IL PENSIERO DEL GIORNO

28 Dicembre 2017


Oggi Gesù ci dice: «Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna» (I Lettura).  


Vangelo secondo Mt 2,13-18: “La fuga in Egitto e la strage degli innocenti manifestano l’opposizione delle tenebre alla luce: «Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto» [Gv 1,11]. L’intera vita di Cristo sarà sotto il segno della persecuzione. I suoi condividono con lui questa sorte. Il suo ritorno dall’Egitto ricorda l’Esodo e presenta Gesù come il liberatore definitivo” (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 530).


Benedetto Prete (Vangelo secondo Matteo): II grido s’è udito a Rama... Rama, oggi Er-Ram a 8 chilometri circa a Nord di Gerusalemme. Matteo cita Geremia (31,15); il profeta immagina che Rachele, madre di Beniamino e di Giuseppe, compia lamentazioni sulla triste sorte degli appartenenti alla tribù (Beniamino ed Efraim) di cui i suoi figli erano i capostipiti. I discendenti di Beniamino furono in parte massacrati ed in parte deportati in Babilonia dagli Assiri. Gerèmia, con una potente e viva immagine, fa partecipare Rachele allo strazio di questi suoi lontani discendenti. L’applicazione è stata probabilmente suggerita a Matteo da una tradizione (riferita da Genesi 35,19-20 e che forse è un’antica glossa inseritasi nel testo secondo la quale la tomba di Rachel si trovava nelle vicinanze di Bethlem). Secondo un’altra tradizione, attestata da 1Samuele 10,2, la tomba di Rachele va situata nel territorio della tribù di Beniamino.
Matteo nel pianto di Rachele scorge il tipo del dolore delle madri di Bethlem, le quali piangono la tragica morte dei loro teneri bambini.


Giovanni Paolo II (Omelia, 4 Giugno 1997): Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto (Mt 2,13). Giuseppe udì queste parole nel sonno. L’angelo l’aveva avvertito di fuggire con il Bambino, perché era minacciato da un pericolo mortale. Dal Vangelo appena letto veniamo a sapere di coloro che attentavano alla vita del Bambino. In primo luogo Erode, ma poi anche tutti i suoi seguaci. In questo modo la liturgia della parola guida il nostro pensiero verso il problema della vita e della sua difesa. Giuseppe di Nazaret, che salvò Gesù dalla crudeltà di Erode, ci si presenta in questo istante come un grande sostenitore della causa della difesa della vita umana, dal primo istante del concepimento sino alla morte naturale. Vogliamo, dunque, in questo luogo raccomandare alla divina Provvidenza e a san Giuseppe la vita umana, specialmente quella dei bambini non ancora nati, nella nostra Patria e nel mondo intero. La vita ha un valore intoccabile e una dignità irripetibile, specialmente perché - come leggiamo oggi nella liturgia - ogni uomo è chiamato a partecipare alla vita di Dio. San Giovanni scrive: “Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!” (1Gv 3,1). Con lo sguardo della fede possiamo rilevare con una particolare chiarezza l’infinito valore di ogni essere umano. Il Vangelo, annunziando la buona novella di Gesù, reca anche la buona novella dell’uomo, della sua grande dignità, insegna la sensibilità nei riguardi dell’uomo. Di ogni uomo che, in quanto dotato di un’anima spirituale, è “capace di Dio”. La Chiesa difendendo il diritto alla vita si richiama ad un livello più ampio, ad un livello universale che obbliga tutti gli uomini. Il diritto alla vita non è una questione di ideologia, non è solo un diritto religioso; è un diritto dell’uomo. Il più fondamentale diritto dell’uomo! Dio dice: “Non uccidere”! (Es 20,13). Questo comandamento è al contempo un fondamentale principio e una norma del codice morale, iscritto nella coscienza di ogni uomo.
La misura della civiltà, una misura universale, perenne, comprendente tutte le culture, è il suo rapporto con la vita. Una civiltà che rifiutasse gli indifesi, meriterebbe il nome di civiltà barbara, anche se riportasse grandi successi nel campo dell’economia, della tecnica, dell’arte e della scienza. La Chiesa, fedele alla missione ricevuta da Cristo, nonostante le debolezze e le infedeltà di molti suoi figli e di molte sue figlie, ha portato con coerenza nella storia dell’umanità la grande verità sull’amore del prossimo, ha attenuato le divisioni sociali, ha superato le differenze etniche e razziali, si è chinata sugli infermi e sugli orfani, sugli anziani, sugli handicappati e sui senza casa. Ha insegnato con le parole e con i fatti che nessuno può essere escluso dalla grande famiglia umana, che nessuno può essere spinto al margine della società. Se la Chiesa difende la vita non nata è perché essa guarda anche con amore e sollecitudine ogni donna che deve partorire.


La fuga in Egitto - Redemptoris custos 14: Dopo la presentazione al tempio l’evangelista Luca annota: «Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui» (Lc 2,39-40).
Ma, secondo il testo di Matteo, prima ancora di questo ritorno in Galilea, è da collocare un evento molto importante, per il quale la divina Provvidenza ricorre di nuovo a Giuseppe. Leggiamo: «Essi (i magi) erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”» (Mt 2,13). In occasione della venuta dei magi dall’Oriente, Erode aveva saputo della nascita del «re dei Giudei» (cfr. Mt 2,2). E quando i magi partirono, egli «mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù» (Mt 2,16). In questo modo, uccidendo tutti, voleva uccidere quel neonato «re dei Giudei», del quale era venuto a conoscenza durante la visita dei magi alla sua corte. Allora Giuseppe, avendo udito in sogno l’avvertimento, «prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”» (Mt 2,14-15; cfr. Os 11,1).
In tal modo la via del ritorno di Gesù da Betlemme a Nazaret passò attraverso l’Egitto. Come Israele aveva preso la via dell’esodo «dalla condizione di schiavitù» per iniziare l’antica alleanza, così Giuseppe, depositario e cooperatore del mistero provvidenziale di Dio, custodisce anche in esilio colui che realizza la nuova alleanza.


Lettera alle Famiglie n. 21: Il breve racconto della infanzia di Gesù ci riferisce in maniera molto significativa, quasi contemporaneamente, la sua nascita e il pericolo che Egli deve subito affrontare. Luca riporta le parole profetiche pronunciate dal vecchio Simeone quando il Bambino viene presentato al Signore nel Tempio, quaranta giorni dopo la nascita. Egli parla di «luce» e di «segno di contraddizione»; a Maria, poi, predice: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima» (cfr Lc 2,32-35). Matteo, invece, si sofferma sulle insidie tramate nei confronti di Gesù da parte di Erode: informato dai Magi, giunti dall’Oriente per vedere il nuovo re che doveva nascere (cfr Mt 2,2), egli si sente minacciato nel suo potere e, dopo la loro partenza, ordina di uccidere tutti i bambini di Betlemme e dei dintorni dai due anni in giù. Gesù sfugge alle mani di Erode grazie ad un particolare intervento divino e grazie alla sollecitudine paterna di Giuseppe, che lo porta insieme a sua Madre in Egitto, dove soggiornano fino alla morte di Erode. Tornano poi a Nazaret, loro città natale, dove la Santa Famiglia inizia il lungo periodo di un’esistenza nascosta, scandita dall’adempimento fedele e generoso dei doveri quotidiani (cfr Mt 2,1-23; Lc 2,39-52).
Appare di un’eloquenza profetica il fatto che Gesù, sin dalla nascita, sia stato posto di fronte a minacce e peri- coli. Già come Bambino Egli è «segno di contraddizione». Un’eloquenza profetica riveste inoltre il dramma dei bambini innocenti di Betlemme, uccisi per ordine di Erode e diventati, secondo l’antica liturgia della Chiesa, partecipi della nascita e della passione redentrice di Cristo. Attraverso la loro « passione », essi completano «quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24).
Nei Vangeli dell’infanzia, dunque, l’annuncio della vita, che si compie in modo mirabile nell’evento della nascita del Redentore, viene fortemente contrapposto alla minaccia alla vita, una vita che abbraccia nella sua interezza il mistero dell’Incarnazione e della realtà divino-umana di Cristo. Il Verbo si è fatto carne (cfr Gv 1,14), Dio si è fatto uomo. A questo sublime mistero si richiamavano spesso i Padri della Chiesa: «Dio si è fatto uomo, affinché noi diventassimo dèi». Questa verità della fede è contemporaneamente la verità sull’essere umano. Essa mette in luce la gravità di ogni attentato alla vita del bambino nel grembo della madre. Qui, proprio qui, ci troviamo agli antipodi del «bell’amore». Puntando esclusivamente sul godimento, si può giungere fino ad uccidere l’amore, uccidendone il frutto. Per la cultura del godimento il «frutto benedetto del tuo grembo» (Lc 1,42) diventa in certo senso un «frutto maledetto».
Come non ricordare, a questo proposito, le deviazioni che il cosiddetto stato di diritto ha subito in numerosi paesi? Univoca e categorica è la legge di Dio nei riguardi della vita umana. Dio comanda: «Non uccidere» (Es 20,13). Nessun legislatore umano può pertanto affermare: ti è lecito uccidere, hai diritto di uccidere, dovresti uccidere. Purtroppo, nella storia del nostro secolo, questo si è verificato, quando sono andate al potere, in modo anche democratico, forze politiche che hanno emanato leggi contrarie al diritto di ogni uomo alla vita, in nome di presunte quanto aberranti ragioni eugeniche, etniche e simili. Un fenomeno non meno grave, anche perché accompagnato da larga acquiescenza o consenso di opinione pubblica, è quello delle legislazioni non rispettose del diritto alla vita fin dal concepimento. Come si potrebbero moralmente accettare delle leggi che permettono di uccidere l’essere umano non ancora nato, ma che già vive nel grembo materno? Il diritto alla vita diventa in tal modo appannaggio esclusivo degli adulti, che si servono degli stessi parlamenti per attuare i propri progetti e per perseguire i propri interessi.
Ci troviamo di fronte ad un’enorme minaccia contro la vita: non solo di singoli individui, ma anche dell’intera civiltà. L’affermazione che questa civiltà è diventata, sotto alcuni aspetti, «civiltà della morte» riceve una preoccupante conferma. E non è forse evento profetico il fatto che la nascita di Cristo sia stata accompagnata dal pericolo per la sua esistenza? Sì, anche la vita di Colui che è al tempo stesso figlio dell’uomo e figlio di Dio è stata minacciata, è stata in pericolo sin dall’inizio, e solo per miracolo ha evitato la morte.
Negli ultimi decenni, tuttavia, si notano alcuni sintomi confortanti di un risveglio delle coscienze: esso riguarda sia il mondo del pensiero che la stessa opinione pubblica. Cresce, specialmente tra i giovani, una nuova coscienza di rispetto della vita fino dal concepimento; si diffondono i movimenti per la vita («pro life»). È un lievito di speranza per il futuro della famiglia e dell’intera umanità.


Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Dio dice: “Non uccidere”! (Es 20,13). Questo comandamento è al contempo un fondamentale principio e una norma del codice morale, iscritto nella coscienza di ogni uomo.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.


Preghiamo con la Chiesa: Signore nostro Dio, che oggi nei santi Innocenti sei stato glorificato non a parole, ma col sangue, concedi anche a noi di esprimere nella vita la fede che professiamo con le labbra. Per il nostro Signore Gesù Cristo...