26 Agosto 2018

XXI Domenica T. O.

 
Gesù ci dice: “Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre” (Vangelo).

Dal Vangelo secondo Giovanni 6,60-69: Le parole di Gesù sul pane eucaristico provocano le più disparate reazioni. Il realismo del mangiare e del bere la carne e il sangue del Figlio di Dio sortisce tra i discepoli sconcerto e molti scandalizzati si ritirano.
Gesù non si lascia intimidire, insiste e anziché attenuare le affermazioni rimprovera la loro “intelligenza carnale”. È un invito ad aprirsi incondizionatamente all’azione dello Spirito Santo (cf. Gv 1,33): “egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26).
La risposta di Pietro, “tu sei il santo di Dio”, che corrisponde alla professione di fede espressa nel vangelo di Matteo (cf. Mt 16,16), indica l’identità di Gesù nel suo rapporto unico con Dio.

Questa parola è dura: Bruno Maggioni (Vangelo di Giovanni): Il motivo dell’incomprensione e dell’incredulità lo abbiamo incontrato in tutto il capitolo, dal miracolo al discorso. Giovanni ci ha mostrato le radici profonde di tale incredulità: la ricerca di sé (v. 26) e lo sconcerto di fronte all’incarnazione (vv. 41-42). Il mistero di Gesù viene negato nei suoi due aspetti: nella sua origine da Dio e nel suo significato di salvezza per noi. Ora Giovanni riprende questo motivo, quasi isolandolo dagli altri, e lo tratta a parte a modo di conclusione. Lo sconcerto non si limita solo ai giudei, coinvolge anche i discepoli (vv. 60-66). Quello di Cristo è un discorso duro da accettare: come si può intenderlo e fargli credito? Il significato del verbo greco akouein è duplice: ascoltare (nel senso di comprendere) e accettare, obbedire, aderire. La risposta di Gesù ripropone il motivo della grazia: l’uomo è impotente (la carne non giova a nulla); soltanto la presenza dello Spirito di Dio può far rinascere l’uomo e aprirlo a nuovi orizzonti (lo Spirito vivifica) 27. Il racconto continua con la notizia che molti discepoli da quel momento si «tirarono indietro» (v. 66). Gesù si manifesta progressivamente, e questa progressiva manifestazione è contemporaneamente una tentazione per la fede e una occasione di approfondimento e di purificazione. È questo il significato essenziale del brano, con la sua evidente contrapposizione fra l’incredulità dei discepoli e la fede dei dodici che si fa più matura. È un tema analogo a quello che si trova nei sinottici e che è chiamato la «crisi galilaica»: cfr. Mc 8,27ss. Anche là la chiave di volta è la professione di fede di Pietro.

Un linguaggio che divide - CCC 1336: Il primo annunzio dell’Eucaristia ha provocato una divisione tra i discepoli, così come l’annunzio della Passione li ha scandalizzati: “Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?” (Gv 6,60). L’Eucaristia e la croce sono pietre d’inciampo. Si tratta dello stesso mistero, ed esso non cessa di essere occasione di divisione: “Forse anche voi volete andarvene?” ( Gv 6,67 ): questa domanda del Signore continua a risuonare attraverso i secoli, come invito del suo amore a scoprire che è lui solo ad avere “parole di vita eterna” (Gv 6,68) e che accogliere nella fede il dono della sua Eucaristia è accogliere lui stesso.

