IL PENSIERO DEL GIORNO
30 Dicembre 2017
Oggi Gesù ci dice: «Date al Signore, o famiglie dei popoli, date al Signore gloria e potenza, date al Signore la gloria del suo nome» (Salmo Responsoriale).
Vangelo secondo Luca 2,36-40: La profetessa Anna, «figlia di Fanuèle», riconosce nel bambino Gesù il Messia e per questo favore si mette «a lodare Dio e a parlare del bambino». Per molti, poiché il termine bambino non ricorre nel testo, la «traduzione l’aggiunge per evitare la strana ambiguità, che sembra identificare questo piccolo con Dio. Questa applicazione a Cristo di testi concernenti Jahve non è specifica di Luca, ma costante nel Nuovo Testamento per esprimere la divinità di Cristo» (René Laurentin). Della tribù di Aser, l’ultima nel tradizionale elenco delle tribù d’Israele: in questo modo «tutte le tribù d’Israele, anche l’ultima, almeno nelle anime ben disposte e pie», riconoscono «in Gesù bambino il redentore di Israele» e ne divengono «apostole. Ecco il tocco finale di Luca in questo secondo trittico: è un monito a tutti gli israeliti ad aprirsi al Signore, e a noi cristiani a non stimarci sicuri della salvezza per il solo fatto che siamo nati nel nuovo Israele» (Giovanni Leonardi).
Un giorno santo è spuntato per noi: venite, popoli, adorate il Signore, oggi una grande luce è discesa sulla terra: Cristo luce del mondo: A. Feuillet e P. Grelot: 1. Compimento della promessa. - Nel Nuovo Testamento la luce escatologica promessa dai profeti è diventata realtà: quando Gesù incomincia a predicare in Galilea, si compie l’oracolo di Is 9,1 (Mt 4,16). Quando risorge secondo le profezie, si è per «annunziare la luce al popolo ed alle nazioni pagane» (Atti 26,23). Perciò i cantici conservati da Luca salutano in lui sin dall’infanzia il sole nascente che deve illuminare coloro che stanno nelle tenebre (Lc 1,78 s; cfr. Mal 3,20; Is 9,1; 42,7), la luce che deve illuminare le nazioni (Lc 2,32; cfr. Is 42,6; 49,6). La vocazione di Paolo, annunziatore del vangelo ai pagani, si inserirà nella linea degli stessi testi profetici (Atti 13,47; 26,18). 2. Cristo rivelato come luce. - Tuttavia vediamo che Gesù si rivela come luce del mondo soprattutto con i suoi atti e le sue parole. Le guarigioni di ciechi (cfr. Mc 8,22-26) hanno in proposito un significato particolare, come sottolinea Giovanni riferendo l’episodio del cieco nato (Gv 9). Gesù allora dichiara: «Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo» (9,5). Altrove commenta: «Chi mi segue non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (8,12); «io, la luce, sono venuto nel mondo affinché chiunque crede in me non cammini nelle tenebre» (12,46). La sua azione illuminatrice deriva da ciò che egli è in se stesso: la parola stessa di Dio, vita e luce degli uomini, luce vera che illumina ogni uomo venendo in questo mondo (1,4.9). Quindi il dramma che si intreccia attorno a lui è un affrontarsi della luce e delle tenebre: la luce brilla nelle tenebre (l,4), ed il mondo malvagio si sforza di spegnerla, perché gli uomini preferiscono le tenebre alla luce quando le loro opere sono malvagie (3,19). Infine, al momento della passione, quando Giuda esce dal cenacolo per tradire Gesù, Giovanni nota intenzionalmente: «Era notte» (13,30); e Gesù, al momento del suo arresto, dichiara: «È l’ora vostra, ed il potere delle tenebre» (Lc 22,53).
D. M. Turoldo - G. Ravasi (Opere e Giorni del Signore): Il delizioso racconto della presentazione di Gesù al tempio secondo il rituale giudaico ha al centro la modesta famiglia di Giuseppe. A lui è applicata la norma dei poveri, quella che essi va solo il sacrificio di un paio di colombe. Eppure su questa famiglia quasi ignorata dai sacerdoti del tempio di Gerusalemme si fissa l’attenzione di Dio che, attraverso due suoi profeti, Simeone ed Anna, rivela lo straordinario mistero che si nasconde in quelle tre semplici persone, Giusppe, Maria e il bambino Gesù.
Gli anziani Simeone ed Anna sono i «poveri del Signore» dell’Antico Testamento che nella loro purezza e semplicità di cuore riescono a intravedere, al di là delle apparenze, il segreto di Gesù di Nazaret. Da quel momento le nostre famiglie fedeli, pur nella modestia della loro esistenza, ricevono un bagliore di luce e di speranza perché è in una famiglia umana che Cristo si è rivelato
Giovanni Paolo II (Omelia, 2 Febbraio 1997): Quaranta giorni dopo la nascita, Gesù fu portato da Maria e Giuseppe al Tempio per essere presentato al Signore (cfr Lc 2,22), secondo quanto è scritto nella Legge di Mosè: “Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore” (Lc 2,23); e per offrire in sacrificio “una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge” (Lc 2,24).
Nel ricordare questi eventi, la liturgia segue intenzionalmente e con precisione il ritmo degli avvenimenti evangelici: la scadenza dei quaranta giorni dalla nascita di Cristo. Altrettanto farà in seguito per quanto concerne il periodo che va dalla risurrezione all’ascensione al cielo.
[...]. Entra nel Tempio di Gerusalemme l’atteso per secoli, Colui che è il compimento delle promesse dell’Antica Alleanza: il Messia annunziato. Il Salmista lo chiama “Re della gloria”. Solo più tardi diverrà chiaro che il suo Regno non è di questo mondo (cfr Gv 18,36) e che quanti appartengono a questo mondo stanno preparando per Lui, non una corona regale, ma una corona di spine.
La liturgia, tuttavia, guarda oltre. Vede in quel Bimbo di quaranta giorni la “luce” destinata ad illuminare le nazioni e lo presenta come la “gloria” del popolo d’Israele (cfr Lc 2,32). Egli è Colui che dovrà sconfiggere la morte, come annuncia la Lettera agli Ebrei, spiegando il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione: “Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’Egli ne è divenuto partecipe” (Eb 2,14), avendo assunto la natura umana.
Dopo aver descritto il mistero dell’Incarnazione, l’Autore della Lettera agli Ebrei presenta quello della Redenzione: “Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti, proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (Eb 2,17-18). Ecco una profonda e toccante presentazione del mistero di Cristo. Il brano della Lettera agli Ebrei ci aiuta a comprendere meglio perché questa venuta a Gerusalemme del neonato Figlio di Maria sia un evento decisivo per la storia della salvezza. Il Tempio fin dalla sua costruzione attendeva in un modo del tutto singolare Colui che era stato promesso. La sua venuta riveste, pertanto, un significato sacerdotale: “Ecce sacerdos magnus”; ecco, il vero ed eterno sommo Sacerdote entra nel Tempio.
Benedetto XVI (Omelia, 2 Febbraio 2013): Il bambino Gesù, che viene subito presentato al Tempio, è quello stesso che, una volta adulto, purificherà il Tempio (cfr Gv 2,13-22; Mc 11,15,19 e par.) e soprattutto farà di se stesso il sacrificio e il sommo sacerdote della nuova Alleanza.
Questa è anche la prospettiva della Lettera agli Ebrei, di cui è stato proclamato un passo nella seconda Lettura, così che il tema del nuovo sacerdozio viene rafforzato: un sacerdozio – quello inaugurato da Gesù – che è esistenziale: «Proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova» (Eb 2,18). E così troviamo anche il tema della sofferenza, molto marcato nel brano evangelico, là dove Simeone pronuncia la sua profezia sul Bambino e sulla Madre: «Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te [Maria] una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,34-35). La «salvezza» che Gesù porta al suo popolo, e che incarna in se stesso, passa attraverso la croce, attraverso la morte violenta che Egli vincerà e trasformerà con l’oblazione della vita per amore. Questa oblazione è già tutta preannunciata nel gesto della presentazione al Tempio, un gesto certamente mosso dalle tradizioni dell’antica Alleanza, ma intimamente animato dalla pienezza della fede e dell’amore che corrisponde alla pienezza dei tempi, alla presenza di Dio e del suo Santo Spirito in Gesù. Lo Spirito, in effetti, aleggia su tutta la scena della presentazione di Gesù al Tempio, in particolare sulla figura di Simeone, ma anche di Anna. È lo Spirito «Paraclito», che porta la «consolazione» di Israele e muove i passi e il cuore di coloro che la attendono. È lo Spirito che suggerisce le parole profetiche di Simeone e Anna, parole di benedizione, di lode a Dio, di fede nel suo Consacrato, di ringraziamento perché finalmente i nostri occhi possono vedere e le nostre braccia stringere «la sua salvezza» (cfr 2,30).
«Luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele» (2,32): così Simeone definisce il Messia del Signore, al termine del suo canto di benedizione. Il tema della luce, che riecheggia il primo e il secondo carme del Servo del Signore, nel Deutero-Isaia (cfr Is 42,6; 49,6), è fortemente presente in questa liturgia. Essa infatti è stata aperta da una suggestiva processione, a cui hanno partecipato i Superiori e le Superiore Generali degli Istituti di vita consacrata qui rappresentati, che portavano i ceri accesi. Questo segno, specifico della tradizione liturgica di questa Festa, è molto espressivo. Manifesta la bellezza e il valore della vita consacrata come riflesso della luce di Cristo; un segno che richiama l’ingresso di Maria nel Tempio: la Vergine Maria, la Consacrata per eccellenza, portava in braccio la Luce stessa, il Verbo incarnato, venuto a scacciare le tenebre dal mondo con l’amore di Dio.
G. Bruni (Mi chiameranno beata pp. 168-9): Anna è associata a Simeone ad indicare che non si danno testimonianza, sequela e lode che non siano contemporaneamente maschili e femminili, attente e fedeli ad ambedue i timbri. Di fatto essa è al pari di Simeone mossa dallo Spirito, quindi profetessa, e come lui, sopraggiunta al tempo stabilito, in quel momento, anche lei si mise a lodare Dio e parlare del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme, città riassunto dell’intero Israele. I due annunci si equivalgono e si completano. Infatti, e in questo sta la sfumatura, mentre Simeone attende la paràclesi o consolazione di Israele, Anna ne attende la lytròsis, la redenzione. Dall’insieme di queste due angolature traspare evidente che la salvezza apportata da Dio in quel bambino è riscatto di schiavi chiamati a divenire figli liberi e adulti, e ciò è motivo di grande consolazione, è vento che non può non essere lodato e annunciato. La voce femminile conferma e completa quella maschile. Voce di una donna di nome Anna, figlia di Fanuele della tribù di Aser. Anziana, vedova, celibe volontaria per poter dedicare tutto il suo tempo, secondo l’ideale dei salmisti, al servizio cultuale del Signore, nella preghiera e nel digiuno. Povera di spirito e di fatto, assimilata ai poveri dell’attesa, essa, in quanto ricolma di spirito, è profetessa al pari di Maria (Es 5.20), di Debora (Gdc 4.4) e di Culda (2Re 22.14).
Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
**** Un giorno santo è spuntato per noi: venite, popoli, adorate il Signore, oggi una grande luce è discesa sulla terra.
Ora nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.
Preghiamo con la Chiesa: Dio grande e misericordioso, la nuova nascita del tuo unico Figlio nella nostra carne mortale ci liberi dalla schiavitù antica, che ci tiene sotto il giogo del peccato. Per il nostro Signore Gesù Cristo...