19 Agosto 2018

XX Domenica T. O.


Oggi Gesù ci dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui.”(Gv 6,56 - Acclamazione al Vangelo).

Dal Vangelo secondo Giovanni 6,51-58: Gesù è il pane vivo disceso dal cielo, e colui che mangia di questo pane vivrà in eterno. Questo pane è la carne di Gesù offerta in sacrificio per la vita del mondo. È un rimando alla Passione e all’Eucaristia: “La Messa è il memoriale, cioè la riproposizione del sacrificio della Croce. Il Cristo presente sull’altare è il Cristo Risorto, naturalmente, ma la forma sacramentale che consacra il pane e il vino in modo separato ci rimanda alla morte di Gesù ove il Corpo e il Sangue erano stati separati dalla passione del Signore” (Gaetano Bonicelli, Vescovo). La parola «carne» suggerisce un nesso chiarissimo e inequivocabile tra l’eucaristia e l’incarnazione: l’uomo si nutre del Verbo fatto carne (Gv 1,14)

Il Vangelo presenta degli insegnamenti di tono inconfondibilmente eucaristico. A provarlo è il termine carne (sarx): anche se è diverso da quello adoperato dai sinottici nel racconto dell’ultima cena (corpo, soma) gli equivale nella formula eucaristica aramaica della comunità giovannea. Se ne ha una conferma «dall’uso di “carne” in senso sacramentale in Ignazio di Antiochia [Rom 7,3; Filad 4,1; Smirn 7,1]. Risuona in questa formula, assieme al tema sacramentale, anche quello della Incarnazione [Gv 1,14] e addirittura quello della Passione nella proposizione “per”, che ha carattere sacrificale ed è molto arcaica. Va notato ancora una volta l’universalismo della salvezza annunciata» (Giuseppe Segalla). Qui, per la prima volta Giovanni parla di un dimorare reciproco fra il discepolo e Gesù, verbo caratteristico per indicare l’intimità divina (Cfr. Gv 15, 5.10). Questa unione reale e misteriosa è il frutto più bello dell’Eucarestia.

Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato (cfr. I Lettura): Gesù si mostra nel Vangelo come quel pane che la Sapienza prepara per i suoi figli, quel pane che dà la vita, che consente di camminare intelligentemente diritti per la strada della vita e che, irrobustendo mente e cuore con la linfa divina, è in grado di comunicare una vita che non può essere spezzata dalla morte.
Mangiare questo pane non è lo stesso che mangiare il pane del frumento che viene dalla terra, né la manna data nel deserto per la sopravvivenza temporanea, ma è un mettersi in stretta comunicazione, spirituale e corporale col cielo e diventare dèi, dunque assimilare le stesse prerogative di Dio in ordine alla vita eterna. Non si può mangiare di questo pane restando come prima. Esso implica una trasformazione dell’orientamento dell’esistenza, come già annunciato nei Proverbi.
Nutrendosi di Gesù, si è assimilati a Lui, altri figli di Dio, e si diviene capaci di vivere la sua stessa vita, o meglio vivere per Lui: «Come il Padre che ha la vita ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me»” (Giulia Paola Di Nicola).
Spesso nei Vangeli il regno dei cieli è presentato sotto l’immagine del banchetto (cf. Mt 22,1-14; Lc 14,15-24). A leggere le parabole evangeliche salta subito agli occhi la coincidenza che esse hanno con Pro 9,1-6. Come la sapienza manda le ancelle per invitare gli uomini al banchetto, così il re manda i suoi servi; gli invitati al banchetto sapienziale sono gli inesperti e gli sprovveduti, cioè chi vive ai margini della società; così per il banchetto messianico: a riempire la sala nuziale sono i poveri, gli storpi, i ciechi, gli zoppi, i diseredati, proprio chi dalla sapienza umana era stato bandito dalla  società civile.
La sapienza “si dimostra attiva. Comincia col costruire essa stessa la casa in cui offrirà il banchetto, una casa lussuosa, a giudicare dal numero delle colonne. La casa costruita dalla sapienza, che in essa stabilisce la sua dimora e nella quale ha luogo il banchetto, fa pensare in qualche modo al tempio di Salomone, dimora di Dio e luogo nel quale gli israeliti si recavano per offrire vittime e celebrare banchetti [...]. Gesù Cristo «sapienza di Dio» [1Cor 1,24], ci ha preparato un banchetto nel quale ci dà se stesso come cibo e bevanda. Il discorso eucaristico del capitolo 6 del Vangelo di san Giovanni si ispira senza dubbio al testo dei Proverbi. Esattamente come la Sapienza, Gesù invita gli uomini al banchetto: «Io sono il pane di vita. Chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete» [Gv 6,35]” (Antonio Gonzáles-Lamadrid).

Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?» - Marco Galizzi (Vangelo secondo Giovanni): La lotta si è fatta dura e i motivi non mancano. Quello che Gesù dice suppone, infatti, nella cultura dei suoi immediati uditori, un capovolgimento radicale nel pensiero e nella vita. Il mangiare carne umana è, nell’Antico Testamento, segno di situazioni spaventevoli e della maledizione di Dio (Lv 26,29; Ger 19,9; Ez 5,10; ecc.). Bere il sangue degli animali (e ciò vale ancor più per il sangue umano) è ancor oggi severamente proibito tra gli Ebrei. Il sangue è vita, e la vita appartiene a Dio. Per questo nei sacrifici il sangue doveva essere sparso sull’altare del Signore, a cui appartiene la vita (Gn 9,4; Lv 17,11-12). Ora Gesù parla di mangiare la sua carne (6,50.51.53; in 6,58 si dovrebbe tradurre «masticare») e di bere il suo sangue. Il suo linguaggio, così come suona nel senso più immediato, non poteva essere né più veritiero, né più concreto, né più crudo, né più duro; ma dobbiamo anche dire: né più travolgente, né più profondo, né più sollecitante a continuare nella riflessione.
Le parole dei dirigenti giudei: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?», sembrano di chiusura, come quelle di Nicodemo: «Come può avvenire questo?» (3,9). Di fatto, come Nicodemo, anche i dirigenti giudei scompaiono dalla scena, mentre Gesù continua a rivelarsi. Egli è cosciente della situazione in cui si trova e il suo parlare è un vero annunzio di morte e risurrezione. Il sangue infatti non può essere bevuto se prima non è sparso, e la sua carne non può essere mangiata, se non viene ucciso. Egli però è cosciente di «dare la sua carne per la vita del mondo» (6,51). Attraverso il suo sacrificio e la sua morte, diventerà per gli altri sorgente di vita. Ora, ciò è possibile se il credente lo accoglie come «donato» fino a quella morte che non gli ha impedito di continuare a vivere; ed è possibile se sa superare il precetto antico. Quando il sangue veniva sparso non poteva, secondo la Legge, essere bevuto: apparteneva a Dio. Ognuno vive solo la propria vita e, morendo, la restituisce a Dio. Non così nel caso di Gesù: Dio vuole che quella vita donata sia anche totalmente dell’uomo. Perché, dice Gesù: «Come il Padre è vivo... ed io vivo per il Padre, così chi mangia me, vivrà per me», dimora in me, è in comunione con me e con il Padre; non può più morire perché ha in sé la vita eterna, e perciò vivrà in eterno.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno: Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 992-994: La risurrezione dei morti è stata rivelata da Dio al suo Popolo progressivamente. La speranza nella risurrezione corporea dei morti si è imposta come una conseguenza intrinseca della fede in un Dio Creatore di tutto intero l’uomo, anima e corpo. Il Creatore del cielo e della terra è anche colui che mantiene fedelmente la sua Alleanza con Abramo e con la sua discendenza. È in questa duplice prospettiva che comincerà ad esprimersi la fede nella risurrezione. Nelle loro prove i martiri Maccabei confessano: Il Re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna (2Mac 7,9). È bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l’adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati (2Mac 7,14). I farisei e molti contemporanei del Signore speravano nella risurrezione. Gesù la insegna con fermezza. Ai sadducei che la negano risponde: «Non siete voi forse in errore dal momento che non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio?» (Mc 12,24). La fede nella risurrezione riposa sulla fede in Dio che «non è un Dio dei morti, ma dei viventi!» (Mc 12,27). Ma c’è di più. Gesù lega la fede nella risurrezione alla sua stessa Persona: «Io sono la Risurrezione e la Vita» (Gv 11,25). Sarà lo stesso Gesù a risuscitare nell’ultimo giorno coloro che avranno creduto in lui e che avranno mangiato il suo Corpo e bevuto il suo Sangue. Egli fin d’ora ne dà un segno e una caparra facendo tornare in vita alcuni morti, annunziando con ciò la sua stessa Risurrezione, la quale però sarà di un altro ordine. Di tale avvenimento senza eguale parla come del «segno di Giona» (Mt 12,39), del segno del tempio: annunzia la sua Risurrezione al terzo giorno dopo essere stato messo a morte

