12 Settembre 2018

Mercoledì XXIII Settimana T. O.


Oggi Gesù ci dice: “Rallegratevi ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo.” (Lc 6,23ab - Acclamazione al Vangelo).

Dal Vangelo secondo Luca 6,20-26: Gesù, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri...»: mentre Matteo elenca otto beatitudini, l’evangelista Luca ne elenca quattro: i poveri, gli affamati, coloro che piangono e i perseguitati. Luca sembra aver di mira delle situazioni di fatto di oppressione e di emarginazione, le beatitudini ricordate da Matteo hanno invece sfumature etico-spirituali. Da qui si evince che il messaggio delle beatitudini lucane sembra essere anzitutto un severo giudizio sul mondo ricco, ben sottolineato dalle quattro maledizioni che seguono le quattro beatitudini. In sostanza, Luca vuole far capire che nel Regno di Dio le valutazioni sugli uomini non seguono quelle del mondo: nella casa del Padre non sono beati i gaudenti, i ricchi, i sazi, ma i poveri, i diseredati: a quest’ultimi, amati da Dio, infatti, appartiene il Regno. Se poi pensiamo che tra l’immensa folla che faceva ressa attorno alla persona di Gesù vi erano certamente ammalati, infermi, indemoniati, allora il messaggio delle beatitudini acquista una luce tutta evangelica: la sofferenza non è tolta, ma la certezza di un mondo nuovo dona la gioia e la resistenza necessaria per portare il grave peso dell’infermità. Se questo è il messaggio, allora le beatitudini ci insegnano un modo di vivere: come discepoli dell’Amore, dobbiamo imparare a guardare la folla dei diseredati con occhi nuovi, con gli occhi di Dio, così come li ha guardati Gesù.

Beatitudini - Bruno Maggioni: Nelle Scritture beatitudine significa felicitazione per un dono ricevuto, per una virtù a una situazione favorevole. Le beatitudini più note sono quelle proclamare da Gesù, otto in Matteo (5,1ss.), quattro in Luca (6,20ss.). È pensabile che sulle labbra di Gesù le beatitudini fossero soprattutto una proclamazione messianica. I profeti avevano infatti descritto il tempo messianico come il tempo dei poveri, degli affamati, dei perseguitati, degli oppressi. Gesù proclama che con Lui questo tempo è arrivato. A partire da qui Luca e Matteo sviluppano il pensiero di Gesù con accentuazioni proprie. La formulazione lucana, che forse conserva maggiormente il tono originario delle beatitudini, è personale e diretta (“Beati voi …”). Luca si limita a elencare, senza alcuna precisazione di ordine spirituale, i poveri, i piangenti, gli affamati, i perseguitati. Alle beatitudini fa poi seguire quattro minacce che imprimono al discorso un tono di grande radicalità. Luca non beatifica anzitutto delle virtù a dei comportamenti , ma delle situazioni. I poveri sono beati perché Dio si assume la loro difesa, non per qualcosa che essi fanno o possiedono. Parzialmente diversa è la prospettiva di Matteo, che precisa poveri di spirito e affamati di giustizia; aggiunge inoltre le beatitudini dei non violenti, dei misericordiosi, degli operatori di pace, dei puri di cuore. Matteo beatifica in tal modo soprattutto degli atteggiamenti religiosi.
Nella formulazione di ciascuna beatitudine è visibile una tensione fra prima parte caratterizzata da situazioni negative e la seconda caratterizzata da situazioni positive (possesso del Regno, consolazione, visione di Dio). Questa tensione mostra che le beatitudini non sono la promessa di interventi miracolosi che hanno lo scopo di cambiare le situazioni, che invece restano quelle che sono. Le beatitudini offrono piuttosto un modo nuovo di leggerle. Il discepolo sa che praticando le beatitudini getta le basi per un avvenire gioioso e questa certezza già trasforma il presente: nuovo diventa il modo di vivere la povertà, la sofferenza, la persecuzione. Le beatitudini sono numerose, ma formano un tutt’unico e descrivono un’unica personalità: quella di Gesù e, poi, del discepolo. Fra le beatitudini e Gesù c’è una strettissima relazione: non soltanto perché Gesù le ha proclamate, ma perché le ha vissute. Le beatitudini sono sorrette da una persuasione, e cioè che il tempo messianico è giunto e le promesse si stanno realizzando. A più riprese sono evocate le promesse messianiche dell’Antico Testamento, specialmente in Isaia 61, e sono dichiarate compiute. Senza questa fondamentale convinzione le beatitudini diverrebbero incomprensibili c prive di ogni giustificazione.

La beatitudine e Cristo - Jean-Luis D’Aragon e Xavier Léon-Dufour: Gesù non è semplicemente un sapiente di grande esperienza, ma è colui che vive pienamente la beatitudine che propone.
1. Le «beatitudini», poste all’inizio del discorso inaugurale di Gesù, offrono, secondo Mt 5,3-12, il programma della felicità cristiana. Nella recensione di Luca, esse sono abbinate a delle constatazioni di sventura, esaltando in tal modo il valore superiore di certe condizioni di vita (Lc 6,20-26). Queste due interpretazioni tuttavia non possono essere ricondotte alla beatificazione di virtù o stati di vita. Si compensano a vicenda; soprattutto esprimono la verità in esse contenuta solo a condizione che venga loro attribuito quel significato che Gesù aveva dato loro. Gesù infatti è venuto da parte di Dio a pronunciare un solenne sì alle promesse del Vecchio Testamento; il regno dei cieli è lì, le necessità e le afflizioni sono soppresse, la misericordia e la vita, concesse da Dio. Effettivamente, se certe beatitudini sono pronunciate al futuro, la prima («Beati i poveri...»), che contiene virtualmente le altre, intende attualizzarsi fin d’ora. C’è di più. Le beatitudini sono un sì detto da Dio in Gesù. Mentre il Vecchio Testamento giungeva ad identificare la beatitudine con Dio stesso, Gesù si presenta a sua volta come colui che porta a compimento l’aspirazione alla felicità: il regno dei cieli è presente in lui. Più ancora, Gesù ha voluto «incarnare» le beatitudini vivendole perfettamente, mostrandosi «mite ed umile di cuore» (Mt 11,29).
2. Le altre proclamazioni evangeliche tendono tutte parimenti a dimostrare che Gesù è al centro della beatitudine. Maria è «proclamata beata» per aver dato alla luce il Salvatore (Lc 1,48; 11,27), perché ha creduto (1,45); con ciò essa annunzia la beatitudine di tutti coloro che, ascoltando la parola di Dio (11,28), crederanno senza aver visto (Gv 20,29).
Guai ai farisei (Mt 23,13-32), a Giuda (26,24), alle città incredule (1,21)! Beato Simone, al quale il Padre ha rivelato in Gesù il Figlio del Dio vivente (Mi 16,17)! Beati gli occhi che hanno visto Gesù (13,16)! Beati soprattutto i discepoli che, in attesa del ritorno del Signore, saranno fedeli, vigilanti (Mt 24,46), tutti dediti al servizio reciproco (Gv 13,17).

Guai… - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Guai a voi ricchi, le quattro minacce che Luca raccoglie in questa sezione corrispondono alle quattro beatitudini precedenti e ne costituiscono un compimento per opposizione. Alle consolazioni promesse ai poveri, agli affamati, ai piangenti ed ai perseguitati, consolazioni di ordine spirituale e trascendente, vengono contrapposte le consolazioni terrene ed effimere dei ricchi, di quelli che sono ripieni di ogni bene, di quelli che ridono ed infine di tutti coloro che sono stimati e ben visti dagli altri. Tutti questi soddisfatti della vita non hanno da attendere nessun bene superiore per il futuro; ad essi invece sovrasta come castigo la privazione di tutto ciò che costituiva la loro felicità terrena. Le quattro maledizioni più che rappresentare delle minacce concrete, rivolte contro i ricchi, i ben pasciuti ed i gaudenti della vita, costituiscono delle formule fortemente contrastanti con quelle delle beatitudini; in verità le beatitudini come le maledizioni, disposte secondo un parallelismo antitetico, propongono gli stessi principi: per entrare nel regno di Dio ed aver parte ai suoi beni spirituali è necessario rinunziare alle ricchezze, all’opulenza, alle soddisfazioni della vita e alle approvazioni degli uomini. La maledizione ai ricchi non suona come una condanna indiscriminata della ricchezza in sé o di chi la possiede, ma della ricchezza considerata esclusivamente come mezzo di godimento della vita. Il testo non indica che Luca è caduto nell’errore di quegli eretici che saranno chiamati ebioniti. L’evangelista insegna il distacco dalle ricchezze, non già condanna chi le possiede o chi ne faccia uso; egli, pur avendo messo in molto rilievo l’ideale evangelico della povertà e dello spogliamento assoluto dei beni terreni, ha anche trattato con particolare simpatia uomini ricchi, come Zaccheo (cf. Lc., 19,1-10) e Giuseppe di Arimatea (cf. Lc., 23,50-53). Le maledizioni riferite da Luca nel presente contesto richiamano quelle pronunziate dai profeti contro i loro contemporanei (cf. Isaia, 1,4; 5,8-23; 10,5; Amos, 5,18 etc.).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Javer Pikaza: Non interpreteremmo correttamente le beatitudini, se dimenticassimo la loro parte negativa, i «guai» pronunciati da Gesù. Il regno è offerto liberamente, e quindi, mette davanti agli uomini un circolo di possibile maledizione. Senza questo rischio dell’insuccesso, senza la possibilità di permettere che la ricchezza della vita ci distrugga internamente, le parole di Gesù non avrebbero rispettato la nostra libertà. Il regno di Gesù non uccide, non impoverisce, non distrugge, ma, nella sua luce, si è rivelata la terribile sorte di coloro che, cercando la sicurezza nel potere, nella ricchezza e nella gioia terrena, opprimono gli altri e distruggono la stessa realtà della loro esistenza. Chi riflette su queste parole di Gesù, scoprirà che, in un mondo nel quale i poveri soffrono la fame, ogni ricchezza della terra chiusa in se stessa si trasforma in maledizione per il suo padrone.

Gesù Cristo vincitore della maledizione -  Jean Corbon e Jacques Guillet: «Per Coloro che sono in Cristo Gesù, non c’è più condanna» (Rom 8,1) né maledizione. Cristo, divenuto per noi «peccato» (2Cor 5,21) e «maledizione», «Ci ha riscattati dalla maledizione della legge» (Gal 3,13) e ci ha posti in possesso della benedizione e dello Spirito di Dio. La Parola può quindi inaugurare i tempi nuovi in cui nella bocca di Gesù, non è più maledizione propriamente detta (gr. katara), ma la constatazione di una condizione disgraziata (gr. onai) che viene ad associarsi alla beatitudine (Lc 6,20-26): ormai essa non rigetta, ma attira (Gv 12,32); non disperde, ma unifica (Ef 2,16). Libera l’uomo dalla catena maledetta, Satana, peccato, ira, morte, e gli permette di amare. Il Padre, che ha perdonato tutto nel suo Figlio, può insegnare ai suoi figli come vincere la maledizione col perdono (Rom 12,14; 1Cor 13,5) e con l’amore (Mt 5,44; Col 3,13); il cristiano non può più maledire (1Piet 3,9); al contrario del «maledetto chi ti maledice!» del Vecchio Testamento, e sull’esempio del Signore, deve «benedire coloro che lo maledicono» (Lc 6,28). Tuttavia la maledizione, vinta da Cristo, rimane una realtà, un destino non più fatale come sarebbe stato senza di lui, ma ancora possibile. La manifestazione suprema della benedizione porta anche al parossismo l’accanimento della maledizione che progredisce sulle sue orme sin dalle origini. La maledizione, approfittando degli ultimi giorni che le sono contati (Apoc 12,12), scatena tutta la sua virulenza nel momento in cui la salvezza giunge a consumazione (8,13). Di conseguenza il Nuovo Testamento contiene ancora molte formule di maledizione; l’Apocalisse può ad un tempo proclamare: «Non ci sarà più maledizione» (22,3), e lanciare la maledizione definitiva: «Fuori... tutti coloro che si compiacciono di fare il male!» (22,15), il dragone (12), la bestia ed il falso profeta (13), le nazioni, Gog e Magog (20,7), la prostituta (17), Babele (18), la morte e lo sheol (20,14), le tenebre (22,5), il mondo (Gv 16,33) e le potenze di questo mondo (1Cor 2,6). Questa maledizione totale, un «fuori!» senza ricorso, è proferita da Gesù Cristo. Ciò che la rende spaventosa è il fatto che non è in lui né vendetta passionale, né esigenza razionale del taglione; è più pura e più terribile, lascia alla loro scelta coloro che si sono esclusi dall’amore.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Beati coloro che lavano le loro vesti per avere diritto all’albero della vita e, attraverso le porte, entrare nella città. Fuori i cani, i maghi, gli immorali, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna!” (Ap 22,14-15).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Padre, che ci hai donato il Salvatore e lo Spirito Santo, guarda con benevolenza i tuoi figli di adozione, perché a tutti i credenti in Cristo sia data la vera libertà e l’eredità eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo...