21 Agosto 2018
Martedì XX Settimana T. O.
Oggi Gesù ci dice: “In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli ” (Vangelo).
Dal Vangelo secondo Matteo 19,23-30: Quando le ricchezze conquistano il cuore dell’uomo, allora diventano pietre che ostruiscono l’ingresso del regno dei cieli. Il Vangelo capovolge situazioni, considerazioni, valutazioni, giudizi: i ricchi che amano la ricchezza non entreranno nel regno dei cieli, il povero sarà beato perché sarà portato dagli angeli accanto ad Abramo (Lc 11,22), chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il nome di Gesù, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna, e gli ultimi saranno i primi. Il significato di questa ultima sentenza potrebbe essere che tutti coloro che rispondono alla chiamata di Gesù, in qualunque momento, o prima o poi, erediteranno nella stessa misura i beni del regno, dono di Dio. Molte sono le strade per raggiungere il regno di Dio, ma la via preferenziale è la povertà accettata e vissuta in santa letizia evangelica.
In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio: Queste affermazioni, e tante altre, non devono far pensare che la Bibbia condanni tout court la ricchezza. In verità, essa condanna la passione per il denaro che inevitabilmente stravolge il cuore e il destino dell’uomo. Così, la «ricchezza è buona se è senza peccato» (Sir 13,24) ed è beato «il ricco, che si trova senza macchia e che non corre dietro all’oro» (Sir 31,8). E per il suo popolo Dio prepara un avvenire ricolmo di ricchezza e di benessere: farà scorrere verso di esso «come un fiume, la prosperità; come un torrente in piena la ricchezza dei popoli» (Is 66,12).
Per il Vangelo se «la vita di un uomo non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15), nella parabola dei talenti Gesù premia il servo che sa far fruttare il denaro avuto in consegna e condanna il servo fannullone che restituisce al padrone la stessa somma che aveva ricevuto (Mt 25,14-30). Non è peccato, dunque, investire il proprio denaro purché il cuore resti libero e non si distolga lo sguardo dal cielo: «Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,19-2).
Per il Nuovo, come per il Vecchio Testamento, a impedire la salvezza non è il possesso della ricchezza, ma è il cuore dell’uomo quando trasforma il denaro in idolo dinanzi al quale prostrarsi (cf. Mt 6,24; Lc 16,13) perché è stoltezza guadagnare il mondo intero se poi si perde la propria vita (cf. Mc 8,36). In questa ottica, proprio perché le ricchezze costituiscono un potenziale pericolo, il consiglio di disfarsi dei propri beni e di praticare l’elemosina rimane in cima ai valori evangelici: «Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma» (Lc 12,33-34).
La ricchezza nel Nuovo Testamento - Costante Brovetto: Il Nuovo Testamento, in cui dominano le preoccupazioni di salvezza, bolla ancor di più chi confida solo nella sua ricchezza, come si vede nelle invettive di Giacomo contro i ricchi pasciuti e la loro ricchezza imputridita (Gc 5,1-5). La parola di Gesù è sferzante: “Guai a voi, o ricchi, perché avete la vostra consolazione” (Lc 6,24). L’invettiva è in diretta opposizione con la beatitudine della povertà. Viene soprattutto bollato l’attaccamento che trasforma la ricchezza in idolo (mammona, cfr. Mt 6,24): “L’avarizia insaziabile è idolatria!” (Col 3,5); “Dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore” (Le 12,34); “Difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli!” (Mt 19,23s.).
Per salvarsi è determinante la legge della carità: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20,35); “Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo” (Lc 14,33). Questa severa e incondizionata ingiunzione vale anzitutto nell’ordine spirituale. I primi cristiani, mettendo liberamente in comune tutti i beni (At 4,32), hanno indicato anche per il futuro la priorità della destinazione comunitaria dei beni rispetto alla proprietà privata. Con equilibrio la dottrina sociale della Chiesa (v.) dichiara “naturale” il diritto di proprietà privata, considerandolo fondamentale per l’autonomia e lo sviluppo della persona, ma con altrettanta forza ne rivendica la “naturale” funzione sociale. È riconosciuta positiva anche la funzione del profitto, indice del buon andamento economico. Ma la finalità ultima della ricchezza non può però essere di ordine quantitativo, bensì qualitativo. I cristiani auspicano uno stile di vita che permetta lo sviluppo della ricchezza su scala universale, evitando le concentrazioni parassitarie di essa e i guasti ecologici che ne possono derivare.
A queste parole i discepoli rimasero molto stupiti: I discepoli rimangono stupiti perché nel comune sentire si credeva la ricchezza una benedizione di Dio. Più si era buoni, più si era giusti e più Dio moltiplicava la ricchezza in figli, campi, servi, bestiame, denaro ... In ebraico il termine ricchezza ha la stessa radice del termine fede che significa appoggiarsi, dare fiducia. Quindi, Gesù ha spostato il problema su un piano diverso: il dilemma della scelta del giovane non è fra ricchezza e povertà, ma fra ricchezza e Cristo stesso. La sacra Scrittura non condanna la ricchezza in se stessa, ma i ricchi disonesti (cf. Lc 6,24), né tanto meno considera la povertà di mezzi economici un bene in sé. Il vero problema sta nel fatto che la ricchezza, quando diventa un fine, quando diventa “un appoggio”, si sostituisce a Dio facendo precipitare nell’idolatria. La contrapposizione fra Dio e il denaro è quindi sul piano religioso e non sociale! È sul piano religioso in quanto si giunge a credere che la felicità derivi dal possesso delle cose e quindi dalle cose stesse. Il regno di Dio non si conquista assommando la Legge al conto corrente, ma seguendo risolutamente Gesù povero, casto, umiliato e obbediente alla volontà del Padre fino alla morte e alla morte di croce (cf. Fil 2,8)
Allora Pietro gli rispose…: Pietro torna sul discorso. Vuole essere assicurato sulla ricompensa. Lui ha lasciato tutto e adesso vuole sapere cosa gli toccherà come compenso.
