23 Agosto 2018

 Giovedì XX Settimana T. O.


Gesù ci dice: “Oggi non indurite il vostro cuore, ma ascoltate la voce del Signore.” (Sal 94,8 - Canto al Vangelo).

Dal Vangelo secondo Matteo 22,1-14: La parabola vuol dirci che il Vangelo deve essere predicato a tutti e nessuno deve essere escluso pregiudizialmente dalla via della salvezza. Comunque, resta sempre la possibilità di rifiutare per libera scelta la proposta salvifica di Dio. Tutto è dono, ma per entrare nella sala nuziale il re esige la veste nuziale. Fuori parabola, non basterà potersi vantare di aver fatto parte della Chiesa, ma occorrerà che questa adesione sia comprovata dalla fede, dall’amore e dalle opere di carità. Nel giorno del giudizio chi non si presenterà dinanzi al Giudice divino con l’abito nuziale sarà legato mani e piedi e gettato fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.

L’invito alla festa e l’accesso alla sala del banchetto sono doni gratuiti (Cf. Mt 21,31; Lc 22,29; Eb 12,28) che impegnano fortemente chi l’ha ricevuti (Cf. Mt 6,33). Per cui entra nella sala del banchetto chi fa a se stesso violenza e chi rinuncia a tutto (Cf. Mt 11,12; 13,44-45). Vi entrano soltanto coloro che resistono radicalmente al potere della seduzione (Cf. Mt 18,8). Non vi entra chi dice: Signore, Signore, ma colui che fa la volontà del Padre che è nei cieli (Cf. Mt 7,21). Vi entra colui che ascolta la Parola e la mette in pratica (Cf. Mt 7,24ss). Vi entra e vi resta chi vive in pienezza il discorso della Montagna (Mt 51-12). In definitiva, essere invitati come contropartita esige dedizione piena e assoluta a Gesù fino all’odio della propria vita e della propria famiglia (Cf. Mt 10,37-39). In questa luce, il messaggio della parabola non è quello della chiamata degli invitati al banchetto nuziale, ma che il Regno, nella sua fase terrena, contiene sia i giusti che i cattivi, praticamente lo stesso tema sottolineato nelle parabole della zizzania e della rete (Cf. Mt 13,23-30; 13,47-50). Nel regno di Dio tutti, cattivi e buoni, sono in cammino, solo alla fine, chi non porta addosso la veste di lino (Ap 19,8), la veste nuziale, sarà escluso dal banchetto: sarà gettato fuori nelle tenebre, lontano da Dio, nello stagno di fuoco (Ap 20,15).
È insito anche un forte invito alla vigilanza: «Ma poiché non conosciamo né il giorno né l’ora, bisogna vegliare assiduamente, come ci ammonisce il Signore, affinché, terminato l’unico corso della nostra vita terrena, meritiamo di entrare con lui al banchetto nuziale ed essere annoverati fra i beati [Cf. Mt 25,31-46], anziché essere mandati, perché servi malvagi e pigri [Cf. Mt 25,26], nel fuoco eterno [Cf. Mt 25,41], nelle tenebre esteriori dove “ci sarà pianto e disperazione”» (LG 48).

