirito Santo, radunano la Chiesa universale che il Signore ha fondato su di essi e edificato sul beato Pietro, loro capo, con Gesù Cristo stesso come pietra maestra angolare (cfr. Ap 21,14; Mt 16,18; Ef 2,20).

   
I Dodici: Benedetto XVI (Udienza Generale, 15 Marzo 2006): Con la loro stessa esistenza i Dodici - chiamati da provenienze diverse - diventano un appello a tutto Israele perché si converta e si lasci raccogliere nell’alleanza nuova, pieno e perfetto compimento di quella antica. L’aver affidato ad essi nella Cena, prima della sua Passione, il compito di celebrare il suo memoriale, mostra come Gesù volesse trasferire all’intera comunità nella persona dei suoi capi il mandato di essere, nella storia, segno e strumento del raduno escatologico, in lui iniziato. In un certo senso possiamo dire che proprio l’Ultima Cena è l’atto della fondazione della Chiesa, perché Egli dà se stesso e crea così una nuova comunità, una comunità unita nella comunione con Lui stesso. In questa luce, si comprende come il Risorto conferisca loro - con l’effusione dello Spirito - il potere di rimettere i peccati (cfr. Gv 20, 23). I dodici Apostoli sono così il segno più evidente della volontà di Gesù riguardo all’esistenza e alla missione della sua Chiesa, la garanzia che fra Cristo e la Chiesa non c’è alcuna contrapposizione: sono inseparabili, nonostante i peccati degli uomini che compongono la Chiesa. È pertanto del tutto inconciliabile con l’intenzione di Cristo uno slogan di moda alcuni anni fa: “Gesù sì, Chiesa no”. Questo Gesù individualistico scelto è un Gesù di fantasia. Non possiamo avere Gesù senza la realtà che Egli ha creato e nella quale si comunica. Tra il Figlio di Dio fatto carne e la sua Chiesa v’è una profonda, inscindibile e misteriosa continuità, in forza della quale Cristo è presente oggi nel suo popolo. È sempre contemporaneo a noi, è sempre contemporaneo nella Chiesa costruita sul fondamento degli Apostoli, è vivo nella successione degli Apostoli. E questa sua presenza nella comunità, nella quale Egli stesso si dà sempre a noi, è motivo della nostra gioia. Sì, Cristo è con noi, il Regno di Dio viene.


I vescovi successori degli apostoli: Lumen gentium 24-25: I vescovi, quali successori degli apostoli, ricevono dal Signore, cui è data ogni potestà in cielo e in terra, la missione d’insegnare a tutte le genti e di predicare il Vangelo ad ogni creatura, affinché tutti gli uomini, per mezzo della fede, del battesimo e dell’osservanza dei comandamenti, ottengano la salvezza (cfr. Mt 28,18-20; Mc 16,15-16; At 26,17ss). Per compiere questa missione, Cristo Signore promise agli apostoli lo Spirito Santo e il giorno di Pentecoste lo mandò dal cielo, perché con la sua forza essi gli fossero testimoni fino alla estremità della terra, davanti alle nazioni e ai popoli e ai re (cfr. At 1,8; 2,1ss; 9,15). L’ufficio poi che il Signore affidò ai pastori del suo popolo, è un vero servizio, che nella sacra Scrittura è chiamato significativamente «diaconia», cioè ministero (cfr. At 1,17 e 25; 21,19; Rm 11,13; 1Tm 1,12). La missione canonica dei vescovi può essere data per mezzo delle legittime consuetudini, non revocate dalla suprema e universale potestà della Chiesa, o per mezzo delle leggi fatte dalla stessa autorità o da essa riconosciute, oppure direttamente dallo stesso successore di Pietro; se questi rifiuta o nega la comunione apostolica, i vescovi non possono essere assunti all’ufficio.


Tutta la folla cercava di toccarlo: Cristo medico - Catechismo della Chiesa Cattolica 1503-1505: La compassione di Cristo verso i malati e le sue numerose guarigioni di infermi di ogni genere sono un chiaro segno del fatto che Dio ha visitato il suo popolo e che il regno di Dio è vicino. Gesù non ha soltanto il potere di guarire, ma anche di perdonare i peccati: è venuto a guarire l’uomo tutto intero, anima e corpo; è il medico di cui i malati hanno bisogno. La sua compassione verso tutti coloro che soffrono si spinge così lontano che egli si identifica con loro: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36). Il suo amore di predilezione per gli infermi non ha cessato, lungo i secoli, di rendere i cristiani particolarmente premurosi verso tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spirito. Esso sta all’origine degli instancabili sforzi per alleviare le loro pene.  Spesso Gesù chiede ai malati di credere. Si serve di segni per guarire: saliva e imposizione delle mani, fango e abluzione. I malati cercano di toccarlo «perché da lui usciva una forza che sanava tutti» (Lc 6,19). Così, nei sacramenti, Cristo continua a «toccarci» per guarirci. Commosso da tante sofferenze, Cristo non soltanto si lascia toccare dai malati, ma fa sue le loro miserie: «Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie» (Mt 8,17). Non ha guarito però tutti i malati. Le sue guarigioni erano segni della venuta del regno di Dio. Annunciavano una guarigione più radicale: la vittoria sul peccato e sulla morte attraverso la sua pasqua. Sulla croce, Cristo ha preso su di sé tutto il peso del male e ha tolto il «peccato del mondo» (Gv 1,29), di cui la malattia non è che una conseguenza. Con la sua passione e la sua morte sulla croce, Cristo ha dato un senso nuovo alla sofferenza: essa può ormai configurarci a lui e unirci alla sua passione redentrice.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** L’amore di predilezione di Gesù per gli infermi non ha cessato, lungo i secoli, di rendere i cristiani particolarmente premurosi verso tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spirito.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che per mezzo degli Apostoli ci hai fatto conoscere il tuo mistero di salvezza, per l’intercessione dei santi Simone e Giuda concedi alla tua Chiesa di crescere continuamente con l’adesione di nuovi popoli al Vangelo. Per il nostro Signore Gesù Cristo...