IL PENSIERO DEL GIORNO

 29 Dicembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Chi ama suo fratello, rimane nella luce» (Prima Lettura).  


Vangelo secondo Luca 2,22-35: I primi due capitoli di Matteo e di Luca sono conosciuti come i Vangeli dell’infanzia. La gioia di Giuseppe e di Maria viene turbata dalle parole oscure di Simeone, il quale non fa che indicare agli ignari sposi la via della croce: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione» (v. 34). Gesù apre questa via, la percorre fino alla fine e la propone a noi, suoi discepoli. Maria, per prima, la seguirà in piena fedeltà e disponibilità.


Catechismo della Chiesa Cattolica n. 529: La presentazione di Gesù al Tempio lo mostra come il Primogenito che appartiene al Signore. In Simeone e Anna è tutta l’attesa di Israele che viene all’incontro con il suo Salvatore (la tradizione bizantina chiama così questo avvenimento). Gesù è riconosciuto come il Messia tanto a lungo atteso, «luce delle genti» e «gloria di Israele», ma anche come «segno di contraddizione». La spada di dolore predetta a Maria annunzia l’altra offerta, perfetta e unica, quella della croce, la quale darà la salvezza «preparata da Dio davanti a tutti i popoli»


«Nunc Dimittis» - Giovanni Leonardi (L’Infanzia di Gesù): II profeta Simeone è noto solo da questo episodio. Non è detto che fosse sacerdote: dal testo (v. 29) traspare invece che era una persona anziana. Qualcuno recentemente ha voluto identificarlo con Simeone figlio di Hillel, di cui si parla nel Talmud e il cui ritratto corrisponde a quello del Simeone di Luca. Daniélou ricorda che anche alcune tradizioni giudeo-cristiane sono favorevoli a questa interpretazione.
Simeone è presentato «giusto e pio», al modo dei personaggi precedenti: giusto esternamente e praticamente, pio o timorato di Dio internamente.
Egli attendeva «il conforto di Israele», cioè quel Messia (astratto per il concreto) il cui compito - secondo Isaia 61,2s - era «di confortare i piangenti di Sion», cioè di consolare e riportare alla gioia. Lo Spirito Santo, in premio di tali buone disposizioni e della intemerata condotta, gli aveva promesso (Luca non dice come) che avrebbe visto con i suoi occhi il Messia. Ed è appunto lo Spirito che, non solo lo fa salire al tempio in coincidenza con la venuta della sacra Famiglia, ma anche gli fa riconoscere nel Bambino il Messia.
Simeone non si accontenta di contemplarlo: lo prende nelle sue braccia venerande e, nonostante la commozione, trova la forza di benedire Dio, cioè di uscire, come già Zaccaria, in un inno di lode e ringraziamento a Dio. Il cantico è, come il Magnificat e il Benedictus, un mosaico di testi tolti dall’Antico Testamento. Vi predominano però i riferimenti al Deutero-Isaia, il profeta della consolazione di Israele (40,1; 42,6; 46,13; 49,6; 52,10; Cf. 46,30); per cui Daniélou pensa che si tratti di un arcaico inno giudeo-cristiano della Chiesa post-pentecostale e da Luca messo in bocca a Simeone per esprimerne sentimenti simili.
Simeone si pone (vv. 29-32) nell’atteggiamento del servo verso il padrone ed esprime la sua soddisfazione al Signore per aver mantenuta la parola promessa: gli dice che lo lasci pur andare (lett. salpare) verso il porto dell’aldilà con la pace messianica ormai raggiunta; i suoi occhi infatti hanno visto la sua salvezza (astratto per il concreto): quella salvezza - continua a dire - che Dio ha preparato - quale mensa imbandita - davanti a tutti i popoli, perché sia luce alle genti pagane e gloria (cioè onore o vanto) del suo popolo Israele; oppure meglio perché sia la presenza specialissima e benefica di Dio in mezzo al suo popolo. Questo è l’unico accenno espressamente universalistico che troviamo nel Vangelo dell’infanzia di Luca: per giunta i pagani vengono messi al primo posto, anche se considerati avvolti dalle tenebre dell’idolatria e quindi bisognosi della luce della rivelazione cristiana.


Maria e Giuseppe portarono il bambino Gesù a Gerusalemme - Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale: secondo la legge mosaica (Cf. Lev 12,2-8) la donna che dava «alla luce un maschio», a motivo della sua impurità, non doveva toccare «alcuna cosa santa» né doveva entrare nel santuario per quaranta giorni. Al termine di questo periodo doveva portare «al sacerdote all’ingresso della tenda del convegno un agnello di un anno come olocausto e un colombo o una tortora in sacrificio di espiazione» per essere purificata «dal flusso del suo sangue». Le donne povere che non avevano mezzi per offrire un agnello offrivano, come Maria qui, due colombi.
In quanto primogenito, Gesù viene portato al tempio per essere consacrato al Signore, come richiesto dalla legge di Mosé (Es 13,1-2). In tutte le lingue, presso tutti i popoli, il primo nato è sempre detto primogenito, seguano o no altri figli. Presso gli Ebrei il primo nato era sempre detto e rimaneva sempre primogenito perché al primo nato erano riservati particolari diritti di famiglia (Cf. Gen 27; Num 3,12-13; 18,15-16; Dt 21,15-17).
Lo Spirito Santo aveva promesso a Simeone, che «non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo Signore». Il vegliardo, «uomo giusto e pio», rappresenta «l’Israele fedele, che attendeva con fiducia illimitata la comparsa del Messia per l’attuazione del regno di Dio. In questo incontro la religiosità sincera dell’Antico Testamento si salda direttamente con quella del Nuovo Testamento, in una meravigliosa continuazione del progetto salvifico di Dio» (Angelico Poppi). L’attesa di Simeone si fonda su alcune profezie che predominano in tutto il Secondo o il Terzo Isaia (Is 40-55; 56-66).
Il Nunc Dimittis sembra un cantico proveniente dall’ambiente giudaico-cristiano, anche se, come suggerisce la Bibbia di Gerusalemme, a differenza del Magnificat e del Benedictus, potrebbe essere «stato composto dallo stesso Luca, con il particolare aiuto di testi di Isaia. Dopo i primi tre versi che riguardano Simeone e la sua morte vicina, gli altri tre descrivono la salvezza universale portata dal Messia Gesù: una illuminazione del mondo pagano che ha avuto inizio dal popolo eletto e ridonderà a sua gloria» (vedi nota a Lc 2,29-32). Gesù sarà «come segno di contraddizione»: la sua missione sarà accompagnata da ostilità e da persecuzioni da parte del suo popolo. Maria, sua Madre, parteciperà a questo destino di dolore.


