17 Agosto 2018

Venerdì XIX Settimana T. O.


Oggi Gesù ci dice: “Accogliete la parola di Dio, non come parola di uomini, ma quale è veramente, come parola di Dio” (Cfr. 1Ts 2,13 - Acclamazione al Vangelo).


Dal Vangelo secondo Matteo 19,3-12: Il tema del divorzio, al tempo di Gesù, era oggetto di accese discussioni tra due scuole rabbiniche: quella di Shammai, rigorista, e quella di Hillel, lassista. La prima riconosceva legittimo motivo solo il caso di adulterio da parte della moglie, la seconda scuola ammetteva, invece, come movente valido qualsiasi motivo, anche il più futile. L’intenzione dei farisei è di costringere Gesù a schierarsi o per la scuola di Shammai o per la scuola di Hillel e così poterlo accusare o ai rigoristi o ai lassisti. L’intenzione era di creargli dei nemici. Gesù capovolge il tutto mettendo la donna e l’uomo sullo stesso piano. Non è solo la moglie colpevole di adulterio verso il marito, ma anche il marito si rende colpevole di adulterio se ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra. I diritti e i doveri sono uguali per la moglie e per il marito e chi li lede commette adulterio.

Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina - Gaudium et spes n. 50: Il matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della prole. I figli infatti sono il dono più eccellente del matrimonio e contribuiscono grandemente al bene dei genitori stessi. Dio che disse: «non è bene che l’uomo sia solo» (Gn 2,18) e «che creò all’inizio l’uomo maschio e femmina» (Mt 19,4), volendo comunicare all’uomo una speciale partecipazione nella sua opera creatrice, benedisse l’uomo e la donna, dicendo loro: «crescete e moltiplicatevi» (Gn 1,28). Di conseguenza un amore coniugale vero e ben compreso e tutta la struttura familiare che ne nasce tendono, senza trascurare gli altri fini del matrimonio, a rendere i coniugi disponibili a cooperare coraggiosamente con l’amore del Creatore e del Salvatore che attraverso di loro continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia.

Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e di ripudiarla? - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): La risposta del Maestro era sconcertante per i presenti; Gesù non accetta le interpretazioni dei loro Rabbi, ma condanna anche la pratica del divorzio che i Farisei seguivano su una scala più o meno vasta. Dopo che il Maestro mise a punto il problema, gli interroganti, non curandosi della scuola alla quale appartenevano, fanno causa comune e difendono la loro condotta appellandosi al passo del Deuteronomio, 24,1. Per i Farisei quello che Gesù ha dedotto dai passi del Genesi (cf. verso 4-5) è in contraddizione con una legge mosaica (Deuteronomio, 24,1). Il passo al quale alludono gli attaccanti prescriveva che l’uomo, il quale ripudiava la moglie per aver trovato in lei «qualcosa di vergognoso» le dovesse consegnare un documento di divorzio (sepher keritut). La controversia s’aggirava nel fissare il valore dell’espressione (qualcosa di vergognoso» (‘erwat dabar); la quale poteva indicare anche qualche difetto fisico esistente nella donna.
Il Maestro corregge l’espressione dei suoi avversari mostrando che nella Bibbia tra i dati del Genesi e la Legge mosaica non vi è contraddizione. Il divorzio non era un comando di Mosè (cf. verso 7: perché allora Mosè ha comandato di dare l’ atto di divorzio?), ma una misura di tolleranza davanti ad un uso inseritosi nella vita del popolo. L’uso trovava la sua origine nella durezza di cuore (cf. Deuteronomio, 10,16; Geremia, 4,4; Ecclesiastico, 16,10), per la quale il popolo d’Israele restava insensibile alla volontà di Dio, indicata chiaramente nel Genesi, 1,27. L’atto di divorzio, cioè la dichiarazione scritta con la quale il marito rinunziava ad ogni diritto sopra la moglie, era una formalità legale che mitigava la consuetudine invalsa, conteneva gli abusi e soprattutto proteggeva la donna; il marito infatti, dopo l’atto di ripudio non poteva più avanzare dei diritti, poiché con quel documento aveva dichiarato la donna non confacente a sé.

Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima, e ne sposa un’altra, commette adulterio - Bibbia di Gerusalemme (nota Mt 19,9 - Ed. 1974): Data la forma assoluta dei testi paralleli (Mc 10,11s, Lc 16,18 e 1Cor 7,10s), è poco verosimile che tutti e tre abbiano soppresso una clausola restrittiva di Gesù; è più probabile invece che uno degli ultimi redattori del primo Vangelo l’abbia aggiunta per rispondere a una problematica rabbinica (discussione tra Hillel e Shammai sui motivi che legittimano il divorzio), evocata già dal contesto (v 3), e che poteva preoccupare l’ambiente giudeo-cristiano per il quale egli scriveva. Si avrebbe dunque qui una decisione ecclesiastica di portata locale e temporanea, come fu quella del decreto di Gerusalemme riguardante la regione di Antiochia (At 15,23-29). Il significato di porneia orienta la ricerca nella stessa direzione. Alcuni vogliono vedervi la fornicazione nel matrimonio, cioè l’adulterio, e trovano qui il permesso di divorziare in un caso simile; così le chiese ortodosse e protestanti. Ma in questo senso ci si sarebbe aspettati un altro termine, moicheia. Al contrario porneia, nel contesto, sembra avere il senso tecnico della zenût o «prostituzione» degli scritti rabbinici, riguardante qualsiasi unione resa incestuosa da un grado di parentela proibito secondo la legge (Lv 18). Tali unioni, contratte legalmente tra i pagani o tollerate dagli stessi giudei nei confronti dei proseliti, hanno dovuto causare difficoltà, quando queste persone si sono convertite, in ambienti giudeocristiani legalisti come quello di Mt: da qui l’ordine di rompere tali unioni irregolari che poi erano solo falsi matrimoni. Un’altra soluzione ritiene che la licenza accordata dalla clausola restrittiva non sia quella del divorzio, ma della «separazione» senza seconde nozze. Una tale istituzione era sconosciuta al giudaismo ma le esigenze di Gesù hanno richiesto più di una soluzione nuova e questa è già chiaramente supposta da Paolo in 1Cor 7,11.

La donna-oggetto - La discussione sembra vertere unicamente sulla interpretazione di una norma, ma in verità non c’era di mezzo solo la legge di Mosè, perché tra le righe si può cogliere un’altra questione per quei tempi (e anche per oggi) molto importante quanto il divorzio.
Mentre la sacra Scrittura, e anche l’autentica tradizione rabbinica, decretava la pari dignità tra l’uomo e la donna, la tradizione umana imposta dai farisei, maestri in Israele, giocava a favore di quest’ultimi permettendo loro di trattare la donna come un oggetto, di essere per le loro mogli mariti, padri e padroni e di disporre di esse a piacimento.
Anche l’aver lasciato bruciare un pranzo, per i seguaci di Hillel era un buon motivo per divorziare.
Una mentalità molto diffusa nel mondo antico tanto è vero che nemmeno gli Apostoli erano alieni da questo modo di pensare (Mt 19,10). Accettare l’insegnamento scritturale comportava rinunciare a questa mentalità; voleva dire porsi diversamente dinanzi alla donna e accettarla soprattutto come coprotagonista nel progetto salvifico: significava accettare che Dio, fin dall’inizio, aveva voluto «che la sua immagine, sempre sostanzialmente identica, splendesse nella creatura umana in due versioni differenti: in quella dell’uomo e in quella della donna» (Vincenzo Raffa).
E non era certamente facile per una società coniugata al maschile accettare tutto questo.
Accogliere tale indirizzo significava per il maschio assumere doveri e perdere molti privilegi, compreso quello di avere «le etere per il piacere, le concubine per la cura giornaliera del corpo, le mogli per avere figli legittimi e una fedele custode della casa» (Demostene).

Divorzio - Carlo Bresciani: Dal latino divertere (separare). Il termine indica lo scioglimento contratto quando sono ancora in vita i coniugi. Si distingue dalla separazione, che non implica la possibilità di nuove nozze, c dalla dichiarazione di nullità che è il riconoscimento che il vincolo coniugale non è mai esistito per la mancanza di alcune condizioni essenziali al suo costituirsi.
Coloro che ammettono il divorzio lo giustificano o in base al venir meno dell’affetto reciproco tra i coniugi, identificando quindi affetto e amore coniugale, o in base ad alcune situazioni che renderebbero impossibile la continuazione del rapporto coniugale: incompatibilità di carattere, malattia, violenza ecc.
L’Antico Testamento (cfr. Dt 24,1-4) ammette il divorzio. Attribuendo questa ammissione alla “durezza del cuore” (Mt 19,8), nel Nuovo Testamento Gesù ci riporta “all’inizio” (cfr. Gen 2,24; Mt 19,-4), al progetto originario di Dio sull’uomo e sulla donna, e rifiuta ogni possibilità di ripudio del proprio coniuge con successive nozze (cfr. Mt 5.31-32). Per s. Paolo il matrimonio cristiano è il simbolo del rapporto indissolubile  di Cristo e la Chiesa cfr. Ef 5,22-33).
L’amore tenace e fedele di Dio per il suo popolo peccatore, manifestato in Cristo, è la verità intima di ogni unione coniugale. La Chiesa cattolica esclude la possibilità del divorzio, rifacendosi alle parole dcl Signore Gesù: “Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt 19,6). I divorziati risposati restano, tuttavia, parte della Chiesa, sia pure in stato irregolare e quindi senza poter accedere all’eucarestia finché perdura la loro convivenza di tipo matrimoniale (Familiaris consortio, 8-1).
Il senso antropologico del rifiuto del divorzio è la fedeltà alla persona “nella buona e nella cattiva sorte”, fedeltà che è indispensabile per un amore incondizionato al coniuge e agli eventuali figli.

La separazione... il divorzio: Catechismo della Chiesa Cattolica 1649-1651: Esistono tuttavia situazioni in cui la coabitazione matrimoniale diventa praticamente impossibile per le più varie ragioni. In tali casi la Chiesa ammette la separazione fisica degli sposi e la fine della coabitazione. I coniugi non cessano di essere marito e moglie davanti a Dio; non sono liberi di contrarre una nuova unione. In questa difficile situazione, la soluzione migliore sarebbe, se possibile, la riconciliazione. La comunità cristiana è chiamata ad aiutare queste persone a vivere cristianamente la loro situazione, nella fedeltà al vincolo del loro matrimonio che resta indissolubile.
Oggi, in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (“Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”: Mc 10,11-12), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza.
Nei confronti dei cristiani che vivono in questa situazione e che spesso conservano la fede e desiderano educare cristianamente i loro figli, i sacerdoti e tutta la comunità devono dare prova di una attenta sollecitudine affinché essi non si considerino come separati dalla Chiesa, alla vita della quale possono e devono partecipare in quanto battezzati: “Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza, per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio”.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  Il senso antropologico del rifiuto del divorzio è la fedeltà alla persona “nella buona e nella cattiva sorte”, fedeltà che è indispensabile per un amore incondizionato al coniuge e agli eventuali figli.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente ed eterno, che ci dai il privilegio di chiamarti Padre, fa’ crescere in noi lo spirito di figli adottivi, perché possiamo entrare nell’eredità che ci hai promesso. Per il nostro Signore Gesù Cristo...