1 Luglio 2018
XIII Domenica T. O.
Oggi Gesù ci dice: “Fanciulla, io ti dico: Àlzati!” (Vangelo).
Dal Vangelo secondo Marco 5,21-43: Due miracoli che mettono in luce la potenza di Gesù, Figlio di Dio. La donna affetta di emorragia guarisce per la sua fede. Gesù, con la sua domanda: “Chi mi ha toccato”, esalta pubblicamente la fede della donna e indica la fede come requisito necessario per la guarigione. La risurrezione della fanciulla è collocata all’apice di una sequenza di miracoli dall’impatto dirompente: la tempesta sedata (Mc 4,35-41), la liberazione dell’indemoniato geraseno (Mc 5,1-20). La vittoria di Gesù sugli elementi della natura impazziti (Sal 88,10), poi sul potere del maligno, e qui infine sulla morte stessa, mettono in luce la divinità e l’onnipotenza di Gesù, vero Dio e vero Uomo. Allo stupore segue il perentorio ordine da parte di Gesù di non divulgare il miracolo. Il comando, che è in linea con tutti i testi relativi al segreto messianico (Mc 1,25.33-44; 3,12; ecc.), vuole rinviare alla Croce e alla Risurrezione perché soltanto questi eventi possono rivelare la vera identità del Cristo e i doni che Egli è venuto a portare agli uomini (Ef 4,7).
Guarigione dell’emorroissa e risurrezione della figlia di Giairo (5,21-43) - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): Gesù ha manifestato la sua sovranità sulle forze naturali e sui demoni; ora con altri due prodigi dimostra la sua potenza sulle malattie e persino sulla morte. Da molti commentatori l’intreccio dei due miracoli e considerate redazionale, dovuto a Mc o a un redattore premarciano; secondo altri riproduce la successione storica dei fatti. La corrispondenza stilistica in molti dettagli con cui sono narrati i due miracoli rispecchia un fine lavoro letterario. I dodici anni della fanciulla corrispondono ai dodici anni della malattia dell’emorroissa; in entrambi i racconti si ha la prostrazione dinanzi a Gesù e viene accentuato il motivo della fede, i miracoli sono compiuti in favore di donne ed è segnalato il contatto delle miracolate con il guaritore. Il ritardo di Gesù a causa dell’incontro con l’emorroissa crea una certa tensione narrativa, che serve a conferire maggior risalto al suo intervento taumaturgico, perché la fanciulla muore prima del suo arrivo. Sembra evidente l’elaborazione redazionale dei due miracoli, riletti alla luce dell’evento pasquale, per sottolineare la potenza divina di Gesù, acclamato dalla chiesa quale Cristo Signore. L’accento del racconto è posto sull’esigenza di una fiducia totale nell’azione di Dio, che si manifesta nelle opere e nell’insegnamento di Gesù.
La bambina non è morta, ma dorme - Il caso si presentava ormai senza soluzioni: dalla casa del capo della sinagoga erano venuti alcuni a dire che la fanciulla era morta. Non aveva quindi più senso continuare a importunare il Maestro di Nazaret.
Gesù, il figlio di Maria (Mc 6,3), come se non avesse inteso nulla, esorta Giairo, il padre della fanciulla morta, a desistere dal suo timore e a continuare ad avere fede in lui. Poi, con Pietro, Giacomo e Giovanni, che saranno le «colonne della Chiesa» (Gal 2,9), si avvia verso la casa di Giairo.
La scelta dei tre discepoli non è lasciata al caso: più avanti sempre Pietro, Giacomo e Giovanni, e soltanto loro, saranno chiamati ad essere gli unici testimoni privilegiati della trasfigurazione (Mc 9,2) e della preghiera nel giardino del Getsemani (Mc 14,33). Gesù, così come dettava la legge mosaica (Dt 19,15), vuole dei testimoni qualificati che in seguito avessero potuto testimoniare la realtà del miracolo che stava per operare.
La casa di Giairo è sprofondata nel dolore: gli strepiti, i pianti dei parenti e delle prèfiche, accrescono la confusione e il chiasso.
