9 Settembre 2018
XXIII Domenica T. O.
Oggi Gesù ci dice: “Si schiuderanno gli orecchi dei sordi, griderà di gioia la lingua del muto.” (Cfr. I Lettura).
Dal Vangelo secondo Marco 7,31-37: Il miracolo compiuto da Gesù travalica il senso reale dello stesso prodigio: la guarigione del sordomuto deve infatti ricordare ai cristiani la necessità di aprire le orecchie alla Parola di Dio e di sciogliere la lingua per proclamare le opere meravigliose di Dio che li ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce (cf. 1Pt 2,9). Il comando di Gesù, effatà, una parola di origine aramaica, non riguarda solo gli orecchi e la bocca del sordomuto, ma si riferisce a tutta la sua persona, che si apre alla comprensione della persona del Cristo. La guarigione è immediata e definitiva.
Gesù realizza così la profezia di Isaia 35,5-6 (prima lettura; cf. Mt 11,5). Il sordomuto è la primizia di tutti quegli uomini che dalla potenza salvifica della Parola di Dio saranno guariti da quella sordità spirituale che impedisce loro di cogliere i segni e le parole rivelatrici di Gesù.
Il comando di non dirlo a nessuno è palesemente violato e le parole della folla.
Ha fatto bene ogni cosa, questa nota ricorda il racconto della creazione: sono le stesse parole con le quali la Bibbia sigilla ciascuno dei sei giorni della creazione da parte di Dio (Gen 1-2,4). Vi è in questo modo una perfetta continuità tra l’agire di Dio creatore e l’agire di Gesù salvatore.
Lo stesso Dio che crea l’uomo, che lo libera dalla schiavitù egiziana e babilonese, è anche il Dio che, in Gesù, si prende cura dell’uomo infermo, lo libera dal peccato, dalla malattia e dalla morte ricreandolo: di nuovo lo apre alla luce e al suono, di nuovo gli fa udire il timbro della sua parola e della sua voce.
A ben dire, ogni miracolo di Gesù sull’uomo è, quindi, una nuova creazione.
Segni dell’amore di Dio - Gianni Colzani: Per le Scritture il miracolo è un’opera potente di Dio c soprattutto un segno con cui Dio ci parla. Non conta solo il fatto straordinario, ma anche il modo e il contesto in cui il segno si colloca c avviene.
Esso va dunque inquadrato nell’agire potente e salvifico di Dio: Dio è “maestoso in santità, tremendo nello imprese, operatore di prodigi” (Es I5,11). Questa potenza è la rivelazione di un amore fedele, colto nella fede e celebrate nella preghiera. Il miracolo va mantenuto sullo sfondo di questa immagine di Dio: è segno di quel Regno a cui la potenza divina è ordinata e delinea una storia aperta all’agire di Dio, da lui guidata.
Presenti nell’Antico Testamento (il segno più eloquente e straordinario è l’esodo, la liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù d’Egitto), i miracoli trovano particolare rilevanza nella vita di Gesù. Lo riconoscono i discepoli, che nella loro predicazione presentano Gesù come “un profeta potente in opere e parole, davanti a Dio e a tutto il popolo” (Lc 2-1,19; cfr. Mt 11,21; At 10,38), lo riconoscono pure gli avversari, che, se mai, contestano il significato messianico di questa sua attività: per essi si tratta di magia diabolica (Mc 3,22-23).
I miracoli sono segni certissimi della Rivelazione...: Catechismo della Chiesa Cattolica n. 156: Il motivo di credere non consiste nel fatto che le verità rivelate appaiano come vere e intelligibili alla luce della nostra ragione naturale. Noi crediamo «per l’autorità di Dio stesso che le rivela, il quale non può né ingannarsi né ingannare». «Nondimeno, perché l’ossequio della nostra fede fosse conforme alla ragione, Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito Santo si accompagnassero anche prove esteriori della sua Rivelazione». Così i miracoli di Cristo e dei santi le profezie, la diffusione e la santità della Chiesa, la sua fecondità e la sua stabilità «sono segni certissimi della divina Rivelazione, adatti ad ogni intelligenza», sono «motivi di credibilità» i quali mostrano che l’assenso della fede non è «affatto un cieco moto dello spirito».
Gesù manifesta il Regno attraverso segni e miracoli - Compendio Catechismo della Chiesa Cattolica n. 108: Gesù accompagna la sua parola con segni e miracoli per attestare che il Regno è presente in lui, il Messia. Sebbene egli guarisca alcune persone, non è venuto per eliminare tutti i mali quaggiù, ma per liberarci anzitutto dalla schiavitù del peccato. La cacciata dei demoni annuncia che la sua Croce sarà vittoriosa sul «principe di questo mondo» (Gv 12,31).
I miracoli di Cristo sono segni del regno di Dio - Giovanni Paolo II (Omelia, 6 giugno 1991): Sentiamo oggi nel Vangelo il grido dell’uomo cieco: “Rabbunì (cioè: Maestro), che io riabbia la vista” (Mc 10,51). Così quel malato risponde alla domanda di Cristo: “Che vuoi che io faccia?” (Mc 10,51). “Che io riabbia la vista” [...]. Il Signore Gesù esaudisce la domanda del cieco. Pronuncia delle parole significative in quella circostanza: “la tua fede ti ha salvato” (Mc 10,52). Il cieco sa che a guarirlo è stato Cristo con la sua divina potenza. E tuttavia lo stesso Cristo dice: “la tua fede ti ha salvato”. Ciò vuol dire: la fede in un certo modo ha permesso la manifestazione della potenza che era nel Signore Gesù. Egli adoperava quella sua potenza soprannaturale sempre per destare la fede nell’onnipotenza divina e nell’amore divino. I miracoli di Cristo sono segni del regno di Dio. Il regno di Dio è in voi mediante la fede. E anche se la fede “fa miracoli” - tuttavia esso stesso, il regno di Dio è un “miracolo” maggiore di tutte le guarigioni miracolose operate da Cristo e dai suoi apostoli - e di quelli che ancora oggi avvengono in diversi luoghi della terra.
Lo prese in disparte, lontano dalla folla - Benedetto XVI (Udienza Generale, 14 Dicembre 2011): La scelta di portare il malato in disparte fa sì che, al momento della guarigione, Gesù e il sordomuto si trovino da soli, avvicinati in una singolare relazione. Con un gesto, il Signore tocca le orecchie e la lingua del malato, ossia le sedi specifiche della sua infermità. L’intensità dell’attenzione di Gesù si manifesta anche nei tratti insoliti della guarigione: Egli impiega le proprie dita e, persino, la propria saliva. Anche il fatto che l’Evangelista riporti la parola originale pronunciata dal Signore - «Effatà», ossia «Apriti!» - evidenzia il carattere singolare della scena.
Ma il punto centrale di questo episodio è il fatto che Gesù, al momento di operare la guarigione, cerca direttamente il suo rapporto con il Padre. Il racconto dice, infatti, che Egli «guardando … verso il cielo, emise un sospiro» (v. 34). L’attenzione al malato, la cura di Gesù verso di lui, sono legati ad un profondo atteggiamento di preghiera rivolta a Dio. E l’emissione del sospiro è descritta con un verbo che nel Nuovo Testamento indica l’aspirazione a qualcosa di buono che ancora manca (cfr Rm 8,23). L’insieme del racconto, allora, mostra che il coinvolgimento umano con il malato porta Gesù alla preghiera. Ancora una volta riemerge il suo rapporto unico con il Padre, la sua identità di Figlio Unigenito. In Lui, attraverso la sua persona, si rende presente l’agire sanante e benefico di Dio. Non è un caso che il commento conclusivo della gente dopo il miracolo ricordi la valutazione della creazione all’inizio della Genesi: «Ha fatto bene ogni cosa» (Mc 7,37). Nell’azione guaritrice di Gesù entra in modo chiaro la preghiera, con il suo sguardo verso il cielo. La forza che ha sanato il sordomuto è certamente provocata dalla compassione per lui, ma proviene dal ricorso al Padre. Si incontrano queste due relazioni: la relazione umana di compassione con l’uomo, che entra nella relazione con Dio, e diventa così guarigione.
Dio non è chiuso in sé stesso, ma si apre e si mette in comunicazione con l’umanità - Papa Francesco (Angelus, 6 Settembre 2015): Il Vangelo di oggi (Mc 7,31-37) racconta la guarigione di un sordomuto da parte di Gesù, un evento prodigioso che mostra come Gesù ristabilisca la piena comunicazione dell’uomo con Dio e con gli altri uomini. [...]. L’insegnamento che traiamo da questo episodio è che Dio non è chiuso in sé stesso, ma si apre e si mette in comunicazione con l’umanità. Nella sua immensa misericordia, supera l’abisso dell’infinita differenza tra Lui e noi, e ci viene incontro. Per realizzare questa comunicazione con l’uomo, Dio si fa uomo: non gli basta parlarci mediante la legge e i profeti, ma si rende presente nella persona del suo Figlio, la Parola fatta carne. Gesù è il grande “costruttore di ponti”, che costruisce in sé stesso il grande ponte della comunione piena con il Padre.
Ma questo Vangelo ci parla anche di noi: spesso noi siamo ripiegati e chiusi in noi stessi, e creiamo tante isole inaccessibili e inospitali. Persino i rapporti umani più elementari a volte creano delle realtà incapaci di apertura reciproca: la coppia chiusa, la famiglia chiusa, il gruppo chiuso, la parrocchia chiusa, la patria chiusa… E questo non è di Dio! Questo è nostro, è il nostro peccato.
Eppure all’origine della nostra vita cristiana, nel Battesimo, ci sono proprio quel gesto e quella parola di Gesù: “Effatà! - Apriti!”. E il miracolo si è compiuto: siamo stati guariti dalla sordità dell’egoismo e dal mutismo della chiusura e del peccato, e siamo stati inseriti nella grande famiglia della Chiesa; possiamo ascoltare Dio che ci parla e comunicare la sua Parola a quanti non l’hanno mai ascoltata, o a chi l’ha dimenticata e sepolta sotto le spine delle preoccupazioni e degli inganni del mondo.
… pieni di stupore - Vincent Taylor (Marco): L’effetto della guarigione è che la gente rimane stupita aldilà di ogni misura (huperperissós = «in eccesso»): questo l’unico passo, in tutta la letteratura greca, in cui è usato questo avverbio (invece il verbo huperpisseuó si trova in Rom. 5,20 e 2Cor. 7,4). In nessun’altra parte del vangelo di Marco si parla di una meraviglia così intensa. «Ha fatto bene ogni cosa»: è forse un indizio che originariamente la storia apparteneva a un gruppo (cfr. il plurale: «sordi... muti»). È probabile che sullo sfondo ci sia Is. 35,5s: «Allora ... si schiuderanno gli orecchi dei sordi... griderà di gioia la lingua del muto» (cfr. Bacon, Lagrange, Rawlinson, Branscomb, Blunt). Se è così, vorrebbe dire che Marco ha rielaborato la conclusione dell’episodio a scopo catechetico… Altri indizi di questo interesse sono il presente poiei («fa udire») e il gioco linguistico alalous lalein («parlare i muti»). Ancor più consistente è l’attività redazionale in Mt. 15,31 dove è detto che la gente si meravigliava e «glorificava il Dio d’Israele» (cfr. Is. 29,23: «e temeranno il Dio d’Israele»; Gen. 1,31; Sir. 39,16).
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Il sordomuto è colui che non apre le orecchie per ascoltare la parola di Dio, né apre la bocca per pronunziarla. È necessario perciò che coloro i quali, per lunga abitudine, hanno già appreso a pronunziare e ascoltare le parole divine, siano loro a presentare al Signore, perché li risani, quelli che non possono farlo per l’umana debolezza; così egli potrà salvarli con la grazia che la sua mano trasmette» (Beda il Venerabile).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che scegli i piccoli e i poveri per farli ricchi nella fede ed eredi del tuo regno, aiutaci a dire la tua parola di coraggio a tutti gli smarriti di cuore, perché si sciolgano le loro lingue e tanta umanità malata, incapace perfino di pregarti, canti con noi le tue meraviglie. Per il nostro Signore Gesù Cristo...