Amico come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli):  In questo versetto si nota un cambiamento di scena e di prospettiva; infatti vi è un rapido passaggio dall’invito al banchetto (la fase terrena del regno) alla espulsione degli indegni (giudizio finale). Si può ritenere che i verss. 11-14 costituiscano la conclusione di una parabola (non conservata) nella quale si parlava di un invito fatto per tempo e con tutte le forme volute; per questo motivo l’invitato è colpevole e, conseguentemente, punito (cf. P. Benoît, L’évangile selon St. Matthieu, Pangi 1950, p. 126, nota d). Si può anche pensare che l’evangelista abbia inserito nella sua parabola (conosciuta. anche da Luca, 14, 16-24) due frammenti che avevano una relazione con essa, cioè: l’episodio degli invitati che maltrattano ed uccidono i servi (Mt., 22,6-7) e l’episodio della veste nuziale (Mt., 22,11-14). Non è infine assurdo avanzare la congettura che Matteo abbia dato uno sviluppo escatologico alla parabola, utilizzando un insegnamento impartito da Gesù in altra circostanza. Vide là un uomo che non indossava la veste nuziale; questo versetto, se inizia la conclusione della parabola, rappresenta una sorpresa nello svolgimento di essa; stupisce infatti il comportamento del re che esige da un uomo chiamato dalla strada il vestito di gala richiesto dal cerimoniale di corte. Bisogna tuttavia ricordare che il genere allegorico non rifugge da queste sorprese o da simili incongruenze nei particolari; il contesto richiede che la mancanza dell’abito di gala sia considerata come colpa per l’invitato che non lo indossava. La veste nuziale simboleggia la perfezione morale richiesta per entrare definitivamente nel regno messianico, cioè nella beatitudine celeste. In termini teologici la veste nuziale è la grazia. Le immagini del versetto (il re che entra ad ispezionare i commensali, la veste nuziale) indicano l’ultimo periodo del regno messianico (giudizio finale ed inizio della beatitudine); al regno messianico celeste partecipano soltanto i perfetti.

Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti - Claude Tassin (Vangelo di Matteo): La parabola culmina dunque di nuovo in un avvertimento rivolto ai cristiani. Certo, Israele ha respinto la chiamata di Dio in Gesù, mentre i cristiani hanno accolto il suo invito. Ma che questi ultimi non prendano alla leggera o come un diritto l’immenso dono loro concesso; da qui il v. 14: molti i chiamati, pochi gli eletti.
Indirizzata alla moltitudine dei giudei, poi dei pagani, generosa è la chiamata al regno e il cristiano si rende conto di essere stato chiamato grazie alla magnanimità divina: che non si consideri allora troppo presto come un eletto. Infatti, la scelta finale spetta a Dio che, solo, giudica della conversione effettivamente compiuta e dei suoi frutti. Non è quindi certo che il numero degli eletti corrisponda a quello dei chiamati. In queste parole non vi è nessuna predestinazione fatalistica, bensì un risoluto avvertimento.

Giuseppe Barbaglio (Il Vangelo di Matteo): Molti infatti sono chiamati, ma solo pochi sono scelti. Il senso originario della massima ci sfugge essendo andato perduto il contesto in cui si trovava inserita. Chiaro appare invece il suo significato di conclusione della parabola matteana. La vocazione cristiana non comporta per se stessa la salvezza finale e non è per i credenti una garanzia magica di partecipazione al regno. Quest’aggiunta però ha obbligato Matteo a mutare i particolari del racconto parabolico degli invitati al festino. In lui si tratta, nientemeno, del pranzo preparato da un re per le nozze del figlio. Anche a causa di altri ritocchi, come il particolare di più servi inviati e l’allusione alla fine drammatica di Gerusalemme del v. 7, la parabola si è mutata in una vasta allegoria, in cui viene descritta a grandi linee la storia della salvezza. Da una parte essa è la storia delle chiamate di Dio (il re) alla salvezza (al banchetto), rivolte prima a Israele mediante i profeti, Cristo e gli apostoli (i servi malmenati e uccisi) e poi ai pagani. Dall’altra essa è intessuta della vicenda delle risposte umane, negativa quella del popolo israelitico, positiva quella degli incirconcisi. Risposte che comportano rispettivamente la condanna definitiva, significata dalla distruzione della città, e l’ammissione nel nuovo popolo di Dio, simboleggiata dalla partecipazione al banchetto nuziale. Ma essa è anche storia di verifica per coloro che, avendo risposto di sì alla chiamata, sono impegnati a vivere una fedeltà concreta. La sua conclusione avverrà nel giudizio ultimo, quando si opererà la separazione definitiva degli uomini sulla base del criterio non della appartenenza alla chiesa né di una sterile ortodossia, ma dell’ortoprassi illuminata dall’insegnamento di Cristo.

La Chiesa come Regno di Dio: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 18 Settembre 1991): Anche se la Chiesa come Sposa non è nominata nella parabola, si trovano nel contesto di questa altri elementi che richiamano ciò che il Vangelo ci dice sulla Chiesa come Regno di Dio. Così l’universalità dell’invito divino: “Il Re dice ai suoi servi: «Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze»” (Mt 22,9). Tra gli invitati al banchetto nuziale del Figlio mancano quelli scelti per primi: quelli che dovevano essere ospiti secondo la tradizione dell’antica Alleanza. Questi si rifiutano di andare al banchetto della nuova Alleanza, adducendo diversi pretesti. Allora Gesù fa dire al Re, padrone di casa: “Molti sono chiamati, ma pochi eletti” (Mt 22,14). Al loro posto l’invito viene rivolto a molti altri, che affollano la sala del banchetto. Il particolare fa pensare a quell’altra parola ammonitrice che aveva pronunciato Gesù: “Ora vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori” (Mt 8,11-12). Qui si vede bene come l’invito diventa universale: Dio intende stringere la nuova Alleanza nel suo Figlio non più con il solo popolo eletto, ma con l’intera umanità.

Catechismo della Chiesa Cattolica - L’annunzio del Regno di Dio: 543 Tutti gli uomini sono chiamati ad entrare nel Regno. Annunziato dapprima ai figli di Israele, questo Regno messianico è destinato ad accogliere gli uomini di tutte le nazioni. Per accedervi, è necessario accogliere la Parola di Gesù: La Parola del Signore è paragonata appunto al seme che viene seminato in un campo: quelli che l’ascoltano con fede e appartengono al piccolo gregge di Cristo hanno accolto il Regno stesso di Dio; poi il seme per virtù propria germoglia e cresce fino al tempo del raccolto.
544 Il Regno appartiene ai poveri e ai piccoli, cioè a coloro che l’hanno accolto con un cuore umile. Gesù è mandato per “annunziare ai poveri un lieto messaggio” (Lc 4,18). Li proclama beati, perché “di essi è il Regno dei cieli” (Mt 5,3); ai “piccoli” il Padre si è degnato di rivelare ciò che rimane nascosto ai sapienti e agli intelligenti. Gesù condivide la vita dei poveri, dalla mangiatoia alla croce; conosce la fame, la sete e l’indigenza. Anzi, arriva a identificarsi con ogni tipo di poveri e fa dell’amore operante verso di loro la condizione per entrare nel suo Regno.
545 Gesù invita i peccatori alla mensa del Regno: “Non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori”(Mc 2,17). Li invita alla conversione, senza la quale non si può entrare nel Regno, ma nelle parole e nelle azioni mostra loro l’infinita misericordia del Padre suo per loro e l’immensa “gioia” che si fa “in cielo per un peccatore convertito” (Lc 15,7). La prova suprema di tale amore sarà il sacrificio della propria vita “in remissione dei peccati” (Mt 26,28).
546 Gesù chiama ad entrare nel Regno servendosi delle parabole, elemento tipico del suo insegnamento. Con esse egli invita al banchetto del Regno, ma chiede anche una scelta radicale: per acquistare il Regno, è necessario “vendere” tutto; le parole non bastano, occorrono i fatti. Le parabole sono come specchi per l’uomo: accoglie la Parola come un terreno arido o come un terreno buono? Che uso fa dei talenti ricevuti? Al cuore delle parabole stanno velatamente Gesù e la presenza del Regno in questo mondo. Occorre entrare nel Regno, cioè diventare discepoli di Cristo per “conoscere i Misteri del Regno dei cieli” (Mt 13,11). Per coloro che rimangono “fuori”, tutto resta enigmatico.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  Compendio Catechismo della Chiesa Cattolica n. 107: “Gesù invita a far parte del Regno di Dio tutti gli uomini. Anche il peggior peccatore è chiamato a convertirsi e ad accettare l’infinita misericordia del Padre. Il Regno appartiene, già qui sulla terra, a coloro che lo accolgono con cuore umile. È ad essi che sono rivelati i suoi Misteri”.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che hai preparato beni invisibili per coloro che ti amano, infondi in noi la dolcezza del tuo amore, perché, amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa, otteniamo i beni da te promessi, che superano ogni desiderio. Per il nostro Signore Gesù Cristo...