1 Aprile 2020
Dn 3,14-20.46-50.91-92.95; Cant. Dn 3,52-56; Gv 8,31-42
Colletta: Risplenda la tua luce, Dio misericordioso, sui tuoi figli purificati dalla penitenza;
tu che ci hai ispirato la volontà di servirti, porta a compimento l’opera da te iniziata. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
tu che ci hai ispirato la volontà di servirti, porta a compimento l’opera da te iniziata. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
Veritatis splendor 87: Cristo rivela, anzitutto, che il riconoscimento onesto e aperto della verità è condizione di autentica libertà: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,32). È la verità che rende liberi davanti al potere e dà la forza del martirio, così è di Gesù davanti a Pilato:”Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37).
Così i veri adoratori di Dio devono adorarlo “in spirito e verità” (Gv 4,23): in questa adorazione diventano liberi. Il legame con la verità e l’adorazione di Dio si manifestano in Gesù Cristo come la più intima radice della libertà.
Gesù rivela, inoltre, con la sua stessa esistenza e non solo con le parole, che la libertà si realizza nell’amore, cioè nel dono di sé. Lui che dice: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13), va incontro liberamente alla Passione (Cfr. Mt 26,46) e nella sua obbedienza al Padre sulla Croce dà la vita per tutti gli uomini (Cfr. Fil 2,6-11).
In tal modo la contemplazione di Gesù crocifisso è la via maestra sulla quale la Chiesa deve camminare ogni giorno se vuole comprendere l’intero senso della libertà: il dono di sé nel servizio a Dio e ai fratelli. La comunione poi con il Signore crocifisso e risorto è la sorgente inesauribile alla quale la Chiesa attinge senza sosta per vivere nella libertà, donarsi e servire. Commentando il versetto del Salmo 99 “Servite il Signore nella gioia”, sant’Agostino dice: “Nella casa del Signore libera è la schiavitù. Libera, poiché il servizio non l’impone la necessità, ma la carità... La carità ti renda servo, come la verità ti ha fatto libero... Allo stesso tempo tu sei servo e libero: servo, perché ci diventasti; libero, perché sei amato da Dio, tuo creatore; anzi, libero anche perché ti è dato di amare il tuo creatore... Sei servo del Signore e sei libero del Signore. Non cercare una liberazione che ti porti lontano dalla casa del tuo liberatore!”.
In tal modo la Chiesa, e ciascun cristiano in essa, è chiamata a partecipare al munus regale di Cristo in croce (Cfr. Gv 12,32), alla grazia e alla responsabilità del Figlio dell’uomo, che “non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt 20,28). Gesù, dunque, è la sintesi viva e personale della perfetta libertà nell’obbedienza totale alla volontà di Dio. La sua carne crocifissa è la piena Rivelazione del vincolo indissolubile tra libertà e verità, così come la sua risurrezione da morte è l’esaltazione suprema della fecondità e della forza salvifica di una libertà vissuta nella verità.
Dal Vangelo secondo Giovanni 8,31-42: In quel tempo, Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato».
Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno: si contrappongono due filiazioni, la stirpe di Abramo, e quindi viene da Dio, e quella che rimanda a Satana. I Giudei sono convinti di appartenere alla discendenza di Abramo e di essere liberi, ma Gesù, pur convenendo che sono discendenti di Abramo, dimostra loro che di fatto sono figli del diavolo perché hanno l’odio e la menzogna nel cuore. Quindi non liberi, ma schiavi, perché chi commette il peccato è schiavo del peccato. Sono schiavi del peccato perché omicidio e menzogna sono l’espressione della presenza demoniaca insediata nei loro cuori. Il dibattito serrato di Gesù con i Giudei che gli avevano creduto si avvia verso una conclusione drammatica. Egli ha denunciato la falsa fede che costoro ostentavano: più che figli di Abramo, essi sono discendenti di Satana, omicida fin da principio e menzognero e padre della menzogna. Invece di resipiscenza queste parole suscitano rabbia, livore, odio, infatti, di lì a poco cercheranno di lapidare Gesù.
Io dico quello che ho visto presso il Padre - Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): La prima frase è chiara: Gesù può parlare delle cose che ha visto quando era presso il Padre (8,38), perché è «di lassù e non appartiene a questo mondo» (8,23). Egli ha quindi tutta l’autorità per invitare i suoi uditori a fare le cose che hanno udito (o appreso) dal padre (8,38). Non si precisa però, come vorrebbero alcuni antichi codici, di quale «padre» si tratti.
I codici più sicuri, infatti, si limitano a dire dal padre. E la non precisazione potrebbe essere voluta per meglio suscitare una reazione. E così è. Prima avevano detto a Gesù: «Siamo discendenza di Abramo» (8,33), ora gli dicono: «Il padre nostro è Abramo» (8,39). Con ciò intendono affermare di essere «figli» e non «servi» nella casa (8,35). Gesù non rifiuta di riconoscerli come «figli», ma cerca di far capire che la vera figliolanza non si può determinare geneticamente: è la prassi, intesa come vita di fede e di ascolto della parola di Dio, che dice chi è vero figlio di Abramo: «Se siete (dal momento che siete) figli di Abramo dovreste fare le opere di Abramo» (8,39) o, come si è detto sopra, le cose che avete udito (o appreso) dal padre (sottinteso in questo caso: dal padre Abramo).
Ma le fanno davvero? No! I fatti dimostrano che essi fanno quello che Abramo non avrebbe mai fatto: essi cercano di uccidere Gesù che ha parlato loro della verità che ha udito presso Dio (8,40). Questo loro atteggiamento dimostra che sono nel peccato e che perciò non sono nella linea della paternità di Abramo. Il loro padre è un altro: quello di cui fanno le opere (8,41). La parola di Gesù suona come un’enorme offesa, e perciò ribattono: «Noi non siamo figli illegittimi», e con vigore aggiungono: «Noi abbiamo un solo Padre: Dio» (8,41).
Non si poteva definire meglio il valore della paternità di Abramo: egli è Padre e portatore delle promesse perché è vissuto nell’ascolto e nell’ubbidienza alla parola di Dio. Perciò è chiaro che si è «figli di Di» quando si vive come Abramo è vissuto: nella fede e sperando contro ogni speranza, in piena accoglienza di Dio che ora ci parla nel Figlio.
La verità per i cristiani - Saturnino Muratore: La verità si lega profondamente al vivere della persona e si regge sul presupposto di una “verità dell’uomo”. Questa verità va appassionatamente cercata e può essere riconosciuta solo attraverso la fatica dell’intelligenza e l’integrazione di tutti i saperi, nessuno escluso. La legittimità di questo cammino è dischiusa già nello stesso umano interrogare e interrogarsi: poiché comprende implicitamente la fiducia in una possibile risposta, l’interrogarsi umano giustifica l’aspirazione alla verità e la apre a un trascendimento dei dati naturali. In questo senso la tradizione cristiana parla di una veritas rei (verità della cosa), costitutiva di ogni realtà creata e vede Dio, quale Ipsa Veritas (Verità stessa), come la ragione ultima dello spessore obiettivo della verità.
Si intuiscono così le sorprendenti possibilità del linguaggio cristiano. La verità (in greco alétheia da a-lanthàno, negazione del nascondersi, lo svelarsi, il venire alla luce) non si nasconde ma ci viene incontro nel Signore Gesù: in lui, rivelatore del Padre, ci è svelato il senso ultimo e profondo della creazione e della storia umana. “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), proclama di sé Gesù, che si presenta come la “verità che rende liberi” (Gv 8,31). La verità è il libero comunicarsi di Dio in Gesù: nella mediazione della sua persona, nella mediazione di un incontro che si serve delle parole e dei segni propri del vivere umano, è possibile accedere a una verità superiore, è possibile accedere a una verità che trasforma le nostre esistenze.
In Gesù-Verità ci è dischiuso il senso ultimo della vita umana e cosmica: la verità ultima è l’amore. La domanda scettica di Pilato “Che cosa è la verità?” (Gv 18,38) ci ricorda bene che questa verità può essere accolta solo nella fede, solo nella rinuncia alla presunzione di un autonomo accesso alla verità e dalla presa di distanza dallo scoraggiamento di chi si rassegna ai suoi limiti.
La tradizione cristiana chiama “Rivelazione” questo venirci incontro della verità. Riconoscerla significa ricordare che questa verità continua a operare tra noi attraverso lo Spirito di verità: nella contemplazione orante e nell’obbedienza della fede, la verità lievita la vita della Chiesa e dà vita a una lunga tradizione religiosa.
Riconoscerla significa guardare alla storia non solo come il luogo dell’agire libero e razionale dell’uomo ma anche come il risultato della misericordiosa presenza di Dio che opera con noi. Riconoscerla significa pure evitare ogni assolutizzazione del proprio punto di vista o del proprio sapere, gettando così le basi di un autentico e costruttivo dialogo tra diversi.
L’amore nella verità - caritas in veritate - è una grande sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione. Il rischio del nostro tempo è che all’interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l’interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano. Solo con la carità, illuminata dalla luce della ragione e della fede, è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di una valenza più umana e umanizzante. La condivisione dei beni e delle risorse, da cui proviene l’autentico sviluppo, non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore che vince il male con il bene (cfr. Rm 12,21) e apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà. La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende «minimamente d’intromettersi nella politica degli Stati». Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione. Senza verità si cade in una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori - talora nemmeno i significati - con cui giudicarla e orientarla. La fedeltà all’uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà (cfr. Gv 8,32) e della possibilità di uno sviluppo umano integrale. Per questo la Chiesa la ricerca, l’annunzia instancabilmente e la riconosce ovunque essa si palesi. Questa missione di verità è per la Chiesa irrinunciabile. La sua dottrina sociale è momento singolare di questo annuncio: essa è servizio alla verità che libera. Aperta alla verità, da qualsiasi sapere provenga, la dottrina sociale della Chiesa l’accoglie, compone in unità i frammenti in cui spesso la ritrova, e la media nel vissuto sempre nuovo della società degli uomini e dei popoli.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “La fedeltà all’uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà (cfr. Gv 8,32) e della possibilità di uno sviluppo umano integrale”.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
O Dio, fonte della vita,
fa’ che la partecipazione al tuo sacramento
sia per noi medicina di salvezza;
ci guarisca dalle ferite del male
e ci confermi nella tua amicizia.
Per Cristo nostro Signore.
fa’ che la partecipazione al tuo sacramento
sia per noi medicina di salvezza;
ci guarisca dalle ferite del male
e ci confermi nella tua amicizia.
Per Cristo nostro Signore.