15 Settembre 2018
Beata Vergine Maria Addolorata
Oggi Gesù ci dice: “Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate gioire ed esultare.” (1Pt 4,13 - Antifona alla comunione).
Dal Vangelo secondo Luca 2,33-35: I primi due capitoli di Matteo e di Luca sono conosciuti come i Vangeli dell’infanzia. La gioia di Giuseppe e di Maria viene turbata dalle parole oscure di Simeone, il quale non fa che indicare agli ignari sposi la via della croce: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione» (v. 34). Gesù apre questa via, la percorre fino alla fine e la propone a noi, suoi discepoli. Maria, per prima, la seguirà in piena fedeltà e disponibilità.
Catechismo della Chiesa Cattolica n. 529: La presentazione di Gesù al Tempio lo mostra come il Primogenito che appartiene al Signore. In Simeone e Anna è tutta l’attesa di Israele che viene all’incontro con il suo Salvatore (la tradizione bizantina chiama così questo avvenimento). Gesù è riconosciuto come il Messia tanto a lungo atteso, «luce delle genti» e «gloria di Israele», ma anche come «segno di contraddizione». La spada di dolore predetta a Maria annunzia l’altra offerta, perfetta e unica, quella della croce, la quale darà la salvezza «preparata da Dio davanti a tutti i popoli».
Maria - La testimonianza di Luca - Stefano de Flores: Con Luca la figura di Maria esce dallo sfondo e assume un rilievo di primo piano nella storia della salvezza. La scena dell’annuncio dell’angelo a Maria (Lc 1,26-8) che h a ispirato innumerevoli scrittori c artisti, evidenzia che la vocazione di Maria insieme con la nascita meravigliosa del Figlio di Dio generato verginalmente nel suo grembo mediante lo Spirito (Lc 1,35-37). Maria entra nel dialogo tra Dio e l’umanità offrendo una risposta di fede esemplare: “Eccomi, sono la serva del Signore. Avvenga di me secondo la tua parola” (Lc 1,38). Elisabetta, visitata da Maria, riconosce in lei la “benedetta fra le donne” (Lc 1,42), “la madre del mio Signore” (Lc 1,43) e “colei che ha creduto” (Lc 1,45). Elisabetta interpreta così la risposta di Maria all’angelo (Lc 1,38) come un atto di fede, con lui la Vergine si apre alle promesse di Dio e permette loro di giungere al compimento. Il Magnificat, la preghiera con cui Maria risponde a Elisabetta, assume un grande valore per la Chiesa, in quanto è considerato “la più antica teologia mariana” (R. Schnackenburg). In realtà il cantico applica alla vicenda di Maria lo schema salvifico secondo cui Dio esalta gli umili: “Ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente” (Lc 1,48-49).
Nell’incontro con Simeone nel Tempio Maria riceve un’ulteriore rivelazione, che allarga il messianismo a proporzioni universali e anche tragiche. Gesù sarà “luce delle genti” e insieme “segno contraddetto”. Maria è unita alla sorte del Figlio, poiché una “spada” le trafiggerà l’anima (Lc 2.35). Nell’episodio del ritrovamento di Gesù bambino nel Tempio, la madre sperimenta in anticipo la Pasqua di dolore e di gioia. Anche se non comprende le parole di Gesù, Maria le conserva nel cuore (Lc 2,51) e le medita (Lc 2,19).
Simeone li benedisse... - Giovanni Leonardi (L’infanzia di Gesù): Il profeta Simeone è noto solo da questo episodio. Non è detto che fosse sacerdote: dal testo (v. 29) traspare invece che era una persona anziana. Qualcuno recentemente ha voluto identificarlo con Simeone figlio di Hillel, di cui si parla nel Talmud e il cui ritratto corrisponde a quello del Simeone di Luca. Daniélou ricorda che anche alcune tradizioni giudeo-cristiane sono favorevoli a questa interpretazione.
Simeone è presentato «giusto e pio», al modo dei personaggi precedenti: giusto esternamente e praticamente, pio o timorato di Dio internamente. Egli attendeva «il conforto di Israele», cioè quel Messia (astratto per il concreto) il cui compito - secondo Isaia 61,2s - era «di confortare i piangenti di Sion», cioè di consolare e riportare alla gioia. Lo Spirito Santo, in premio di tali buone disposizioni e della intemerata condotta, gli aveva promesso (Luca non dice come) che avrebbe visto con i suoi occhi il Messia. Ed è appunto lo Spirito che, non solo lo fa salire al tempio in coincidenza con la venuta della sacra Famiglia, ma anche gli fa riconoscere nel Bambino il Messia.
Simeone non si accontenta di contemplarlo: lo prende nelle sue braccia venerande e, nonostante la commozione, trova la forza di benedire Dio, cioè di uscire, come già Zaccaria, in un inno di lode e ringraziamento a Dio. Il cantico è, come il Magnificat e il Benedictus, un mosaico di testi tolti dall’Antico Testamento. Vi predominano però i riferimenti al Deutero-Isaia, il profeta della consolazione di Israele (40,1; 42,6; 46,13; 49,6; 52,10; Cf. 46,30); per cui Daniélou pensa che si tratti di un arcaico inno giudeo-cristiano della Chiesa post-pentecostale e da Luca messo in bocca a Simeone per esprimerne sentimenti simili.
Simeone si pone (vv. 29-32) nell’atteggiamento del servo verso il padrone ed esprime la sua soddisfazione al Signore per aver mantenuta la parola promessa: gli dice che lo lasci pur andare (lett. salpare) verso il porto dell’aldilà con la pace messianica ormai raggiunta; i suoi occhi infatti hanno visto la sua salvezza (astratto per il concreto): quella salvezza - continua a dire - che Dio ha preparato - quale mensa imbandita - davanti a tutti i popoli, perché sia luce alle genti pagane e gloria (cioè onore o vanto) del suo popolo Israele; oppure meglio perché sia la presenza specialissima e benefica di Dio in mezzo al suo popolo. Questo è l’unico accenno espressamente universalistico che troviamo nel Vangelo dell’infanzia di Luca: per giunta i pagani vengono messi al primo posto, anche se considerati avvolti dalle tenebre dell’idolatria e quindi bisognosi della luce della rivelazione cristiana.
Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): Il Cristianesimo non è costrizione, né s’impone in modo irresistibile, ma è un invito, una chiamata. L’uomo è posto di fronte ad una scelta. Può dire di sì, come può dire di no. Il sì, lo farà sorgere simile a un paralitico guarito che può camminare nella via del Signore. Il no, significherà invece la sua caduta, la sua rovina. Quindi la posizione che si assume di fronte a Cristo è decisiva per il destino dell’uomo e dei popoli dinanzi a Dio. Cristo è il grande bivio da cui si partono le vie della salvezza e della dannazione, lo spartiacque che divide il giusto dall’ingiusto.
Per la madre sapere che Lui stesso, Cristo, incontrerà opposizione e contraddizione sarà il grande dolore della sua vita. «Una spada trapasserà la tua anima». Questo sì e questo no sono destinati a far manifestare molti cuori in Israele. Ciò che è nascosto viene alla luce. La durezza dei cuori, i pensieri cattivi, l’egoismo presuntuoso, l’alterigia e l’odio, tutto ciò che c’è di brutto, tutto quello che si oppone a Dio si manifesta ora apertamente. E con la manifestazione dei pensieri si smascherano aspetti orribili, si spalancano i sepolcri imbiancati. La mancanza d’amore con cui viene accolto l’amore incarnato colpirà nel suo intimo soprattutto il premuroso cuore materno. Così fin dall’inizio della vita di Gesù c’è già la «Mater Dolorosa», che alla fine di questa vita si troverà ai piedi della croce, dove insieme col Figlio, il cui Cuore sarà pure trafitto, offrirà il grande sacrificio d’amore, senza dubbio più forte dell’odio degli uomini.
Segno di contraddizione - Redemptoris Mater n. 16: Le parole di Simeone mettono in una luce nuova l’annuncio che Maria ha udito dall’angelo: Gesù è il Salvatore, è «luce per illuminare» gli uomini. Non è quel che si è manifestato, in certo modo, nella notte del Natale, quando sono venuti nella stalla i pastori? (Lc 2,8). Non è quel che doveva manifestarsi ancor più nella venuta dei Magi dall’Oriente? (Mt 2,1). Nello stesso tempo, però, già all’inizio della sua vita, il Figlio di Maria, e con lui sua madre, sperimenteranno in se stessi la verità delle altre parole di Simeone: «Segno di contraddizione» (Lc 2,34). Quello di Simeone appare come un secondo annuncio a Maria, poiché le indica la concreta dimensione storica nella quale il Figlio compirà la sua missione, cioè nell’incomprensione e nel dolore. Se un tale annuncio, da una parte, conferma la sua fede nell’adempimento delle divine promesse della salvezza, dall’altra le rivela anche che dovrà vivere la sua obbedienza di fede nella sofferenza a fianco del Salvatore sofferente, e che la sua maternità sarà oscura e dolorosa. Ecco, infatti, dopo la visita dei Magi, dopo il loro omaggio («prostratisi lo adorarono»), dopo l’offerta dei doni (Mt 2,11), Maria, insieme al bambino, deve fuggire in Egitto sotto la premurosa protezione di Giuseppe, perché «Erode stava cercando il bambino per ucciderlo» (Mt 2,13). E fino alla morte di Erode dovranno rimanere in Egitto (Mt 2,15).
... e anche a te una spada trafiggerà l’anima, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): E quanto a te stessa una spada ti trafiggerà l’anima; la frase va considerata come una proposizione incidentale, con la quale il profeta si volge direttamente a Maria. Simeone rileva che anche la madre del Messia è associata alla sorte del figlio, poiché ella sentirà le dolorose trafitture di una simbolica spada che la raggiungerà nelle profondità dell’animo, procurandole vivissimo dolore. La profezia è ampia e generica; non si può quindi forzare il testo per precisarlo nei particolari, né indicare con esattezza il contenuto e la portata delle immagini e delle allusioni. Come il destino del fanciullo è prospettato con una immagine dai contorni imprecisi («caduta e rialzamento di molti»), così anche quello della madre è designato con un’espressione figurata generica («una spada ti trafiggerà l’anima»). È certo tuttavia che i dolori di Maria rientrano in questa prospettiva profetica e sono compendiati nell’immagine della spada; la sorte della madre è considerata unitamente a quella del figlio. La profezia di Simeone, che fa seguito al suo inno pieno di speranza e che rimane inserito nel vangelo dell’infanzia dominato da una nota gioiosa, come si è già rilevato e come si avrà occasione di rilevare in seguito, afferma una dura realtà sulla persona e sul messaggio di Cristo: la persona del Messia e le esigenze del suo messaggio costituiranno per gli uomini la pietra di prova che li discriminerà. Invece di essere un elemento discorde nel complesso armonico del vangelo dell’infanzia, questa profezia ne è una nota completiva; essa infatti rivela la reale dimensione del mistero di Gesù nella storia umana. Si è pensato che l’espressione di Simeone, la quale richiama quella di Ezechiele, 14, 17 («una spada passerà attraverso il paese» [= Israele]) si riferisca ad Israele; in questo caso il vecchio profeta, rivolgendosi a Maria, penserebbe al popolo ebraico ed intenderebbe affermare che l’insegnamento del Messia porterà la divisione in Israele e che Maria sarà profondamente colpita e addolorata per questo triste destino dell’opera del suo figlio (cf. Laurentin, o. c., p. 89-90). Tale interpretazione che si fonda sul passaggio dal collettivo (caduta e rialzamento di molti; cf. vers. 34) al singolare («e quanto a te»; vers. 35) è troppo ricercata e lascia perplessi. Alcuni antichi scrittori, come Origene e vari commentatori protestanti, hanno pensato che l’immagine della spada, la quale trafiggerà l’anima di Maria, indichi metaforicamente il dubbio che in seguito inquieterà la mente della Vergine sulla messianicità di Gesù, quando ella lo vedrà osteggiato e condannato a morte; questa spiegazione che urta con gli stessi dati evangelici, i quali ci presentano Maria interamente sottomessa alla volontà di Dio (cf. Lc.,1,38; 2,19), ed i principi teologici, è inaccettabile. Le parole di Simeone racchiudono quindi anche una profezia per la madre di Gesù, poiché le preannunziano un destino di pene acute e di amarissime afflizioni. Affinché siano svelati i pensieri di molti cuori; «i pensieri dei cuori»: espressione determinata dalla psicologia ebraica che nel cuore vede la sede del pensiero. Cristo è un «segno» davanti al quale bisogna dichiararsi e prendere posizione. L’opera e la dottrina di Gesù manifesteranno la reale portata del suo messianismo; gli Ebrei si troveranno di fronte al vero Messia, che direttamente li illuminerà sulla sua missione; ad essi che attendevano un Messia umanamente potente e glorioso, non piacerà il messianismo umile e spirituale di Cristo, perciò troveranno in lui un’occasione di scandalo. Gli Ebrei non supereranno questo ostacolo spirituale, ma essi, tenacemente attaccati alle proprie idee, giungeranno ad osteggiare l’opera del vero Messia ed a volerne la morte; il tragico esito di questo loro atteggiamento ribelle alle «cose di Dio» (cf. Mc., 8,33) manifesterà apertamente i loro intimi sentimenti e le loro gravi prevenzioni che li escluderanno dalla salvezza messianica. «I pensieri» (διαλογισμοί) hanno abitualmente in Luca un senso peggiorativo (cf. Lc.,4 22; 6,8; 9,46).
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Cristo è un «segno» davanti al quale bisogna dichiararsi e prendere posizione.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che accanto al tuo Figlio, innalzato sulla croce, hai voluto presente la sua Madre Addolorata: fa’ che la santa Chiesa, associata con lei alla passione del Cristo, partecipi alla gloria della risurrezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo...