IL PENSIERO DEL GIORNO

1 Gennaio 2018


Oggi Gesù ci dice: “Non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio” (II Lettura).


Dal Vangelo secondo Luca 2,16-21: I pastori entrano nella grotta e vedono tutto ciò che era stato loro annunciato dall’angelo e, colmi di gioia, trasmettono il messaggio angelico, udendolo la gente si meraviglia, come si erano meravigliati i parenti di Zaccaria e si meraviglieranno il padre e la madre di Gesù. Il brano si chiude con la presentazione del bambino al Signore: “Gesù entra nel tempio non per essere consacrato ma per consacrare, non per essere purificato ma per purificare, non per essere assorbito e dissolto dalla nostra creaturalità ma per assumere e salvare la nostra umanità così da renderci come lui figli ed eredi” (Messale Quotidiano, Ed. Paoline).


Maria Santissima Madre di Dio - Nota storico-liturgica - Enzo Lodi (I Santi del Calendario Romano): La solennità della Madre di Dio, che ora coincide con l’ottava del Natale e con l’inizio dell’anno civile al l°  gennaio (a Cesare si deve tale inizio trasferito dal 10 marzo con la riforma del calendario nel 46 a.C.), è probabilmente stata fissata per influsso della Chiesa bizantina che celebra al 26 dicembre la sinassi della Santissima Theotokos, secondo l’uso orientale di festeggiare, all’indomani di una solennità di un personaggio principale (nel nostro caso il natale di Cristo), anche quella degli altri personaggi secondari. Infatti, mentre i copti celebrano tale festa al 16 gennaio, in Occidente troviamo già al secolo V, a Milano, la festa nella domenica precedente il 25 dicembre; in Gallia, al tempo di Gregorio di Tours al 18 gennaio; in Spagna al 18 dicembre (concilio Toletano X: 656). A Roma, l’ottava del Natale, anche prima delle quattro feste mariane introdotte da papa Sergio nel secolo VII (Natività, Annunciazione, Purificazione e Assunzione), era già celebrata come memoria della maternità di Maria: la stazione solenne di «Santa Maria ad martyres» al l° gennaio (chiamata in octabas Domini) era dedicata a questa festa; mentre solo più tardi (nei secoli XIII-XlV) si aggiunse, per influenza gallicana, la festa della Circoncisione del Signore (già introdotta in Spagna e in Gallia fin dal secolo VI), che poi è passata nel messale di Pio V, nonostante il tono mariano dei formulari liturgici. La nuova riforma ha ristabilito l’uso originale romano che, con questa festa della commemorazione (natale) della Madre di Dio, sostituiva le feste spesso licenzio e del capodanno dedicato al dio Giano Bifronte.
La festa della maternità di Maria, per un movimento popolare sorto in Portogallo nel secolo XVIII per celebrare il titolo mariano in modo astratto, era stata già fissata alla data dell’11 ottobre dal 1914, con l’estensione alla Chiesa latina della festa in ricordo del XV centenario (1931) del concilio di Efeso. Il ristabilimento della data, che cade nel tempo natalizio e che ricupera un elemento tradizionale di valore ecumenico, viene a coincidere con altre ricorrenze: il prolungamento del Natale nel suo giorno ottavo; la circoncisione di Cristo (la festa era fissata alla prima domenica di gennaio); l’imposizione del Nome di Gesù (la festa risale al 1721) in conformità al Vangelo del giorno (allungato di un versetto rispetto alla II Messa del giorno di Natale); e infine la giornata della pace indetta da Paolo VI al primo giorno dell’anno civile (motivo antropologico), a cui fa riferimento la I lettura della Messa.
Infatti l’enciclica Marialis cultus, ambientando nel tempo natalizio questa festa ripristinata, dice che, «collocata secondo l’antico suggerimento della liturgia dell’Urbe al primo giorno di gennaio, è destinata a celebrare la parte avuta da Maria in questo mistero di salvezza e ad esaltare la singolare dignità che ne deriva per la Madre santa ... per mezzo della quale abbiamo ricevuto l’Autore della vita» (n. 5). E prosegue: «È altresì un’occasione propizia per rinnovare l’adorazione al neonato Principe della pace, per riascoltare il lieto annuncio angelico (cfr. Lc 2,14), per implorare da Dio - mediatrice la Regina della pace - il dono supremo della pace; per questo nella felice coincidenza dell’ottava del Natale, con il giorno augurale del primo gennaio abbiamo istituito la giornata mondiale della pace che raccoglie crescenti adesioni e matura già nel cuore di molti uomini frutti di pace» (ivi).


Maria Madre di Cristo: Gesù nacque da Maria Vergine: Catechismo della Chiesa Cattolica 486-487: Il Figlio unigenito del Padre, essendo concepito come uomo nel seno della Vergine Maria, è «Cristo», cioè unto dallo Spirito Santo, sin dall’inizio della sua esistenza umana, anche se la sua manifestazione avviene progressivamente: ai pastori, ai magi, a Giovanni Battista, ai discepoli. L’intera vita di Gesù Cristo manifesterà dunque «come Dio [lo] consacrò in Spirito Santo e potenza» (At 10,38). Ciò che la fede cattolica crede riguardo a Maria si fonda su ciò che essa crede riguardo a Cristo, ma quanto insegna su Maria illumina, a sua volta, la sua fede in Cristo.


Maria, Madre di Cristo, Madre della Chiesa: Catechismo della Chiesa Cattolica 963: Dopo aver parlato del ruolo della beata Vergine Maria nel mistero di Cristo e dello Spirito, è ora opportuno considerare il suo posto nel mistero della Chiesa. «Infatti la Vergine Maria [...] è riconosciuta e onorata come la vera Madre di Dio e del Redentore. [...] Insieme però [...] è veramente “Madre delle membra” (di Cristo), [...] perché ha cooperato con la sua carità alla nascita dei fedeli nella Chiesa, i quali di quel Capo sono le membra». « Maria, [...] Madre di Cristo, Madre della Chiesa».


Benedetto XVI (Omelia 1 Gennaio 2011): Il brano del Vangelo di oggi termina con l’imposizione del nome di Gesù, mentre Maria partecipa in silenzio, meditando nel cuore, al mistero di questo suo Figlio, che in modo del tutto singolare è dono di Dio. Ma la pericope evangelica che abbiamo ascoltato mette in particolare evidenza i pastori, che se ne tornarono “glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto” (Lc 2,20). L’angelo aveva annunciato loro che nella città di Davide, cioè Betlemme, era nato il Salvatore e che avrebbero trovato il segno: un bambino avvolto in fasce dentro una mangiatoia (cfr Lc 2,11-12). Partiti in fretta, essi avevano trovato Maria e Giuseppe e il Bambino. Notiamo come l’Evangelista parli della maternità di Maria a partire dal Figlio, da quel “bambino avvolto in fasce”, perché è Lui – il Verbo di Dio (Gv 1,14) – il punto di riferimento, il centro dell’evento che si sta compiendo ed è Lui a far sì che la maternità di Maria sia qualificata come “divina”.
Questa attenzione prevalente che le letture odierne dedicano al “Figlio”, a Gesù, non riduce il ruolo della Madre, anzi, la colloca nella giusta prospettiva: Maria, infatti, è vera Madre di Dio proprio in virtù della sua totale relazione a Cristo. Pertanto, glorificando il Figlio si onora la Madre e onorando la Madre si glorifica il Figlio. Il titolo di “Madre di Dio”, che oggi la liturgia pone in risalto, sottolinea la missione unica della Vergine Santa nella storia della salvezza: missione che sta alla base del culto e della devozione che il popolo cristiano le riserva. Maria infatti non ha ricevuto il dono di Dio solo per se stessa, ma per recarlo nel mondo: nella sua verginità feconda, Dio ha donato agli uomini i beni della salvezza eterna (cfr Colletta). E Maria offre continuamente la sua mediazione al Popolo di Dio peregrinante nella storia verso l’eternità, come un tempo la offrì ai pastori di Betlemme. Ella, che ha dato la vita terrena al Figlio di Dio, continua a donare agli uomini la vita divina, che è Gesù stesso e il suo Santo Spirito. Per questo viene considerata madre di ogni uomo che nasce alla Grazia e insieme è invocata come Madre della Chiesa.


Maria madre per la sua fede - Catechismo degli Adulti 772: D’altra parte la maternità di Maria non è soltanto una generazione biologica, ma una relazione di grazia, vissuta nella fede e nella carità. Più che per aver portato il Figlio in grembo e averlo allattato al seno, Maria è beata per aver creduto alla parola del Signore. «Ha concepito Cristo prima nel cuore che nel grembo», dice sant’Agostino; e il concilio Vaticano II gli fa eco: «In fede e obbedienza ha generato sulla terra il Figlio stesso del Padre».
Dio non si è servito di Maria «in modo puramente passivo»; ha sollecitato il suo libero consenso, che è venuto prontamente: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38). Con questa risposta di fede umile e coraggiosa, Maria si incamminava verso un futuro misterioso e si metteva subito in una situazione drammatica rispetto a Giuseppe, alla famiglia e all’ambiente. Nello stesso tempo entrava in una relazione di comunione del tutto singolare con un Figlio, che è l’«Emmanuele», «Dio con noi» (Mt 1,23).


Maternità divina - Catechismo degli Adulti 773-774: Fin dalle origini la dignità della divina maternità ha attirato l’attenzione e lo stupore della Chiesa. L’evangelista Luca onora Maria come la Madre del Signore, tenda della divina presenza, arca della nuova alleanza. I cristiani cominciano presto a invocarla come Madre di Dio. Lo attesta già una bella preghiera del III secolo: «Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta». Più tardi, nel 431, il concilio di Efeso definisce che Maria è Madre di Dio. Ovviamente con ciò non intende affermare che Maria è stata principio della divinità, cosa evidentemente assurda; ma che ha generato nella sua umanità il Figlio eterno, che è vero Dio e veramente è diventato uomo.
Per ogni donna la maternità comporta un legame personale permanente con il figlio. La maternità di Maria integra questa dimensione umana ordinaria in una comunione con Dio senza pari. Il Padre celeste le comunica lo Spirito di infinita tenerezza, con cui egli si compiace del Figlio generandolo nell’eternità; la fa partecipare alla propria fecondità perché il Figlio nasca anche nella storia, come uomo e come primogenito di molti fratelli. Madre di Dio è «il nome proprio dell’unione con Dio, concessa a Maria Vergine», «che realizza nel modo più eminente la predestinazione soprannaturale... elargita a ogni uomo». Maria vive questa grazia singolarissima con atteggiamento di accoglienza grata, amante e adorante, in modo simile a tutti i credenti, ma con una radicalità e pienezza inaudita. Questo è il suo modo di ricevere la Parola e di partecipare alla vita divina. Allo stesso tempo è il modo più sublime di attuare la femminilità, come accoglienza e donazione di vita.
«Vergine Madre di Dio, colui che il mondo non può contenere facendosi uomo si chiuse nel tuo grembo


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.
Questa parola cosa ti suggeriscono?
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Padre buono, che in Maria, vergine e madre, benedetta fra tutte le donne, hai stabilito la dimora del tuo Verbo fatto uomo tra noi, donaci il tuo Spirito, perché tutta la nostra vita nel segno della tua benedizione si renda disponibile ad accogliere il tuo dono. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio...


IL PENSIERO DEL GIORNO

31 Dicembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Il Signore è fedele al suo patto» (Salmo Responsoriale).  


Vangelo secondo Luca 2,22-40: I primi due capitoli di Matteo e di Luca sono conosciuti come i Vangeli dell’infanzia. La gioia di Giuseppe e di Maria viene turbata dalle parole oscure di Simeone, il quale non fa che indicare agli ignari sposi la via della croce: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione” (v. 34). Gesù apre questa via, la percorre fino alla fine e la propone a noi, suoi discepoli. Maria, per prima, la seguirà in piena fedeltà e disponibilità.


Santa Famiglia - Nella lingua ebraica, la famiglia è chiamata ordinariamente «casa del padre». Essa, per l’Israelita, è tutto. È il luogo dove si vivono le gioie del quotidiano e dove, insieme, perché uniti dai legami della più stretta solidarietà, si affrontano le difficoltà e le prove che la vita largamente dona ad ogni uomo. La famiglia è anche un’entità politica ed allo stesso tempo una associazione religiosa dove si celebrano le feste del Signore. Il padre ne era in un certo senso il sacerdote (Cf. Gb 1,5). Nato «e vissuto in una famiglia umana, Gesù ne rispetta la struttura e le leggi che le tradizioni del suo popolo avevano formato. Più volte egli deve intervenire in un quadro familiare. Lo vediamo insieme a sua madre e ai discepoli partecipare al momento in cui nasce una nuova famiglia, alle nozze di Cana [Gv 2,1-2]. Interviene nella famiglia degli amici, per ristabilire la serenità e la pace compromessa dalla malattia e dalla morte. Così guarisce la suocera di Pietro [Mc 1,29-31] e resuscita l’amico Lazzaro, restituendolo all’affetto delle sorelle Marta e Maria [Gv 11]. Anche altre famiglie vengono a conoscere l’intervento salvifico di Gesù: la figlia di Giairo [Mc 5,35-42] e il figlio della vedova di Naim [Lc 7,11-17] vengono riconsegnati alla vita e all’affetto dei loro. Ancora, la sua azione non conosce limiti di appartenenza etnico-religiosa: la donna siro-fenicia, per la sua fede, ottiene la guarigione della figlia [Mt 15,22]» (Bruno Liverani).
La festa della “Santa Famiglia” vuole sottolineare un dato fondante della famiglia: essa è associata alla missione apostolica della Chiesa, missione che è «radicata nel battesimo e riceve dalla grazia sacramentale del matrimonio una nuova forza per trasmettere la fede, per santificare e trasformare l’attuale società nella quale è inserita» (Familiaris consortio n. 52).
È soprattutto il Nuovo Testamento a mostrarci la famiglia come «comunità credente ed evangelizzante» (Familiaris consortio n. 51), al servizio del Vangelo e dell’uomo.
Spesso l’accoglimento del Vangelo da parte del capofamiglia comportava l’entrata di tutto il nucleo familiare nella salvezza (Cf. At 10,2; 16,1ss). A Tiro, Paolo, in viaggio verso Gerusalemme, viene accompagnato dai discepoli «con le mogli e i figli sin fuori della città» (At 21,5-6). Stefana riceve dall’apostolo Paolo il battesimo con tutti i suoi (Cf. 1Cor 1,16). Anche Lidia, una credente in Dio, «commerciante di porpora, della città di Tiàtira» (At 16,14-15), viene battezzata da Paolo insieme alla sua famiglia.
Una volta accolta la fede da parte della famiglia, è in essa che si sviluppa e matura. Ed è proprio per questo motivo che i pericoli che minacciano la fede dei singoli, minacciano anche la pace e l’unità della famiglia, che rischia di essere trascinata e coinvolta nell’errore, così come, unita era arrivata alla fede: «Vi sono infatti, soprattutto fra quelli che provengono dalla circoncisione, molti spiriti insubordinati, chiacchieroni e ingannatori della gente. A questi tali bisogna chiudere la bocca, perché mettono in scompiglio intere famiglie, insegnando per amore di un guadagno disonesto cose che non si devono insegnare» (Tt 1,10-11). La famiglia che accoglie il Vangelo a sua volta diventa missionaria; così la famiglia di Stefana che diventa un vero centro di irradiamento del vangelo nell’Acaia, un punto di riferimento per i “fratelli” che vogliono impegnarsi in tale opera missionaria: «Fratelli: conoscete la famiglia di Stefana, che è primizia dell’Acaia; hanno dedicato se stessi a servizio dei fedeli; siate anche voi deferenti verso di loro e verso quanti collaborano e si affaticano con loro» (1Cor16,15-16). Aquila e Priscilla, dopo aver ascoltato Paolo, lo accolgono nella loro casa e gli espongono con «maggiore accuratezza la via di Dio» (At 18,26).
Quindi, la missione è stata sempre un dato costitutivo della famiglia. Un dato sempre accolto e sollecitato dal magistero della Chiesa: «La famiglia come la Chiesa deve essere uno spazio in cui il Vangelo è trasmesso e da cui il Vangelo si irradia. Dunque nell’intimo di una famiglia cosciente di questa missione tutti i componenti evangelizzano e sono evangelizzati. I genitori non soltanto comunicano ai figli il Vangelo, ma possono ricevere da loro lo stesso Vangelo profondamente vissuto. E una simile famiglia diventa evangelizzatrice di molte altre famiglie e dell’ambiente nel quale è inserita» (Evangelii nuntiandi n. 71).
È urgente, quindi, che la famiglia scopra la sua dimensione missionaria e per fare questo è necessario superare «la concezione che una famiglia è “buona”, quando tutto va bene al suo interno, ma è chiusa verso l’esterno. Si può trattare di un “egoismo comunitario” invece che semplicemente individuale. L’amore non può essere consumato tutto solo fra i componenti della famiglia. La famiglia non è un mondo a sé stante, ma cellula del mondo e della Chiesa» (Costanzo Donegana).


Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione...: Mons. Vincenzo Paglia (Omelia, 29 dicembre 2007): L’evangelista. nei primi due capitoli del suo Vangelo ci fa incontrare quattro figure di anziani: all’inizio Zaccaria ed Elisabetta, ed ora Simeone ed Anna. È singolare che tutti e quattro questi anziani svolgano un ruolo importante nell’accogliere Gesù nei primi momenti della sua vita terrena. Accade esattamente il contrario di quel che la nostra società riconosce agli anziani, buoni solo ad essere accantonati e, se va bene, compatiti. Comunque non degni di particolare attenzione e rispetto, anche perché sono considerati del tutto inutili. Per il Vangelo sono tra i primi ad incontrare il Signore, a volergli bene quando ancora era indifeso e a comunicare la notizia della sua nascita agli altri. L’anziano Simeone l’accoglie tra le sue braccia; e l’accoglie a nome di tutti gli anziani. Sì, il Signore Gesù diviene il consolatore degli anziani mentre sono al termine della vita siano confortati. E Simeone, consolato da questa presenza, ci ha lasciato uno degli inni di lode a Dio più belli. Anche da vecchi si può incontrare il Signore e ricevere da questo incontro una consolazione profonda e uno sguardo di sapienza che si può comunicare a chi è più giovane. È singolare infatti che Simeone, illuminato dallo Spirito, si rivolge alla giovane madre e le illumina sia il futuro del figlio che il suo futuro. C’è bisogno di recuperare l’incontro con gli anziani: mentre si porta consolazione ai loro giorni ultimi, si riceve anche una sapienza che nasce dalla lunga esperienza di vita.


Familiaris consortio

La situazione della famiglia nel mondo di oggi

6. La situazione, in cui versa la famiglia, presenta aspetti positivi ed aspetti negativi: segno, gli uni, della salvezza di Cristo operante nel mondo; segno, gli altri, del rifiuto che l’uomo oppone all’amore di Dio.
Da una parte, infatti, vi è una coscienza più viva della libertà personale, e una maggiore attenzione alla qualità delle relazioni interpersonali nel matrimonio, alla promozione della dignità della donna, alla procreazione responsabile, alla educazione dei figli; vi è inoltre la coscienza della necessità che si sviluppino relazioni tra le famiglie per un reciproco aiuto spirituale e materiale, la riscoperta della missione ecclesiale propria della famiglia e della sua responsabilità per la costruzione di una società più giusta. Dall’altra parte, tuttavia non mancano segni di preoccupante degradazione di alcuni valori fondamentali: una errata concezione teorica e pratica dell’indipendenza dei coniugi fra di loro; le gravi ambiguità circa il rapporto di autorità fra genitori e figli; le difficoltà concrete, che la famiglia spesso sperimenta nella trasmissione dei valori; il numero crescente dei divorzi; la piaga dell’aborto; il ricorso sempre più frequente alla sterilizzazione; l’instaurarsi di una vera e propria mentalità contraccettiva.
Alla radice di questi fenomeni negativi sta spesso una corruzione dell’idea e dell’esperienza della libertà, concepita non come la capacità di realizzare la verità del progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia, ma come autonoma forza di affermazione, non di rado contro gli altri, per il proprio egoistico benessere.
Merita la nostra attenzione anche il fatto che, nei Paesi del così detto Terzo Mondo, vengono spesso a mancare alle famiglie sia i fondamentali mezzi per la sopravvivenza, quali sono il cibo, il lavoro, l’abitazione, le medicine, sia le più elementari libertà. Nei Paesi più ricchi, invece, l’eccessivo benessere e la mentalità consumistica, paradossalmente unita ad una certa angoscia e incertezza per il futuro, tolgono agli sposi la generosità e il coraggio di suscitare nuove vite umane: così la vita è spesso percepita non come una benedizione, ma come un pericolo da cui difendersi.
La situazione storica in cui vive la famiglia si presenta, dunque, come un insieme di luci e di ombre.
Questo rivela che la storia non è semplicemente un progresso necessario verso il meglio, bensì un evento di libertà, ed anzi un combattimento fra libertà che si oppongono fra loro, cioè, secondo la nota espressione di san Agostino, un conflitto, fra due amori: l’amore di Dio spinto fino al disprezzo di sé, e l’amore di sé spinto fino al disprezzo di Dio (cfr. S. Agostino «De civitate Dei», XIV, 28: CSEL 40, II, 25s).
Ne consegue che solo l’educazione all’amore radicato nella fede può portare ad acquistare la capacità di interpretare «i segni dei tempi», che sono l’espressione storica di questo duplice amore.


Catechismo della Chiesa Cattolica

La Chiesa domestica

1656 Ai nostri giorni, in un mondo spesso estraneo e persino ostile alla fede, le famiglie credenti sono di fondamentale importanza, come focolari di fede viva e irradiante. Per questo motivo che il Concilio Vaticano II, usando un’antica espressione, chiama la famiglia «Ecclesia domestica» - Chiesa domestica. È in seno alla famiglia che «i genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l’esempio, i primi annunciatori della fede, e secondare la vocazione propria di ognuno, e quella sacra in modo speciale».


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  La famiglia non è un mondo a sé stante, ma cellula del mondo e della Chiesa.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: O Dio, nostro creatore e Padre, tu hai voluto che il tuo Figlio, generato prima dell’aurora del mondo, divenisse membro dell’umana famiglia; ravviva in noi la venerazione per il dono e il mistero della vita, perché i genitori si sentano partecipi della fecondità del tuo amore, e i figli crescano in sapienza, età e grazia, rendendo lode al tuo santo nome. Per il nostro Signore Gesù Cristo...



IL PENSIERO DEL GIORNO

30 Dicembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Date al Signore, o famiglie dei popoli, date al Signore gloria e potenza, date al Signore la gloria del suo nome» (Salmo Responsoriale).  


Vangelo secondo Luca 2,36-40: La profetessa Anna, «figlia di Fanuèle», riconosce nel bambino Gesù il Messia e per questo favore si mette «a lodare Dio e a parlare del bambino». Per molti, poiché il termine bambino non ricorre nel testo, la «traduzione l’aggiunge per evitare la strana ambiguità, che sembra identificare questo piccolo con Dio. Questa applicazione a Cristo di testi concernenti Jahve non è specifica di Luca, ma costante nel Nuovo Testamento per esprimere la divinità di Cristo» (René Laurentin). Della tribù di Aser, l’ultima nel tradizionale elenco delle tribù d’Israele: in questo modo «tutte le tribù d’Israele, anche l’ultima, almeno nelle anime ben disposte e pie», riconoscono «in Gesù bambino il redentore di Israele» e ne divengono «apostole. Ecco il tocco finale di Luca in questo secondo trittico: è un monito a tutti gli israeliti ad aprirsi al Signore, e a noi cristiani a non stimarci sicuri della salvezza per il solo fatto che siamo nati nel nuovo Israele» (Giovanni Leonardi).


Un giorno santo è spuntato per noi: venite, popoli, adorate il Signore, oggi una grande luce è discesa sulla terra: Cristo luce del mondo: A. Feuillet e P. Grelot: 1. Compimento della promessa. - Nel Nuovo Testamento la luce escatologica promessa dai profeti è diventata realtà: quando Gesù incomincia a predicare in Galilea, si compie l’oracolo di Is 9,1 (Mt 4,16). Quando risorge secondo le profezie, si è per «annunziare la luce al popolo ed alle nazioni pagane» (Atti 26,23). Perciò i cantici conservati da Luca salutano in lui sin dall’infanzia il sole nascente che deve illuminare coloro che stanno nelle tenebre (Lc 1,78 s; cfr. Mal 3,20; Is 9,1; 42,7), la luce che deve illuminare le nazioni (Lc 2,32; cfr. Is 42,6; 49,6). La vocazione di Paolo, annunziatore del vangelo ai pagani, si inserirà nella linea degli stessi testi profetici (Atti 13,47; 26,18). 2. Cristo rivelato come luce. - Tuttavia vediamo che Gesù si rivela come luce del mondo soprattutto con i suoi atti e le sue parole. Le guarigioni di ciechi (cfr. Mc 8,22-26) hanno in proposito un significato particolare, come sottolinea Giovanni riferendo l’episodio del cieco nato (Gv 9). Gesù allora dichiara: «Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo» (9,5). Altrove commenta: «Chi mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (8,12); «io, la luce, sono venuto nel mondo affinché chiunque crede in me non cammini nelle tenebre» (12,46). La sua azione illuminatrice deriva da ciò che egli è in se stesso: la parola stessa di Dio, vita e luce degli uomini, luce vera che illumina ogni uomo venendo in questo mondo (1,4.9). Quindi il dramma che si intreccia attorno a lui è un affrontarsi della luce e delle tenebre: la luce brilla nelle tenebre (l,4), ed il mondo malvagio si sforza di spegnerla, perché gli uomini preferiscono le tenebre alla luce quando le loro opere sono malvagie (3,19). Infine, al momento della passione, quando Giuda esce dal cenacolo per tradire Gesù, Giovanni nota intenzionalmente: «Era notte» (13,30); e Gesù, al momento del suo arresto, dichiara: «È l’ora vostra, ed il potere delle tenebre» (Lc 22,53).


D. M. Turoldo - G. Ravasi (Opere e Giorni del Signore): Il delizioso racconto della presentazione di Gesù al tempio secondo il rituale giudaico ha al centro la modesta famiglia di Giuseppe. A lui è applicata la norma dei poveri, quella che essi va solo il sacrificio di un paio di colombe. Eppure su questa famiglia quasi ignorata dai sacerdoti del tempio di Gerusalemme si fissa l’attenzione di Dio che, attraverso due suoi profeti, Simeone ed Anna, rivela lo straordinario mistero che si nasconde in quelle tre semplici persone, Giusppe, Maria e il bambino Gesù.
Gli anziani Simeone ed Anna sono i «poveri del Signore» dell’Antico Testamento che nella loro purezza e semplicità di cuore riescono a intravedere, al di là delle apparenze, il segreto di Gesù di Nazaret. Da quel momento le nostre famiglie fedeli, pur nella modestia della loro esistenza, ricevono un bagliore di luce e di speranza perché è in una famiglia umana che Cristo si è rivelato


Giovanni Paolo II (Omelia, 2 Febbraio 1997): Quaranta giorni dopo la nascita, Gesù fu portato da Maria e Giuseppe al Tempio per essere presentato al Signore (cfr Lc 2,22), secondo quanto è scritto nella Legge di Mosè: “Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore” (Lc 2,23); e per offrire in sacrificio “una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge” (Lc 2,24).
Nel ricordare questi eventi, la liturgia segue intenzionalmente e con precisione il ritmo degli avvenimenti evangelici: la scadenza dei quaranta giorni dalla nascita di Cristo. Altrettanto farà in seguito per quanto concerne il periodo che va dalla risurrezione all’ascensione al cielo.
[...]. Entra nel Tempio di Gerusalemme l’atteso per secoli, Colui che è il compimento delle promesse dell’Antica Alleanza: il Messia annunziato. Il Salmista lo chiama “Re della gloria”. Solo più tardi diverrà chiaro che il suo Regno non è di questo mondo (cfr Gv 18,36) e che quanti appartengono a questo mondo stanno preparando per Lui, non una corona regale, ma una corona di spine.
La liturgia, tuttavia, guarda oltre. Vede in quel Bimbo di quaranta giorni la “luce” destinata ad illuminare le nazioni e lo presenta come la “gloria” del popolo d’Israele (cfr Lc 2,32). Egli è Colui che dovrà sconfiggere la morte, come annuncia la Lettera agli Ebrei, spiegando il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione: “Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’Egli ne è divenuto partecipe” (Eb 2,14), avendo assunto la natura umana.
Dopo aver descritto il mistero dell’Incarnazione, l’Autore della Lettera agli Ebrei presenta quello della Redenzione: “Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti, proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (Eb 2,17-18). Ecco una profonda e toccante presentazione del mistero di Cristo. Il brano della Lettera agli Ebrei ci aiuta a comprendere meglio perché questa venuta a Gerusalemme del neonato Figlio di Maria sia un evento decisivo per la storia della salvezza. Il Tempio fin dalla sua costruzione attendeva in un modo del tutto singolare Colui che era stato promesso. La sua venuta riveste, pertanto, un significato sacerdotale: “Ecce sacerdos magnus”; ecco, il vero ed eterno sommo Sacerdote entra nel Tempio.


Benedetto XVI (Omelia, 2 Febbraio 2013): Il bambino Gesù, che viene subito presentato al Tempio, è quello stesso che, una volta adulto, purificherà il Tempio (cfr Gv 2,13-22; Mc 11,15,19 e par.) e soprattutto farà di se stesso il sacrificio e il sommo sacerdote della nuova Alleanza.
Questa è anche  la prospettiva della Lettera agli Ebrei, di cui è stato proclamato un passo nella seconda Lettura, così che il tema del nuovo sacerdozio viene rafforzato: un sacerdozio – quello inaugurato da Gesù – che è esistenziale: «Proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova» (Eb 2,18). E così troviamo anche il tema della sofferenza, molto marcato nel brano evangelico, là dove Simeone pronuncia la sua profezia sul Bambino e sulla Madre: «Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te [Maria] una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,34-35). La «salvezza» che Gesù porta al suo popolo, e che incarna in se stesso, passa attraverso la croce, attraverso la morte violenta che Egli vincerà e trasformerà con l’oblazione della vita per amore. Questa oblazione è già tutta preannunciata nel gesto della presentazione al Tempio, un gesto certamente mosso dalle tradizioni dell’antica Alleanza, ma intimamente animato dalla pienezza della fede e dell’amore che corrisponde alla pienezza dei tempi, alla presenza di Dio e del suo Santo Spirito in Gesù. Lo Spirito, in effetti, aleggia su tutta la scena della presentazione di Gesù al Tempio, in particolare sulla figura di Simeone, ma anche di Anna. È lo Spirito «Paraclito», che porta la «consolazione» di Israele e muove i passi e il cuore di coloro che la attendono. È lo Spirito che suggerisce le parole profetiche di Simeone e Anna, parole di benedizione, di lode a Dio, di fede nel suo Consacrato, di ringraziamento perché finalmente i nostri occhi possono vedere e le nostre braccia stringere «la sua salvezza» (cfr 2,30).
«Luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele» (2,32): così Simeone definisce il Messia del Signore, al termine del suo canto di benedizione. Il tema della luce, che riecheggia il primo e il secondo carme del Servo del Signore, nel Deutero-Isaia (cfr Is 42,6; 49,6), è fortemente presente in questa liturgia. Essa infatti è stata aperta da una suggestiva processione, a cui hanno partecipato i Superiori e le Superiore Generali degli Istituti di vita consacrata qui rappresentati, che portavano i ceri accesi. Questo segno, specifico della tradizione liturgica di questa Festa, è molto espressivo. Manifesta la bellezza e il valore della vita consacrata come riflesso della luce di Cristo; un segno che richiama l’ingresso di Maria nel Tempio: la Vergine Maria, la Consacrata per eccellenza, portava in braccio la Luce stessa, il Verbo incarnato, venuto a scacciare le tenebre dal mondo con l’amore di Dio.

G. Bruni (Mi chiameranno beata pp. 168-9): Anna è associata  a Simeone ad indicare che non si danno testimonianza, sequela e lode che non siano contemporaneamente maschili e femminili, attente e fedeli ad ambedue i timbri. Di fatto essa è al pari di Simeone mossa dallo Spirito, quindi profetessa, e come lui, sopraggiunta  al tempo stabilito, in quel momento, anche lei si mise a lodare Dio e parlare del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme, città riassunto dell’intero Israele. I due annunci si equivalgono e si completano. Infatti, e in questo sta la sfumatura, mentre Simeone attende la paràclesi o consolazione di Israele, Anna ne attende la lytròsis, la redenzione. Dall’insieme di queste due angolature traspare  evidente che la salvezza apportata da Dio in quel bambino è riscatto di schiavi chiamati a divenire figli liberi e adulti, e ciò è motivo di grande consolazione, è vento che non può non essere lodato e annunciato. La voce femminile conferma e completa quella maschile. Voce di una donna di nome Anna, figlia di Fanuele della tribù di Aser. Anziana, vedova, celibe volontaria per poter dedicare tutto il suo tempo, secondo l’ideale dei salmisti, al servizio cultuale del Signore, nella preghiera e nel digiuno. Povera di spirito e di fatto, assimilata  ai poveri dell’attesa, essa, in quanto ricolma di spirito, è profetessa al pari di Maria (Es 5.20), di Debora (Gdc 4.4) e di Culda (2Re 22.14).


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Un giorno santo è spuntato per noi: venite, popoli, adorate il Signore, oggi una grande luce è discesa sulla terra.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Dio grande e misericordioso, la nuova nascita del tuo unico Figlio nella nostra carne mortale ci liberi dalla schiavitù antica, che ci tiene sotto il giogo del peccato. Per il nostro Signore Gesù Cristo...


IL PENSIERO DEL GIORNO

 29 Dicembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Chi ama suo fratello, rimane nella luce» (Prima Lettura).  


Vangelo secondo Luca 2,22-35: I primi due capitoli di Matteo e di Luca sono conosciuti come i Vangeli dell’infanzia. La gioia di Giuseppe e di Maria viene turbata dalle parole oscure di Simeone, il quale non fa che indicare agli ignari sposi la via della croce: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione» (v. 34). Gesù apre questa via, la percorre fino alla fine e la propone a noi, suoi discepoli. Maria, per prima, la seguirà in piena fedeltà e disponibilità.


Catechismo della Chiesa Cattolica n. 529: La presentazione di Gesù al Tempio lo mostra come il Primogenito che appartiene al Signore. In Simeone e Anna è tutta l’attesa di Israele che viene all’incontro con il suo Salvatore (la tradizione bizantina chiama così questo avvenimento). Gesù è riconosciuto come il Messia tanto a lungo atteso, «luce delle genti» e «gloria di Israele», ma anche come «segno di contraddizione». La spada di dolore predetta a Maria annunzia l’altra offerta, perfetta e unica, quella della croce, la quale darà la salvezza «preparata da Dio davanti a tutti i popoli»


«Nunc Dimittis» - Giovanni Leonardi (L’Infanzia di Gesù): II profeta Simeone è noto solo da questo episodio. Non è detto che fosse sacerdote: dal testo (v. 29) traspare invece che era una persona anziana. Qualcuno recentemente ha voluto identificarlo con Simeone figlio di Hillel, di cui si parla nel Talmud e il cui ritratto corrisponde a quello del Simeone di Luca. Daniélou ricorda che anche alcune tradizioni giudeo-cristiane sono favorevoli a questa interpretazione.
Simeone è presentato «giusto e pio», al modo dei personaggi precedenti: giusto esternamente e praticamente, pio o timorato di Dio internamente.
Egli attendeva «il conforto di Israele», cioè quel Messia (astratto per il concreto) il cui compito - secondo Isaia 61,2s - era «di confortare i piangenti di Sion», cioè di consolare e riportare alla gioia. Lo Spirito Santo, in premio di tali buone disposizioni e della intemerata condotta, gli aveva promesso (Luca non dice come) che avrebbe visto con i suoi occhi il Messia. Ed è appunto lo Spirito che, non solo lo fa salire al tempio in coincidenza con la venuta della sacra Famiglia, ma anche gli fa riconoscere nel Bambino il Messia.
Simeone non si accontenta di contemplarlo: lo prende nelle sue braccia venerande e, nonostante la commozione, trova la forza di benedire Dio, cioè di uscire, come già Zaccaria, in un inno di lode e ringraziamento a Dio. Il cantico è, come il Magnificat e il Benedictus, un mosaico di testi tolti dall’Antico Testamento. Vi predominano però i riferimenti al Deutero-Isaia, il profeta della consolazione di Israele (40,1; 42,6; 46,13; 49,6; 52,10; Cf. 46,30); per cui Daniélou pensa che si tratti di un arcaico inno giudeo-cristiano della Chiesa post-pentecostale e da Luca messo in bocca a Simeone per esprimerne sentimenti simili.
Simeone si pone (vv. 29-32) nell’atteggiamento del servo verso il padrone ed esprime la sua soddisfazione al Signore per aver mantenuta la parola promessa: gli dice che lo lasci pur andare (lett. salpare) verso il porto dell’aldilà con la pace messianica ormai raggiunta; i suoi occhi infatti hanno visto la sua salvezza (astratto per il concreto): quella salvezza - continua a dire - che Dio ha preparato - quale mensa imbandita - davanti a tutti i popoli, perché sia luce alle genti pagane e gloria (cioè onore o vanto) del suo popolo Israele; oppure meglio perché sia la presenza specialissima e benefica di Dio in mezzo al suo popolo. Questo è l’unico accenno espressamente universalistico che troviamo nel Vangelo dell’infanzia di Luca: per giunta i pagani vengono messi al primo posto, anche se considerati avvolti dalle tenebre dell’idolatria e quindi bisognosi della luce della rivelazione cristiana.


Maria e Giuseppe portarono il bambino Gesù a Gerusalemme - Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale: secondo la legge mosaica (Cf. Lev 12,2-8) la donna che dava «alla luce un maschio», a motivo della sua impurità, non doveva toccare «alcuna cosa santa» né doveva entrare nel santuario per quaranta giorni. Al termine di questo periodo doveva portare «al sacerdote all’ingresso della tenda del convegno un agnello di un anno come olocausto e un colombo o una tortora in sacrificio di espiazione» per essere purificata «dal flusso del suo sangue». Le donne povere che non avevano mezzi per offrire un agnello offrivano, come Maria qui, due colombi.
In quanto primogenito, Gesù viene portato al tempio per essere consacrato al Signore, come richiesto dalla legge di Mosé (Es 13,1-2). In tutte le lingue, presso tutti i popoli, il primo nato è sempre detto primogenito, seguano o no altri figli. Presso gli Ebrei il primo nato era sempre detto e rimaneva sempre primogenito perché al primo nato erano riservati particolari diritti di famiglia (Cf. Gen 27; Num 3,12-13; 18,15-16; Dt 21,15-17).
Lo Spirito Santo aveva promesso a Simeone, che «non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo Signore». Il vegliardo, «uomo giusto e pio», rappresenta «l’Israele fedele, che attendeva con fiducia illimitata la comparsa del Messia per l’attuazione del regno di Dio. In questo incontro la religiosità sincera dell’Antico Testamento si salda direttamente con quella del Nuovo Testamento, in una meravigliosa continuazione del progetto salvifico di Dio» (Angelico Poppi). L’attesa di Simeone si fonda su alcune profezie che predominano in tutto il Secondo o il Terzo Isaia (Is 40-55; 56-66).
Il Nunc Dimittis sembra un cantico proveniente dall’ambiente giudaico-cristiano, anche se, come suggerisce la Bibbia di Gerusalemme, a differenza del Magnificat e del Benedictus, potrebbe essere «stato composto dallo stesso Luca, con il particolare aiuto di testi di Isaia. Dopo i primi tre versi che riguardano Simeone e la sua morte vicina, gli altri tre descrivono la salvezza universale portata dal Messia Gesù: una illuminazione del mondo pagano che ha avuto inizio dal popolo eletto e ridonderà a sua gloria» (vedi nota a Lc 2,29-32). Gesù sarà «come segno di contraddizione»: la sua missione sarà accompagnata da ostilità e da persecuzioni da parte del suo popolo. Maria, sua Madre, parteciperà a questo destino di dolore.


La presentazione di Gesù al tempio - Redemptoris Custos 13: Questo rito, riferito da Luca (2,22s), include il riscatto del primogenito e illumina la successiva permanenza di Gesù dodicenne nel tempio.
Il riscatto dei primogenito è un altro dovere del padre, che è adempiuto da Giuseppe. Nel primogenito era rappresentato il popolo dell’alleanza, riscattato dalla schiavitù per appartenere a Dio. Anche a questo riguardo Gesù, che è il vero «prezzo» del riscatto (cfr. 1Cor 6,20; 7,23; 1Pt 1,19), non solo «compie» il rito dell’Antico Testamento, ma nello stesso tempo lo supera, non essendo egli un soggetto da riscattare, ma l’autore stesso del riscatto.
L’Evangelista rileva che «il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui» (Lc 2,33) e, in particolare, di ciò che disse Simeone, indicando Gesù, nel suo cantico rivolto a Dio, come la «salvezza preparata da Dio davanti a tutti i popoli» e «luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele» e, più avanti, anche come «segno di contraddizione» (cfr. Lc 2,30-34).


Redemptoris Mater 16: Si era già al quarantesimo giorno dopo la nascita di Gesù, quando, secondo la prescrizione della Legge di Mosè, Maria e Giuseppe «portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore» (Lc 2,22). La nascita era avvenuta in condizioni di estrema povertà. Sappiamo, infatti, da Luca che, quando in occasione del censimento della popolazione, ordinato dalle autorità romane, Maria si recò con Giuseppe a Betlemme, non avendo trovato «posto nell’albergo», diede alla luce il suo Figlio in una stalla e «lo depose in una mangiatoia» (Lc 2,7). Un uomo giusto e timorato di Dio, di nome Simeone, appare in quell’inizio dell’«itinerario» della fede di Maria. Le sue parole, suggerite dallo Spirito Santo (Lc 2,25), confermano la verità dell’annunciazione. Leggiamo, infatti, che egli «prese tra le braccia» il bambino, al quale - secondo il comando dell’angelo - era stato messo nome Gesù (Lc 2,21). Il discorso di Simeone è conforme al significato di questo nome, che vuol dire Salvatore: «Dio è la salvezza». Rivolto al Signore, egli dice così: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele» (Lc 2,30). Contemporaneamente però, Simeone si rivolge a Maria con le seguenti parole: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori»; ed aggiunge con diretto riferimento a Maria: «E anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,34). Le parole di Simeone mettono in una luce nuova l’annuncio che Maria ha udito dall’angelo: Gesù è il Salvatore, è «luce per illuminare» gli uomini. Non è quel che si è manifestato, in certo modo, nella notte del Natale, quando sono venuti nella stalla i pastori? (Lc 2,8). Non è quel che doveva manifestarsi ancor più nella venuta dei Magi dall’Oriente? (Mt 2,1). Nello stesso tempo, però, già all’inizio della sua vita, il Figlio di Maria, e con lui sua madre, sperimenteranno in se stessi la verità delle altre parole di Simeone: «Segno di contraddizione» (Lc 2,34). Quello di Simeone appare come un secondo annuncio a Maria, poiché le indica la concreta dimensione storica nella quale il Figlio compirà la sua missione, cioè nell’incomprensione e nel dolore. Se un tale annuncio, da una parte, conferma la sua fede nell’adempimento delle divine promesse della salvezza, dall’altra le rivela anche che dovrà vivere la sua obbedienza di fede nella sofferenza a fianco del Salvatore sofferente, e che la sua maternità sarà oscura e dolorosa. Ecco, infatti, dopo la visita dei Magi, dopo il loro omaggio («prostratisi lo adorarono»), dopo l’offerta dei doni (Mt 2,11), Maria, insieme al bambino, deve fuggire in Egitto sotto la premurosa protezione di Giuseppe, perché «Erode stava cercando il bambino per ucciderlo» (Mt 2,13). E fino alla morte di Erode dovranno rimanere in Egitto (Mt 2,15).   


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  Chi ama suo fratello, rimane nella luce e non vi è in lui occasione di inciampo. Ma chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi. (Vedi I Lettura).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Dio invisibile ed eterno, che nella venuta del Cristo vera luce hai rischiarato le nostre tenebre, guarda con bontà questa tua famiglia, perché possa celebrare con lode unanime la nascita gloriosa del tuo unico Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te...