Chi mangia questo pane vivrà in eterno - Gesù, “potenza e sapienza di Dio” (1Cor 1,24), “è stato mandato dal Padre, affinché noi avessimo la vita per mezzo di lui [1Gv 4,9]. Tale dono però è condizionato dall’ascolto della sua parola e dalla fede nella sua persona divina [Gv 3,14; 5,24ss]. Quindi, per il IV evangelista, dal momento che uno accoglie la parola di Gesù e aderisce vitalmente alla sua Persona, ha la vita eterna; abbiamo così una escatologia anticipata, ossia la vita eterna non è solo una realtà futura, ma un dono presente” (S. Panimolle).
Gesù Cristo offre la sua Persona come pane di vita eterna: chi mangia questo pane vivrà in eterno per mezzo di Gesù, come Gesù vive per mezzo del Padre (Gv 6,56). Con forza esorta a mangiare la sua carne e a bere il suo sangue, unica condizione per avere la vita (cf. Gv 6,53).
“La carne di Gesù e il suo sangue sono «vita per il mondo»; chi ne mangia «ha la vita», «vivrà in eterno». La ripetizione rafforza le affermazioni di Gesù e l’invito a nutrirsi della sua carne e del suo sangue. È veramente il banchetto imbandito dalla Sapienza divina! Nessun altro lo potrebbe fare, nessuna creatura sarebbe arrivata a pensare un prodigio simile, ma solo il «Dio della vita». Egli ci fa suoi amici e commensali, mettendo le premesse per la partecipazione «al festoso banchetto» del suo regno [colletta B]” (P. Gottardo Pasqualetti i.m.c.).

L’Eucaristia è un sacrificio di lode: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 11 Ottobre 2000): Essenzialmente orientato alla comunione piena tra Dio e l’uomo, “il sacrificio eucaristico è la fonte e il culmine di tutto il culto della Chiesa e di tutta la vita cristiana. A questo sacrificio di rendimento di grazie, di propiziazione, di impetrazione e di lode i fedeli partecipano con maggiore pienezza, quando non solo offrono al Padre con tutto il cuore, in unione con il sacerdote, la sacra vittima e, in essa, loro stessi, ma ricevono pure la stessa vittima nel sacramento” (Sacra Congregazione dei Riti, Eucharisticum Mysterium, n. 3 e). Come dice il termine stesso nella sua genesi greca, l’Eucaristia è “ringraziamento”; in essa il Figlio di Dio unisce a sé l’umanità redenta in un canto di azione di grazie e di lode. Ricordiamo che la parola ebraica todah, tradotta “lode”, significa anche “ringraziamento”. Il sacrificio di lode era un sacrificio di rendimento di grazie (cfr Sal 50[49],14.23). Nell’Ultima Cena, per istituire l’Eucaristia, Gesù ha reso grazie a suo Padre (cfr Mt 26,26-27 e paralleli); è questa l’origine del nome di questo sacramento.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** Benedetto XVI: L’incontro con Gesù nella Messa si attua pienamente quando la comunità riconosce che Egli, nel Sacramento, abita la sua casa, ci invita alla sua mensa, e poi, dopo che l’assemblea si è sciolta, rimane con noi e ci accompagna continuando a raccogliere i nostri sacrifici spirituali e ad offrirli al Padre.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: O Dio della vita, che in questo giorno santo ci fai tuoi amici e commensali, guarda la tua Chiesa che canta nel tempo la beata speranza della risurrezione finale, e donaci la certezza di partecipare al festoso banchetto del tuo regno. Per il nostro Signore Gesù Cristo...