Molti discepoli abbandono Gesù (Gv 6,60-66) - Mario Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): Questo piccolo brano non rievoca soltanto quanto avvenne nel gruppo dei discepoli che seguivano il Gesù terreno, ma fa anche percepire quanto fu difficile, subito dopo la Pasqua, superare lo scandalo della croce e vedere in Gesù, rifiutato dal suo popolo, il Messia, il Figlio di Dio disceso dal cielo, colui che dà a chi crede la vita eterna. Tutte le difficoltà percepite dai dirigenti giudei, erano percepite (e forse ancor di più, dopo la croce) dalla comunità cristiana. Anche i discepoli, come gli altri uditori del Gesù terreno, si dicevano, mormorando: «Questo discorso è duro, chi può ascoltarlo?», cioè: chi può accoglierlo? chi può crederci?
Gesù capisce che le sue parole sono per i discepoli uno scandalo, perché nella situazione che si è creata, esse non solo esigono l’accoglienza della sua origine divina (disceso dal cielo), ma anche della sua morte. E, nella sua bontà, cerca di aiutare i discepoli a superare le difficoltà. Certo, ci sarà anche la morte, via ormai obbligata per diventare, nella sua debolezza (carne) «pane per la vita del mondo»; ma lo diventerà perché, donandosi fino alla morte, potrà come Figlio dell’uomo ritornare al Padre, cioè ascendere dov’era prima (6,62). È questo evento finale, che molti discepoli potranno cogliere solo nella fede, che dà la pienezza della rivelazione del mistero di Gesù, e la dà soltanto a coloro che si lasciano guidare dallo Spirito, ammaestrare da Dio, e che non si rinchiudono in ragionamenti puramente umani, carnali: La debolezza umana (letteralmente: la carne) non serve a nulla (6,63), non permette di aprirsi alla rivelazione delle cose celesti (vedi 3,12), all’ascolto delle parole di Gesù che procedono dallo Spirito e danno vita. Solo chi è nato dallo Spirito, come si diceva nel dialogo con Nicodemo, è in grado di accogliere la rivelazione di Gesù. Gesù ha concluso. Ma, guardando coloro che fin qui l’hanno seguito, come se fossero suoi discepoli, deve constatare che alcuni di loro non credono (6,64). A questo punto interviene l’evangelista per dire, ancora una volta (vedi 2,23-25), che non si tratta di qualcosa di imprevisto, perché Gesù lo sapeva fin dall’inizio anzi, sapeva anche chi era colui che l’avrebbe tradito (6,64). Egli già conosce chi sono coloro che il Padre gli ha dato, chi sono i suoi veri discepoli: per ora molto pochi

Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?» - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Giovanni): I dodici. Gesù li pone chiaramente e nettamente di fronte alla decisione: «Volete andarvene anche voi?». Ma Simon Pietro rispose per tutti: « Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio ». Anche i dodici non lo capiscono, ma hanno conosciuto e creduto che egli viene da Dio, partecipa della santità di Dio, e quindi è completamente diverso dagli altri uomini: perciò essi aderiscono a lui ed alla sua parola nonostante tutto. Per loro la vita non ha più altro significato; essi lo hanno seguito e vogliono continuare a percorrere la sua via. La risposta di Simon Pietro è la risposta della fede. L’esigenza di fede del Signore ha trovato in lui un buon terreno. Eppure anche nel piccolo gruppo c’è una separazione degli spiriti, perché in mezzo a loro c’è Giuda, il figlio di Simone di Karioth, che non cammina sulla via di Dio, ma su quella del demonio. Nella frase finale risuona quindi un’angosciosa allusione all’ultima festa di Pasqua, nella quale il Signore troverà la morte e quindi un accenno all’immolazione dell’agnello e al dono cruento del suo corpo e del suo sangue sulla croce, quale condizione necessaria e sufficiente per il dono del Sacramento all’umanità. La scelta è tra la fede e l’incredulità, tra la comunione con il Cristo o con il demonio, e quindi tra la vita e la morte, tra l’essere ed il non essere.

Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Simon Pietro; nel quarto vangelo il capo degli apostoli è chiamato abitualmente con i due nomi abbinati (Simon Pietro), oppure semplicemente Pietro. L’apostolo prende la parola a nome di tutti i Dodici e compie la sua solenne dichiarazione a Cristo. A chi andremo?; non è una domanda retorica, ma una constatazione della superiorità di Cristo, come viene indicato subito dopo. Tu hai parole di vita eterna; in greco il sostantivo «parole» si trova in posizione enfatica (all’inizio della frase). «Parole di vita eterna» (ῥήματα ζωῆς αἰωνίου); si ha un netto contrasto con l’espressione «questo linguaggio [ὁ λόγος] è duro» (vers. 60); queste parole, che sono spirito e vita (cf. vers. 63), comunicano la vita eterna, perché rivelano non soltanto le verità divine, ma anche le realtà celesti; si noti che nella frase si afferma che Gesù «ha», non soltanto «dice» parole di vita eterna. Questa dichiarazione accentua la superiorità di Gesù su Mosè; cf. vers. 32; Deuteronomio, 8,3; Atti, 7,38 (si veda anche Giov., 5,39-40).
Noi abbiamo creduto e conosciuto; il senso della dichiarazione è il seguente: noi ora siamo giunti a credere ed a conoscere che tu sei il Santo di Dio. I Dodici, che hanno creduto alle testimonianze del Battista (cf. Giov., 1,29 segg.) e di Gesù ora riconoscono che egli è il Santo di Dio. Si rilevi la disposizione dei verbi («credere» e «conoscere»), che ha un suo significato; tale ordine di anteriorità indica che la fede e la conoscenza sono derivate dall’insegnamento di Cristo. Vi è una distinzione ed anche un certo progresso tra fede e conoscenza; l’adesione della fede è sotto un certo aspetto anteriore alla conoscenza in quanto la fede conduce alla conoscenza (cf. Giov.10,38; 8,32). Secondo il quarto evangelista la conoscenza tende sempre ad una maggiore perfezione che è condizionata allo sviluppo della fede (cf. Biblica, 1959, p. 720). Il Santo di Dio; lezione criticamente più sicura; vari codici e versioni danno altre letture, come: «Cristo, il Figlio di Dio» (così anche la Volgata: tu es Christus Filius Dei), testo derivato da Giov., 11,27; e «Cristo, il Figlio di Dio vivente» (testo che riecheggia Mt., 16,16). Nei sinottici questo titolo messianico ricorre sulla bocca degli indemoniati, cf. Mc.,1,24; Lc., 4,34; il titolo «il Santo di Dio» designa rinviato e l’eletto di Dio che è consacrato e si trova unito a Dio con una relazione unica; cf. Giov., 10,36 («lo ha santificato e inviato nel mondo»); 17,19. Giovanni preferisce questa espressione invece di Messia (= Cristo), come hanno i sinottici, perché il termine «Messia» è giudicato troppo ebraico; parimenti sono meno ebraiche altre espressioni abituali al suo vocabolario, quali: «le parole di vita eterna»; «credere» e «conoscere». Questo passo è intimamente legato con i testi sinottici che parlano della confessione di Pietro (cf. Mt., 16,16-23; Mc., 8,27-33; Lc.,9,18-22) e presenta con essi affinità di termini ed analogia di situazione.

Tu sei il Santo di Dio: CCC 438: La consacrazione messianica di Gesù rivela la sua missione divina. “È, d’altronde, ciò che indica il suo stesso nome, perché nel nome di Cristo è sottinteso colui che ha unto, colui che è stato unto e l’unzione stessa di cui è stato unto: colui che ha unto è il Padre, colui che è stato unto è il Figlio, ed è stato unto nello Spirito che è l’unzione”. La sua consacrazione messianica eterna si è rivelata nel tempo della sua vita terrena nel momento in cui fu battezzato da Giovanni, quando Dio lo “consacrò in Spirito Santo e potenza” (At 10,38) “perché egli fosse fatto conoscere a Israele” (Gv 1,31) come suo Messia. Le sue opere e le sue parole lo riveleranno come “il Santo di Dio” (Mc 1,24; Gv 6,69; At 3,14).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  Volete andarvene anche voi?
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio nostra salvezza, che in Cristo tua parola eterna ci dai la rivelazione piena del tuo amore, guida con la luce dello Spirito questa santa assemblea del tuo popolo, perché nessuna parola umana ci allontani da te unica fonte di verità e di vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo...