12 Agosto 2018

 XIX Domenica T. O.

Oggi Gesù ci dice: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo, dice il Signore, se uno mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,51 - Acclamazione al Vangelo). 

Dal Vangelo secondo Giovanni 6,41-51: I giudei, sempre scontenti come gli ebrei nel deserto (Cf. Es 16,2s; 17,3; Num 11,1; 14,27; 1Cor 10,10), conoscono un buon mestiere che li mette al riparo da ogni tentativo di conversione: è il masticare amaro; la mormorazione e la denigrazione. Conoscono un’arte antica che li pone in una zona ben protetta da ogni invasione “nemica” e la praticano con estrema disinvoltura e grande perizia, ed è quella di beffeggiare e di dileggiare l’avversario per renderlo ridicolo, sopra tutto agli occhi di chi potrebbe porre interesse alla sua persona. Gesù nonostante tutto va avanti nel suo insegnamento: alludendo, ora, all’eucaristia, pane necessario per ricevere il dono della vita eterna; ora, riferendosi alla sua passione (Cf. Lc 22,19): sacrificio unico e necessario per essere liberati dal peccato e dalla morte.

Mormoravano di lui - Gesù aveva appena affermato: «Io sono il pane della vita» e «sono disceso dal cielo» che questo provoca sconcerto e disapprovazione tra la folla. I Giudei conoscevano il racconto del miracolo della manna che nel deserto aveva saziato i loro Padri e li aveva sostenuti nella lunga e faticosa marcia nel deserto (Cfr. Es 16,1ss; Sal 78,24; Sap 16,20-21). I Giudei mormorano proprio perché quello del pane disceso dal cielo era un linguaggio fin troppo familiare e non riescono a comprendere il discorrere di Gesù e sopra tutto dove voglia andare a parare col suo dire. In ogni caso, non possono accettare la supponenza di Gesù che si autodefinisce pane del cielo, se lo facessero le conseguenze sarebbero immediate: dovrebbero accettare Gesù come il Messia. E questo per dei cuori spenti è impossibile (Cfr. Lc 4,16-30).
I Giudei mormorando rendono palese la loro incredulità e la loro ottusità. La mormorazione è una sorta di maledizione che perseguita Israele: come un tempo il popolo mormorava nel deserto, ora mormora perché non comprende l’origine e il dono di Gesù (o non vogliono comprendere?).
Come allora, nel deserto, rifiutarono la manna perché cibo troppo leggero (Num 11,6), ora rifiutano il Verbo fatto carne, pane disceso dal cielo: «Il Verbo venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto» (Gv 1,11). All’uomo che deve attraversare il deserto della vita per giungere alla terra promessa, Cristo Gesù, si dona come pane-manna: ora in mezzo agli uomini c’è Colui che si è fatto pane perché essi possano raggiungere felicemente e agevolmente la terra promessa. Ma il dono è rifiutato: i Giudei si scandalizzano perché credono di conoscere le origini di Gesù, ma la loro conoscenza materiale è insipienza e ignoranza. Per credere bisogna superare questo scandalo.

Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato - Il cuore del discorso di Cafarnao è la fede: «una fede esistenziale e profonda che polarizzi tutta la vita del discepolo verso la persona di Gesù. Questa è l’idea fondamentale dell’intero sermone sul pane della vita» (Alberto Panimolle). La fede è tutto nella vita dell’uomo: potenza divina che trasforma ogni cosa, vivifica, soprannaturalizza. Senza la fede siamo perduti, perché essa è «fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Eb 11,1). Senza la fede tutto crolla sotto il peso dell’arroganza, dell’autosufficienza: senza la fede facciamo naufragio (Cf. 1Tm 1,18-19). Credere, infatti, significa trovare «un’ancora che impedisce di scivolare nelle sabbie mobili del dubbio sistematico e del relativismo» (G. Ravasi).
La fede ci fa risiedere, già ora, nel mistero della Trinità, facendoci vivere con gioia ineffabile e trasfigurante questa povera vita terrena: credere è «il modo più concreto e umanamente conveniente di prendersi cura della propria vita e incrementarne la qualità» (Bernardo Commodi).
Nella fede noi siamo partecipi di tutto ciò che Cristo possiede: partecipiamo alla sua giustizia (Cf. Rom 10,4; 1Cor 6,11), partecipiamo alla sua forza che salva e santifica (Cf. Rom 1,16; Ef 2,5). Abbiamo forza nelle tentazioni («chi crederà non vacillerà» Is 28,16; cfr. 1Pt 2,6; 1Gv 5,4). Gustiamo del riposo di Dio (Cf. Ebr 4,3), sperimentiamo la dolcezza dell’abbandono a Dio, dell’appartenere a lui, del sentirsi protetti, difesi e abbracciati dal suo amore materno (Cf. Dt 32,10-11).
La fede ci pianta sulla roccia sicura, che è Cristo (Cf. 1Cor 10,5) da cui sgorga l’acqua della vita. Per la fede, edificati «sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù» (Ef 2,19), troviamo stabilità, sicurezza, protezione e amore. Consapevole che questo mondo e questa storia umana sono nelle benevoli mani di Dio e che la Chiesa è guidata dallo Spirito, il credente vive nella fiducia che tutto andrà bene e, pur impegnandosi con tutti i suoi talenti, rimane sempre e profondamente sereno.
La fede ci svela il volto misterioso del Pellegrino  che si affianca a noi nei tortuosi sentieri della vita (Cf. Lc 24,13ss): con lui camminiamo su un sentiero luminoso. La fede ci fa riconoscere Colui che cammina sulle acque del mare della nostra povera vita (Cf. Mt 14,25): in lui abbiamo una bussola per navigare sui mari tra­vagliati della storia; viviamo una vita ricca di significato e riceviamo forza, serenità e pace.
La fede ci fa superare gli scogli dell’orgoglio, della superbia; spezza il giogo delle passioni e ci fa veramente liberi. Chi si abbandona fiduciosamente a Dio «acquista una grande libertà interiore e si libera di tutte quelle inutili preoccupazioni con cui molti oggi si torturano girando attorno a se stessi, alla propria salute, al proprio successo e al guadagno. Chi si affida a Dio non è assillato dal dover dimostrare a se stesso e agli altri di fare sempre tutto bene, dal realizzare tutti i suoi ideali alla perfezione, dalla paura di non essere all’altezza e di non poter raggiungere prestazioni e traguardi eccelsi. Il credente sa che Dio lo ama, provvede a lui e sempre lo sorregge; perciò rimane saldo, fermo, sicuro in mezzo a tutte le tempeste della vita, vive nella pace, si accetta per quello che è e come è, si libera da ogni irrigidimento verso se stesso, si abbandona all’amore e fiduciosamente entra in relazione con l’altro» (B. Commodi).
Se da soli non possiamo accendere nel nostro cuore la luce divina della fede, possiamo però invocare il Signore che conceda questo dono.
Possiamo fare nostra la preghiera degli Apostoli: «Signore: “accresci in noi la fede!”» (Lc 17,5).

Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me - Redemptoris Missio 46: L’annunzio della parola di Dio mira alla conversione cristiana, cioè all’adesione piena e sincera a Cristo e al suo Vangelo mediante la fede. La conversione è dono di Dio, opera della Trinità: è lo Spirito che apre le porte dei cuori, affinché gli uomini possano credere al Signore e «confessarlo» (1Cor 12,3). Di chi si accosta a lui mediante la fede Gesù dice: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato» (Gv 6,44). La conversione si esprime fin dall’inizio con una fede totale e radicale, che non pone né limiti né remore al dono di Dio. Al tempo stesso, però, essa determina un processo dinamico e permanente che dura per tutta l’esistenza, esigendo un passaggio continuo dalla «vita secondo la carne» alla «vita secondo lo Spirito» (Rm 8,3). Essa significa accettare, con decisione personale, la sovranità salvifica di Cristo e diventare suoi discepoli. A questa conversione la chiesa chiama tutti, sull’esempio di Giovanni Battista, che preparava la via a Cristo, «predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati» (Mc 1,4) e di Cristo stesso, il quale, «dopo che Giovanni fu arrestato. ... si recò in Galilea predicando il Vangelo di Dio e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo”» (Mc 1,14). Oggi l’appello alla conversione, che i missionari rivolgono ai non cristiani, e messo in discussione o passato sotto silenzio. Si vede in esso un atto di «proselitismo»; si dice che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà. Ma si dimentica che ogni persona ha il diritto di udire la «buona novella» di Dio che si rivela e si dona in Cristo, per attuare in pienezza la sua propria vocazione. La grandezza di questo evento risuona nelle parole di Gesù alla Samaritana: «Se tu conoscessi il dono di Dio», e nel desiderio inconsapevole, ma ardente della donna: «Signore, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete» (Gv 4,10).

… i vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti - Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): La manna di cui si parla nel libro dell’Esodo è figura di questo pane ­ cioè del Signore Gesù - che nutre i cristiani nel loro cammino sulla terra. La Comunione è il convivio meraviglioso nel quale Cristo dona se stesso agli uomini: «II pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Sono le parole con le quali il Signore promette di istituire l’Eucaristia nell’ultima Cena: «Questo è il mio corpo, che è per voi» (1Cor 11,22). Le espressioni “per la vita del mondo” “per voi” alludono al valore redentivo dell’immolazione di Cristo sulla Croce. Già in alcuni sacrifici dell’Antico Testamento, che erano tipo di quello del Signore, una parte della carne offerta veniva successivamente distribuita come cibo e significava la partecipazione dei presenti al rito sacro (cfr Es 11,3-4). Parimenti, quando ci comunichiamo, diveniamo partecipi del sacrificio di Gesù Cristo. Perciò, durante la liturgia delle Ore nella solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, la Chiesa canta: «Oh sacra mensa in cui Cristo si fa nostro cibo, si celebra il memoriale della sua Passione, l’anima è colmata di grazia e ci vien dato un pegno della futura gloria» (Antifona del “Magnificat”, ai secondi Vespri).

Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno - Angelico Poppi (Sinossi e Commento): Dopo la parentesi apologetica dei vv. 41-47, Gesù ripropone l’autorivelazione centrale: “Io sono il pane della vita” (v. 35), riformulato nel v. 51 con “Io sono il pane vivente”. “Io-sono” rievoca il nome di JHWH (Colui che è). Nel v. 49 Gesù, rifacendosi al v. 31, ribadisce che la manna era un semplice pane materiale che non dava la vita; infatti gli ebrei adulti usciti dall’Egitto morirono tutti nel deserto. “Il pane vivente, quello sceso dal cielo” (v. 51 a), che dà la vita, è Gesù stesso, in quanto rivelatore del Padre. Egli è il pane vitale, posto in antitesi alla manna. Chi mangia “il pane vivente chi assimila la rivelazione fatta da lui vivrà in eterno.
… il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. Viene ora introdotto un elemento nuovo, quello della “carne” di Gesù, promessa per il futuro come alimento del credente. II tema eucaristico ora diventa dominante. La “carne” si riferisce al corpo di Gesù immolato sulla croce. Carne (sarx) nella Bibbia designa l’essere umano nella sua situazione di fragilità e d’impotenza dinanzi a Dio, l’Onnipotente. Qui si riferisce alla corporeità del Verbo divino fattosi “carne” (Gv 1,14a), che si offrirà come cibo per la salvezza del mondo. Non si tratta come sopra di un pane metaforico, cioè della rivelazione fatta da Gesù, ma del pane eucaristico. Mentre “il pane della vita identificato con la persona di Gesù (v. 35) era dato dal Padre (“vi dà” al presente, v. 32), il pane eucaristico, cioè il corpo di Gesù, sarà offerto da lui stesso in futuro (“che io darò” v. 51c) attraverso il suo innalzamento in croce e alla gloria. Per (hypér = in favore) la vita del mondo esprime l’universalità della salvezza, scaturita dalla morte in croce di Cristo e comunicata nel dono dell’Eucaristia.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  «Signore: “accresci in noi la fede!”» (Lc 17,5).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Preghiamo con la Chiesa: Guida, o Padre, la tua Chiesa pellegrina nel mondo, sostienila con la forza del cibo che non perisce, perché perseverando nella fede di Cristo giunga a contemplare la luce del tuo volto. Per il nostro Signore Gesù Cristo...