La presentazione di Gesù al tempio - Redemptoris Custos 13: Questo rito, riferito da Luca (2,22s), include il riscatto del primogenito e illumina la successiva permanenza di Gesù dodicenne nel tempio.
Il riscatto dei primogenito è un altro dovere del padre, che è adempiuto da Giuseppe. Nel primogenito era rappresentato il popolo dell’alleanza, riscattato dalla schiavitù per appartenere a Dio. Anche a questo riguardo Gesù, che è il vero «prezzo» del riscatto (cfr. 1Cor 6,20; 7,23; 1Pt 1,19), non solo «compie» il rito dell’Antico Testamento, ma nello stesso tempo lo supera, non essendo egli un soggetto da riscattare, ma l’autore stesso del riscatto.
L’Evangelista rileva che «il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui» (Lc 2,33) e, in particolare, di ciò che disse Simeone, indicando Gesù, nel suo cantico rivolto a Dio, come la «salvezza preparata da Dio davanti a tutti i popoli» e «luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele» e, più avanti, anche come «segno di contraddizione» (cfr. Lc 2,30-34).


Redemptoris Mater 16: Si era già al quarantesimo giorno dopo la nascita di Gesù, quando, secondo la prescrizione della Legge di Mosè, Maria e Giuseppe «portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore» (Lc 2,22). La nascita era avvenuta in condizioni di estrema povertà. Sappiamo, infatti, da Luca che, quando in occasione del censimento della popolazione, ordinato dalle autorità romane, Maria si recò con Giuseppe a Betlemme, non avendo trovato «posto nell’albergo», diede alla luce il suo Figlio in una stalla e «lo depose in una mangiatoia» (Lc 2,7). Un uomo giusto e timorato di Dio, di nome Simeone, appare in quell’inizio dell’«itinerario» della fede di Maria. Le sue parole, suggerite dallo Spirito Santo (Lc 2,25), confermano la verità dell’annunciazione. Leggiamo, infatti, che egli «prese tra le braccia» il bambino, al quale - secondo il comando dell’angelo - era stato messo nome Gesù (Lc 2,21). Il discorso di Simeone è conforme al significato di questo nome, che vuol dire Salvatore: «Dio è la salvezza». Rivolto al Signore, egli dice così: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele» (Lc 2,30). Contemporaneamente però, Simeone si rivolge a Maria con le seguenti parole: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori»; ed aggiunge con diretto riferimento a Maria: «E anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,34). Le parole di Simeone mettono in una luce nuova l’annuncio che Maria ha udito dall’angelo: Gesù è il Salvatore, è «luce per illuminare» gli uomini. Non è quel che si è manifestato, in certo modo, nella notte del Natale, quando sono venuti nella stalla i pastori? (Lc 2,8). Non è quel che doveva manifestarsi ancor più nella venuta dei Magi dall’Oriente? (Mt 2,1). Nello stesso tempo, però, già all’inizio della sua vita, il Figlio di Maria, e con lui sua madre, sperimenteranno in se stessi la verità delle altre parole di Simeone: «Segno di contraddizione» (Lc 2,34). Quello di Simeone appare come un secondo annuncio a Maria, poiché le indica la concreta dimensione storica nella quale il Figlio compirà la sua missione, cioè nell’incomprensione e nel dolore. Se un tale annuncio, da una parte, conferma la sua fede nell’adempimento delle divine promesse della salvezza, dall’altra le rivela anche che dovrà vivere la sua obbedienza di fede nella sofferenza a fianco del Salvatore sofferente, e che la sua maternità sarà oscura e dolorosa. Ecco, infatti, dopo la visita dei Magi, dopo il loro omaggio («prostratisi lo adorarono»), dopo l’offerta dei doni (Mt 2,11), Maria, insieme al bambino, deve fuggire in Egitto sotto la premurosa protezione di Giuseppe, perché «Erode stava cercando il bambino per ucciderlo» (Mt 2,13). E fino alla morte di Erode dovranno rimanere in Egitto (Mt 2,15).   


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
****  Chi ama suo fratello, rimane nella luce e non vi è in lui occasione di inciampo. Ma chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi. (Vedi I Lettura).
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Dio invisibile ed eterno, che nella venuta del Cristo vera luce hai rischiarato le nostre tenebre, guarda con bontà questa tua famiglia, perché possa celebrare con lode unanime la nascita gloriosa del tuo unico Figlio. Egli è Dio, e vive e regna con te...