IL PENSIERO DEL GIORNO

1 Febbraio 2018

GIOVEDÌ DELLA IV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)


Oggi Gesù ci dice: “Il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15 - Acclamazione al Vangelo).


Dal Vangelo secondo Marco 6,7-13: La povertà degli apostoli è necessaria, ma molto più essenziale è la povertà della stessa missione: quando la Chiesa fa dipendere il suo annuncio unicamente dai mezzi, «è una Chiesa che si è indebolita nella sua fede» (José Maria Gonzáles-Ruiz). Essere mandati a due a due è in sintonia con la tradizione biblica, secondo la quale solo la testimonianza di due testimoni (o più) garantisce la veridicità di un fatto (Cf. Dt 19,15). Il potere sugli spiriti, che Gesù conferisce ai Dodici, è un potere teso a liberare l’uomo nella sua totalità come persona umana: in modo specifico è finalizzato a liberarlo dal peccato, dalla morte corporale e da quella spirituale. Scuotere la polvere dai piedi era un gesto con il quale gli Ebrei esprimevano il distacco dal mondo pagano e la messa sotto accusa di chi si chiudeva al messaggio del vero e unico Dio. L’unzione con l’olio è bene testimoniata nel mondo pagano e in quello biblico. In quest’ultimo l’unzione compare come segno messianico con il quale si evidenzia quanto la forza di Dio è capace di operare sul corpo e sullo spirito dell’uomo.


La missione - Gesù è stato cacciato via da Nazaret (Cf. Mc 6,6): salutare e prezioso insegnamento per gli Apostoli, perché l’umiliazione li avrebbe preservati da quei facili entusiasmi fin troppo umani e soprattutto li avrebbe convinti ad aprirsi con fiducia alla presenza-potenza del Risorto.
Gesù chiama i Dodici ed incomincia a mandarli a due a due. L’invio «a coppie diverrà una prassi normale per l’aiuto reciproco tra i missionari, ma soprattutto per conferire alla predicazione evangelica un carattere testimoniale, quale messaggio escatologico. Secondo la Legge mosaica, erano necessari due testimoni per la validità della deposizione in tribunale [Dt 19,15]» (Angelico Poppi).
Dal proseguo del racconto si intende che è una elezione che costa sacrifici e rinunzie; è una chiamata che colloca il missionario in uno stato totale di precarietà: infatti, non è lui l’attore principale della missione, ma lo Spirito Santo; sarà lo Spirito a decidere i tempi, il luogo dove andare e dove non andare, a pianificare l’azione e a predisporre tutto quello che sarà bisognoso per una buona riuscita; anche, se sarà necessario, con l’apporto di catene, insuccessi, mortificazioni e, se sarà utile, persino con la morte violenta di colui che è mandato (Cf. At 8,29.39-40; 10,19; 13,1-4; 16,6-7; 17,22-34; ecc.).
Il mettersi nella mani dello Spirito Santo confina con la povertà evangelica che Cristo Gesù esige da chi si pone al suo seguito: una povertà che va al di là della povertà fisica o materiale, perché è, innanzi tutto, una profonda e radicale fedeltà a Dio che sconfina nell’abbandono fiducioso alla azione divina: «Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano» (Mc 18,20).
Se il missionario deve essere povero, anche la missione deve essere povera, soprattutto di mezzi umani: «E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone» (Mc 6,8).
Il missionario che pensa di procurarsi tutti i mezzi umani necessari per una buona riuscita della missione la vota al più sicuro fallimento: «La missione si prepara, sì, ma non più di quanto è necessario. L’attenzione non è rivolta principalmente alla povertà dei missionari, ma più ancora alla povertà della missione. La missione è solo questo: un ‘invio’, un essere inviato da colui che è l’unico responsabile del suo successo» (José Maria Gonzáles-Ruiz). A questo punto si comprende a cosa miri l’ordine di Gesù: il Vangelo vuole testimoni di vita e non un annuncio che si basi su dottrina e scienza umane (Cf. 1Cor 1,17).
Gesù vuole una Chiesa povera, che non abbia fiducia sui mezzi umani, ma che si abbandoni fidente a Dio. Quindi le parole di Gesù vanno al di là del puro significato letterale: quello che conta «per l’apostolo è “la passione” per la sua missione, per cui non trova tempo neppure per progettare ciò che è strettamente necessario per il viaggio; e soprattutto è la immensa fiducia in Dio che non gli farà mancare l’indispensabile per vivere» (Settimio Cipriani).
Quando la Chiesa apostolica incominciò a praticare la carità verso i più poveri, ad interessarsi delle vedove (Cf. At 6,1ss), a condividere beni ed eucaristia (Cf. At 2,42-47), quando mostrò i segni inequivocabili della povertà (Cf. At 3,6), della carità e della solidarietà, la risposta del popolo fu immediata ed entusiasta (Cf. At 4,33).
Come il fallimento deve essere preventivato, così deve essere registrato; cioè deve essere messo in evidenza con un gesto molto forte al di là del puro significato simbolico: «Se in qualche luogo non vi accogliessero... andatevene e scuotete la polvere sotto ai vostri piedi» (Mc 6,11). Per chi si ostina a non ascoltare o a non accogliere la parola di salvezza l’appuntamento con la giustizia divina è soltanto rimandato: la polvere dei sandali dei missionari sarà un capo d’accusa indelebile dinanzi agli occhi del Cristo redentore e giusto giudice.
La conclusione del brano evangelico, Partiti predicavano... scacciavano molti demoni..., mette in evidenza una Chiesa decisamente carismatica: la parola e i prodigi sono complementari; il potere di scacciare i demòni e di guarire gli ammalati danno alla parola il sigillo della veridicità e l’annunzio conferma che i miracoli sono doni salvifici; non sono fine a se stessi, ma donati gratuitamente da Dio agli uomini per la loro salvezza. Gesù trasmette ai Dodici il potere di fare miracoli e di scacciare i demòni, per indicare la continuità della sua opera con l’opera degli Apostoli e della Chiesa.