Gesù rispondendo - in verità vi dico - si impegna solennemente nelle sue parole. La ricompensa, solo per coloro che lasciano tutto per il Vangelo, è già donata al presente. Quindi, il centuplo promesso non è solo per la vita futura. È già per adesso. La nuova famiglia è la Chiesa dove i discepoli del Cristo si trovano uniti da un mutuo aiuto e dalla carità. A questi beni si assommano le persecuzioni.
Non verranno mai meno i beni e non cesseranno le ostilità: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Soltanto nel futuro sarà donata la vita eterna. È solo a questo punto che Gesù risponde al giovane ricco.
È il percorso tracciato per ogni discepolo che vuole avere la vita eterna. Altre strade, o peggio ancora scorciatoie, non esistono. Ancora una volta nel messaggio evangelico si impone la radicalità
Ecco, noi abbiamo lasciato tutto - Nel cuore dell’uomo, qualche volta, si annida la tentazione di “commercializzare” tutto. In un mondo come il nostro che vola sulle ali degli affari, del commercio o del denaro, quello di trasformare tutto in un “business” è ormai un’idea fissa. Spesso nel dare si cela la segreta speranza di ricevere qualcosa in contraccambio. In questa trappola può finire anche il dono di sé a Dio: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”.
Dio non è da meno, ma certamente nel segno opposto. Il Signore, in questo senso, è un perdente: nell’intrattenersi con gli uomini ci ha rimesso sempre e l’ultima vicenda, quella del Calvario, la dice lunga. Al contrario, con grande magnanimità, ricompensa anche i più piccoli sforzi compiuti dall’uomo, ma quest’ultimo non sempre riceve quello che spesso si aspetta dal suo Creatore.
L’uomo crede di poter ricevere oro o argento, salute o bellezza, ma non comprende che sono beni caduchi, temporanei, che conducono spesso alla disperazione, all’egoismo o alla violenza, così come la sete del comando o l’ingordigia insaziabile del potere: “Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri” (Gc 4,1-2).
La vita eterna - Enciclopedia del Cristianesimo: La tradizione cristiana indica con questa espressione la condizione di pace, di pienezza e di gioia di chi, terminata la vita terrena, è accolto nella comunione con Dio. Il termine vita riassume i beni che derivano dall’essere uniti a Dio, e l’aggettivo eterna indica che si tratta di un possesso irreversibile. Poiché non si dà unione con Dio se non in Cristo, la vita eterna consiste essenzialmente nell’essere con Gesù risorto e nel vivere nella sua condizione di risorto: e dunque nel condividere con lui le ricchezze più intime e profonde di Dio e nel realizzare l’unità più intensa e armoniosa con ogni altro uomo e il cosmo. Partecipando all’amore di Dio per gli uomini, i salvati sono coinvolti con Dio nelle vicende della vita terrena. Per questo, pur nella pace finalmente realizzata, i santi del cielo prendono attivamente parte a quanto succede nella vita di questo mondo. E gli uomini di questo mondo sanno, in forza della conoscenza derivante dalla fede, di essere accompagnati e sorretti dalla loro partecipe presenza, alla quale si aprono mediante la preghiera. Si veda anche: paradiso.
Avrà in eredità la vita eterna - Ci suggerisce il Compendio del Catechismo: “La vita eterna è quella che inizierà subito dopo la morte. Essa non avrà fine. Sarà preceduta per ognuno da un giudizio particolare ad opera di Cristo, giudice dei vivi e dei morti, e sarà sancita dal giudizio finale. (n. 207).
Ma in verità, sopra tutto nel nostro tempo, anche la vita eterna, spesso, diventa un puntino molto lontano, nebuloso. Cos’è la vita eterna? Nel catechismo di san Pio X, alla domanda: “Per qual fine Dio ci ha creati? “si rispondeva: “Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita e per goderlo poi nell’altra in Paradiso”. Poi, alla domanda: “Che cos’è il Paradiso?”, si rispondeva: “Il Paradiso è il godimento eterno di Dio, nostra felicità, e, in Lui, di ogni altro bene, senza alcun male”.
E il Catechismo della Chiesa Cattolica, citando santa Rosa da Lima, aggiunge con estrema franchezza: “Al di fuori della croce non vi è altra scala per salire al cielo” (n. 618).
E valida ancora oggi questa affermazione?
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Nei Sacramenti la Chiesa riceve già un anticipo della vita eterna, mentre resta «nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo»” (Catechismo della Chiesa Cattolica, Compendio n. 232).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: O Dio, che per difendere la fede cattolica e unificare ogni cosa nel Cristo hai animato del tuo Spirito di sapienza e di fortezza il papa san Pio X, fa’ che, alla luce dei suoi insegnamenti e del suo esempio, giungiamo al premio della vita eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo...