9 Novembre 2025
 
Dedicazione della Basilica Lateranense
 
Ez 47,1-2.8-9.12 ; Salmo Responsoriale Dal Salmo 45 (46); 1Cor 3,9c-11.16-17; Gv 2,13-22
 
Colletta
O Dio, tu hai voluto chiamare tua sposa la Chiesa:
fa’ che il popolo consacrato al servizio del tuo nome
ti adori, ti ami, ti segua
e, sotto la tua guida, giunga ai beni promessi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Benedetto XVI (Angelus 9 Novembre 2008) - Pietre vive: La Parola di Dio in questa solennità richiama una verità essenziale: il tempio di mattoni è simbolo della Chiesa viva, la comunità cristiana, che già gli Apostoli Pietro e Paolo, nelle loro lettere, intendevano come “edificio spirituale”, costruito da Dio con le “pietre vive” che sono i cristiani, sopra l’unico fondamento che è Gesù Cristo, paragonato a sua volta alla “pietra angolare”(cfr. 1Cor 3,9-11.16-17; 1Pt 2,4-8; Ef 2,20-22).
“Fratelli, voi siete edificio di Dio”, scrive san Paolo e aggiunge: “santo è il tempio di Dio, che siete voi” (1Cor 3,9c.17).
La bellezza e l’armonia delle chiese, destinate a rendere lode a Dio, invita anche noi esseri umani, limitati e peccatori, a convertirci per formare un “cosmo”, una costruzione bene ordinata, in stretta comunione con Gesù, che è il vero Santo dei Santi. Ciò avviene in modo culminante nella liturgia eucaristica, in cui l’“ecclesia”, cioè la comunità dei battezzati, si ritrova unita per ascoltare la Parola di Dio e per nutrirsi del Corpo e Sangue di Cristo. Intorno a questa duplice mensa la Chiesa di pietre vive si edifica nella verità e nella carità e viene interiormente plasmata dallo Spirito Santo trasformandosi in ciò che riceve, conformandosi sempre più al suo Signore Gesù Cristo. Essa stessa, se vive nell’unità sincera e fraterna, diventa così sacrificio spirituale gradito a Dio.
Cari amici, la festa odierna celebra un mistero sempre attuale: che cioè Dio vuole edificarsi nel mondo un tempio spirituale, una comunità che lo adori in spirito e verità (cfr Gv 4,23-24). Ma questa ricorrenza ci ricorda anche l’importanza degli edifici materiali, in cui le comunità si raccolgono per celebrare le lodi di Dio. Ogni comunità ha pertanto il dovere di custodire con cura i propri edifici sacri, che costituiscono un prezioso patrimonio religioso e storico. Invochiamo perciò l’intercessione di Maria Santissima, affinché ci aiuti a diventare, come Lei, “casa di Dio”, tempio vivo del suo amore.
 
Prima Lettura: L’acqua che scaturisce da sotto la soglia del tempio ha il potere di risanare le acque del mar Morto rendendolo fecondo di abbondante pesca. Gli alberi da frutto, dalle foglie sempre verdeggianti, non cesseranno di dare i loro frutti per la cura e il sostentamento degli uomini. Il simbolo è evidentissimo: la presenza di Dio è una benedizione che si manifesta come una forza creatrice e vivificante. La visione di Ezechiele forse è «un’allusione alla leggenda in cui il corso d’acqua proveniente dall’Eden [Gen 20,10-14] che era stato arrestato dal peccato di Adamo, riapparve durante l’esodo nel deserto, l’acqua sgorgò dalla roccia in 12 correnti e finalmente riapparve nella Gerusalemme escatologica come un’unica corrente» (Anold J. Tkacik).
 
Seconda Lettura: La comunità corinzia è un tempio di Dio, perché lo Spirito divino dimora in essa. Venendo ad abitare nella comunità, lo Spirito Santo rende feconda la testimonianza apostolica e dona abbondanti frutti di santità e di salvezza. Permanere in una vita avviluppata nei vizi equivale a distruggere il santo tempio di Dio, un crimine nefando che dal Signore sarà severamente punito.
 
Vangelo
Parlava del tempio del suo corpo.
 
Gesù vuole suggerire che il suo corpo risuscitato sarà il centro del culto in spirito e verità (Cf. Gv 4,21s), il luogo della presenza divina (Cf. Gv 1,14), il tempio spirituale da dove zampilla la sorgente d’acqua viva (Cf. Gv 7,37-39; 19,34). È uno dei grandi simboli giovannei (Cf. Ap 21,22).
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 2,13-22
 
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!».
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere».  Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
 
Parola del Signore.
 
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei - Questa indicazione potrebbe rivelare una mal celata polemica verso i culti ebraici, specialmente verso la pasqua ebraica definitivamente sostituita con la pasqua cristiana. È la prima delle tre Pasque registrate dal Vangelo di Giovanni (Cf. 6,4; 11,55).
Salì a Gerusalemme, poiché Gesù proveniva da Cafarnao (Cf. Gv 2,12), una cittadina posta sotto il livello del mare mentre Gerusalemme è a circa 800 metri sul livello del mare, questa segnalazione geograficamente è esatta.
Il racconto della purificazione del Tempio e la disputa sul Tempio nel quarto Vangelo è all’inizio del ministero pubblico di Gesù, nei vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) è invece posto alla fine del ministero: l’evangelista Giovanni «l’avrebbe trasposta all’inizio, perché, mentre nei sinottici questa costituiva il motivo della condanna a morte di Gesù, nel IV vangelo il motivo ultimo di essa è costituito dalla risurrezione di Lazzaro [11,45-12,11]» (Giuseppe Segalla).
Trovò nel tempio, è il recinto sacro, che comprendeva anche il cortile dei pagani. I cambiamonete, seduti ai loro banchi, avevano l’ufficio, dietro compenso, di cambiare per gli ebrei il denaro proveniente dalle nazioni pagane riproducenti l’effige dei sovrani e per tale motivo inadatte per pagare la tassa del Tempio. A questo punto, Gesù, provoca i Giudei. A gente avvezza a tenere in mano la Sacra Scrittura, il gesto del Cristo è inequivocabile e di una portata straordinaria. Egli si pone al di sopra delle tradizioni giudaiche presentandosi come «il Figlio di Dio, perciò esigono da lui un segno - cioè un miracolo - che giustifichi il suo operato. Ci troviamo, qui, di fronte ad una richiesta tipicamente giudaica: in pratica, i Giudei non vogliono credere, ma vedere, per poi finire per negare l’evidenza ... Rifugiandosi nell’affermazione che “costui scaccia i demoni per mezzo di Belzebul, il capo dei demoni”» (G. Gambino). Gesù accetta la sfida dei Giudei e con l’immagine della distruzione e della ricostruzione del Tempio, preannuncia loro come segno la sua risurrezione.
I Giudei non afferrano il vero significato delle parole di Gesù per cui non possono non restare che beffardamente stupiti della sua pretesa di poter realizzare in tre giorni un’opera per la quale c’erano voluti ben quarantasei anni. L’equivoco, soggiacente alle parole di Gesù, annuncia una verità sconvolgente e che rivoluzionerà per sempre i destini dell’umanità: la morte e la risurrezione del «Figlio di Maria» (Mc 6,3) distruggeranno per sempre l’impero di Satana liberando l’uomo dal potere del peccato e della morte.
Il verbo greco, egheiro (lo farò risorgere), che troviamo nella frase è lo stesso usato per indicare la risurrezione di Gesù. Se negli altri testi del Nuovo Testamento è Dio che fa risorgere Gesù, nel Vangelo di Giovanni è Gesù ad avere il potere di risorgere: Figlio di Dio (Cf. Mc 1,1), Cristo Gesù, come il Padre risuscita i morti e dona la vita a chi vuole (Cf. Gv 5,21). Egli è la risurrezione e la vita, chi crede in lui, anche se muore, vivrà (Cf. Gv 11,25). Gesù ha il potere di dare la vita e di riprenderla di nuovo (Cf. Gv 10,17-18). Se nell’episodio della purificazione del Tempio, l’attestazione della divinità di Gesù è discreta e alquanto velata, questa si farà sempre più chiara con l’incalzare degli eventi tanto da entrare tra i capi d’accusa contro il giovane Rabbi di Nazaret: i Giudei «cercavano di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio» (Gv 5,18).
L’espressione tre giorni indica un periodo di tempo breve ma indefinito (Cf. Os 6,2).
Approfittando quindi di un equivoco verbale, Gesù conduce i suoi interlocutori alla realtà del suo corpo che sarà distrutto dalla morte e fatto risorgere dalla potenza di Dio il giorno di Pasqua. E ad evitare ulteriori equivoci, l’annotazione giovannea, ma egli parlava del tempio del suo corpo, toglie definitivamente ogni fraintendimento nella interpretazione del segno offerto da Gesù, il quale si presenta come il vero Tempio di Dio (Cf. Gv 1,14), cioè come la presenza di Dio tra gli uomini.
Al pari dei Giudei, anche i discepoli non comprendono, infatti soltanto quando fu risuscitato dai morti si ricordarono e credettero: «Giovanni si riferisce a quel ricordarsi e capire che fu tipico del periodo dopo la risurrezione: alla luce di quell’evento anche tutta la storia precedente si fa chiara, perfettamente logica; allora la fede dei discepoli è piena e decisa» (Carlo Buzzetti).
Più avanti (vv. 23-25), Giovanni ricorda che molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome: ma alla fede dei neo convertiti non corrisponde la fiducia di Gesù proprio perché, come annota l’evangelista, la loro fede era basata sui segni. Praticamente, una fede in «Gesù taumaturgo. Gesù conosce il cuore dell’uomo [1,42-27; 6,70-71] e perciò non si fida di questa fede, anche se essa alle volte può arrivare alla perfezione, come accadde al cieco nato e allo stesso Nicodemo, che viene ovviamente considerato uno di coloro che credettero in Gesù per i segni da lui operati» (Giuseppe Segalla).
 
Salvatore Alberto Panimolle - L’umanità di Gesù è il luogo della presenza di Dio: Il brano del segno del tempio ci insegna anche che il Verbo incarnato è il luogo d’incontro dell’uomo con Dio. Il corpo di Cristo infatti è il tempio della presenza di Dio tra gli uomini; in esso i fedeli incontrano il loro Dio.
Attraverso l’umanità del figlio di Dio noi raggiungiamo il Padre celeste.
Nel Verbo incarnato noi troviamo Dio. «Io e il Padre siamo una cosa sola», proclama il Maestro (Gv 10, 30). L’uomo Gesù è l’unica via per andare dal Padre: «Io sono la via ..., nessuno può andare verso il Padre se non per mezzo di me» (Gv 14, 6). Gesù è nel Padre e il Padre vive in Gesù (cf. Gv 14, 10). Quindi l’umanità del Verbo incarnato è realmente il luogo della presenza di Dio sulla terra, è il tempio nel quale dimora e vive il Padre celeste.
Ma noi, sappiamo incontrare Dio in Gesù, presente sulla terra soprattutto nella sua parola, nell’eucaristia e nei fratelli, specialmente nei poveri, i sofferenti e gli emarginati? La sacra scrittura per noi rappresenta realmente il luogo d’incontro con il Padre celeste? La celebrazione eucaristica ci mette veramente in contatto personale con Dio attraverso il suo Cristo? Nei poveri, nei piccoli, nei sofferenti vediamo realmente il Signore Gesù?
Crediamo seriamente alla presenza del Cristo nei fratelli affamati, assetati, pellegrini, nudi, infermi, diseredati, senza tetto e disoccupati?
Le espressioni di Gesù: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dissetato, ero forestiero e mi avete accolto, ero nudo e mi avete vestito, ero malato e mi avete visitato, ero in ‘carcere e siete venuti da me» (Mt 25, 35s), sono per noi pura letteratura oppure c’impegnano seriamente nella nostra vita? La parola di Gesù: «Quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto a me» (Mt 25, 40), ispira realmente la nostra azione e la nostra condotta?
In merito ricordiamo il pensiero del concilio Vaticano II: la chiesa rivela la presenza di Dio nel mondo con la carità: «La chiesa ha il compito di rendere presenti e quasi visibili Dio Padre e il Figlio suo incarnato, rinnovando se stessa e purificandosi senza posa sotto la guida dello Spirito santo. Ciò si otterrà anzitutto con la testimonianza di una fede viva e matura ... A rivelare la presenza di Dio contribuisce, infine, moltissimo la carità fraterna dei fedeli, che unanimi nello spirito lavorano insieme per la fede del vangelo e si mostrano quale segno di unità» (Gaudium et spes 21).
 
Marie Èmile Boismard (Dizionario di Teologia Biblica) - Le acque escatologiche: 1. Il tema dell’acqua occupa un grande posto nelle prospettive di restaurazione del popolo di Dio. Dopo il raduno di tutti i dispersi, Dio diffonderà con abbondanza le acque purificatrici, che laveranno il cuore dell’uomo per permettergli di osservare fedelmente tutta la legge di Jahve (Ez 36,24-27). Quindi non ci sarà più maledizione né siccità: Dio «darà la pioggia a suo tempo» (Ez 34,26), pegno di prosperità (Ez 36,29 s). Le sementi germoglieranno, assicurando il pane in abbondanza; i pascoli saranno fertili (Is 30,23 s). Il popolo di Dio sarà condotto verso le sorgenti gorgoglianti, fame e sete spariranno per sempre (Gen 31,9; Is 49,10).
Al termine dell’esilio a Babilonia, il ricordo dell’esodo si mescola sovente a queste prospettive di restaurazione. Il ritorno sarà effettivamente un nuovo esodo, con prodigi ancora più splendidi. Un tempo Dio, per mano di Mosè, aveva fatto sgorgare l’acqua dalla roccia per spegnere la sete del suo popolo (Es 17,1-7; Num 20,1-13; Sal 78,16.20; 114,8; Is 48,21). Ormai Dio rinnoverà questo prodigio (Is 43,20), e con una tale magnificenza che il deserto sarà mutato in frutteto fertile (Is 41,17-20), il paese della sete in sorgenti (Is 35,6 s). Gerusalemme, termine di questo pellegrinaggio, possiederà una fonte perenne. Un fiume uscirà dal tempio per scorrere verso il Mar Morto; diffonderà vita e salute lungo tutto il suo corso, e gli alberi cresceranno sulle rive, dotati d’una fecondità meravigliosa: sarà il ritorno della felicità paradisiaca (Ez 47,1-12; cfr. Gen 2,10-14). Il popolo di Dio troverà in queste acque la purezza (Zac 13,1), la vita (Gioe 4,18; Zac 14,8), la santità (Sal 46,5).
2. In queste prospettive escatologiche l’acqua riveste d’ordinario un valore simbolico. Di fatto Israele non ferma il suo sguardo alle realtà materiali, e la felicità che intravede non è soltanto prosperità carnale. L’acqua che Ezechiele vede uscire dal tempio simboleggia la potenza vivificatrice di Dio, che si diffonderà nei tempi messianici e permetterà agli uomini di portare frutto in pienezza (Ez 47,12; Ger 17,8; Sal 1,3; Ez 19,10 s). In Is 44,3 ss, l’acqua è il simbolo dello spirito di Dio, capace di trasformare un deserto in fiorente frutteto, ed il popolo infedele in vero «Israele». Altrove la parola di Dio è paragonata alla pioggia che viene a fecondare la terra (Is 55,10 s; cfr. Am 8,11 s), e la dottrina che la sapienza dispensa è un’acqua vivificatrice (Is 55,1; Eccli 15,3; 24,25-31). In breve, Dio è la fonte di vita per l’uomo e gli dà la forza di fiorire nell’amore e nella fedeltà (Ger 2,13; 17,8). Lontano da Dio, l’uomo non è che una terra arida e senza acqua, votata alla morte (Sal 143,6); egli quindi sospira verso Dio come la cerva anela all’acqua viva (Sal 42,2 s). Ma se Dio è con lui, egli diventa come un giardino che possiede in sé la fonte stessa che lo fa vivere (Is 58,11).
 
Bonaventura: In Jo., II. - Lo zelo per la tua casa mi divorerà: Lo zelo della tua casa mi consuma: ci si chiede come si possa dire che in Cristo ci fu dello zelo. Infatti se lo zelo comporta l’ira e l’ira il turbamento, in Cristo non vi poté essere turbamento, dunque neppure zelo …
Lo zelo però può essere inteso in due modi, uno come turbamento dell’anima, com’è l’ira, e questo non fu in Cristo, come dice Isaia (42,4): Non sarà né triste, né turbolento.
L’altro modo è identico all’amore fervente, e questo ci fu in Cristo, per cui dice Agostino nella Glossa: Lo zelo buono è il fervore dell’animo con cui la mente, rimosso ogni timore umano, s’accende per la difesa della verità.
 
Il Santo del Giorno - 9 Novembre 2025 - Dedicazione della Basilica Lateranense: La Basilica sorse nel IV secolo nella zona allora nota come Horti Laterani, un antico possedimento fondiario della famiglia dei Laterani confiscato ed entrato a far parte delle proprietà imperiali al tempo di Nerone. Il terreno e il palazzo che vi sorgeva pervennero all’imperatore Costantino quando questi sposò nel 307 la sua seconda moglie Fausta. Nella lotta per conquistare il potere su Roma, Costantino, nel 312, si scontrerà, nella battaglia di Ponte Milvio, con Massenzio che si era autoproclamato imperatore romano nel 306. La vittoria arrise a Costantino e la tradizione cristiana fa risalire la vittoria a una visione premonitrice che nel motto in hoc signo vinces avrebbe spinto l’Imperatore Costantino a dipingere il simbolo cristiano della croce sugli scudi  dei propri soldati.
Vittorioso, Costantino avrebbe donato, in segno di gratitudine a Cristo, gli antichi terreni e la residenza dei Laterani al vescovo di Roma, in una data incerta, ma associabile al papato di Milziade (310-314). Su questi terreni venne edificata quindi la primitiva basilica, consacrata da Milziade al Redentore, all’indomani dell’editto di Milano dell’anno 313 che legalizzava il Cristianesimo. Nella domus, divenuta sede papale, si tenne in quello stesso anno il Concilio con cui venne dichiarato eresia il donatismo. La dedicazione ufficiale della basilica al Santissimo Salvatore fu compiuta però da papa Silvestro I nel 324, che dichiarò la chiesa e l’annesso Palazzo del Laterano Domus Dei (Casa di Dio).
 
O Dio, che hai fatto della tua Chiesa
il segno visibile della Gerusalemme celeste,
per la partecipazione a questo sacramento
trasformaci in tempio vivo della tua grazia,
perché possiamo entrare nella dimora della tua gloria.
Per Cristo nostro Signore.