25 Agosto 2018

Sabato XX Settimana T. O.

 
Gesù ci dice: “Uno solo è il Padre vostro, quello celeste e uno solo è la vostra Guida, il Cristo.” (Mt 23,9b.10b).

Dal Vangelo secondo Matteo 23,1-12: La superbia, l’ipocrisia, l’ostentazione sono vermi putridi che divorano tutto, a volte, anche i cuori più generosi. La santità non consiste in un formalismo esteriore, fatto unicamente di osservanze materiali e di pratiche esteriori senza che l’anima vi sia coinvolta in una spinta d’amore, generosa e disinteressata, verso Dio e gli uomini. Gli scribi e i farisei pretendevano di essere i legittimi successori di Mosè, si erano seduti sulla sua cattedra, e si autodefinivano maestri in materia di morale, di religione, di liturgia, stabilendo che cosa doveva essere fatto o non essere fatto, ma questo lo stabilivano per gli altri. Loro, i maestri della Legge, avevano poi un altro vizio: quello della pura ostentazione, compiere le pratiche religiose per essere visti e applauditi dalla gente. Gesù condanna questa vanità, ed esalta l’umiltà. “Guai a noi, sventurati, se abbiamo ereditato i vizi dei farisei!”, avverte san Girolamo, un monito valido sempre, e valido per tutti.

I peccati dei Farisei - Sulla cattedra di Mosè..., sta ad indicare la funzione di insegnare: nelle sinagoghe v’erano dei seggi d’onore, di pietra, riservati ai dottori della Legge che venivano chiamati cattedra di Mosè, perché da essi gli scribi interpretavano per il popolo i testi biblici. In questo modo il loro insegnamento si inseriva nell’alveo magisteriale di Mosé. Ma se erano bravi come maestri, poco meno lo erano nell’osservare la Legge di cui si dicevano sapienti conoscitori. E così finivano coll’essere indulgenti con se stessi, e implacabili giudici con la povera gente tanta da angariarla imponendo fardelli pesanti e difficili da portare, e che loro non volevano muoverli nemmeno con un dito.
Tutte le opere le fanno per essere ammirati... è la lebbra della ipocrisia.
L’ipocrisia, appena accennata qua e là nell’Antico Testamento (Is 29,13; Sir 1,28; 32,15; 36,20), è il ricercare l’approvazione degli altri per mezzo di gesti ostentati di beneficenza, di preghiera e di digiuno (Cf. Mt 6,2), giudica negativamente gli altri uomini (Cf. Mt 7,5) e fa pregare solo con le labbra, ma non col cuore (Cf. Mt 15,7). Gli ipocriti sono pure qualificati da Gesù come sepolcri imbiancati all’esterno “belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume”, vipere, stolti ... (Cf. Mt 23,25-26). Ma gli ipocriti sono sopra tutto dei poveri ciechi.
“L’ipocrisia si avvicina così all’indurimento, poiché l’ipocrita, illudendosi di essere veramente giusto, diventa sordo ad ogni appello alla conversione. Nella sua cecità, egli non può togliere la trave che gli impedisce di vedere, dal momento che pensa solo a togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello (Mt 7,4-5). Questa cecità è particolarmente grave quando colpisce coloro che devono essere le guide spirituali del popolo di Dio. Così i  farisei, divenuti delle «guide cieche» [Mt 23,16.17.19.24], ingannano se stessi e guidano anche gli altri alla rovina [Mt 23,13]. Essi, che hanno sostituito alla legge divina le tradizioni umane [Mt 15,6-7], sono ciechi e pretendono di guidare altri ciechi [Mt 15,14], e la loro dottrina non è che un cattivo lievito [Lc 12,1]. Accecati dalla loro stessa malizia, si oppongono alla bontà di Gesù e si appellano alla legge del sabato per impedirgli di fare il bene [Lc 13,15-16]; con le loro accuse a Gesù non fanno che manifestare la loro intima malvagità, poiché la «bocca dice ciò che trabocca dal cuore» [Mt 12,24-34]” (R. Tufariello).
I farisei, tanta era la bramosia di essere reputati ottimi religiosi e osservanti della Legge, arrivavano alla puerilità di allargare i loro filatteri e allungare le frange che ogni Israelita, osservando quanto indicato in Num 15,37-41, portava ai quattro capi della veste e che in aramaico erano chiamate frange di preghiera . I filatteri sono astucci di cuoio, contenenti la riproduzione di alcuni testi biblici, e che venivano allacciate al braccio sinistro e alla fronte con  strisce. Gesù non condanna tali usanze, ma solo lo spirito di ostentazione con cui venivano praticate.

Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Il Maestro smaschera anche la sottile vanità dei Farisei che amano ostentare le loro pratiche religiose; essi agiscono per essere visti, cioè per apparire osservanti della Legge. Le filatterie (φυλακτήρια = custodie; aramaico tephillin = preghiere) sono piccole scatoline o astucci di cuoio, nelle quali gli Ebrei custodivano le parole essenziali della Legge (Esodo, 13,1-10, 11-16; Deuteronomio, 6,4-9; 11,21) scritte in pezzettini arrotolati di pergamena. Queste scatoline venivano legate davanti alla fronte ed al braccio per osservare alla lettera (cioè materialmente) le prescrizioni dell’Esodo 13, 9,16 e del Deuteronomio, 6,8; 11,18. L’espressione implica anche le cinghiette di cuoio con le quali venivano applicate alla fronte ed al braccio le filatterie; i Farisei per ostentare la loro religiosità allargavano queste cinghiette. Le frange sono dei fiocchi o ciondoli che si applicavano ai bordi del mantello, secondo la prescrizione di Numeri, 15,38. Gesù non condanna l’uso delle filatterie e delle frange (il Maestro stesso usava le frange; cf. Mt., 9,20; 14,36) ma la consuetudine di esagerarne le dimensioni per ostentare la pietà e l’osservanza della Legge, come facevano i Farisei. Amano... d’essere chiamati dalla gente “rabbi”; “rabbi” è una parola aramaica che significa: mio maestro; essa era un titolo corrente per designare i dottori ebrei, cioè gli studiosi ed interpreti della Legge. Gesù stesso fu chiamato con questo titolo dai suoi discepoli (cf. Mt., 26, 25.49).

Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli -   I vv. 8-10 appartengono al solo Matteo. Ai suoi tempi, la parola rabbi, cioè maestro, non ha ancora forse il semplice senso pratico di rabbino; è piuttosto un titolo onorifico riservato ad alcuni scribi: gli scribi cristiani non accetteranno questo titolo: tutti i discepoli si considereranno come fratelli uguali e penseranno che il loro unico Maestro è il Cristo (v. 8). La stessa considerazione vale per la parola padre (v. 9), non solo nel senso concreto, ma in base all’usanza secondo cui i maestri spirituali erano chiamati «padre» (abbà) dai loro allievi. Questo appellativo rimane anche come titolo di un rabbi celebre, Abbà Saul. Tra cristiani, dice l’evangelista, si eviterà «padre» per non sminuire la ricchezza di una parola con la quale Gesù ha insegnato ai suoi a designare Dio stesso. Al v. 10, come se dimenticasse colui che parla e prendesse il suo posto, Matteo cita «il Cristo» in terza persona e chiede ancora che ci si astenga dal titolo di precettore, più letteralmente «guida». Nel mondo di Matteo, i nomi e i titoli si assegnavano alle persone più di oggi. Ciò non impedisce che, alla luce e di questo passo, la titolatura ecclesiastica meriterebbe forse un periodico sfoltimento. In ogni caso, l’evangeliIta ricorda qui (cfr. Mt 18) un criterio che abbraccia e supera i problemi di qualifica: il ministero cristiano deve apparire come un servizio (v. 11) e ogni ministro sarà giudicato da Dio secondo che avrà o meno coltivato l’umiltà da lui richiesta (v. 12).

E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra - Ut unum sint n.26: La preghiera, la comunità di preghiera, ci permette sempre di ritrovare la verità evangelica delle parole “uno solo è il Padre vostro” (Mt 23,9), quel Padre, Abbà, che Cristo stesso interpella, Lui che è Figlio unigenito e della sua stessa sostanza. E poi: “Uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli” (Mt 23,8). La preghiera “ecumenica” svela questa fondamentale dimensione di fratellanza in Cristo, che è morto per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi, perché noi, diventando figli nel Figlio (cfr. Ef 1,5), rispecchiassimo più pienamente l’inscrutabile realtà della paternità di Dio e, al contempo, la verità sull’umanità propria di ciascuno e di tutti.
La preghiera “ecumenica”, la preghiera dei fratelli e delle sorelle, esprime tutto questo. Essi, proprio perché separati tra di loro, con tanta maggiore speranza si uniscono in Cristo, affidandogli il futuro della loro unità e della loro comunione. A questo contesto si potrebbe ancora una volta applicare felicemente l’insegnamento del Concilio: «Il Signore Gesù quando prega il Padre, “perché tutti siano uno [...] come noi siamo una cosa sola” (Gv 17,21-22) mettendoci davanti orizzonti impervi alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l’unione delle Persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nella carità».
La stessa conversione del cuore, condizione essenziale di ogni autentica ricerca dell’unità, scaturisce dalla preghiera e da essa è orientata al suo compimento: “Il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall’abnegazione di se stesso e dalla liberissima effusione della carità. Perciò dobbiamo implorare dallo Spirito divino la grazia della sincera abnegazione, dell’umiltà e mansuetudine nel servizio e della fraterna generosità di animo verso gli altri”. 

Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo: Card. Tarcisio Bertone (Omelia, 2 marzo 2010): La fedeltà alla propria missione è garantita dall’umiltà di saper riconoscere i propri errori e di aprirsi continuamente a prospettive più grandi, vivendo in maniera convinta il grande precetto dell’amore verso Dio e verso i fratelli, soprattutto i più deboli. Analogo invito a non chiudersi nelle proprie sicurezze, ma a vivere la grande legge dell’umiltà e a cercare la vera grandezza, ci viene rivolto da Gesù nel Vangelo di Matteo, appena letto: “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato” (Mt 23,11-12). Anche queste parole di Gesù contengono un insegnamento per chi è chiamato a svolgere gli incarichi di fiducia che vi verranno conferiti e che vanno vissuti non come occasioni di fatua esaltazione e di false sicurezze, ma come grande opportunità per guardare all’unico Maestro, Cristo, e imparare da Lui a non fare nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma a considerare con tutta umiltà gli altri superiori a se stessi, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri (cfr. Fil 2,3). Come pure a trovare nella gratitudine e nell’umiltà la vera grandezza, che non attende riconoscimenti mondani, ma soltanto la gioia di aver ben servito Dio e i fratelli, sull’esempio di Colui che “assumendo una condizione di servo... umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” e per questo “Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome” (Fil 2,7-9).

… chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato» - Giuseppe Barbaglio (Il Vangelo di Matteo): Chi s’innalza sarà abbassato e chi si abbassa sarà innalzato ha il timbro d’un annuncio protetico. Dio nel giorno finale umilierà i superbi ed esalterà gli umili. La raffigurazione del giudizio ultimo, inteso come capovolgimento delle situazioni terrene, segue il cliché biblico abituale. L’inno di Anna, madre di Samuele, già cantava al Dio che umilia ed esalta (1Sam 2,7). Nel Nuovo Testamento il magnificat di Maria riprende gli stessi accenti (Lc 1,48-52). Ma l’analogia più evidente è quella dell’inno cristologico è la lettera ai Filippesi, in cui si canta che Dio ha risposto con l’esaltazione di pasqua all’abbassamento di Gesù Cristo fino alla morte: «Egli è apparso all’esterno come uomo, umiliò se stesso facendosi ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è sopra ogni nome» (2,8-9). La prospettiva del giudizio ultimo appare qui come motivazione dell’ammonimento a vivere nell’umiltà, nell’abbassamento fino a diventare piccoli come i bambini (18,4). Matteo mostra in questo una sua tipica utilizzazione etica del motivo escatologico.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  “Sono stato deluso, o mio Cristo, per il mio troppo presumere: dalle altezze sono caduto molto in basso. Ma rialzami di nuovo ora, poiché vedo che da me stesso mi sono ingannato; se troppo ancora confiderò in me stesso subito cadrò e la caduta sarà fatale.” (San Gregorio di Nazianzo)
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Confermaci nella fede, o Padre, perché aderiamo a Cristo, tuo Figlio, con l’entusiasmo sincero di san Bartolomeo apostolo, e per sua intercessione fa’ che la tua Chiesa si riveli al mondo come sacramento di salvezza. Per il nostro Signore Gesù Cristo...