27 Agosto 2018

Lunedì XXI Settimana T. O.

 
Gesù ci dice: “Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice il Signore, e io le conosco ed esse mi seguono.” (Gv 10,27 - Acclamazione al Vangelo).

Dal Vangelo secondo Matteo 23,12-22: Il rimprovero di Gesù rivolto ai farisei e agli scribi è un attacco frontale, a trecento sessanta gradi, che mette sotto accusa la devozione legale farisaica, ai limiti del fanatismo. Il tocco finale del ridicolo è l’esempio dello scolare il moscerino e dell’inghiottire il cammello. Nell’antichità si usava fissare dei colini alla bocca delle caraffe per raccogliere qualsiasi tipo di insetto si infiltrasse nel vino. L’osservanza farisaica adoperava i colini non soltanto per questo scopo ma anche per colare qualsiasi sostanza impura che uno inavvertitamente potesse consumare. La casistica può perdersi talmente nei dettagli da dimenticare le cose veramente importanti e giuste da fare. I “guai”, quindi, più che volere comminare dei castighi, prossimi o futuri, sono generati dalla preoccupazione di indicare un corretto adempimento della Legge, abolendo in questo modo quella spocchiosa osservanza esteriore che nell’insegnamento dei farisei e degli scribi era a scapito di una disposizione interiore.

I farisei - Pio Jörg (Farisei, in Schede Bibliche, Volume III): Considerata la potenza della corrente farisaica, solo uno spirito eccezionale avrebbe osato mettersi contro. Gesù ha manifestato subito questo coraggio e, cosciente della sua missione divina, affrontò anche questo gruppo con il suo nuovo messaggio. Dapprima rivolse ai farisei il suo invito alla penitenza. I sinottici parlano frequentemente di questi contatti di Gesù con i farisei. Con bontà e pazienza accettava i loro inviti a cena. Per loro raccontò parecchie parabole. In un certo senso si può dire che i farisei, sostenendo l’importanza dominante della religione in tutta la vita dell’uomo, potevano sembrare il gruppo religioso più vicino alle sue idee. Invece ne divennero i più accaniti avversari, perché egli cercò di riformarne lo spirito. Infatti il formalismo religioso falsificava i rapporti dell’uomo con Dio. Presso certe categorie di giudei si sentiva il bisogno di spezzare il giogo di certi complessi di inferiorità creati dai farisei. Ma il nuovo messaggio non era gradito ai farisei, che respinsero Gesù e lo accusarono di violare la legge, di rinnegarla tradizione, d’essere indemoniato e nemico del popolo e, con il loro influsso presso il sinedrio e il popolo, condurranno l’opposizione fino alla condanna capitale (Cf. Mt 12,24.38; 16,1; 22,15.34-35; Mc 3,6).
In verità Gesù non si è mai messo contro la legge, mentre i farisei si perdevano nel numerare, soppesare e misurare i precetti, egli poneva al centro della morale la purezza dei sentimenti e la trasparenza dell’animo, non permettendo nessun vuoto tra la conoscenza e l’azione, nessuna dissonanza tra  l’interno e l’esterno dell’uomo, sottomettendo ogni osservanza al valore supremo della carità. [...]. I punti principali su cui i farisei esercitarono maggiormente la loro attività giuridica furono tre: il sabato, la purità legale, il pagamento delle decime. Essi li interpretavano in modo rigorista, elencando con minuziosità una casistica onerosa. Ma proprio qui si esercitò la critica di Gesù. Per lui la legge del sabato viene dopo l’esigenza del bene dell’uomo (Mc 2.23-28; 3,1-6 e par.). Quanto alle prescrizioni sul puro e l’impuro, la tradizione evangelica ci ha conservato un suo detto che incentra tutta l’attenzione sul «cuore», vera sede profonda da cui scaturisce l’azione, che porta a una prassi creatrice di morte: «Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo» (Mc 7,15). Parimenti Gesù contesta il massimalismo farisaico circa il dovere di pagare le decime: «Ma guai a voi, farisei, che pagate la decima della menta, della ruta e di ogni erbaggio, e poi trasgredite la giustizia e l’amore di Dio. Queste cose bisognava curare senza trascurare le altre» Lc 11,42; cf. Mt 23,23). Soprattutto, egli ha contestato l’ipocrisia farisaica. In proposito basta leggere, nel discorso antifarisaico di Mt 23, i sette «guai» agli scribi e farisei ipocriti (cf. anche Mt 6,2.5.16). Certo, Gesù ha anche riconosciuto il loro magistero, ma nello stesso tempo ne ha messo sotto processo la prassi incoerente: Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno» (Mt 15,2-3).

I farisei, ai tempi di Gesù, fieri della loro virtù e della loro scienza, si erano ritirati in un particolarismo sprezzante spesso denunciato da Cristo. Già Giovanni Battista li aveva attaccati senza tregua affermando che essi traevano la loro orgogliosa sicurezza dall’appartenenza alla stirpe di Abramo, come se il fatto di discendere da Abramo potesse cancellare i peccati e sostituirsi al pentimento (cf. Mt 3,7-12). Il vero peccato dei farisei però consiste nel fare tutto il possibile per impedire e tenere lontano la salvezza che Gesù porta.
Nei confronti dei farisei, da parte dei discepoli e del loro Maestro, non vi sono giudizi preconcetti, infatti Gesù «riconosce l’autorità con la quale gli scribi e i farisei insegnano, in quanto trasmettono la Legge di Mosè; ma mette sull’avviso il popolo e i suoi discepoli contro di loro, distinguendo tra la Legge che leggono e insegnano nelle sinagoghe, e le interpretazioni pratiche che ne danno con la loro vita» (Bibbia di Navarra).
È lo stesso rimprovero che ritroveremo, qualche anno dopo, nella lettera ai Romani: «Ora, se tu ti vanti di portare il nome di Giudeo e ti riposi sicuro sulla legge, e ti glori di Dio, del quale conosci la volontà e, istruito come sei dalla legge, sai discernere ciò che è meglio, e sei convinto di esser guida dei ciechi, luce di coloro che sono nelle tenebre, educatore degli ignoranti, maestro dei semplici, perché possiedi nella legge l’espressione della sapienza e della verità ... ebbene, come mai tu, che insegni agli altri, non insegni a te stesso? Tu che predichi di non rubare, rubi? Tu che proibisci l’adulterio, sei adultero? Tu che detesti gli idoli, ne derubi i templi? Tu che ti glori della legge, offendi Dio trasgredendo la legge?» (Rom 2,17-24).
Ma a leggere con occhi disincantati queste parole dell’Apostolo Paolo non potremmo indirizzarle anche a noi cristiani? Operando una piccola sostituzione il brano paolino potrebbe iniziare così: Ora, se tu ti vanti di portare il nome di cristiano.
Bernanos poneva una domanda altamente shoccante per certe orecchie fin troppo clericali: chi può vantarsi di non avere, nelle proprie vene, anche una sola goccia del sangue di quelle vipere? Particolarismo, cecità, arroganza, orgoglio, privilegi di casta e di appartenenza, presunta santità ... abbiamo chiuso con questo passato? E le parole roventi rivolte da Cristo alle guide spirituali d’Israele sono o non sono attuali?
Per Alessandro Pronzato tutti siamo farisei quando: «annulliamo la Parola di Dio con le nostre tradizioni [Mt 15,6]; ci limitiamo alla legalità; riduciamo la religione a una “questione di pratiche”; pretendiamo di arrivare a Dio “saltando il prossimo”; la nostra opera di “proselitismo” fabbrica dei “settari”; ci preoccupiamo di sembrare più di essere;  abbiamo l’ambizione di dominare; ci riteniamo migliori degli altri; mettiamo la legge [la “lettera” della legge] al vertice delle nostre preoccupazioni, e non l’uomo. Tutto questo “putridume” ha un solo nome: ipocrisia» (Vangeli scomodi, Gribaudi).
Dunque è possibile che nella comunità cristiana alligni e cresca la mala erba dell’ipocrisia.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti Guai a voi, scribi e farisei ipocriti - L’ipocrisia, appena accennata qua e là nell’Antico Testamento (Is 29,13; Sir 1,28; 32,15; 36,20), è il ricercare l’approvazione degli altri per mezzo di gesti ostentati di beneficenza, di preghiera e di digiuno (Cf. Mt 6,2), giudica negativamente gli altri uomini (Cf. Mt 7,5) e fa pregare solo con le labbra, ma non col cuore (Cf. Mt 15,7). Gli ipocriti sono pure qualificati da Gesù come sepolcri imbiancati all’esterno “belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume”, vipere, stolti ... (Cf. Mt 23,25-26). Ma gli ipocriti sono sopra tutto dei poveri ciechi.
“L’ipocrisia si avvicina così all’indurimento, poiché l’ipocrita, illudendosi di essere veramente giusto, diventa sordo ad ogni appello alla conversione. Nella sua cecità, egli non può togliere la trave che gli impedisce di vedere, dal momento che pensa solo a togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello (Mt 7,4-5). Questa cecità è particolarmente grave quando colpisce coloro che devono essere le guide spirituali del popolo di Dio. Così i farisei, divenuti delle «guide cieche» [Mt 23,16.17.19.24], ingannano se stessi e guidano anche gli altri alla rovina [Mt 23,13]. Essi, che hanno sostituito alla legge divina le tradizioni umane [Mt 15,6-7], sono ciechi e pretendono di guidare altri ciechi [Mt 15,14], e la loro dottrina non è che un cattivo lievito [Lc 12,1]. Accecati dalla loro stessa malizia, si oppongono alla bontà di Gesù e si appellano alla legge del sabato per impedirgli di fare il bene [Lc 13,15-16]; con le loro accuse a Gesù non fanno che manifestare la loro intima malvagità, poiché la «bocca dice ciò che trabocca dal cuore» [Mt 12,24-34]” (Roberto Tufariello).

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi - Claude Tassin (Vangelo di Matteo): La seconda apostrofe (v. 15) richiama il proselitismo giudaico. Contrariamente al significato attuale del termine, non si tratta di una propaganda accanita, ma dell’accoglienza dei pagani convertiti nella comunità giudaica. La parola proselito significa «colui che viene verso»; ora, il giudaismo non aveva «missionari» nel senso cristiano del termine e i farisei restavano d’altronde divisi quanto all’accettazione dei proseliti. Ma una delle loro correnti, rappresentata fra gli altri da Gamaliele, il maestro di san Paolo (cfr. At 22,3), favoriva l’integrazione dei pagani convertiti. I giudei di questa tendenza approfittavano dei loro viaggi all’estero per far conoscere il vero Dio e la «filosofia giudaica», non senza successo, nel mondo antico dove si muovevano filosofi in cerca di nuovi seguaci tra il popolo. Matteo ha quindi conosciuto dei farisei desiderosi di schiudere ai non giudei la fede di Israele; ma non è questo zelo che egli critica. Egli rimprovera loro di nascondere il cuore stesso della fede modellando i convertiti in base alle loro manìe ritualistiche e sulla loro ipocrisia. Secondo quanto confessava san Paolo, alcuni predicatori cristiani degli anni 50 ponevano eccessivamente l’accento sulle pratiche giudaiche. Questa tendenza ha potuto persistere in modo che attraverso i farisei zelanti Matteo penserebbe anche a missionari cristiani di origine giudaica. Il cristiano non converte i suoi fratelli plasmandoli sulle proprie pratiche, ma facendo loro scoprire il Cristo che attende la conversione del cristiano stesso.

Benedetto XVI (Angelus, 23 Novembre 2008): Cari amici, il regno di Dio non è una questione di onori e di apparenze, ma, come scrive san Paolo, è “giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Rm 14,17). Al Signore sta a cuore il nostro bene, cioè che ogni uomo abbia la vita, e che specialmente i suoi figli più “piccoli” possano accedere al banchetto che lui ha preparato per tutti. Perciò, non sa che farsene di quelle forme ipocrite di chi dice “Signore, Signore” e poi trascura i suoi comandamenti (cfr Mt 7,21). Nel suo regno eterno, Dio accoglie quanti si sforzano giorno per giorno di mettere in pratica la sua parola. Per questo la Vergine Maria, la più umile di tutte le creature, è la più grande ai suoi occhi e siede Regina alla destra di Cristo Re. Alla sua celeste intercessione vogliamo affidarci ancora una volta con fiducia filiale, per poter realizzare la nostra missione cristiana nel mondo.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Il cristiano non converte i suoi fratelli plasmandoli sulle proprie pratiche, ma facendo loro scoprire il Cristo che attende la conversione del cristiano stesso.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, consolatore degli afflitti, che hai esaudito le pie lacrime di santa Monica con la conversione del figlio Agostino, per la loro comune preghiera donaci una viva contrizione dei nostri peccati, perché gustiamo la dolcezza del tuo perdono. Per il nostro Signore Gesù Cristo...