Catechismo degli Adulti

 La via dell’annuncio

571 La presenza operosa non basta. La testimonianza cristiana include la professione pubblica della fede. L’evangelizzazione ha al suo centro l’annunzio esplicito che Dio ci dona la salvezza in Gesù Cristo, crocifisso e risorto. «La fede dipende dalla predicazione» (Rm 10,17); la Chiesa è generata dalla Parola. Anche i fedeli laici, devono saper annunciare Cristo agli altri credenti e ai non credenti.
L’annuncio deve essere coraggioso e franco, ma anche umile: la verità, che abbiamo ricevuto in dono, non è un vanto per noi; è una responsabilità. L’amore per gli interlocutori esige che si rispetti la loro libertà e si tenga conto della loro situazione esistenziale, sociale e culturale, del loro linguaggio, delle loro aspirazioni, dei loro valori etici e religiosi.
Intercessione, testimonianza e annuncio sono le vie della missione, per le quali devono incamminarsi i singoli cristiani, le famiglie e le comunità. Un radicale cambiamento di mentalità e una profonda revisione pastorale occorrono oggi per dare slancio alla missione universale.

572 La missione della Chiesa è evangelizzare, cioè annunciare, celebrare e testimoniare l’amore di Dio, che si rivela e si dona in Cristo per la salvezza di tutti gli uomini. Le vie della missione sono la preghiera, avvalorata dal sacrificio, la testimonianza dell’amore reciproco e del servizio ai poveri e alla società, l’annuncio esplicito del vangelo.


Guarire gli ammalati è la missione della Chiesa: Benedetto XVI (Omelia, 21 Aprile 2011): C’è poi l’olio per l’Unzione degli infermi. Abbiamo davanti a noi la schiera delle persone sofferenti: gli affamati e gli assetati, le vittime della violenza in tutti i Continenti, i malati con tutti i loro dolori, le loro speranze e disperazioni, i perseguitati e i calpestati, le persone col cuore affranto. Circa il primo invio dei discepoli da parte di Gesù, san Luca ci narra: “Li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi” (9,2). Il guarire è un incarico primordiale affidato da Gesù alla Chiesa, secondo l’esempio dato da Lui stesso che risanando ha percorso le vie del Paese. Certo, il compito principale della Chiesa è l’annuncio del regno di Dio. Ma proprio questo stesso annuncio deve essere un processo di guarigione: “… fasciare le piaghe dei cuori spezzati”, viene detto oggi nella prima lettura dal profeta Isaia (61,1). L’annuncio del regno di Dio, della bontà illimitata di Dio, deve suscitare innanzitutto questo: guarire il cuore ferito degli uomini. L’uomo per la sua stessa essenza è un essere in relazione. Se, però, è perturbata la relazione fondamentale, la relazione con Dio, allora anche tutto il resto è perturbato. Se il nostro rapporto con Dio è perturbato, se l’orientamento fondamentale del nostro essere è sbagliato, non possiamo neppure veramente guarire nel corpo e nell’anima. Per questo, la prima e fondamentale guarigione avviene nell’incontro con Cristo che ci riconcilia con Dio e risana il nostro cuore affranto. Ma oltre questo compito centrale fa parte della missione essenziale della Chiesa anche la guarigione concreta della malattia e della sofferenza. L’olio per l’Unzione degli infermi è espressione sacramentale visibile di questa missione. Fin dagli inizi è maturata nella Chiesa la chiamata a guarire, è maturato l’amore premuroso verso persone angustiate nel corpo e nell’anima. È questa anche l’occasione per ringraziare una volta tanto le sorelle e i fratelli che in tutto il mondo portano un amore risanatore agli uomini, senza badare alla loro posizione o confessione religiosa. Da Elisabetta di Turingia, Vincenzo de’ Paoli, Louise de Marillac, Camillo de Lellis fino a Madre Teresa - per ricordare soltanto alcuni nomi - attraversa il mondo una scia luminosa di persone, che ha origine nell’amore di Gesù per i sofferenti e i malati. Per questo ringraziamo in quest’ora il Signore. Per questo ringraziamo tutti coloro che, in virtù della fede e dell’amore, si mettono a fianco dei sofferenti, dando con ciò, in definitiva, testimonianza della bontà propria di Dio. L’olio per l’Unzione degli infermi è segno di quest’olio della bontà del cuore, che queste persone - insieme con la loro competenza professionale - portano ai sofferenti. Senza parlare di Cristo, Lo manifestano.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  La missione della Chiesa è evangelizzare, cioè annunciare, celebrare e testimoniare l’amore di Dio, che si rivela e si dona in Cristo per la salvezza di tutti gli uomini.
Questa parola cosa ti suggerisce?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Dio grande e misericordioso, concedi a noi tuoi fedeli di adorarti con tutta l’anima e di amare i nostri fratelli nella carità del Cristo. Egli è Dio e vive e regna con te.


IL PENSIERO DEL GIORNO

31 Gennaio 2018


MERCOLEDÌ DELla iv settimana
DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)


Oggi Gesù ci dice: “Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice il Signore, e io le conosco ed esse mi seguono” (Gv 10,27).


Dal Vangelo secondo Marco 6,1-6: È inspiegabile l’incredulità degli abitanti di Nazaret ed è incomprensibile come i suoi paesani facilmente passino dallo stupore e dalla ammirazione all’animosità e all’insulto. Ma questo è il destino di tutti i profeti. Gesù non viene risparmiato da questa prova che si farà ancora più drammatica nel giorno in cui Pilato, nel tentativo di liberarlo, lo presenterà alla folla: in quel giorno, ingrata, dimenticando gli innumerevoli doni ricevuti, si farà serva dell’odio dei farisei (Cf. Mt 27,11-26).


Gesù venne nella sua patria - Marco si riferisce a  Nazaret, una località che non è menzionata né nell’Antico Testamento, né in Giuseppe Flavio, né nel Talmud. È nominata per la prima volta nel Nuovo Testamento come patria di Gesù e dei suoi parenti (Cf. Mt 2,23; Mc 1,9; 6,3; Lc 2,51).
Il racconto della visita di Gesù a Nazaret lo si trova anche in Matteo e in Luca. Quest’ultimo, a differenza dei primi due, ha elaborato un racconto eccessivamente sovraccarico.
Molti, ascoltando, rimanevano stupiti: quello che dicono o pensano i molti è una sintesi del ministero di Gesù: predicazione e miracoli. Ma lo stupore nasce dal fatto che sono note le origini di Gesù: praticamente si erano fermati alla “carne” (Cf. 2Cor 5,16) ed è naturale che questa “conoscenza carnale” generasse nella loro mente una cascata di domande.
Per i nazaretani Gesù è un tekton: un mestiere che comportava l’abilità professionale di svolgere simultaneamente la professione di falegname, di fabbro e di muratore.
Figlio di Maria: questa espressione contraria l’uso ebraico, che identifica un uomo in rapporto a suo padre. L’uso improprio, forse, vuole mettere in risalto la fede dell’evangelista Marco e della sua comunità, secondo cui il Padre di Gesù è Dio (Cf. Mc 1,1.11; 8,38; 13,32; 14,36).
Se è vero che Paolo e tutti e quattro gli evangelisti parlano dei fratelli e delle sorelle del Signore, è anche vero che gli autori sacri parlano solo e sempre di fratelli di Gesù, mai di figli di Maria. Solo Gesù è detto figlio di Maria (Mc 6,3) e Maria è detta solo e sempre madre di Gesù, e non di altri (Cf. Gv 2,1; 19,25; At 1,14).
I Vangeli ci hanno tramandato i nomi dei cosiddetti fratelli di Gesù che sono: Giacomo, Giuseppe (o Joses), Giuda (non Giuda Iscariota, il traditore) e Simone (Cf. Mt 13,56; Mc 6,3). Gli stessi Vangeli però ci informano anche di chi erano figli (Cf. Mt 27,55-56; Mc 15,40-41; ecc.) per cui senza ombra di dubbio possiamo affermare che essi non sono figli di Maria, la madre di Gesù, ma suoi nipoti, figli d’una sorella ben menzionata da Giovanni (Cf. Gv 19,25). Oltretutto, si conosce la scarsità di termini ebraici indicanti i vari gradi di parentela: fratello e sorella potevano indicare anche parenti di secondo grado. Anche la Settanta (traduzione greca della Bibbia) adopera il termine greco adelfos per tradurre il termine ebraico ah, anche quando si tratta in modo palese di cugini o anche di parenti (Cf. Gen 13,8; 1Cr 23,21; ecc.).
Il rifiuto di Gesù come profeta, ha un logorante crescendo: ad iniziare sono i parenti, poi i compaesani e infine i Giudei. La meraviglia di Gesù «denota il suo stupore per l’incredulità dei paesani; una cosa sorprendente e inaspettata per lui. Marco non ha preoccupazioni teologiche circa la prescienza divina di Gesù, ma ce lo presenta nella sua realtà storica. Questi non poté compiere miracoli, perché i nazaretani non si aprirono con fede alla missione affidatagli dal Padre: l’onnipotenza di Dio risulta condizionata dall’incredulità dell’uomo: “Come la sua potenza è la nostra salvezza, così la nostra incredulità è la sua impotenza” [Gnilka]» (Angelico Poppi). Nonostante questo insuccesso, Gesù continua a percorre «i villaggi d’intorno insegnando»: monito ed esempio per quei i credenti pronti a scoraggiarsi anche per il più piccolo disagio.


Da dove gli vengono queste cose?: Catechismo della Chiesa Cattolica 397: L’uomo, tentato dal diavolo, ha lasciato spegnere nel suo cuore la fiducia nei confronti del suo Creatore e, abusando della propria libertà, ha disobbedito al comandamento di Dio. In ciò è consistito il primo peccato dell’uomo. In seguito, ogni peccato sarà una disobbedienza a Dio e una mancanza di fiducia nella sua bontà.


Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria: Catechismo della Chiesa Cattolica 398: Con questo peccato, l’uomo ha preferito se stesso a Dio, e, perciò, ha disprezzato Dio: ha fatto la scelta di se stesso contro Dio, contro le esigenze della propria condizione di creatura e conseguentemente contro il suo proprio bene. Costituito in uno stato di santità, l’uomo era destinato ad essere pienamente “divinizzato” da Dio nella gloria. Sedotto dal diavolo, ha voluto diventare “come Dio”, ma “senza Dio e anteponendosi a Dio, non secondo Dio”  


Il Nuovo Testamento, al pari dell’Antico Testamento, registra le prove, a volte crudeli, a cui furono assoggettati molti profeti: «Altri, infine, subirono scherni e flagelli, catene e prigionia. Furono lapidati, torturati, tagliati in due, furono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati ..., vaganti per il deserto, sui monti...» (Eb 11,36-37; Cf. Ger 20,2; 37,15ss).
Gesù Cristo subirà la stessa sorte: «Venne fra i suoi e i suoi non l’hanno accolto... Allora (Pilato) rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso» (Gv 1,11; Mt 27,26).
Il profeta è perseguitato perché è una voce fuori dal coro; è inviso «perché la sua vita non è come quella degli altri» (Sap 2,15). Non è ascoltato perché «del tutto diverse sono le sue strade» (Sap 2,15). È di imbarazzo (Cf. Sap 2,11) perché di fronte ai legami parentali e di paese, di fronte alla mentalità e al parere comune, al conformismo e alle formalità, al ‘così si fa perché lo fanno tutti’, ha il coraggio di rimproverare le trasgressioni della legge di Dio (Cf. Sap 2,12). Dà fastidio perché dinanzi all’ipocrisia del ‘altrimenti chissà cosa pensa la gente’ e al ‘così si è sempre fatto’ è portatore della Parola di Dio che non ammette deroghe o accomodamenti.
Il profeta non è una mummia irrancidita dentro le sue verità scontate. È un uomo venduto all’amore di Dio e da questo legame trae speranze per l’uomo.
Il profeta, in quanto possiede «la conoscenza di Dio» (Sap 2,13), sa incoraggiare chi ama la verità e la giustizia; chi ama osare al di là di ogni andazzo umano. Il profeta è un uomo che fa sognare: perché in Cristo «le cose vecchie sono passate e ne sono nate di nuove» (1Cor 5,17).
Il profeta, come Gesù, è un uomo concreto, con i piedi ben piantati alla terra; sa partire sempre dalle necessità e dai bisogni reali della gente, perché non fa filosofia (Cf. Gc 2,14-17).
Il profeta, in quanto è un uomo concreto, riesce a cambiare le norme, le consuetudini e ribaltare le regole; riesce a vincere le tradizioni che ammuffiscono l’uomo e le abitudini che spengono lo spirito e paralizzano ogni iniziativa.
Il profeta è l’uomo di Dio che urla l’amore del suo Signore abbandonato dal popolo. Ma grida a squarciagola anche la misericordia infinita di Dio.
Anche se l’amore non è corrisposto, l’unica rivincita del Signore Dio sarà quella di continuare ad amare il suo popolo, nonostante le loro infedeltà: gli Israeliti quanto «al vangelo, sono nemici, per vostro vantaggio; ma quanto alla elezione, sono amati, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!» (Rom 11,1ss).
Questa è la misericordia di Dio e il suo amore infinito: anche i ribelli abiteranno presso il Signore Dio (Cf. Sal 68 [67],19).
Nella «pienezza del tempo» (Gal 4,4), la presenza di Gesù, profeta del Padre, uomo tra uomini, è il segno inequivocabile della fedeltà e dell’amore di Dio. In Cristo Gesù l’amore del Padre ha raggiunto il «vertice più alto. E questo non solo perché Cristo è il dono più prezioso dell’amore del Padre, ma anche perché in lui il rifiuto e la “durezza” di cuore degli uomini raggiungeranno il punto più alto di drammaticità e di sofferenza. Amore e infedeltà purtroppo, si inseguono e si commisurano a vicenda» (Settimio Cipriani).


Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): Gesù non fece miracoli a Nazaret: non perché gli fosse venuto meno il potere, ma per castigare l’incredulità dei suoi concittadini. Dio vuole che l’uomo faccia uso della grazia elargita, di modo che, cooperando con essa, si disponga a ricevere ulteriori grazie. Come icasticamente dice sant’Agostino: «Dio ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te» (Sermo 169)


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  Dio ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che in san Giovanni Bosco hai dato alla tua Chiesa un padre e un maestro dei giovani, suscita anche in noi la stessa fiamma di carità a servizio della tua gloria per la salvezza dei fratelli. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


IL PENSIERO DEL GIORNO

30 Gennaio 2018
  
MARTEDÌ DELla iv settimana
DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)


Oggi Gesù ci dice: “Fanciulla, io ti dico, àlzati!” (Vangelo).


Dal Vangelo secondo Marco 5,21-43: La donna affetta di emorragia guarisce per la sua fede. Gesù, «con la sua strana domanda: “Chi mi ha toccato”, enfatizza il fatto, mettendo pure in imbarazzo la donna, ma lo fa per esaltare pubblicamente la sua fede e indicarla come requisito necessario per la guarigione» (Bruno Barisan). La risurrezione della fanciulla è collocata all’apice di una sequenza di miracoli dall’impatto dirompente: la tempesta sedata (Mc 4,35-41), la liberazione dell’indemoniato geraseno (Mc 5,1-20). La vittoria di Gesù sugli elementi della natura impazziti (Sal 88,10), poi sul potere del maligno, e qui infine sulla morte stessa, mettono in luce la potenza del Figlio di Dio. La raccomandazione di dare da mangiare alla fanciulla svela la tenerezza di Gesù verso gli ammalati e i sofferenti. Allo stupore segue il perentorio ordine da parte di Gesù di non divulgare il miracolo. Il comando, che è in linea con tutti i testi relativi al segreto messianico (Mc 1,25.33-44; 3,12; ecc.), vuole rinviare alla Croce e alla Risurrezione perché soltanto questi eventi possono rivelare la vera identità del Cristo e i doni che Egli è venuto a portare agli uomini (Ef 4,7).


Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni - Jacques Hervieux (Vangelo di Marco): Nell’antico Oriente il vestito è il simbolo della personalità: toccare un vestito di qualcuno significa coglierne l’essenza; esiste anche la consuetudine, comune nell’antichità, del contatto fisico del malato col corpo del guaritore. Questo contatto avviene, e l’emorragia della donna cessa all’istante: essa lo constata immediatamente (v. 29). Da parte sua, Gesù si rende conto che il suo potere è stato pienamente efficace (v. 30a): l’accento viene naturalmente posto sul carattere fisiologico della guarigione. Ma la scena che segue riporta l’attenzione sul problema religioso in questione; Gesù domanda chi lo ha toccato (v. 30b): la prontezza della sua reazione e della domanda suona come un rimprovero. I discepoli cercano di far notare al maestro che è assurdo chiedere chi lo ha toccato, quando la folla gli si accalca intorno. Ma Gesù, con l’occhiata circolare che gli conosciamo, scruta la folla: egli vuole scoprire l’autore di questo gesto audace (v. 32). Allora la donna, timorosa per quello che ha fatto, osa confessare di essere stata guarita (v. 33): lo fa esitando, poiché si aspetta il biasimo di un maestro preoccupato del rispetto della legge. Ma Gesù le affida un messaggio liberatorio: «La tua fede ti ha salvata. Va’ in pace» (v. 34). Le parole del maestro mettono bene in risalto il significato dell’avvenimento: al di là della guarigione fisica, l’essenziale è la fede che salva. Non è per caso che Gesù riprende l’espressione usata dalla donna nella sua richiesta: «Sarò salva» (v. 28b). E l’intero episodio vuole dimostrare che la fede nella sua persona può arrivare a strappargli un miracolo assolutamente involontario. Questa donna animosa può quindi scomparire definitivamente dalla scena del vangelo. Marco ha mostrato in Gesù il liberatore da ogni male: in questo caso, infatti, il male era duplice: una malattia incurabile a quell’epoca e, soprattutto, la quasi totale emarginazione di cui soffriva questa donna, una «fuorilegge» della società religiosa patriarcale del suo tempo.


Fanciulla, io ti dico, alzati! - Benedetto XVI (Angelus, 1 Luglio 2012): Cari fratelli e sorelle, nell’odierna domenica, l’evangelista Marco ci presenta il racconto di due guarigioni miracolose che Gesù compie in favore di due donne: la figlia di uno dei capi della Sinagoga, di nome Giàiro, ed una donna che soffriva di emorragia (cfr Mc 5,21-43). Sono due episodi in cui sono presenti due livelli di lettura; quello puramente fisico: Gesù si china sulla sofferenza umana e guarisce il corpo; e quello spirituale: Gesù è venuto a guarire il cuore dell’uomo, a donare la salvezza e chiede la fede in Lui. Nel primo episodio, infatti, alla notizia che la figlioletta di Giàiro è morta, Gesù dice al capo della Sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!» (v. 36), lo prende con sé dove stava la bambina ed esclama: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!» (v. 41). Ed essa si alzò e si mise a camminare. San Girolamo commenta queste parole, sottolineando la potenza salvifica di Gesù: «Fanciulla, alzati per me: non per merito tuo, ma per la mia grazia. Alzati dunque per me: il fatto di essere guarita non è dipeso dalle tue virtù» (Omelie sul Vangelo di Marco, 3). Il secondo episodio, quello della donna affetta da emorragie, mette nuovamente in evidenza come Gesù sia venuto a liberare l’essere umano nella sua totalità. Infatti, il miracolo si svolge in due fasi: prima avviene la guarigione fisica, ma questa è strettamente legata alla guarigione più profonda, quella che dona la grazia di Dio a chi si apre a Lui con fede. Gesù dice alla donna: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male!» (Mc 5,34).
Questi due racconti di guarigione sono per noi un invito a superare una visione puramente orizzontale e materialista della vita. A Dio noi chiediamo tante guarigioni da problemi, da necessità concrete, ed è giusto, ma quello che dobbiamo chiedere con insistenza è una fede sempre più salda, perché il Signore rinnovi la nostra vita, e una ferma fiducia nel suo amore, nella sua provvidenza che non ci abbandona.
Gesù che si fa attento alla sofferenza umana ci fa pensare anche a tutti coloro che aiutano gli ammalati a portare la loro croce, in particolare i medici, gli operatori sanitari e quanti assicurano l’assistenza religiosa nelle case di cura. Essi sono «riserve di amore», che recano serenità e speranza ai sofferenti. Nell’Enciclica Deus caritas est osservavo che, in questo prezioso servizio, occorre innanzitutto la competenza professionale - essa è una prima fondamentale necessità - ma da sola non basta. Si tratta, infatti, di esseri umani, che hanno bisogno di umanità e dell’attenzione del cuore. «Perciò, oltre alla preparazione professionale, a tali operatori è necessaria anche, e soprattutto, la “formazione del cuore”: occorre condurli a quell’incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l’amore e apra il loro animo all’altro» (n. 31).
Chiediamo alla Vergine Maria di accompagnare il nostro cammino di fede e il nostro impegno di amore concreto specialmente verso chi è nel bisogno, mentre invochiamo la sua materna intercessione per i nostri fratelli che vivono una sofferenza nel corpo e nello spirito.


Segni efficaci della salvezza - Paul Ternant (Dizionario di Teologia Biblica): Con i suoi miracoli Gesù manifesta che il regno messianico annunziato dai profeti è giunto nella sua persona (Mt 11,45); attira l’attenzione su di sé e sulla buona novella del regno che egli incarna; suscita un’ammirazione ed un timore religioso che inducono gli uomini a chiedersi chi egli sia (Mt 8,27; 9,8; Lc 5,8ss). Con essi Gesù attesta sempre la sua missione e la sua dignità, si tratti del suo potere di rimettere i peccati (Mc 2,5-12 par.), o della sua autorità sul sabato (Mc 3,45 par.; Lc 13,155; 14,355), della sua messianità regale (Mt 14,33; Gv l,49), del suo invio da parte del Padre (Gv 10,36), della potenza della fede in lui (Mt 8,10-13; 15,28 par.), con la riserva che impone la speranza giudaica di un messia temporale e nazionale (Mc l,44; 5,43; 7,36; 8,26). Già in questo essi sono segni, come dirà S. Giovanni.
Se provano la messianità e la divinità di Gesù, lo fanno indirettamente, attestando che egli è veramente ciò che pretende di essere. Perciò non devono essere isolati dalla sua parola: vanno di pari passo con l’evangelizzazione dei poveri (Mt 11,5 par.). I titoli che Gesù dà a sé, i poteri che rivendica, la salvezza che predica, le rinunzie che esige, ecco ciò di cui i miracoli fanno vedere l’autenticità divina, a chi non rigetta a priori la verità del messaggio (Is 16,31). In tal modo questo è superiore ai miracoli, come lascia capire la frase su Giona secondo Lc 11,29-32. Esso si impone come il segno primario e solo necessario (Gv 20,29), per 14 ineguagliabile autorità personale del suo araldo (Mt 7,29) e per la sua qualità interna, costituita dal fatto che, realizzando la rivelazione anteriore (Le 16,31; Gv 5,46 s), corrisponde negli uditori all’appello dello Spirito (Gv 14,17.26); proprio esso, prima di essere confermato ed illustrato dai miracoli.


I grandi miracoli non avvengono mai alla luce dei riflettori ma nelle penombra della discrezione. Sono un dono, un bacio d’amore, un segreto da consumare nell’intimità. “Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina …”. Solo nella penombra di una stanza, davanti agli occhi di un ristretto numero di amici, Gesù pronuncia le arcane parole di una nuova creazione: “Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni”. In quelle parole pronunciate con amore i genitori della bambina possono riconoscere la presenza di Dio che si rivela con tutta la sua potenza, un gesto personalissimo da sigillare nell’esclusività di un’intima relazione d’amore. I miracoli sono sempre esclusivi, non si possono moltiplicare: ogni gesto che desta stupore, che sprigiona la fragranza del prodigio, è sempre unico, irripetibile, diverso da un altro. Come il calore di un bacio è sempre particolare, suscita emozioni insostituibili e ineguagliabili così il miracolo: ha sfumature che lo caratterizzano e lo differenziano. Tutti i miracoli di Gesù sono unici, sono diversi gli uni dagli altri, portano il sigillo di un amore che è personale, mai generico ne tanto meno banale. Oltre che riabbracciare la loro bambina, i genitori del brano evangelico possono cogliere il fiore delicato della presenza di Dio: un fiore da mettere sul davanzale della loro vita per non dimenticare mai il profumo del Signore che allieta la vita degli uomini. (www.nondisolopane.it)


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** I grandi miracoli non avvengono mai alla luce dei riflettori ma nelle penombra della discrezione. 
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Dio grande e misericordioso, concedi a noi tuoi fedeli di adorarti con tutta l’anima e di amare i nostri fratelli nella carità del Cristo. Egli è Dio, e vive e regna con te...


IL PENSIERO DEL GIORNO

29 Gennaio 2018


LUNEDÌ DELla iv settimana DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)


Oggi Gesù ci dice: “Esci, spirito impuro, da quest’uomo!” (I Lettura).


Dal Vangelo secondo Marco 5,1-20: L’intento dell’evangelista Marco nel raccontare la liberazione dell’uomo posseduto da uno spirito impuro è quello di dimostrare la potenza straordinaria di Gesù persino dinanzi all’Inferno: la Legione, all’ordine imperioso di Gesù, il Figlio del Dio Altissimo, deve arrendersi e abbandonare precipitosamente il campo. Il racconto della liberazione dell’uomo posseduto dalla Legione mette in risalto anche la missione di Gesù: «Figlioli, nessuno v’inganni. Chi pratica la giustizia è giusto come egli è giusto. Chi commette il peccato viene dal diavolo, perché da principio il diavolo è peccatore. Per questo si manifestò il Figlio di Dio: per distruggere le opere del diavolo» (1Gv 3,8). La violenza incontrollata dello spirito impuro, il suo dominio dispotico sull’uomo stanno a caratterizzare la forza demoniaca come potenza di morte e di distruzione disgregatrice della dignità e libertà umana. Ma se la forza di Satana è grandiosa, spettacolare, non è invincibile: infatti, noi «crediamo che Gesù ha vinto definitivamente Satana e ci ha sottratti così alla paura nei suoi confronti»; però, se «in Gesù è avvenuta la sconfitta del maligno, la sua vittoria tuttavia dev’essere liberamente accettata da ciascuno di noi, finché il male non sia completamente eliminato. La lotta contro il male richiede quindi impegno e continua vigilanza. La liberazione definitiva è intravista solo in una prospettiva escatologica (cfr. Ap 21,4). Al di là delle nostre fatiche e degli stessi nostri fallimenti rimane questa consolante parola di Cristo: “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo” (Gv 16,33)» (Giovanni Paolo II, Udienza Generale, 18 agosto 1999).


La Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): Gerasa era popolata in massima parte da pagani, come si desume dalla presenza di un così numeroso branco di porci, appartenenti senza dubbio a più padroni. Ai Giudei era infatti proibito l’allevamento di questi animali, come pure mangiarne la carne (Lv 11,7).
Il miracolo evidenzia, una volta ancora, la realtà del diavolo e la sua influenza nella vita degli uomini: il demonio può nuocere - se Dio lo consente - non solamente agli uomini, ma anche agli animali. Quando il Signore autorizza gli spiriti immondi a entrare nei porci, appare in piena luce tutta la loro malizia: reputano un gran dolore non poter fare del male agli uomini e, pertanto, pregano Gesù di poter almeno recare danno agli animali. Cristo concede il permesso per dimostrare che i demòni s’impadronirebbero degli uomini con lo stessa violenza e con i medesimi effetti palesati allorché s’impossessarono dei porci, qualora Dio non li trattenesse.
È ovvio che l’intento di Gesù non fu quello di punire i padroni dei porci con lo perdita del branco, poiché i proprietari delle bestie, essendo pagani, non erano tenuti ai precetti della Legge giudaica. Piuttosto, la morte dei porci è il segno tangibile che il demonio era uscito da quell’uomo.
Gesù permise la perdita di taluni beni materiali perché essi erano incomparabilmente inferiori al bene spirituale che lo guarigione arrecava all’indemoniato.


Benedetto Prete (Vangelo secondo Marco): Mandaci da quei porci; l’allevamento dei maiali era severamente proibito dalla legge mosaica (cf. Levitico, 11,7; Deuteronomio, 14,8); gli Ebrei infatti consideravano impuri questi animali e, conseguentemente, non potevano cibarsi delle carni di essi. In una regione prevalentemente pagana, com’era quella della Decapoli (cf. verso 20), dove accadde l’esorcismo, non stupisce la presenza di una mandria numerosa di porci. Senza dubbio essi erano i soli animali che si trovavano nelle vicinanze; per questo motivo i demoni chiesero di entrarvi, cioè, d’impossessarsi di loro.
Lo permise loro; questo particolare della scena mostra ancora una volta come Gesù abbia un potere assoluto sulle potenze demoniache. La mandria, di circa duemila, corse precipitosamente lungo la scarpata; soltanto Marco ricorda il numero approssimativo della numerosa mandria di maiali. La scena, molto impressionante, dovette colpire profondamente i discepoli presenti.
Quegli animali, impazziti per l’ossessione diabolica, si misero a correre disordinatamente verso il lago vicino dove tutti affogarono. La sorte dei porci mostrava ai discepoli un aspetto della potenza tirannica che il demonio esercitava sugli uomini e sulle cose. Gesù continuava a provare con questi fatti imponenti che il suo regno progrediva e si affermava nel mondo, poiché quello di Satana andava in rovina. Il permesso accordato ai demoni d’impossessarsi dei porci non fu un gesto lesivo della proprietà altrui, poiché Cristo non intendeva far morire quegli animali, ma liberare l’indemoniato; per questo gli evangelisti non si preoccupano di giustificarlo. Il Salvatore, che aveva la missione di guarire le anime, non poteva arrestarsi davanti a considerazioni di carattere materiale, come sarebbero state quelle riguardanti la sorte di quei porci. Cristo, in quella circostanza, manifestò le sue prerogative divine ed agì come padrone assoluto delle cose; egli volle d’autorità la liberazione dell’indemoniato senza tuttavia interdire agli spiriti infernali di apportare danni materiali. Dio, permettendo alle cause seconde di svolgere la loro attività connaturale, non impedisce gli effetti dannosi che ne conseguono; cosi Egli permette che la perversa volontà degli uomini e la forza degli elementi siano cause di flagelli e di calamità, come guerre, terremoti, inondazioni, tempeste, ecc.

Gesù è venuto a liberare l’uomo e a scacciare «il principe di questo mondo» che lo teneva schiavo: Gaudium et spes 13: L’uomo, se guarda dentro al suo cuore, si scopre inclinato anche al male e immerso in tante miserie, che non possono certo derivare dal Creatore, che è buono. Spesso, rifiutando di riconoscere Dio quale suo principio, l’uomo ha infranto il debito ordine in rapporto al suo fine ultimo, e al tempo stesso tutta l’armonia, sia in rapporto a se stesso, sia in rapporto agli altri uomini e a tutta la creazione. Così l’uomo si trova diviso in se stesso. Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. Anzi l’uomo si trova incapace di superare efficacemente da sé medesimo gli assalti del male, così che ognuno si sente come incatenato. Ma il Signore stesso è venuto a liberare l’uomo e a dargli forza, rinnovandolo nell’intimo e scacciando fuori «il principe di questo mondo» (Gv 12,31), che lo teneva schiavo del peccato. Il peccato è, del resto, una diminuzione per l’uomo stesso, in quanto gli impedisce di conseguire la propria pienezza. Nella luce di questa Rivelazione trovano insieme la loro ragione ultima sia la sublime vocazione, sia la profonda miseria, di cui gli uomini fanno l’esperienza.


Liberazione personale e sociale - Basilio Caballero (La Parola per ogni giorno): La presenza del male dentro e fuori di noi è, disgraziatamente, sempre attuale nella nostra stessa vita, nella comunità ecclesiale e nella società. Sono una legione i demonì del male che cercano di assoggettarci e spesso ci escono: orgoglio e denaro, egoismo e sensualità, malevolenza e maldicenza, mediocrità, intolleranza e viltà.
Ma Gesù è più forte del nostro peccato e dei nostri errori. Insieme a lui, noi cristiani suoi discepoli, dobbiamo vivere con l’impegno di liberare noi stessi e gli atri, rompendo i ceppi e le catene che ci rendono schiavi. Il credente, animato dallo Spirito, denuncerà apertamente, o almeno accuserà con il suo atteggiamento o la sua condotta, la tirannia del consumismo e della produzione, come pure l’alienazione prodotta dai totalitarismi e dai nazionalismi, l’inferno della violenza e della guerra, tutti frutti dei demoni dell’egoismo e dell’inimicizia tra gli uomini.

Sii benedetto, Dio della nostra liberazione,
perché lo Spirito di Cristo ci spinge a vivere
nella fiducia e nella libertà dei tuoi figli.

Ti lodiamo perché Gesù è più forte del male
e ha vinto la legione dei demoni che vogliono dominarci:
egoismo e superbia, sensualità e ambizione,
malevolenza, mediocrità e intolleranza.

Spezza , Signore, i nostri ceppi e le nostre catene.
Se tu, Padre, non ci liberi, chi può farlo?
Riportaci alla nostra condizione di figli tuoi,
liberi e vincitori del male, con Cristo e come lui. Amen.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  Liberaci dal Male: Compendio Catechismo della Chiesa Cattolica 597: Il Male indica la persona di Satana, che si oppone a Dio e che è «il seduttore di tutta la terra» (Ap 12,9). La vittoria sul diavolo è già conseguita da Cristo. Ma noi preghiamo affinché la famiglia umana sia liberata da Satana e dalle sue opere. Domandiamo anche il dono prezioso della pace e la grazia dell’attesa perseverante della venuta di Cristo, che ci libererà definitivamente dal Maligno.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Dio grande e misericordioso, concedi a noi tuoi fedeli di adorarti con tutta l’anima e di amare i nostri fratelli nella carità del Cristo. Egli è Dio, e vive e regna con te...


IL PENSIERO DEL GIORNO

28 Gennaio 2018


IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B


Oggi Gesù ci dice: “Susciterò un profeta e gli porrò in bocca le mie parole” (I Lettura).


Dal Vangelo secondo Marco 1,21-28: Il brano marciano sembra subito suggerire al lettore dove spostare la sua attenzione: Gesù è «apparso per distruggere le opere del diavolo» (Gv 3,8). Ma mette anche in evidenza come Gesù ami insegnare. Nel ministero di Gesù, i miracoli hanno la funzione di illustrare, di mostrare e di autenticare il senso, l’efficacia e la veridicità della sua predicazione, realizzando in questo modo la promessa di Mosè fatta al suo popolo (I lettura). In altre parole: Gesù è il profeta, l’unico e il vero, suscitato da Dio per condurre a salvezza il suo popolo. Da qui l’autorità con la quale Gesù insegnava, suscitando ammirazione e stupore in chi lo ascoltava senza pregiudizi.


Taci! Esci da lui! - Per un approfondimento del racconto evangelico si può fare ricorso al Magistero della Chiesa. L’uomo, incapace di superare efficacemente da sé gli assalti del male, è come se fosse incatenato (Cf. GS 13). Questa estrema povertà è il frutto amaro del peccato originale, in conseguenza del quale «il diavolo ha acquisito un certo dominio sull’uomo, benché questi rimane libero. Il peccato originale comporta “la schiavitù sotto il dominio di colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo”» (Catechismo della Chiesa Cattolica 407). Per cui ignorare che l’uomo «ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della politica, dell’azione sociale e dei costumi» (ibidem).
Sempre per il Catechismo, le «conseguenze del peccato originale e di tutti i peccati personali degli uomini conferiscono al mondo nel suo insieme una condizione peccaminosa, che può essere definita con l’espressione di san Giovanni “il peccato del mondo” [Gv 1,29]. Con questa espressione viene anche significata l’influenza negativa esercitata sulle persone dalle situazioni comunitarie e dalle strutture sociali che sono frutto dei peccati degli uomini» (408). Ecco perché è necessario aprirsi a Cristo che con la sua morte e risurrezione ha liberato l’uomo dal potere di Satana, sottraendolo alla sua schiavitù: «Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita, e in lui Dio ci ha riconciliato con se stesso e tra noi e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l’apostolo: il Figlio di Dio “ha amato me e ha sacrificato se stesso per me” [Gal 2,20]» (GS 22).
Una liberazione già in atto, ma che si farà piena soltanto quando il Cristo «consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza» (1Cor 15,24).
Ecco perché oggi «tutta  la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre» (GS 13). Così come tutta «intera la storia umana è pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall’origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno» (GS 37).
L’uomo inserito in questa battaglia «deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio» (GS 33).
Per stare saldi contro gli assalti del demonio si può fare ricorso all’autorità della Parola di Dio. Per esempio Ef 6,10-18, con dovizia di particolari, enumera le varie armi che compongono l’armatura spirituale necessaria a rintuzzare gli assalti di Satana. Ma potrebbe servire il monito di Friedrich Wilhelm Nietzsche rivolto all’uomo: «Diventa ciò che sei». E l’uomo non è un animale. L’uomo è immagine di Dio (Cf. Gen 1,27), trono della sua gloria, tempio della santa Trinità creato «per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore, e mediante questo salvare l’anima sua» (Ignazio di Loyola).
Chi ha il coraggio di essere uomo, e di vivere come tale, ha già vinto Satana!


Il profetismo nel Nuovo Testamento - Giorgio Fornasari (Profeta, in Schede Bibliche Pastorali, Vol. VIII): Gesù ebbe modo, in due occasioni, di attribuirsi personalmente il titolo di profeta: nel discorso di Nazaret (Mt 15,53-57; Mc 6,1-6; Lc 4,16-24) e nel lamento su Gerusalemme (Mt 23,37; Lc 13,33-34). In ambedue i casi, egli lascia chiaramente intendere l’unicità dello spirito profetico che lega lui ai profeti precedenti, e inaugura i tempi messianici. Spetterà comunque al Vangelo di Giovanni e alla predicazione di Pietro, in occasione della guarigione dello storpio davanti alla porta Bella, di mettere in evidenza in modo inequivocabile il reciproco legame della figura del profeta e dell’era messianica, usando nei riguardi di Gesù il termine «profeta» come sinonimo di «messia». At 3,21-23 attribuisce a Gesù risorto la realizzazione della promessa di Dt 18,15.19 sul profeta che sorgerà in Israele pari a Mosè. E Giovanni testimonia che la reazione della folla di fronte alla moltiplicazione dei pani è stata di proclamare Gesù «il profeta che deve venire nel mondo» (6,14).
Il carisma profetico non poteva mancare alla chiesa primitiva; se il regno messianico aveva avuto il suo inizio ufficiale, lo spirito profetico doveva diffondersi abbondantemente per testimoniare l’attuazione delle promesse e garantire concretamente per tutti la presenza della benedizione di Dio. È quanto lascia intendere Pietro nel discorso della pentecoste, riferendo direttamente la profezia di Gioele sull’effusione dello Spirito su tutti i membri del popolo di Dio, capaci così di profetizzare; profezia che Pietro dichiara compiuta nella pentecoste cristiana (At 2,14-18; Cf. con Gv 3,1-5).
Non tutti i membri comunque della primitiva comunità cristiana posseggono abitualmente il dono della profezia, ma soltanto alcuni direttamente scelti dallo Spirito. Gli Atti ricordano i nomi di alcuni: Agabo (11,27; 21,10), Giuda e Sila (15,32) e le quattro figlie di Filippo «uno dei sette» (21,9).
Luca parla ancora di alcuni appartenenti alla comunità di Antiochia (At 13,1) e di altri di Efeso che profetizzano dopo il battesimo impartito loro da Paolo (19,6).
Anche Paolo conosce il carisma della profezia e lo considera un dono prezioso dato da Dio per l’edificazione della chiesa (1Cor 14 da leggere per intero). Anzi, egli stima talmente i profeti, e tiene in così alto conto la loro opera, da metterli in secondo posto in ordine di importanza tra le autorità della comunità, dopo gli apostoli (1Cor 12,28-29).
«Profetare» ha comunque, per Paolo, un significato ben preciso; la profezia infatti consiste sempre in un discorso intellegibile, fatto per costruire e mantenere l’unità della fede nella chiesa (Cf. Rom 12,6), perché il dono della profezia introduce nei misteri di Dio e permette di conoscere i suoi piani (Cf. 1Cor 13,2).
Secondo la prima lettera di Pietro (1,10) sembrerebbe che ai profeti spettasse anche il compito di leggere le Scritture, interpretarle, e cogliere le tipologie cristologiche.
I profeti dovettero senz’altro avere un’enorme influenza nel primo periodo della chiesa primitiva; Paolo nomina frequentemente i profeti assieme agli apostoli (Ef 2,20; 3,5; 4,11).
Il fatto però che l’istituzione profetica neotestamentaria sia, nella lettera agli Efesini, messa quasi sullo stesso piano dell’istituto apostolico, potrebbe far pensare che Paolo abbia voluto riservare il carisma profetico,  come  quello  apostolico,  ai tempi della fondazione della chiesa.
Il pericolo dei falsi profeti, già presente nell’insegnamento di Gesù (Mt 7,15; 24,11.24; Mc 13,22) e rimesso in evidenza da Giovanni nella sua prima lettera e nell’Apocalisse (1Gv 4,1-2; Ap 16,13; 19,20; 20,10), sembrerebbe confermare la nostra interpretazione.
Questo fatto comunque non impedì che nella chiesa post-apostolica continuasse ancora il carisma profetico, come confermano il Pastore di Erma, le lettere di Ignazio, il racconto del martirio di Policarpo, e la Didachè.


Quello che il demonio può fare col permesso di Dio - Royo Marin (Teologia di perfezione cristiana, 575): 1) Produrre visioni e locuzioni corporali e immaginarie (non quelle intellettuali).
) Falsificare l’estasi.
3) Produrre splendori nel corpo e ardori sensibili nel cuore. Ci sono molti esempi di «incandescenza diabolica».
4) Produrre tenerezze e soavità sensibili.
5) Guarire, anche istantaneamente, certe strane malattie prodotte dall’azione diabolica. È chiaro che non si tratta propriamente di guarigione, ma soltanto di una cessazione di azioni lesive, come dice Tertulliano: «Laedunt enim primo, dehinc remedia praecipiunt, ad miraculum, nova sive contraria; post quae desinunt laedere, et curasse creduntur». Siccome la pretesa malattia era dovuta esclusivamente all’azione di Satana, cessando la causa, scompare istantaneamente anche l’effetto.
6) Produrre le stigmate e gli altri fenomeni corporali e sensibili della mistica, tali come i soavi odori, le corone, gli anelli, cc. Nulla di tutto ciò sorpassa, come vedremo, le forze naturali dei demoni.
7) Il demonio non può derogare alle leggi della gravità, però può simulare miracoli di questo genere mediante il concorso invisibile delle sue forze naturali. Si tenga presente per la questione della levitazione: si possono dare levitazioni diaboliche come nel caso di Simon Mago.
8) Può sottrarre i corpi alla nostra vista interponendo tra essi e la nostra retina un ostacolo che devia la rifrazione della luce o producendo nel nostro apparato visuale una impressione soggettiva completamente differente da quella che verrebbe dall’oggetto.
9) Può produrre la incombustione di un corpo interponendo un ostacolo invisibile tra esso e il fuoco.
In breve, dobbiamo dire che qualunque sia la natura del fenomeno prodotto per mezzo delle forze diaboliche, non sorpasserà mai l’ordine puramente naturale.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Ignoranza e superbia sono autostrade per il diavolo. Il Maligno si insinua, e ha gioco facile, nel relativismo di oggi. (Padre Paolo Carlin)
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che nel Cristo tuo Figlio ci hai dato l’unico maestro di sapienza
e il liberatore dalle potenze del male, rendici forti nella professione della fede, perché in parole e opere proclamiamo la verità e testimoniamo la beatitudine di coloro che a te si affidano. Per il nostro Signore Gesù Cristo...