6 Novembre 2018

Martedì XXXI Settimana T. O.


Oggi Gesù ci dice: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.” (Mt 11,28 - Acclamazione al Vangelo).  

Dal Vangelo secondo Luca 14,15-24: Gesù si era recato a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare, e lì aveva dato una magistrale lezione sulla umiltà e sulla generosità. A questo insegnamento fa seguito l’esultanza di uno dei commensali, gioia mista a un grande desiderio: Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!. L’espressione regno di Dio nella sacra Scrittura si riferisce al regno o alla sovranità di Dio su tutte le cose, e tutti i giusti anelavano entrarvi, ma spesso dimenticavano o ignoravano il come entrarci. Così Gesù approfitta dell’occasione offertagli dal commensale per spiegare come si entra nel regno di Dio, e si rivolge senza timore ai farisei che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri (Lc 18,9). Il significato della parabola del grande banchetto è tersa come la luce del sole: chi ha declinato l’invito, accampando mille scuse, è il popolo d’Israele, ad entrare saranno i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi, cioè tutti coloro che dai farisei erano disprezzati e considerati gli ultimi del popolo eletto. Ma nelle parole di Gesù si può cogliere anche mestizia intrisa a sofferenza: infatti, non c’è “gioia finale nel fatto di aver riempito la casa con i secondi e i terzi invitati. C’è piuttosto l’amarezza perché i primi non hanno accolto l’invito e sono stati esclusi, non solo dal banchetto, ma anche dalla casa” (Il Nuovo Testamento, Ed. Paoline).

Perché le parabole? - Bruno Maggioni: Se Gesù ha raccontato parabole non è semplicemente perché egli ama­va i paragoni, né semplicemente perché voleva che il suo parlare fosse chiaro e accessibile, ma perché quando si vuole parlare di Dio e del suo mistero non si può fare diversamente. Il parlare simbolico dei Vangeli nasce da unesigenza teologica, cioè dal fatto che non si può parlare direttamente del Regno di Dio, ma solo parabolicamente, indirettamente, mediante paragoni presi dalla vita. Per parlare di Dio non si può che partire dalle cose delluomo. Ed è proprio da questa origine che derivano le tre proprietà che caratterizzano il linguaggio parabolico. È un linguaggio inadeguato, perché desunto dal vissuto quotidiano, eppure pretende esprimere qualco­sa che sta oltre e nel profondo. Ma è nello stesso tempo un linguaggio aperto, in grado non certo di esprimere il Regno ma di alludervi: perché se è vero che il Regno non si identifica con la nostra storia, rimane pur vero che ha una profonda relazione con essa. Ed è un linguaggio che costringe a pensare: non definisce, non è un traguardo riposante, ma allude, provoca, invita ad andare oltre, rende pensosi. La parabola è un discorso globale che lascia intatto il discorso del Regno, mostrandone però limpatto con lesistenza delluomo. Per questo la parabola inquieta e interroga. Di qui, però, lambivalenza delle parabole: sono luminose e oscure, rivelano e nascondono, richiedono uno sforzo di interpretazione e di decisione. Lasciano trasparire il mistero di Dio a chi ha gli occhi penetranti e il cuore pronto; rimangono oscure per chi ha il cuore ottenebrato o distratto.

Un uomo diede una grande cene - Giuliano Vigini (Dizionario del Nuovo Testamento): Il banchetto è chiaramente una metafora del regno di Dio, che viene rifiutato dai destinatari ufficiali, invitati per primi (il popolo dIsraele in genere e, più specificamente, i capi giudei, gli scribi e i farisei), e che viene invece accolto da altri, invitati in un secondo tempo (gli abbandonati, gli emarginati, gli ultimi). Il monito, lesortazione e linsegnamento della parabola è di non autoescludersi colpevolmente dal Regno, rifiutando, trascurando o sottovalutando il dono prezioso dellinvito di Dio, ma di rispondere prontamente alla sua chiamata e a quella di coloro che annunciano il suo vangelo. Tutti, “sia cattivi che buoni” (Mt 22,10), sono chiamati al regno di Dio, perché nessuno è ignorato e per ciascuno, in qualche momento, si spalanca una porta. Ma, nel giorno del giudizio finale, non basterà aver accolto linvito, ma essersene mostrati degni con un impegno di fede coerente e perseverante nel corso della vita. Al banchetto, infatti, si accede con l’“abito nuziale” (Mt 22,11-13), vestiti cioè come si conviene ad una cerimonia di nozze: metaforicamente, il grande giorno dellincontro col Padre attraverso il Figlio suo, Gesù.

Al suo ritorno il servo... - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): vv. 21-22 Il rifiuto dellinvito allultimo momento rappresentava una vera villania. In Luca il padrone di casa si adira per il rifiuto dei primi invitati, ma non fa nulla contro di loro per rappresaglia, mentre secondo Mt (22,7) ordina la distruzione della loro città. La sua magnanimità davvero sorprendente, manifestata nellinvito alla cena degli emarginati, al di fuori dogni comportamento normale, lascia trasparire limmagine del Padre celeste, la cui bontà supera ogni aspettativa umana. Nella redazione lucana «i poveri e storpi e ciechi e zoppi», raccolti nei vicoli della città, rappresentano i peccatori, gli esclusi dalle assemblee religiose giudaiche, perché considerati indegni o puniti da Dio.
v. 23 Gli altri invitati raccolti «per le vie e lungo le siepi», che sono presupposte fuori della città, simboleggiano i pagani. Luca «guarda retrospettivamente agli inizi della missione e giustifica questo passo con il riferimento alla nuova situazione creatasi allinterno della sala del banchetto» (Ernst, II, p. 628). La chiesa era ormai costituita in prevalenza da pagani convertiti. Il famoso «compelle intrare» (v. 23) non va inteso come una costrizione a entrare nella comunità cristiana. Si tratta di un semplice dettaglio letterario, che si riferisce ai convenevoli tipicamente orientali, per sforzare qualcuno, che per gentilezza opponeva qualche resistenza per un invito, considerato troppo onorevole. Forse viene anche espressa l'ineluttabilità del compimento del piano salvifico di Dio, nonostante le resistenze delluomo e il rifiuto dei giudei al suo invito definitivo, fatto per mezzo di Gesù.
v. 24 E la conclusione solenne che riporta la sentenza condannatoria di Gesù nei confronti di coloro che hanno rifiutato il messaggio del vangelo.

Le scuse i prescelti - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): Gli invitati della parabola non sono pronti. Apparentemente hanno cose più importanti da fare e così trascurano ciò che più urge. Si danno a cose secondarie e perdono lessenziale. La scusa che porta il primo è il materialismo della vita. Un pezzo di terra che ha comprato è per lui più importante dellinvito onorifico. Israele vuole un Messia che gli porti benessere terreno. Ancora una volta, pane e divertimento sono, per il popolo, più importanti della religione. Anche nella Chiesa ce ne sono a migliaia di quelli a cui importa di più possedere i beni materiali che possedere il regno di Dio. La terra è per essi più importante del cielo, il denaro più importante dello spirito, il tempo più importante delleternità.
La scusa che porta il secondo, è il lavoro. Egli deve provare i buoi che ha comprati. Avrebbe proprio interesse a venire, ma sarà per un'altra volta. Ora non ha proprio tempo disponibile. Questi uomini s'incontrano sempre e dappertutto. Sono schiavi del lavoro. La loro anima non è più libera. Trascinati nel vortice duna attività senza soste, non hanno il tempo e lagio di occuparsi delle cose terrene e di pensare al vero scopo della loro vita. Lattività inquieta e febbrile li perde e li uccide.
La terza scusa è il sesso e lamore. Il sesso presso costoro ancora una volta è più forte delle esigenze religiose. Listintività tiene schiavi molti uomini. Essi si abbandonano totalmente alla sensualità e non resta in essi più posto per lo spirito. La religione fa loro leffetto duna voce estranea e duna realtà sconosciuta.
Nonostante tutto, il regno di Dio la spunta. Gesù stesso pratica ora quello che nel testo precedente ha raccomandato a chi invita ad un festino. Al banchetto sono invitati «poveri e storpi, ciechi e zoppi». La povera gente, disprezzata dai dottori della legge, trova la strada del regno di Dio. Quelli che i farisei considerano rifiuti, sono in realtà i prescelti. Un secondo invito - questa volta fuori, per i viottoli e lungo le siepi - è diramato agli estranei, ai lontani, a coloro che erano esclusi. La caduta dIsraele ha per effetto la missione ai popoli pagani. Essi vengono numerosi. Paolo parla di questo mistero nella lettera ai Romani. Secondo limmagine di cui si serve in quella lettera, Israele è il tronco dulivo dal quale germoglia il nuovo popolo di Dio non più legato a razze o confini. Infatti su di questo albero vengono innestati i rami dei popoli pagani, e così esso porta fiori e frutti, come mai ci si sarebbe aspettati. Siamo qui di fronte al mistero della scelta divina.
È un avvertimento che vale anche per i cristiani. Al banchetto celeste del regno di Dio mancheranno uomini, di cui ci si dovrebbe attendere la presenza: papi, vescovi, sacerdoti, monaci, monache, membri di primo piano delle organizzazioni cattoliche, uomini che hanno avuto posti di responsabilità nella Chiesa e donne facenti parte di opere di beneficenza; parte di costoro li si cercherà invano nel regno dei cieli. Vi si troveranno invece uomini che non ci si aspettava, uomini che non hanno fatto parte visibilmente della Chiesa, e che tuttavia sono stati interiormente uniti a Cristo, senza che conoscessero nulla della Chiesa.

Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo ... - Benedetto XVI (Omelia, 12 Ottobre 2008): Il Vangelo con la parabola del banchetto nuziale ci fa riflettere sulla risposta umana. Alcuni invitati della prima ora hanno rifiutato l’invito, perché attratti da diversi interessi [...]. Il re però non si scoraggia e invia i suoi servi a cercare altri commensali per riempire la sala del suo banchetto. Così il rifiuto dei primi ha come effetto l’estensione dell’invito a tutti, con una predilezione speciale per i poveri e i diseredati. È quanto è avvenuto nel Mistero pasquale: lo strapotere del male è sconfitto dall’onnipotenza dell’amore di Dio. Il Signore risorto può ormai invitare tutti al banchetto della gioia pasquale, fornendo Egli stesso ai commensali la veste nuziale, simbolo del dono gratuito della grazia santificante. Alla generosità di Dio deve però rispondere la libera adesione dell’uomo. È proprio questo il cammino generoso che hanno percorso anche coloro che oggi veneriamo come santi. Nel battesimo essi hanno ricevuto l’abito nuziale della grazia divina, lo hanno conservato puro o lo hanno purificato e reso splendido nel corso della vita mediante i Sacramenti. Ora prendono parte al banchetto nuziale del Cielo. Della festa finale del Cielo è anticipazione il banchetto dell’Eucaristia, a cui il Signore ci invita ogni giorno e al quale dobbiamo partecipare con l’abito nuziale della sua grazia. Se capita di sporcare o addirittura lacerare col peccato questa veste, la bontà di Dio non ci respinge né ci abbandona al nostro destino, ma ci offre con il sacramento della Riconciliazione la possibilità di ripristinare nella sua integrità l’abito nuziale necessario per la festa.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio. (Vangelo)
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; fa’ che camminiamo senza ostacoli verso i beni da te promessi. Per il nostro Signore Gesù Cristo...