Forse per riportare un po’ di calma, Gesù entrando dice ai piagnoni: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme».
Le parole di Gesù non devono far credere che si tratta di morte apparente, la fanciulla è veramente morta. Gesù non è ancora entrato nella camera dove era stato composto il cadavere della fanciulla, ma per il fatto che aveva già deciso di restituire alla vita la figlia di Giairo, il presente stato della fanciulla è soltanto temporaneo e paragonabile ad un sonno.
Riecheggiano le parole che Gesù dirà quando gli portano la notizia della morte di Lazzaro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo» (Gv 11,11).
Questo linguaggio eufemistico è stato adottato dalla Chiesa che lo ha esteso a tutti coloro che «si addormentano nel Signore» (At 7,60; 13,36; 1Cor 7,39; 11,30), in attesa della risurrezione finale (1Ts 4,13-16; 1Cor 15,20-21.51-52).
Per i brontoloni le parole di Gesù sembrano essere fuori posto: come se Egli avesse voluto irridere il dolore dei genitori, dei parenti e degli amici convenuti in quel luogo di dolore.
La reazione però segnala anche un’ottusa ostilità nei confronti di Gesù e sopra tutto mette in evidenza la mancanza di fede nella sua potenza. È la sorte di tutti i profeti (Lc 4,24). Tanta cecità, pur addolorandolo intimamente, non lo ferma, per cui dopo aver messo alla porta gli increduli piagnoni, prende con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entra dove era la bambina.
Gesù presa la mano della fanciulla, il gesto abituale delle guarigioni (Mc 1,13.41; 9,27), pronuncia le parole ‘Talità kum’. Sono parole aramaiche, la lingua che parlava Gesù, e Marco si affretta a dare la traduzione forse per evitare che venissero scambiate per qualche formula magica. La guarigione è immediata e istantanea.
La risurrezione della fanciulla è collocata all’apice di una sequenza di miracoli dall’impatto dirompente: la tempesta sedata (Mc 4,35-41), la liberazione dell’indemoniato geraseno (Mc 5,1-20). La vittoria di Gesù sugli elementi della natura impazziti (Sal 88,10), poi sul potere del maligno, e qui infine sulla morte stessa, mettono in luce la potenza del Figlio di Dio. La raccomandazione di dare da mangiare alla fanciulla svela la tenerezza di Gesù verso gli ammalati e i sofferenti. Allo stupore segue il perentorio ordine da parte di Gesù di non divulgare il miracolo. Il comando, che è in linea con tutti i testi relativi al segreto messianico (Mc 1,25.33-44; 3,12; ecc.), vuole rinviare alla Croce e alla Risurrezione perché soltanto questi eventi possono rivelare la vera identità del Cristo e i doni che Egli è venuto a portare agli uomini (Ef 4,7).
Oggi, Gesù, pur sedendo alla destra del Padre (Rom 8,34; Ef 1,20), continua ad essere presente nella sua Chiesa: per questa Presenza, i credenti fruiscono della potenza salvifica del Cristo celata misteriosamente nei sacramenti fino a che arrivino «all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13).
La morte (cfr. I Lettura): E. Ghini (Morte in Schede Bibliche Pastorali): L’evento della morte, considerato realisticamente dalla rivelazione biblica come il totale venir meno della vita, non è visto in sé, ma sempre in stretta relazione con Iahvé, il Dio vivo: la morte la cui forza di estinzione è rappresentata dallo Sheól, si oppone alla vita come situazione di distacco da Dio nei confronti della pienezza dell’unica «fonte della vita».
Dall’assoluto monoteismo di Israele, legato al Dio unico, deriva la proibizione di ogni culto dei morti, peraltro sepolti con cura e pietà.
L’alleanza, che stabilisce un rapporto non personale ma nazionale fra Israele e Iahvé, fa sì che il problema della morte non assuma carattere drammatico, nella certezza della continuità del popolo, nonostante il venir meno dei singoli. Nel contesto vivo e in rapida evoluzione dell’alleanza, la morte è un problema poco essenziale: sia che si riconosca ai morti una sopravvivenza d’ombra nello Sheol, sia che si attribuisca loro un sonno eterno nel sepolcro di famiglia, il tema della morte non mette in crisi la fede di Israele. Da qui la rassegnazione con cui la morte è generalmente considerata e la pace con cui è accolta in tarda vecchiaia. Solo la morte precoce pone all’uomo la domanda che trova risposta nella potenza distruttiva del peccato delle origini. Ma poiché al peccato Dio ha sovvenuto con l’alleanza, la morte è superabile attraverso l’obbedienza alle «dieci parole» perché l’obbedienza, come assenso alla consacrazione operata dalla alleanza, è vita.
Israele ha lentamente intravvisto un superamento della morte sia nella conversione sollecitata dai profeti, sia nel personale rapporto con Iahvé che risolve anche, come per i salmisti e i sapienti, il problema della retribuzione. È l’apocalittica però che supera definitivamente la morte, annunciando la risurrezione dei giusti e dei peccatori nel regno escatologico.
Nel NT è soprattutto l’apostolo Paolo che, riprendendo la meditazione di Gen. 3, attribuisce la morte al peccato di Adamo. Col peccato e la legge, la morte è la principale potenza cosmica che domina sul mondo schiavo di Satana. Con l’avvento di Cristo, la morte è distrutta. Giovanni vede la morte di Cristo come passaggio da questo mondo al Padre, per un disegno di salvezza; Paolo, come atto di obbedienza che annulla il peccato e la morte nella risurrezione. La morte di Cristo per amore degli uomini è così creazione e nascita.
Per il cristiano, morto con Cristo, la fine della vita è ingresso nella vita stessa di Dio. Ciò esige l’adesione della fede, che già in sé è vita e comunica l’immortalità, mentre la sua mancanza è morte e conduce alla morte seconda della perdizione.
Morendo con Cristo il cristiano rinasce, per l’opera dello Spirito, alla vita nuova che lo rende partecipe dello stesso dinamismo trinitario, compiendo così la trasformazione definitiva nella viva immagine di Dio che, già iniziata nell’economia della figura, sarà completa alla parusia, quando i morti risorgeranno fruendo della vita stessa di Dio.
I segni del Regno di Dio: CCC 547-549: Gesù accompagna le sue parole con numerosi “miracoli, prodigi e segni” (At 2,22), i quali manifestano che in lui il Regno è presente. Attestano che Gesù è il Messia annunziato. I segni compiuti da Gesù testimoniano che il Padre lo ha mandato. Essi sollecitano a credere in lui. A coloro che gli si rivolgono con fede, egli concede ciò che domandano. Allora i miracoli rendono più salda la fede in colui che compie le opere del Padre suo: testimoniano che egli è il Figlio di Dio. Ma possono anche essere motivo di scandalo. Non mirano a soddisfare la curiosità e i desideri di qualcosa di magico. Nonostante i suoi miracoli tanto evidenti, Gesù è rifiutato da alcuni; lo si accusa perfino di agire per mezzo dei demoni. Liberando alcuni uomini dai mali terreni della fame, dell’ingiustizia, della malattia e della morte, Gesù ha posto dei segni messianici; egli non è venuto tuttavia per eliminare tutti i mali di quaggiù, ma per liberare gli uomini dalla più grave delle schiavitù: quella del peccato, che li ostacola nella loro vocazione di figli di Dio e causa tutti i loro asservimenti umani.
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Gesù non è venuto per eliminare tutti i mali di quaggiù, ma per liberare gli uomini dalla più grave delle schiavitù: quella del peccato, che li ostacola nella loro vocazione di figli di Dio e causa tutti i loro asservimenti umani.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che nel mistero del tuo Figlio povero e crocifisso hai voluto arricchirci di ogni bene, fa’ che non temiamo la povertà e la croce, per portare ai nostri fratelli il lieto annunzio della vita nuova. Per il nostro Signore Gesù Cristo ...