1 Dicembre 2022
 
Giovedì I Settima di Avvento (Anno A)
 
Is 26,1-6; Salmo Responsoriale dal Salmo 117 [118]; Mt 7,21.24-27
 
Colletta
Risveglia la tua potenza, o Signore,
e con grande forza vieni in nostro soccorso,
perché la tua grazia vinca le resistenze dei nostri peccati
e affretti il momento della salvezza.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Giovanni Paolo II (Omelia 6 Giugno 1999): Che cosa Cristo, dice in proposito, nella pagina dell’odierno Vangelo? Terminando il discorso della montagna, disse: “chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sulla roccia” (Mt 7, 24-25). L’opposto di colui che costruì sulla roccia è l’uomo che costruì sulla sabbia. La sua costruzione si dimostrò poco resistente. Di fronte alle prove e alle difficoltà crollò. Cristo ci insegna questo.
Una casa costruita sulla roccia. L’edificio della vita. Come costruirlo affinché non crolli sotto la pressione degli avvenimenti di questo mondo? Come costruire questo edificio perché da “abitazione sulla terra” diventi un’“abitazione ricevuta da Dio?, una dimora eterna nei cieli non costruita da mani di uomo” (cfr. 2Cor 5,1)? Oggi udiamo la risposta a questi interrogativi essenziali della fede: alla base della costruzione cristiana c’è l’ascolto e il compimento della parola di Cristo. E dicendo “la parola di Cristo” abbiamo in mente non soltanto il suo insegnamento, le parabole, le promesse, ma anche le sue opere, i segni, i miracoli. E soprattutto la sua morte, la risurrezione e la discesa dello Spirito Santo. Più ancora: abbiamo in mente il Figlio di Dio stesso, l’eterno Verbo del Padre, nel mistero dell’incarnazione. “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1, 14).
 
I Lettura: Il Signore Dio promette al suo popolo la pace, questa è la sua volontà, e questo è il suo progetto che sarà portato a compimento, nonostante la pervicacia, l’infedeltà, il peccato dell’uomo. A fronte di questa volontà salvifica, il popolo senza indugi ritorni al suo Signore, confidi in lui perché Egli è una roccia eterna, e vera è la sua parola: saranno abbattuti per sempre gli oppressi, saranno innalzati gli oppressi e i poveri.
 
Vangelo
Chi fa la volontà del Padre mio, entrerà nel regno dei cieli.
 
I capitoli cinque, sei e sette del Vangelo di Matteo contengono l’ampio discorso evangelico che Gesù rivolge alla folla e ai suoi discepoli e che è comunemente conosciuto come la Magna Charta del Regno dei Cieli. L’uomo, costruito solidamente nella sua libertà, può accogliere il Vangelo, la Buona Novella della salvezza, oppure rigettarlo, esponendosi alla catastrofe. Per l’uomo non vi sono vie intermedie: chi non è con Cristo è contro di lui, e chi non raccoglie con lui, disperde (cfr. Mt 12,30). La vita dell’uomo non è una sequenza fissa di avvenimenti che sono inevitabili e invariabili, né esiste una volontà che predetermina e ordina il corso degli avvenimenti: tutto poggia sulla sapienza o sulla insipienza dell’uomo, e quindi sulla sua capacità di saper discernere e percorrere quell’unica via che conduce alla vita.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 7,21.24-26
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».
Parola del Signore.
 
I capitoli 5-7 sono la magna carta del Regno di Dio, i versetti 21-27 del 7mo capitolo chiudono questa lunga sezione. Il versetto 21, Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, probabilmente si riferisce “ai cristiani entusiasti e carismatici, però neghittosi e disimpegnati. Costoro pensavano di piacere a Dio con grandi manifestazioni di devozione e con solenni professioni di fede nelle assemblee liturgiche. Per bocca di Gesù viene contestata la pietà falsa di questi cristiani. Non basta invocarlo e proclamarlo «Signore, Signore!», ma bisogna anzitutto impegnarsi seriamente per fare la volontà del Padre. Se la preghiera è disgiunta da una condotta di vita autenticamente cristiana non serve a nulla. È ancora l’orto prassi il criterio per discernere i veri dai falsi discepoli” (Angelico Poppi, I Quattro Vangeli).
I versetti 24-27 suggeriscono ai “veri discepoli” come edificare la loro vita perché possano ottenere il dono della beatitudine eterna. Fare la volontà del Padre e ascoltare le parole di Gesù sono consequenziali: la volontà di Gesù è la volontà del Padre, e la sua parola è la parola del Padre. Da qui si evince che colui che fa la volontà di Gesù fa la volontà del Padre, e chi ascolta la sua parola ascolta la parola Padre: “Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato… Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato” (Gv 5,30; 14,23; cfr. 4,34; 6,38).
In questi ultimi versetti il discorso della Montagna ha “una conclusione degna della sua apertura: l’immagine dell’edificio innalzato sulla roccia che non crolla, in contrasto con quello costruito sulla sabbia. Il discepolo di Gesù è un uomo saggio che edifica su solidi basi: l’ascolto e la messa in pratica degli insegnamenti del Maestro” (Angelo Lancellotti, Matteo).
 
Perciò chiunque ascolta queste mie parole - Wolfgang Trilling (Vangelo di Matteo): Gesù ci presenta i due costruttori come esempio. A chi volete assomigliare nella costruzione della casa della vostra vita? Nel giudizio degli uomini l’uno è saggio e prudente, l’altro è uno stolto che merita giustamente «il danno e le beffe». Accade così anche nei riguardi della dottrina di Gesù: chi lo ascolta e lo segue è un uomo prudente; chi invece ascolta solo, ma non lo segue, è uno stolto. Ci sono unicamente queste due possibilità, e anche qui l’unica cosa veramente decisiva è «il fare». «Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori» (Gc 1, 22). Questa non è, come nel racconto, una prudenza a stoltezza semplicemente umana e terrena. Qui non si tratta di ciò che ha successo nella vita presente, di ciò che rende salda la casa materiale. Lo stolto dell’immagine poteva costruirsi una nuova casa e imparare a sue spese la prudenza.
Al discepolo di Gesù è possibile questo? Gesù dice: «Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio...», cioè nel giorno del giudizio. L’uragano del racconto è descritto con colori così forti da far pensare all’immane catastrofe che chiuderà la storia. Cadde la pioggia a dirotto, i fiumi strariparono, soffiarono i venti e s’abbatterono su quella casa. Questa immagine richiama “l’uragano” escatologico, che decide una volta per tutte la sorte della casa della tua vita: nessuno potrà cominciare a edificare una seconda volta. Se la casa è crollata resta in rovina, per sempre. Queste parole danno a tutto il discorso della montagna una profondità e una efficacia particolare. Tu puoi costruirti una casa soltanto nell’uno o nell’altro modo. Le parole di Gesù ci indicano dove dobbiamo porre le fondamenta per poter resistere all’uragano del giudizio; ma ascoltarle e conoscerle non basta, se non costruiamo effettivamente sulla roccia, cioè se non mettiamo in pratica le sue parole. Tutto incalza; non soltanto perché così vuole Dio o così fu rivelato da Gesù, ma perché per ognuno il tempo urge. La vita è una e irripetibile, e il giudizio finale è inevitabile. Solo colui che ha costruito la sua vita avendo come unico ideale Dio, il suo regno e la sua giustizia, lo potrà superare.
 
Volontà di Dio - Wolfgang Langer: Può essere descritta come il decreto di Dio che si rivela nella creazione e nella storia. I termini ebraici e greci designano il campo semantico nel quale si chiarisce il significato: desiderio, istanza, intenzione. La volontà crea tutto ciò che è. Non si ferma al “volere”. ma nella determinazione della volontà è già compimento, azione ed esternazione. Nel messaggio biblico non si parla di destino, ma di volontà che può significare chiamata, comandamento e richiesta.
La volontà si esprime nella parola e nell’azione e in questo modo l’uomo la può riconoscere.
Con ciò però è chiaro anche l’obbligo, per l’uomo, di sottomettersi alla volontà (Rm 9,19s).
Per I’israelita la pienezza della volontà divina si trova nella Legge rivelata, alla quale deve attenersi, e altrettanto nell’intervento salvifico di Dio nella storia, che per sua volontà diventa  storia della salvezza. Promessa e vocazione, giudizio e salvezza manifestano la volontà. In assoluta indipendenza (Sap 12,12) e con sapienza, Dio guida la storia del mondo con il suo amore. Il suo popolo è prescelto in vista della salvezza, cosicché non la morte, ma la vita, non la sventura, ma la salvezza caratterizzano come volontà salvifica il progetto globale di Dio.
L’uomo però non fu sempre consapevole di questo fatto. La volontà d’amore di Dio fu rigettata da molti dopo Adamo. Gesù Cristo ha pagato il debito adempiendo la volontà; egli è la salvezza del mondo. Ubbidendo al Padre suo, il sacrificio per gli uomini culmina dell’esclamazione: “… non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (/Lc 22,42).
 
Perciò chiunque ascolta queste mie parole … : «“Gli ascoltatori della parola edificano gli uni sulla roccia, gli altri sulla sabbia.” Non vogliate perciò, fratelli miei, tradire voi stessi, dal momento che siete accorsi con diligenza ad ascoltare la parola, se non praticate ciò che ascoltate, venendo meno. Pensate che se è bello ascoltare, lo è ancor di più praticare. Se non ascolti, trascuri l’ascolto e nulla edifichi. Se ascolti e non fai, edifichi la tua rovina. Su questo argomento è stata proposta una parabola congruentissima da Cristo Signore: “Chi ascolta”, egli dice, “queste mie parole, e le mette in pratica, lo paragonerò ad un uomo prudente che costruisce la sua casa sulla roccia. Venne la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e imperversarono su quella casa, ma essa non cadde”. Perché non cadde? “Era infatti fondata sulla roccia” [Mt 7,24-27]. Quindi, ascoltare e mettere in pratica significa edificare sulla roccia. L’ascolto stesso in effetti è un edificare. “Chi però”, egli continua, “ascolta queste mie parole, e non le mette in pratica, lo paragonerò ad un uomo stolto che edifica”. Anche lui edifica. Cosa edifica? Ecco, “edifica la sua casa”: ma poiché non pratica ciò che ascolta, pur ascoltando “edifica sulla sabbia” [ibid.]. Quindi è sulla sabbia che costruisce chi ascolta e non mette in pratica; sulla roccia, chi ascolta e mette in pratica; né sulla sabbia, né sulla roccia, chi neppure ascolta. Sta’ attento, però, a ciò che segue: “Venne la pioggia, strariparono i fiumi soffiarono i venti e imperversarono su quella casa, ed essa cede: e grande fu la sua rovina” (ibid.). Spettacolo miserevole!» (Sant’Agostino).
 
Il Santo del giorno - 4 Dicembre 2022 - San Giovanni Damasceno, Sacerdote e Dottore della Chiesa: Nacque a Damasco nella seconda metà del secolo VII da una famiglia di cristiani. Dopo aver ricevuto un’ottima istruzione filosofica, divenne monaco nel monastero di San Saba a Gerusalemme e fu ordinato sacerdote. Scrisse molte opere di dottrina teologica, in particolare contro gli iconoclasti. Morì verso la metà del secolo VIII.
 
O Padre, la forza del tuo Spirito,
operante in questi santi misteri,
sia per noi sostegno nella vita presente
e pegno sicuro della felicità eterna.
Per Cristo nostro Signore.
 
 30 Novembre 2022

 Mercoledì I Settima di Avvento (Anno A)
 
Sant’Andrea, Apostolo (Festa)
 
Rm 10,9-18; Sal 18 [19]; Mt 4,18-22
 
Colletta
Umilmente ti invochiamo, o Signore:
il santo apostolo Andrea, che fu annunciatore del Vangelo
e guida per la tua Chiesa,
sia presso di te nostro perenne intercessore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Vi farò pescatori di uomini: Giovanni Paolo II (Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale, 31 maggio 1998): Ricordo, infine, il valore della vocazione missionaria “ad vitam”: se la Chiesa tutta è missionaria per ragione della propria natura, i missionari e le missionarie “ad vitam” ne sono il paradigma. Colgo, pertanto, questa occasione per rinnovare il mio appello a tutti coloro che, specialmente giovani, sono impegnati nella Chiesa: “La missione... è ancora ben lontana dal suo compimento” sottolineavo nella Redemptoris missio (n.1) e per questo bisogna ascoltare la voce di Cristo che ancora oggi chiama: “Venite dietro a me e vi farò diventare pescatori di uomini” (cfr. Mt 4,19). Non abbiate paura! Aprite le porte del vostro cuore e della vostra vita a Cristo! Lasciatevi coinvolgere nella missione dell’annuncio del Regno di Dio: per questo il Signore “è stato mandato” (cfr. Lc 4,43) ed ha trasmesso la medesima missione ai suoi discepoli di tutti i tempi. Iddio, che non si lascia vincere in generosità, vi darà il cento per uno, e la vita eterna (cfr. Mt 19,29).
 
I Lettura: San Paolo «precisa alcuni termini centrali della fede cristiana. Essa è un atto di intelligenza, che, mossa dal buon volere dell’uomo, riconosce che Cristo è il Signore, risuscitato dal Padre. La fede del cuore poi si manifesta  esternamente dinanzi agli uomini, diventando testimonianza profetica» (Vincenzo Raffa). V
 
Vangelo
Essi subito lasciarono le reti e lo seguirono.
 
Simone chiamato Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni sono convocati autorevolmente da Gesù ed essi rispondono alla chiamata con generosità lasciando immantinente lavoro, beni, affetti... La dedizione immediata di questi apostoli è ben messa in evidenza dal Vangelo: Simone e Andrea subito lasciarono le reti e seguirono il Maestro, allo stesso modo, Giacomo e Giovanni subito lasciarono la barca e il padre andando dietro al giovane Rabbi. Dio «passa e chiama. Se non gli rispondi immediatamente, può proseguire il cammino e allontanarsi da noi. Il passo di Dio è rapido; sarebbe triste se restassimo indietro, attaccati a molte cose che sono di peso e d’impaccio» (Bibbia di Navarra).
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 4,18-22
 
In quel tempo, mentre camminava lungo il mare di Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedèo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.
Parola del Signore.
 
Primi discepoli - Felipe F. Ramos (Vangelo secondo Matteo, Commento della Bibbia Liturgica): Tre fra i quattro discepoli ricordati qui formeranno il circolo degli intimi di Gesù (17,1-8; 26,37). Di Simone si dice che fu chiamato Pietro. Matteo ci fa sapere così che il nome Pietro gli fu dato più tardi. I quattro discepoli erano pescatori e, secondo la redazione di Marco, vivevano a Cafarnao.
Le parole che Gesù rivolge loro: «Seguitemi», «li chiamò», sono le parole tecniche usate per definire il discepolato più stretto. Anche fra i giudei, il vero discepolo si formava alla sequela del suo maestro, e la sua vita si plasmava accettando il giogo che il maestro gli imponeva (11,29; 23,4). Vi è un parallelo fra il discepolato giudaico e quello cristiano: entrare nella scuola d’un maestro, vivere con lui, accettare i suoi insegnamenti e rinunziare a molte cose. Sappiamo di alcuni discepoli giudei che rinunziarono persino al matrimonio per potersi dedicare più interamente allo studio della legge nella scuola d’un maestro famoso. Ma, insieme con queste rassomiglianze, vi sono anche profonde differenze. Nel discepolato giudaico l’iniziativa partiva dall’alunno che intendeva «immatricolarsi» in una determinata scuola; nel discepolato cristiano l’iniziativa parte sempre da Cristo che chiama. Nelle scuole dei giudei, i discepoli divenivano tali con la speranza di cessare, un giorno, di essere discepoli per trasformarsi anch’essi in maestri; il discepolato, nella scuola di Cristo, è permanente. La sorte che toccava al discepolo giudaico poteva essere molto diversa da quella del suo maestro; il discepolo cristiano deve accettare la sòrte che toccò al suo maestro: bere il calice che egli bevve.
La frase-chiave di questa breve sezione è nel compito che Gesù pensa di affidare ai suoi discepoli: «Vi farò pescatori di uomini». La frase che, per quanto sappiamo, non ha un parallelo in nessuna letteratura dell’ambiente giudaico, è originale cristiana e sta a indicare la missione di servizio alla parola di Dio, che Gesù affiderà ai suoi discepoli. Ed è la parola assoluta e vincolante di Gesù che affida questo servizio a coloro che sono stati chiamati da lui. Così Gesù è visto sullo stesso piano su cui ci è presentato Yahveh nell’Antico Testamento, che chiama i profeti per questo stesso servizio della parola. In una forma irresistibile, obbligatoria, Dio chiama chi vuole senza impedire la resistenza e la ripugnanza che il chiamato a questo servizio può provare, per le complicazioni che l’annunzio della parola di Dio porta in sé. Così avvenne a Geremia (Ger 20,7ss), a Paolo (1Cor 9,16) e forse, in modo meno visibile e sensibile, a ogni annunziatore della parola di Dio. Essi, infatti, devono raccogliere la stessa parola di Gesù e trasmetterla, annunziare le esigenze d’una conversione profonda, insistere sulle conseguenze che il rifiuto della parola comporta, annunziare il regno di Dio e la necessità d’uniformarsi alle sue leggi e alle sue esigenze. Come contropartita, essi parteciperanno della stessa dignità di Gesù.
 
Gesù vide due fratelli... - Claude Tassin (Vangelo di Matteo): L’abbinamento delle due «coppie» di chiamati deriva da un’antica tradizione, presente anche in Mc 1,16-20. Matteo precisa semplicemente che Simone è «chiamato Pietro», preparando così il suo futuro ruolo (cfr. Mt 16,18), e unifica le espressioni: in Marco «essi lo seguirono / essi gli andarono dietro» diventa due volte in Matteo «lo seguirono», tipico verbo dello stato di discepolo.
L’espressione «pescatori di uomini» del v. 19 richiama la rete del pescatore o del cacciatore. In Ab 1,14-15 e Ger 16,16, quest’immagine rappresenta il giudizio di Dio che raggiunge colui che credeva di sfuggirgli. Mat­teo però interpreta senza dubbio Ger 16,14-21 come una profezia ottimistica del raduno degli ebrei dispersi e della conversione dei pagani; egli può anche pensare in anticipo alla parabola della rete (Mt 13,47): insomma, l’espressione «pescatori di uomini» annuncia in qualche modo la missione cristiana. L’evangelista insisterà ora su un punto: ci si può definire missionari nella misura in cui si è discepoli. Qui Gesù chiama dei discepoli che, nel corso di questa sezione, ascolteranno il Maestro e lo vedranno all’opera. Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni erano figure considerevoli per la seconda generazione di cristiani; ma, suggerisce Matteo, si venera la loro memoria perché essi in primo luogo sono stati discepoli, chiamati gratuitamente dall’araldo del regno dei cieli.
 
La missione degli Apostoli: Catechismo della Chiesa Cattolica 858: Gesù è l’Inviato del Padre. Fin dall’inizio del suo ministero, «chiamò a sé quelli che egli volle [...]. Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare» (Mc 3,13-14). Da quel momento, essi saranno i suoi « inviati » (è questo il significato del termine greco αποστολοι). In loro Gesù continua la sua missione: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21). Il loro ministero è quindi la continuazione della sua missione: «Chi accoglie voi, accoglie me», dice ai Dodici (Mt 10,40).
859: Gesù li unisce alla missione che ha ricevuto dal Padre. Come «il Figlio da sé non può fare nulla» (Gv 5,19.30), ma riceve tutto dal Padre che lo ha inviato, così coloro che Gesù invia non possono fare nulla senza di lui, dal quale ricevono il mandato della missione e il potere di compierla. Gli Apostoli di Cristo sanno di essere resi da Dio «ministri adatti di una Nuova Alleanza» (2Cor 3,6), «ministri di Dio» (2Cor 6,4), «ambasciatori per Cristo» (2Cor 5,20), «ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio» (1Cor 4,1).
860: Nella missione degli Apostoli c’è un aspetto che non può essere trasmesso: essere i testimoni scelti della risurrezione del Signore e le fondamenta della Chiesa. Ma vi è anche un aspetto permanente della loro missione. Cristo ha promesso di rimanere con loro sino alla fine del mondo: «La «missione divina, affidata da Cristo agli Apostoli, dovrà durare sino alla fine dei secoli, poiché il Vangelo, che essi devono trasmettere, è per la Chiesa principio di tutta la sua vita in ogni tempo. Per questo gli Apostoli [ ... ] ebbero cura di costituirsi dei successori ».
 
Pescatori di uomini: “Prima di dire o fare alcunché, Cristo chiama gli apostoli, affinché nulla resti loro nascosto delle sue parole e delle sue opere, sicché in seguito con fiducia possano dire: Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto a ascoltato [At 4,20]. Li osserva non nel corpo ma nello spirito, non guardando al loro aspetto esteriore ma ai loro cuori. E li sceglie non perché fossero apostoli ma perché potevano divenire apostoli. Come l’artigiano, se ha visto delle pietre preziose ma non tagliate, le sceglie non per quello che sono ma per ciò che possono divenire, perché essendo pratico nella sua arte, non disdegna un bene pur rozzo, allo stesso modo il Signore, vedendoli, non sceglie le loro opere ma i loro cuori” (Anonimo, Opera incompleta su Matteo, omelia 7)
 
Il Santo del Giorno - 30 Novembre 2022 - Sant’Andrea, Apostolo: Andrea, dal bel nome greco (Andreas = Virile), appare un uomo generoso, pronto, aperto, entusiasta. Era figlio di Giona di Betsaida (Mt 16,17), fratello minore di Pietro. Fu discepolo di Giovanni Battista, presso il quale conobbe l’apostolo Giovanni, e con lui seguì per primo Gesù, al quale condusse il fratello Pietro (Gv 1,35-42). I suoi interventi nel gruppo degli apostoli sono pochi ma significativi. Davanti alla folla affamata, Andrea indica a Gesù un fanciullo provvisto di cinque pani d’orzo e di due pesci (Gv 6,9), quasi per invitarlo a rinnovare dei prodigi. Alla scuola di Giovanni Battista, Andrea conobbe l’essenismo e fu fortemente colpito dalla speranza messianica: è lui, infatti, che pose la domanda alla quale Cristo rispose con il suo discorso escatologico (Mc 13,3-37). Infine, Andrea si è dimostrato particolarmente aperto di fronte al problema missionario: infatti, assieme a Filippo, e nelle forme prescritte dal giudaismo, si fece garante delle buone disposizioni dei pagani che volevano avvicinare Gesù (Gv 12,20-22). Alcune tradizioni, che non possiamo controllare, riferiscono che Andrea svolse il suo ministero apostolico in Grecia e in Asia minore. Secondo queste tradizioni, egli morì martire a Patrasso, sopra una croce formata ad X, detta appunto «croce di sant’Andrea».  (Fonte: www.maranatha.it)
 
La comunione al tuo sacramento, o Signore,
ci fortifichi, perché, portando in noi i patimenti di Cristo
sull’esempio del santo apostolo Andrea,
possiamo vivere con lui nella gloria.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
  
 29 Novembre 2022
 
Martedì della I Settimana di Avvento - Anno A
 
Is 11,1-10; Sal 71 (72); Lc 10,21-24
 
Colletta
Accogli, o Padre,
le preghiere della tua Chiesa
e soccorrici nelle fatiche e nelle prove della vita;
la venuta di Cristo tuo Figlio
ci liberi dal male antico che è in noi
e ci conforti con la sua presenza.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Ti rendo lode, o Padre: Benedetto XVI (Udienza Generale, 7 Dicembre 2011): Gesù si rivolge a Dio chiamandolo «Padre». Questo termine esprime la coscienza e la certezza di Gesù di essere «il Figlio», in intima e costante comunione con Lui, e questo è il punto centrale e la fonte di ogni preghiera di Gesù. Lo vediamo chiaramente nell’ultima parte dell’Inno, che illumina l’intero testo. Gesù dice: «Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (Lc 10,22). Gesù quindi afferma che solo «il Figlio» conosce veramente il Padre. Ogni conoscenza tra le persone - lo sperimentiamo tutti nelle nostre relazioni umane – comporta un coinvolgimento, un qualche legame interiore tra chi conosce e chi è conosciuto, a livello più o meno profondo: non si può conoscere senza una comunione dell’essere. Nell’Inno di giubilo, come in tutta la sua preghiera, Gesù mostra che la vera conoscenza di Dio presuppone la comunione con Lui: solo essendo in comunione con l’altro comincio a conoscere; e così anche con Dio, solo se ho un contatto vero, se sono in comunione, posso anche conoscerlo. Quindi la vera conoscenza è riservata al « Figlio», l’Unigenito che è da sempre nel seno del Padre (cfr Gv 1,18), in perfetta unità con Lui. Solo il Figlio conosce veramente Dio, essendo in comunione intima dell’essere; solo il Figlio può rivelare veramente chi è Dio.
Il nome «Padre» è seguito da un secondo titolo, «Signore del cielo e della terra». Gesù, con questa espressione, ricapitola la fede nella creazione e fa risuonare le prime parole della Sacra Scrittura: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1). Pregando, Egli richiama la grande narrazione biblica della storia di amore di Dio per l’uomo, che inizia con l’atto della creazione. Gesù si inserisce in questa storia di amore, ne è il vertice e il compimento. Nella sua esperienza di preghiera, la Sacra Scrittura viene illuminata e rivive nella sua più completa ampiezza: annuncio del mistero di Dio e risposta dell’uomo trasformato. Ma attraverso l’espressione «Signore del cielo e della terra» possiamo anche riconoscere come in Gesù, il Rivelatore del Padre, viene riaperta all’uomo la possibilità di accedere a Dio.
 
I Lettura: Il brano di Isaia fa supporre uno stato di sfacelo della dinastia davidica. L’oracolo è volto a dare una speranza ai cuori smarriti: «Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse». Il nuovo re discenderà dal ceppo davidico, su di lui si poserà lo spirito del Signore e sarà portatore di giustizia, cioè di pace e di salvezza per gli oppressi.
 
Vangelo
Gesù esultò nello Spirito Santo.
 
Gesù aveva inviato settantadue discepoli a due a due, davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi (Lc 10,1) come precursori spirituali. Terminata la missione, i settantadue erano tornati pieni di gioia (Lc 10,17). In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo: il motivo di questa gioia sta nel fatto che ai suoi discepoli è dato conoscere i misteri del regno di Dio (Lc 8,10). Gesù conosce il Padre così come il Padre conosce il Figlio e nella sua benevolenza lo rivela ai piccoli: “Vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: «Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento». Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte.” (2Pt 1,16-18).

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 10,21-24
 
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».
Parola del Signore.
 
L’espressione Signore del cielo e della terra, evoca l’azione creatrice di Dio (Cf. Gen 1,1). Il motivo della lode sta nel fatto che il Padre ha «nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le ha rivelate ai piccoli». Le cose nascoste sono i “misteri del regno” in generale (cf. Mt 13,11), rivelati ai “piccoli”, i discepoli (cf. Mt 10,42), ma tenuti nascosti ai “sapienti e ai dotti”, i farisei e i loro dottori.
Molti anni dopo Paolo ricorderà queste parole di Gesù ai cristiani di Corinto: «Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (1Cor 1,26-29).
... nessuno sa chi è il Figlio... La rivelazione della mutua conoscenza tra il Padre e il Figlio pone decisamente il brano evangelico in relazione «con alcuni passi della letteratura sapienziale riguardanti la sophia. Solo il Padre conosce il Figlio, come solo Dio la sapienza [Gb 28,12-27; Bar 3,32]. Solo il Figlio conosce il Padre, così come solo la sapienza conosce Dio [Sap 8,4; 9,1-18]. Gesù fa conoscere la rivelazione nascosta, come la sapienza rivela i segreti divini [Sap 9,1-18; 10,10] e invita a prendere il suo giogo su di sé, proprio come la sapienza [Prov 1,20-23; 8,1-36]» (Il Nuovo Testamento, Vangeli e Atti degli Apostoli).
... né chi è il Padre se non il Figlio... Gesù è l’unico rivelatore dei misteri divini, in quanto il Padre ne ha comunicato a lui, il Figlio, la conoscenza intera. Da questa affermazione si evince che Gesù è uguale al Padre nella natura e nella scienza, è Dio come il Padre, di cui è il Figlio Unico.
 
La gioia spirituale, le sue fonti - André Ridouard e Marc-François Lacan (Gioia in Dizionario di Teologia Biblica): 1. Le fonti della gioia spirituale. - Di fatto la gioia è un frutto dello Spirito (Gal 5,22) ed una nota caratteristica del regno di Dio (Rom 14,17). Non si tratta dell’entusiasmo passeggero che la parola suscita e la tribolazione distrugge (cfr. Mc 4,16), ma della gioia spirituale dei fedeli che, nella prova, sono di esempio (1Tess l,6s) e che, con la loro generosità gioiosa (2Cor 8,2; 9,7), con la loro perfezione (2Cor 13,9), con la loro unione (Fil 2,2), con la loro docilità (Ebr 13,17) e la loro fedeltà alla verità (2Gv 4; 3Gv 3s), sono presentemente e saranno nel giorno del Signore la gioia dei loro apostoli (1Tess 2,19s). La carità che rende i fedeli partecipi della verità (1Cor 13,6) procura loro una gioia costante che è alimentata dalla preghiera e dal ringraziamento incessanti (1Tess 5,16; Fil 3,1; 4,4ss). Come rendere grazie al Padre di essere trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, senza essere nella gioia (Col 1,11ss)? E la preghiera assidua è fonte di gioia perché la anima la speranza e perché il Dio della speranza vi risponde colmando di gioia il fedele (Rom 12,12; 15,13). Pietro lo invita quindi a benedire Dio con esultanza; la sua fede, che l’afflizione mette alla prova, ma che è sicura di ottenere la salvezza, gli procura una gioia ineffabile Che è la pregustazione della gloria (1 Piet 1,39).
2. La testimonianza della gioia nella prova. - Ma questa gioia non appartiene che alla fede provata. Per essere nella letizia al momento della rivelazione della gloria di Cristo, bisogna che il suo discepolo si rallegri nella misura in cui partecipa alle sue sofferenze (1Piet 4,13). Come il suo maestro, egli preferisce in terra la croce alla gioia (Ebr 12,2); accetta con gioia di essere spogliato dei suoi beni (Ebr 10,34), considerando come gioia suprema l’essere messo alla prova in tutti i modi (Giac 1,2). Per gli apostoli, come per Cristo, la povertà e la persecuzione portano alla gioia perfetta. Nel suo ministero apostolico, Paolo gusta questa gioia della croce, che è un elemento della sua testimonianza: «afflitti», i ministri di Dio sono «sempre lieti» (2Cor 6,10). L’apostolo sovrabbonda di gioia nelle sue tribolazioni (2Cor 7,4); con un disinteresse totale egli si rallegra purché Cristo sia annunciato (Fil 1,17s) e trova la sua gioia nel soffrire per i suoi fedeli e per la Chiesa (Col 1,24). Invita persino i Filippesi a condividere la gioia che egli avrebbe nel versare il proprio sangue come suprema testimonianza di fede (Fil 2,17s).
3. La partecipazione alla gioia eterna. Ma la prova avrà fine e Dio vendicherà il sangue dei suoi servi giudicando Babilonia che se n’è ubriacata; ci sarà allora letizia in cielo (Apoc 18,20; 19,1-4) dove si celebreranno le nozze dell’agnello; coloro che vi prenderanno parte, renderanno gloria a Dio nella letizia (19,7ss). Sarà la manifestazione della gioia perfetta che è sin d’ora il retaggio dei figli di Dio; perché lo Spirito, che è stato dato loro, fa sì che essi abbiano comunione con il Padre e con il suo Figlio Gesù Cristo (1 Gv 1,2ss; 3,1s.24). 
 
Su di lui si poserà lo spirito del Signore: La parola ebraica usata per indicare lo spirito significa “soffio di vento” (Es 10,13), “respiro della vita” (Gen 7,15; Mt 27,50), e indica anche il fatto che un uomo ha saziato la sua fame o la sua sete e ha ripreso coraggio (Gdc 15,19). Iahvé è signore di questo respiro della vita (Gen 2,7) ed è lui che fa vivere (Ez 37,1-14). Tuttavia egli può riprendersi anche questo spirito della vita (Gb 34,14s). Il termine spirito può indicare anche un modo di comportarsi, per esempio “spirito di smarrimento” (Is 19,14). Lo spirito di Dio comunica speciale forza e sostegno (Nm 11,25; Gdc 14,6; Lc 1, 15; 4,14). I profeti sanno di essere guidati da esso; lo spirito del Signore si poserà sul Messia (Is 11,2s; Lc 4,18.21; cfr. Ez 36,25ss; Sal 51, 12-15) e sul servo di Jahvé (Is 42,1). Lo si vedeva all’opera già nella creazione (Gen 1,2). Per più l’Antico Testamento non intende lo spirito come fantasma (come in 1Re 22,21) o come un’essenza extraumana. In seguito si parla di spiriti cattivi (demoni). Gesù in quanto Messia dimostra che loro potere è spezzato (cfr. Mt 12,28). L’espressione «Dio è spirito» non era ancora possibile per l’Antico Testamento (cfr. però Is 31,3), poiché lo spirito non indicava l’essenza di Dio, ma la sua attività. Si poté giungere alla formulazione di questo concetto in seguito (Gv 4,24). Inoltre, lo spirito indica tutto l’uomo, non solo una dimensione dell’uomo. Tuttavia anche il Nuovo Testamento conosce la divisione dello spirito e della carne (Mc 14,38). Ciò non significa che l’uomo sia diviso in due parti. Questo dualismo è sostenuto per la prima volta dalla filosofia greca. Piuttosto si deve dire che lo stesso uomo può reagire in due modi diversi. Infine, nella riflessione cristiana lo Spirito è una Persona, la “terza Persona della Trinità”. Il peccato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né in terra né in cielo (Mc 3,29), non sarà perdonato “non tanto per la sua gravità e malizia,  quanto per la disposizione soggettiva della volontà, tipici di questo peccato, che chiude le porte al pentimento: esso consiste nell’attribuire malignamente al demonio i miracoli e i segni operati da Gesù. In tal modo, per la natura propria di questo peccato, viene preclusa la via a Cristo, l’unico che toglie il peccato del mondo [Gv 1,29] e il peccatore si sottrae al perdono divino” (Bibbia di Navarra, I quattro Vangeli).
 
Ti lodo, o Padre: “Alleluia: è la lode di Dio, per noi, affaticati; essa contrassegna quella che sarà la nostra attività nel riposo. Quando infatti, dopo la fatica di quaggiù, giungeremo al riposo di lassù, unico nostro ufficio sarà la lode di Dio, la nostra attività sarà un alleluia... Lassù l’alleluia sarà nostro cibo; l’alleluia sarà nostra bevanda, l’alleluia sarà l’attività del nostro riposo, tutta la nostra gioia sarà un alleluia, cioè lode di Dio.” (Sant’Agostino).
 
Il Santo del Giorno - 29 Novembre 2022 - San Francesco Antonio Fasani Sacerdote dei Frati Minori Conventuali (Lucera, Foggia, 6 agosto 1681 - 29 novembre 1742): Nacque da umile famiglia il 6 agosto 1681 a Lucera, antica città della Daunia nelle Puglie. Entrò da giovane tra i Minori conventuali del suo paese natale per poi completare il Noviziato a Monte Sant’Angelo sul Gargano dove emise la professione il 23 agosto 1696. Quindi, nel 1703 fu mandato nel convento di Assisi dove fu ordinato sacerdote l’11 settembre 1705.
Passato a Roma, nel collegio di San Bonaventura, tornò ad Assisi fino al 1707 quando rientrò a Lucera. Eletto ministro provinciale fu protagonista di un’intensa attività apostolica percorrendo tutti paesi della Capitanata e località limitrofe. Sempre attento ai bisogni dei poveri e dei sofferenti, devotissimo alla Vergine, fu particolarmente vicino ai carcerati e ai condannati che accompagnava fino al luogo del supplizio. Morì il 29 novembre 1742. Ancora oggi la sua tomba, nella chiesa di San Francesco a Lucera è meta di frequenti pellegrinaggi. Proclamato beato il 15 aprile 1951 da Pio XII è stato canonizzato da Giovanni Paolo II il 13 aprile 1986. (Avvenire)
 
Nutriti dell’unico pane, ti supplichiamo, o Signore,
di confermarci sempre nel tuo amore,
perché possiamo camminare in novità di vita.
Per Cristo nostro Signore.
 
 
 
 28 Novembre 2022
 
Lunedì della I Settimana di Avvento - Anno A
 
Is 4,2-6; Sal 121 (122); Mt 8,5-11
 
Colletta
Il tuo aiuto, o Padre,
ci renda perseveranti nel bene
in attesa di Cristo tuo Figlio;
quando egli verrà e busserà alla porta,
ci trovi vigilanti nella preghiera,
operosi nella carità fraterna
ed esultanti nella lode.
Egli è Dio, e vive e regna con te
 
Signore, il mio servo è in casa … - Catechismo della Chiesa Cattolica 446 Nella traduzione greca dei libri dell’Antico Testamento, il nome ineffabile sotto il quale Dio si è rivelato a Mosè, YHWH, è reso con Κύριoς («Signore»). Da allora Signore diventa il nome più abituale per indicare la stessa divinità del Dio di Israele. Il Nuovo Testamento utilizza in questo senso forte il titolo di «Signore» per il Padre, ma, ed è questa la novità, anche per Gesù riconosciuto così egli stesso come Dio.  
447 Gesù stesso attribuisce a sé, in maniera velata, tale titolo allorché discute con i farisei sul senso del salmo 110,606 ma anche in modo esplicito rivolgendosi ai suoi Apostoli. Durante la sua vita pubblica i suoi gesti di potenza sulla natura, sulle malattie, sui demoni, sulla morte e sul peccato, manifestavano la sua sovranità divina.
448 Molto spesso, nei Vangeli, alcune persone si rivolgono a Gesù chiamandolo «Signore». Questo titolo esprime il rispetto e la fiducia di coloro che si avvicinano a Gesù e da lui attendono aiuto e guarigione. Pronunciato sotto la mozione dello Spirito Santo, esprime il riconoscimento del mistero divino di Gesù. Nell’incontro con Gesù risorto, diventa espressione di adorazione: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28).
Assume allora una connotazione d’amore e d’affetto che resterà peculiare della tradizione cristiana: «È il Signore!» (Gv 21,7).
449 Attribuendo a Gesù il titolo divino di Signore, le prime confessioni di fede della Chiesa affermano, fin dall’inizio, che la potenza, l’onore e la gloria dovuti a Dio Padre convengono anche a Gesù, perché egli è di «natura divina» (Fil 2,6) e perché il Padre ha manifestato questa signoria di Gesù risuscitandolo dai morti ed esaltandolo nella sua gloria.
450 Fin dall’inizio della storia cristiana, l’affermazione della signoria di Gesù sul mondo e sulla storia comporta anche il riconoscimento che l’uomo non deve sottomettere la propria libertà personale, in modo assoluto, ad alcun potere terreno, ma soltanto a Dio Padre e al Signore Gesù Cristo: Cesare non è «il Signore». La Chiesa «crede di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana».
451 La preghiera cristiana è contrassegnata dal titolo «Signore», sia che si tratti dell’invito alla preghiera: «Il Signore sia con voi», sia della conclusione della preghiera: «Per il nostro Signore Gesù Cristo», o anche del grido pieno di fiducia e di speranza: «Maran atha» («Il Signore viene!»), oppure «Marana tha» («Vieni, Signore!») (1Cor 16,22), «Amen, vieni, Signore Gesù!» (Ap 22,20).
 
Prima Lettura: In quel giorno, il germoglio del Signore crescerà in onore e gloria e il frutto della terra sarà a magnificenza e ornamento per i superstiti d’Israele: Il germoglio e il frutto della terra designano sia il Messia (Ger 23,5; Is 33,15, Zc 3,8, Zc 6,12), sia il «resto» di Israele paragonato a un albero che rinasce sul suolo di Palestina. L’oracolo del profeta Isaia è un messaggio colmo di speranza: “Dopo aver denunciato la ribellione dell’alleanza e minacciato la catastrofe, il profeta si apre alla speranza: rimarrà un «resto» d’Israele; esso sarà quel germoglio di Iahvé da cui nascerà il nuovo popolo santo” (Messale dell’Assemblea Cristiana, Feriale, ELLEDICI).
 
Vangelo
Molti dall’oriente e dall’occidente verranno nel regno dei cieli.
 
Il racconto della guarigione del servo del centurione romano, ci suggerisce che il Vangelo ha superato gli angusti confini della Palestina, e ha raggiunto il cuore dei pagani: “non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.” (Col 3,11). La Chiesa per un po’ di tempo resterà chiusa nella gabbia del nazionalismo giudaico (At 11,9), poi, a motivo della continua ostilità dei giudei, comprenderà che la Buona Novella doveva essere annunciata a tutti i popoli (Mt 28,19): “Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra».” (At 13,46-48). Alla testardaggine d’Israele, popolo disobbediente e ribelle (Rm 10,21), Dio risponde pazientemente con la fedeltà: quando nell’ovile di Cristo saranno entrate tutte quante le genti, allora tutto Israele sarà salvato (Rm 11,25-26). Il Vangelo è luce che illumina tutta l’umanità, la pazienza e la fedeltà di Dio aprono i cuori degli uomini alla pace e alla speranza.
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 8,5-11
 
In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva:
«Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò».
Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli».
 
Parola del Signore.
 
Molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli: la Croce di Cristo ha spalancato le porte del Regno, ma per entrarvi, oltre la grazia di Dio, è fondamentale che l’uomo si impegni fino in fondo ed è necessaria la fede del centurione romano. In un mirabile discorso di Gesù, nel quale preannuncia la fine del mondo e la distruzione del Tempio di Gerusalemme, vengono messi in evidenza tre verbi-imperativi cari agli asceti, ma necessari a tutti i credenti per entrare nel regno dei cieli: “State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso... Vegliate in ogni momento pregando” (cfr. Lc 21,34-36). State attenti, vegliate, pregate: tre verbi-imperativi che, come frecce acute di un prode (Sal 120,4), colpiscono il nostro cuore. Possiamo pensarli anche come gradini per giungere alla perfetta comunione con l’Agnello, immolato fin dalla fondazione del mondo (Ap 13,8). Colui che inizia il cammino sta attento a non sbagliare: “Stai lontano dall’uomo che ha il potere di uccidere e non sperimenterai il timore della morte. Se l’avvicini, stai attento a non sbagliare perché egli non ti tolga la vita sappi che cammini in mezzo ai lacci e ti muovi sui bastioni della città” (Sir 9,13). Posto attenzione a come costruisce (1Cor 3,10), veglia in ogni momento perché “il Nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare” (1Pt 5,8). E perché trovi la forza di non ritornare sui suoi passi, e perché sia forte contro gli assalti del Nemico, prega “con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito” (Ef 6,18). È necessario comparire davanti al Figlio dell’uomo (Lc 21,36) per entrare nel regno dei cieli, ma questo incontro va preparato giorno dopo giorno, con grande “rispetto e timore” (Fil 2,12).
 
In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! - Ortensio Da Spinetoli (Matteo): La «grande fede» del centurione richiama inevitabilmente la «poca fede» o incredulità dei giudei. Matteo ribadisce la lezione con un altro logion sulla futura conversione dei gentili e defezione dei connazionali. La venuta dall’Oriente e dall’Occidente attua un oracolo profetico. L’evangelista della chiesa dei giudei non perde di mira la comunità etnico-cristiana che, al momento in cui egli scrive, ha preso il posto della sinagoga. I magi, il centurione, la cananea (15,22-28) segnano i capisaldi del nuovo corso della storia della salvezza che trova nel solenne invio ai gentili la sua conclusione (28,8-19). L’era messianica è simboleggiata nell’immagine di un convito. Sedersi attorno alla stessa mensa significa partecipare alla medesima comunità di beni. Nella grande sala, accanto ai capostipiti del popolo israelitico, prendono posto i pagani rimasti sino allora fuori. Il paradosso di questo rovescio sta nel fatto che i gentili si siedano al banchetto escatologico con i patriarchi giudaici, mentre i discendenti di tali antenati sono messi alla porta. Accanto ad Abramo, il padre dei credenti, si trovano solo coloro che accettano Cristo, non i suoi «figli» carnali. Egli è il capostipite di un popolo nuovo che possiede la sua stessa fede. Di fronte alle conversioni dal paganesimo, il giudaismo si irrigidirà nel suo diniego fino a essere espulso dalla sala conviviale, cioè dal regno messianico. La condizione in cui verranno a trovarsi gli israeliti è la stessa in cui si trovavano i pagani prima di essere chiamati. La luce e le tenebre simboleggiano la verità e l’errore, il bene e il male, Dio e Satana. Anche il richiamo allo stridore dei denti fa pensare a una condizione di particolare disagio.
 
La fede della Chiesa - Jean Duplacy (Fede in Dizionario di Teologia Biblica): 1. La fede pasquale. - Malgrado la loro conoscenza dei misteri del regno (Mt 13,11 par.), i discepoli ebbero difficoltà a mettersi sulla via in cui, nella fede, dovevano seguire il figlio dell’uomo (16,21-23 par.). La fiducia che esclude ogni  preoccupazione ed ogni timore (Lc 12, 22-32 par.) non era loro abituale (Mc 4,35-41; Mt 16,5-12 par.). Quindi, la prova della passione (Mt 26,41) sarà per essi uno scandalo (26,33). Ciò che allora essi vedono richiede molta fede (cfr. Mc 15,31s). La fede dello stesso Pietro, senza sparire - perché Gesù aveva pregato per essa (Lc 22,32) - non ebbe il coraggio di affermarsi (22,54-62 par.). La fede dei discepoli doveva ancora fare un passo decisivo per diventare la fede della Chiesa.
Questo passo fu compiuto quando i discepoli, dopo molte esitazioni in occasione delle apparizioni di Gesù (Mt 28,17; Mc 16,11-14; Lc 24,11), credettero alla sua risurrezione. Testimoni di tutto ciò che Gesù ha detto e fatto (Atti 10, 39), essi lo proclamano «Signore e Cristo», nel quale sono compiute invisibilmente le promesse (2,33-36). Ora la loro fede è capace di giungere «fino al sangue» (cfr. Ebr 12,4). Essi chiamano i loro uditori a condividerla per beneficiare della promessa ottenendo la remissione dei loro peccati (Atti 2,38s; 10,43). La fede della Chiesa è nata.
2. La fede nella parola. - Credere significa innanzitutto accogliere questa predicazione dei testimoni, il vangelo (Atti 15,7; 1Cor 15,2), la parola (Atti 2,41; Rom 10,17; 1Piet 2,8), confessando Gesù come Signore (1Cor 12,3; Rom 10,9; cfr. 1Gv 2,22). Questo messaggio iniziale, trasmesso come una tradizione (1Cor 15,1-3), potrà arricchirsi e precisarsi in un insegnamento (1Tim 4,6; 2Tim 4,1-5): questa parola umana sarà sempre, per la fede, la parola stessa di Dio (1Tess 2, 3). Riceverla, vuol dire per il pagano abbandonare gli idoli e rivolgersi al Dio vivo e vero (1Tess 1,8ss), significa per tutti riconoscere che il Signore Gesù porta a compimento il disegno di Dio (Atti 5,14; 13,27- 37; cfr. 1Gv 2,24). Significa, ricevendo il battesimo, confessare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (Mt 28,19). Questa fede, come constaterà Paolo, apre all’intelligenza «i tesori di sapienza e di scienza» che sono in Cristo (Col 2,3): la sapienza stessa di Dio rivelata dallo Spirito (1Cor 2), così diversa dalla sapienza umana (1Cor 1,17-31; cfr. Giac 2,1-5; 3,13-18; cfr. Is 29,14) e la conoscenza di Cristo e del suo amore (Fil 3, 8; Ef 3, 19; cfr. 1 Gv 3, 16).
3. La fede e la vita del battezzato. - Condotto dalla fede sino al battesimo e alla imposizione delle mani che lo fanno entrare pienamente nella Chiesa, colui che ha creduto nella parola partecipa all’insegnamento, allo spirito, alla «liturgia» di questa Chiesa (Atti 2,41-46). In essa infatti Dio realizza il suo disegno operando la salvezza di coloro che credono (2,47; 1Cor 1,18): la fede si manifesta nell’obbedienza a questo disegno (Atti 6,7; 2Tess 1,8). Si dispiega nell’attività (1Tess 1,3; Giac 1,21s) di una vita morale fedele alla legge di Cristo (Gal 6,2; Rom 8,2; Giac 1,25; 2,12); agisce per mezzo dell’amore fraterno (Gal 5,6; Giac 2,14-26). Si conserva in una fedeltà capace di affrontare la morte sull’esempio di Gesù (Ebr 12; Atti 7,55-60), in una fiducia assoluta in Colui «nel quale ha creduto» (2Tm 1,12; 4,17s). Fede nella parola, obbedienza nella fiducia, questa è la fede della Chiesa, che separa coloro i quali si perdono - l’eretico, per esempio (Tito 3,10) - da coloro che sono salvati (2Tess 1,3-10; 1Piet 2,7s; Mc 16,16).
 
La fede è capace di indurre uno a preferire la perdita della vita che si vede, per una vita che non si vede - Agostino (Sermo Guelferb. 28, 2): Quant’è grande, quant’è meravigliosa la fede! È cosa grande la fede, ma dov’è? Vediamo a vicenda le nostre facce, la nostra figura, i nostri vestiti, distinguiamo anche con l’orecchio le nostre voci e parole; ma dov’è questa fede di cui sto parlando? Ecco, nessuno la vede, eppure questa fede, che nessuno vede qui nella casa di Dio, ha fatto venire tutta questa folla. È grande, dunque, la fede, come dice anche il Signore nel Vangelo: “Ti sia fatto secondo la tua fede”. E poi lo stesso Signore nostro Dio, lodando la fede di certuni dice: “Non bo trovato tanta fede in Israele”. Non fa meraviglia, quindi, se per la fede, che non si vede, venga disprezzata la vita, che si vede, perché si possa conquistare una vita che non si vede.
 
Il Santo del Giorno - 28 Novembre 2022 - San Giacomo della Marca: È nato a Monteprandone (Ascoli Piceno) nel 1394, fu discepolo di san Bernardino da Siena, dal quale ricevette a 22 anni il saio francescano. Come il maestro, anch’egli si diede alla predicazione, in Italia, Polonia, Boemia, Bosnia e in Ungheria dove si recò per ordine del Papa. Oratore ardente, si scagliò soprattutto contro i vizi dell’avarizia e dell’usura. Proprio per combattere quest’ultima, san Giacomo della Marca ideò i Monti di Pietà, dove i poveri potevano impegnare le proprie cose, non più all’esoso tasso preteso dai privati usurai ma ad un interesse minimo. Già debilitato per la vita di penitenza e colpito da coliche fortissime, morì a Napoli, nel 1476. Le sue ultime parole furono: «Gesù, Maria. Benedetta la Passione di Gesù». (Avvenire) 
 
Il sacramento che abbiamo ricevuto, o Padre,
ci renda vigilanti e alimenti le lampade della nostra fede,
perché possiamo attendere la venuta del tuo Figlio
ed essere introdotti al banchetto delle nozze eterne.
Per Cristo nostro Signore.