IL PENSIERO DEL GIORNO
15 Gennaio 2018
Lunedì DELLA II SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO PARI)
Oggi Gesù ci dice: “Il Signore gradisce forse gli olocausti e i sacrifici quanto l’obbedienza alla voce del Signore? Ecco, obbedire è meglio del sacrificio, essere docili è meglio del grasso degli arieti ” (1Sam 15,22).
Dal Vangelo secondo Marco 2,18-22: I farisei, come i discepoli di Giovanni, praticavano digiuni supplementari per affrettare con la pietà la venuta del regno (cfr. Lc 18,12). Gesù, con la sua risposta, fa intendere che ormai questo legalismo asfissiante è da abolire, all’orizzonte vi sono tempi nuovi, i tempi messianici. Lo Sposo è già arrivato e viene donato uno Spirito nuovo: il giudaismo, con ciò che è in esso ha di effimero nell’economia della salvezza, è al tramonto, ora è instaurato in Gesù il regno di Dio: un regno di giustizia, di pace e di gioia nello Spirito Santo (cfr. Rom 14,17).
La Bibbia di Navarra (I Quattro Vangeli): versetti 18-22. La risposta di Cristo chiarisce, a proposito di un caso specifico, i rapporti tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Nell’Antico lo Sposo non era ancora arrivato, nel Nuovo è presente nella persona di Cristo. Con lui hanno inizio i tempi messianici, un ‘epoca nuova e diversa da quella precedente. Il digiuno dei Giudei va pertanto inteso, nel complesso delle loro osservanze religiose, come preparazione di tutto il popolo alla venuta del Messia. Cristo fa costatare lo differenza tra lo spirito che egli porta e quello del giudaismo contemporaneo. Questo spirito nuovo non sarà una toppa che viene aggiunta alla vecchia Alleanza, ma un principio che conferirà rinnovata vitalità agli insegnamenti perenni dell’antica Rivelazione. La novità del vangelo. al pari del vino nuovo, non può essere immessa negli stampi della Legge antica. Ma questo passo dice qualcosa di più: per recepire l’insegnamento nuovo di Cristo è necessario che gli uomini si rinnovino interiormente e, di conseguenza, si distacchino dalle abitudini di una vita pigra.
Gertrud Hergott: [Il digiuno è] un esercizio generico religioso nel quale l’uomo, in determinati tempi, si astiene dal cibo e dalle bevande. Nell’Antico Testamento il cibo è considerato un dono di Dio (Dt 8,3). Ciononostante l’uomo veterotestamentario digiuna in particolari occasioni, per es. per ricevere da Dio il perdono per un grave errore (1Re 21,27), oppure per prepararsi a ricevere una rivelazione divina (Es 34,28), oppure per un lutto, a causa di una disgrazia nella famiglia o nel popolo (2Sam 12,1 6.22).
Il credente digiuna anche per ottenere da Dio la fine di una catastrofe (Gl 2,12-17), o prima di assumere un grave compito e per ottenere la grazia necessaria per il compimento di una determinata missione (Gdc 20,26). Con il suo digiuno l’uomo (esprime da una parte che egli dipende da Dio, che ringrazia il suo creatore perché è
Dio ad avere veramente in mano il suo destino. D’altra parte l’uomo religioso con la preghiera e il digiuno vuole influire su Dio, smuovere Dio a qualcosa e strappargli qualcosa. Questa idea magica domina in gran parte la
pratica vetorotestamentaria del digiuno: JHWH deve essere placato e riconciliato, pericoli e catastrofi devono essere tenuti lontano. Contro una tale concezione del digiuno scende prepotentemente in campo la critica dei profeti al culto: i pii pensano che Dio debba tenere in considerazione il loro digiuno (Is 58,3). Ma egli non rivolge la propria attenzione nell’osservare se viene chinato il capo e usato sacco e cenere per letto. Questo non è un digiuno. Digiunare significa, al contrario, sciogliere le catene inique, liberare gli oppressi, accogliere i maltrattati, dare il pane agli affamati, offrire un tetto ai miseri senza tetto (Is 58,6-8).
Digiuno significa rendersi conto della necessità del fratello e attivarsi per lui.
Gesù è pienamente in linea con questa tradizione profetica quando non digiuna (Mc 2,18). Egli infrange così la legge mosaica, e secondo Lv 23,29ss in questo caso va comminata la pena di morte. Gesù non ha ordinato nessun digiuno ai suoi discepoli - e nemmeno le Lettere neotestamentarie.
Spiega però all’uomo religioso che cosa c’è in gioco allorché voglia digiunare (Mt 6,17s.). Per il cristiano digiuno non significa astinenza da cibi e bevande, ma essere disponibili verso il fratello, per essere, così, disponibili nei confronti di Dio.
Catechismo degli Adulti
Il digiuno
947 La disciplina dei sentimenti si integra con la disciplina del corpo. In concreto, quest’ultima comprende i seguenti elementi: sobrietà nel cibo, nell’abbigliamento, nelle comodità, nei consumi superficiali e banali; controllo degli sguardi e delle conversazioni; rinuncia agli interessi inutili e pericolosi; dominio dell’istinto sessuale.
695 D’altra parte si comprende come senza le dovute disposizioni la comunione sacramentale sarebbe inautentica. Già san Paolo esortava i cristiani: «Ciascuno, pertanto, esamini se stesso... perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (1Cor 11,28-29). Chi è consapevole di aver commesso peccato mortale, prima di accostarsi alla comunione eucaristica, deve pentirsi e tornare in grazia di Dio. Più precisamente deve recarsi dal sacerdote e ricevere l’assoluzione; non può limitarsi a fare il proposito di confessarsi al più presto, a meno che in una particolare situazione non sopravvengano motivi gravi.
Desta preoccupazione la disinvoltura, con cui alcune persone, che non si confessano da lungo tempo, vanno a fare la comunione, soprattutto in occasione di feste solenni, di matrimoni e di funerali.
Sono doverosi anche alcuni segni esteriori di rispetto: osservare la legge del digiuno eucaristico, che obbliga a non prendere cibi e bevande, eccetto l’acqua, durante l’ora che precede la comunione; rispondere: «Amen» alle parole del ministro; presentare le mani pulite per ricevere il pane eucaristico; essere attenti ad eventuali frammenti, in modo da metterli in bocca e non lasciarli cadere.
Benedetto XVI (Messaggio per la Quaresima 2009): Nel Nuovo Testamento, Gesù pone in luce la ragione profonda del digiuno, stigmatizzando l’atteggiamento dei farisei, i quali osservavano con scrupolo le prescrizioni imposte dalla legge, ma il loro cuore era lontano da Dio. Il vero digiuno, ripete anche altrove il divino Maestro, è piuttosto compiere la volontà del Padre celeste, il quale “vede nel segreto, e ti ricompenserà” (Mt 6,18). Egli stesso ne dà l’esempio rispondendo a satana, al termine dei 40 giorni passati nel deserto, che “non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4). Il vero digiuno è dunque finalizzato a mangiare il “vero cibo”, che è fare la volontà del Padre (cfr Gv 4,34). Se pertanto Adamo disobbedì al comando del Signore “di non mangiare del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male”, con il digiuno il credente intende sottomettersi umilmente a Dio, confidando nella sua bontà e misericordia.
Troviamo la pratica del digiuno molto presente nella prima comunità cristiana (cfr At 13,3; 14,22; 27,21; 2Cor 6,5). Anche i Padri della Chiesa parlano della forza del digiuno, capace di tenere a freno il peccato, reprimere le bramosie del “vecchio Adamo”, ed aprire nel cuore del credente la strada a Dio. Il digiuno è inoltre una pratica ricorrente e raccomandata dai santi di ogni epoca. Scrive san Pietro Crisologo: “Il digiuno è l’anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno, perciò chi prega digiuni. Chi digiuna abbia misericordia. Chi nel domandare desidera di essere esaudito, esaudisca chi gli rivolge domanda. Chi vuol trovare aperto verso di sé il cuore di Dio non chiuda il suo a chi lo supplica” (Sermo 43: PL 52, 320. 332).
Ai nostri giorni, la pratica del digiuno pare aver perso un po’ della sua valenza spirituale e aver acquistato piuttosto, in una cultura segnata dalla ricerca del benessere materiale, il valore di una misura terapeutica per la cura del proprio corpo. Digiunare giova certamente al benessere fisico, ma per i credenti è in primo luogo una “terapia” per curare tutto ciò che impedisce loro di conformare se stessi alla volontà di Dio. Nella Costituzione apostolica Paenitemini del 1966, il Servo di Dio Paolo VI ravvisava la necessità di collocare il digiuno nel contesto della chiamata di ogni cristiano a “non più vivere per se stesso, ma per colui che lo amò e diede se stesso per lui, e … anche a vivere per i fratelli” (cfr Cap. I). La Quaresima potrebbe essere un’occasione opportuna per riprendere le norme contenute nella citata Costituzione apostolica, valorizzando il significato autentico e perenne di quest’antica pratica penitenziale, che può aiutarci a mortificare il nostro egoismo e ad aprire il cuore all’amore di Dio e del prossimo, primo e sommo comandamento della nuova Legge e compendio di tutto il Vangelo (cfr Mt 22, 34-40).
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** La legge nuova pratica gli atti della religione: l’elemosina, la preghiera, il digiuno, ordinandoli al «Padre che vede nel segreto», in opposizione al desiderio di «essere visti dagli uomini». La sua preghiera è il «Padre nostro». (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1969)
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: Dio onnipotente ed eterno, che governi il cielo e la terra, ascolta con bontà le preghiere del tuo popolo e dona ai nostri giorni la tua pace. Per il nostro Signore Gesù Cristo...