7 Novembre 2018
Mercoledì XXXI Settimana T. O.
Oggi Gesù ci dice: “Beati voi, se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito di Dio riposa su di voi.” (1Pt 4,14 - Acclamazione al Vangelo).
Dal Vangelo secondo Luca 14,25-33: Radicalità è il messaggio che oggi ci viene trasmesso dalla Parola di Dio, e poiché radicalità viene da radice ci vengono illustrate le radici dell’essere cristiani: povertà, primato di Dio, distacco, in poche parole: un cuore infiammato dal desiderio del possesso delle cose celesti. Il cristiano, che non è un avventuriero, per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, deve essere un uomo con la testa sulle spalle e una volta messo mano all’aratro deve andare avanti, senza voltarsi indietro, portando con serietà e gravità l’impegno assunto.
Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): v. 26 Se qualcuno viene a me e non odia il proprio padre...; la formula con cui Luca esprime queste supreme esigenze del discepolato («se qualcuno viene a me») è più vicina all’originale di quella che si legge nel testo parallelo di Matteo (cf. Mt., 10,37). Non odia il proprio padre; si tratta di un’espressione incisiva ed immediata che non considera l’origine del sentimento (odio interiore), ma il suo termine (non esser attaccati; non preferire nella scelta; nel passo di Lc., 18,29 si parla infatti di abbandonare casa, moglie etc.). In Luca l’elenco delle persone che non devono essere amate più di Gesù ha un’estensione maggiore di quello che si trova in Matteo; Luca infatti ama sottolineare l’importanza della chiamata al discepolato e le gravi rinunzie che esso richiede (cf. Lc., 9,59-62; 8,19-21; 11,27-26). Il versetto ricorda tra le persone che non bisogna amare più del Maestro anche la moglie, richiamando cosi al lettore la rinunzia alle dolcezze della vita familiare; questo accenno rivela la tendenza ascetica che caratterizza il terzo vangelo. Le dichiarazioni del Maestro svelano un sublime ideale di vita che supera ogni altra finalità, per quanto nobile e filantropica, che l’uomo possa proporre alla propria esistenza; in queste parole non bisogna vedere un disprezzo per i propri simili, né un accento pur lieve di misantropia. Si tenga presente che il versetto parla della sequela di Gesù, non delle esigenze del regno del cielo, né di quelle del vangelo; il Maestro stesso quindi si propone all’uomo come supremo fine delle sue rinunzie e dei suoi sacrifici più radicali.
v. 27 Chiunque non porta la sua croce...; si ha un ulteriore sviluppo dell’affermazione precedente; in modo particolare viene puntualizzato il significato dell’«odio» alla propria vita. «Portare la croce»: si allude alla sorte dolorosa che attenderà Gesù. E non mi segue; è un’espressione parallela a quella precedente: portare la croce equivale seguire il Maestro.
Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre... Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 28 Ottobre 1987): Dinanzi a queste espressioni di Gesù non si può non riflettere sull’altezza e arduità della vocazione cristiana. Senza dubbio le forme concrete di sequela di Cristo sono da lui stesso graduate secondo le condizioni, le possibilità, le missioni, i carismi delle persone e dei ceti. Le parole di Gesù, come dice egli stesso, sono “spirito e vita” (cfr. Gv 6,63), e non si può pretendere di materializzarle in modo identico per tutti. Ma secondo san Tommaso d’Aquino la richiesta evangelica di rinunce eroiche, come quelle dei consigli evangelici di povertà, castità e rinnegamento di sé per seguire Gesù - e lo stesso si può dire dell’oblazione di sé al martirio piuttosto che tradire la fede e la sequela di Cristo - impegna tutti “secundum praeparationem animi” (cf. S. Thomae, Summa Theologiae; II-II, q. 184, a. 7, ad 1), ossia quanto a disponibilità dello spirito a compiere ciò che è richiesto qualora vi si fosse chiamati, e quindi comportano per tutti un distacco interiore, un’oblatività, un’autodonazione a Cristo, senza cui non vi è un vero spirito evangelico.
Per essere discepoli di Cristo: Benedetto XVI (Omelia, 5 settembre 2010): Nel brano evangelico, tratto da san Luca, Gesù stesso dichiara con franchezza tre condizioni necessarie per essere suoi discepoli: amare Lui più di ogni altra persona e più della stessa vita; portare la propria croce e andare dietro a Lui; rinunciare a tutti i propri averi. Gesù vede una grande folla che lo segue insieme ai suoi discepoli, e con tutti vuole essere chiaro: seguire Lui è impegnativo, non può dipendere da entusiasmi e opportunismi; dev’essere una decisione ponderata, presa dopo essersi domandati in coscienza: chi è Gesù per me? È veramente “il Signore”, occupa il primo posto, come il Sole intorno al quale ruotano tutti i pianeti? E la prima lettura, dal Libro della Sapienza, ci suggerisce indirettamente il motivo di questo primato assoluto di Gesù Cristo: in Lui trovano risposta le domande dell’uomo di ogni tempo che cerca la verità su Dio e su se stesso. Dio è al di là della nostra portata, e i suoi disegni sono imperscrutabili. Ma Egli stesso ha voluto rivelarsi, nella creazione e soprattutto nella storia della salvezza, finché in Cristo ha pienamente manifestato se stesso e la sua volontà. Pur rimanendo sempre vero che “Dio, nessuno lo ha mai visto” (Gv 1,18), ora noi conosciamo il suo “nome”, il suo “volto”, e anche il suo volere, perché ce li ha rivelati Gesù, che è la Sapienza di Dio fattasi uomo. “Così - scrive l’Autore sacro della prima Lettura - gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza” (Sap 9,18).
Portare ogni giorno la croce: Il verbo «portare» (bastazo) significa portare qualcosa di molto pesante, che opprime. Il verbo (attivo indicativo presente) descrive un’azione che si sta svolgendo ora, in questo momento, con tendenza a durare verso un immediato futuro.
La croce è quella di Gesù senza orpelli aggiuntivi, senza interpretazioni metaforiche.
È il ruvido legno con annessi e connessi: persecuzioni, ingiurie, torture, delazioni, calunnie, odio gratuito... «quegli avvenimenti voluti o permessi da Dio, che ci fanno violenza, ci umiliano, ci causano dolore e pena e ci mettono alla prova in diverse maniere. Portare la croce significherà quindi entrare nelle intenzioni di Dio, che vede in questi avvenimenti degli strumenti della nostra salvezza; accettare o ricercare queste contrarietà come mezzi per far progredire il regno di Dio in noi e intorno a noi. Perché la croce sia meritoria per il Regno dei cieli deve essere accettata per amore di Dio; per volere seguire Cristo, bisogna volere tutto ciò che esige il suo amore» (Emilio Spinghetti).
Tanto richiede la vita cristiana: all’adorazione e all’amore è necessario aggiungere la riparazione e il patire. Quest’ultimo accettato volontariamente come stile di vita e non con entusiasmo effimero, con slancio di un’ora o di una settimana, ma «ogni giorno», senza sconti, senza respiro, senza riposo, fino alla fine: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,23). Chi vuol farsi compagno di Cristo, il patire è il distintivo irrinunciabile di questa scelta.
Significato teologico della croce - Franco Giulio Brambilla: A partire dal senso che Gesù ha attribuito alla sua morte, i Vangeli sinottici, Paolo e il Vangelo di Giovanni non faranno altro che rileggere questo significato ricuperando le grandi immagini dell’Antico Testamento: la morte di Gesù è la “redenzione”, il “sacrificio”, il “riscatto”. La morte sulla croce manifesta un’eccedenza che rivela una verità più profonda di ciò che appare. Sono tre gli aspetti che definiscono il senso profondo della morte in croce: essa rivela definitivamente chi è Gesù, chi è Dio e il destino dell’uomo. Anzitutto, la morte di croce dice chi è Gesù: egli si rivela come colui che è completamente rivolto verso il Padre (cfr. Gv 1,18). L’abbandono fiducioso a Dio sulla croce dice che Cristo si definisce per la sua relazione al Padre: egli è il Figlio. Soprattutto nel momento in cui sembra messa in discussione la sua pretesa, la sua missione, la connessione tra il suo messaggio e la sua persona, egli non si fa valere neppure col pretesto di essere il profeta ultimo, ma si affida in radicale abbandono al Padre suo, assumendo la violenza e il rifiuto peccaminoso degli uomini. Il rifiuto di Dio si colloca così nel cuore della sua manifestazione. Ciò, però, non sconvolge il disegno di Dio, ma Dio assume, perdona, salva dal di dentro la stessa negazione degli uomini. Dio non scambia il peccato degli uomini con l’innocenza di Cristo. Dio, il Padre, assume questo rifiuto, lo porta su di sé; mandando il Figlio, viene egli stesso come il Padre suo, e lo stabilisce come luogo del perdono e della riconciliazione. In secondo luogo, la morte di croce manifesta e comunica chi è Dio. La verità di Dio è la verità stessa della carità di Dio. La dedizione insuperabile e senza condizioni con cui Gesù si affida al Padre rivela che Dio è colui che è rivolto all’uomo, a cui comunica la sua vita stessa, donandogli il suo bene più prezioso: il Figlio suo (Rm 8,32). La struggente attesa di Israele di vedere il volto di Dio, di entrare nell’intimità della sua alleanza, nella Croce è svelata sul volto sfigurato di Gesù morente, proprio nel momento e nell’evento che è il frutto del suo più radicale rifiuto.
Infine, la donazione di Dio a Gesù e in Gesù agli uomini è il “luogo” del perdono, della riconciliazione, che supera dal di dentro lo stesso rifiuto di Dio e tutte le forme che lo rappresentano, la non comunione, l’abbandono, il tradimento, l’inimicizia, la violenza e, alla fine, la stessa morte. Gesù muore per tutti, nel duplice senso di “a causa” e di “a vantaggio” del peccato degli uomini, perché portandolo in sé lo riconcilia nel luogo stesso della sua negazione. Forse solo qui può trovare risposta la domanda: perché la Passione e la Croce di Gesù? Perché una morte così? La sofferenza, il dolore, la Croce, sono il prodotto del rifiuto di Dio, la conseguenza della sua negazione da parte della libertà umana. E il Padre in Cristo vi passa attraverso (e lo Spirito li tiene uniti nella massima separazione), supera il peccato dal di dentro, ricupera la libertà nel suo punto più intimo. Dio non salva automaticamente, non guarisce magicamente. Egli ricupera la libertà facendola ritornare a ritroso, ed e noto quanto sia oneroso ricostruire una libertà ferita. Fin nel cuore dell’uomo, fin nelle profondità di tutta l’umanità, dal primo uomo fino alla fine dei tempi.
Chi di voi, volendo costruire una torre...: Con le due parabole, del costruttore e del re che muove guerra, Gesù vuole suggerire come la sequela cristiana comporti cautela, maturazione, serietà, propositi fermi. La scelta cristiana «non è cosa da poco, che si può fare a cuor leggero, con superficialità, senza soppesare la gravità dell’impegno che ci si assume. Pur ammettendo una gradualità, l’essere cristiano non è un distintivo o un diploma honoris causa, ma una decisione di volere mettere le proprie capacità, i propri talenti, il proprio tempo a disposizione di tutti prima che di se stessi, persino i propri averi» (Ortensio Da Spinetoli).
Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi... Quello di Gesù non è un pauperismo a buon mercato o di bassa lega: la ricchezza è un pericolo mortale (Cf. 1Tm 6,10) e chi ha voluto giocare con essa ha riportato a casa le ossa rotte. Possono esserci delle eccezioni, avere delle ricchezze e non attaccarsi ad esse, ma sono solo eccezioni: è più facile che un cammello passi per una cruna d’ago che un ricco entri nel regno dei cieli (Cf. Lc 18,25).
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. (Vangelo)
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; fa’ che camminiamo senza ostacoli verso i beni da te promessi. Per il nostro Signore Gesù Cristo...