6 Novembre 2025
Giovedì XXXI Settimana T. O.
Rm 14,7-12; Sal 26 (27); Lc 15,1-10
Colletta:
Dio onnipotente e misericordioso,
tu solo puoi dare ai tuoi fedeli
il dono di servirti in modo lodevole e degno;
fa’ che corriamo senza ostacoli verso i beni da te promessi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Dio è gioioso: Papa Francesco (Angelus, 15 Settembre 2013): Nella Liturgia di oggi si legge il capitolo 15 del Vangelo di Luca, che contiene le tre parabole della misericordia: quella della pecora smarrita, quella della moneta perduta, e poi la più lunga di tutte le parabole, tipica di san Luca, quella del padre e dei due figli, il figlio “prodigo” e il figlio, che si crede “giusto”, che si crede santo. Tutte e tre queste parabole parlano della gioia di Dio. Dio è gioioso. Interessante questo: Dio è gioioso! E qual è la gioia di Dio? La gioia di Dio è perdonare, la gioia di Dio è perdonare! È la gioia di un pastore che ritrova la sua pecorella; la gioia di una donna che ritrova la sua moneta; è la gioia di un padre che riaccoglie a casa il figlio che si era perduto, era come morto ed è tornato in vita, è tornato a casa. Qui c’è tutto il Vangelo! Qui! Qui c’è tutto il Vangelo, c’è tutto il Cristianesimo! Ma guardate che non è sentimento, non è “buonismo”! Al contrario, la misericordia è la vera forza che può salvare l’uomo e il mondo dal “cancro” che è il peccato, il male morale, il male spirituale. Solo l’amore riempie i vuoti, le voragini negative che il male apre nel cuore e nella storia. Solo l’amore può fare questo, e questa è la gioia di Dio!
I Lettura: Vincenzo Raffa (Liturgia Festiva): Il nostro nascere e il nostro morire non sono più il fenomeno comune a tutti gli individui della specie animale. Sono un mistero di partecipazione dinamica all’attività di Cristo. Nasciamo, operiamo e moriamo per l’edificazione del Regno di Dio, che è il regno nel quale Cristo è re e ognuno diventa parimenti partecipe della sua regalità.
Vangelo
Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte.
Gesù accoglie i peccatori e mangia con loro e questo gli procura critiche e mormorazioni. L’amore per i peccatori, gli ultimi, i reietti, è uno dei punti di costante tensione fra Gesù e i suoi avversari. Nel vangelo di oggi vengono proclamate le parabole della moneta perduta e ritrovata e la parabola della pecora ritrovata dal pastore. Pastore e gregge sono un tema classico dell’Antico Testamento. Il ritrovamento della pecora smarrita è un tratto abituale della salvezza (Mi 4,6-7; Ez 34,11-16; Ger 23,1-4). Dio è il pastore che si oppone ai capi del popolo che sono “cattivi” pastori: cercano e difendono se stessi anziché servire il gregge e avere compassione di coloro che si smarriscono. In tutte e due le parabole viene messa in evidenza la gioia di Dio per la conversione del peccatore. La gioia è un altro tema ricorrente nel vangelo di Luca.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 15,1-10
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Parola del Signore.
La Bibbia di Navarra: 1-2. Non è la prima volta che pubblicani e peccatori si avvicinano a Gesù (cfr Mt 9,10). La predicazione del Signore attraeva per la sua semplicità e per le esigenze di abnegazione di amore ad essa proprie. I farisei erano pertanto invidiosi di Gesù, vedendo che il popolo andava dietro di lui (cfr Mt 26,3-5; Gv 11,47). Questo atteggiamento farisaico può rinvenirsi anche tra i cristiani: una durezza di giudizio tale da non ammettere che un peccatore, per quanto gravi siano stati i suoi peccati, possa convertirsi diventare santo; una cecità mentale così funesta da impedire di riconoscere il bene fatto dagli altri e rallegrarsene. Già il Signore Gesù aveva respinto questo erroneo atteggiamento quando, ai discepoli che si erano lamentati perché anche altri scacciavano i demòni nel suo nome, rispose: «Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me» (Mc 9,39). Pure san Paolo si rallegrava che altri annunziassero Cristo; anzi, purché il Signore fo se annunziato, era disposto perfino a sorvolare sul fatto che lo facessero per interesse (cfr Fil 1,17-18).
5-6. La tradizione cristiana, fondata anche su altri passi evangelici (cfr Gv 10,11), riferisce questa parabola a Cristo, il buon Pastore, che si pone alla ricerca affannosa della pecora smarrita, struggendosi per la sua assenza: il Verbo, poiché l’umanità ha perduto la via a causa del peccato, le va incontro nell’Incarnazione. Al riguardo, commenta san Gregorio Magno: «Cristo pone la pecorella sulle spalle quando, assumendo l’umana natura. portò il peso delle nostre colpe» (In Evangelia homiliae, 34,3).
Il Concilio Vaticano II applica questi versetti di san Luca alla cura pastorale cui sono tenuti i sacerdoti: «Si ricordino, nella loro quotidiana condotta e sollecitudine, di presentare ai fedeli e agli infedeli, ai cattolici e ai non cattolici, l’immagine di un ministero veramente sacerdotale e pastorale, e che devono rendere a tutti la testimonianza della verità e della vita e, come buoni pastori, ricercare anche quelli che, sebbene battezzati nella Chiesa cattolica, hanno abbandonato la pratica dei scarnenti, o persino la fede» (Lumen gentium, n. 28). Ma una cura analoga, vissuta fraternamente, incombe a ogni fedele cristiano, che deve aiutare gli uomini suoi fratelli nel cammino della salvezza e della santificazione.
7. Queste parole non vogliono dire affatto che il Signore non apprezzi la perseveranza dei giusti, ma esprimono icasticamente la gioia di Dio e dei beati per il peccatore che si converte. Sono un esplicito richiamo al pentimento, e a non dubitare mai del perdono di Dio: «Un’altra caduta ... , e che caduta! ... Disperarti? No: umiliati e ricorri per mezzo di Maria, tua Madre, all’Amore Misericordioso di Gesù. - Un miserere e in alto il cuore! - Si ricomincia di nuovo» (Cammino n.711).
Vi sarà gioia nel cielo - La gioia è il filo conduttore delle due parabole raccontate da Luca. Un elemento essenziale nella riflessione di queste due parabole è la consapevolezza della gioia di Dio. L’atteggiamento di Dio si manifesta, dunque, non nel rimprovero, che sarebbe giusto e motivato secondo la logica umana, ma nella gioia per la pecorella e la monetina ritrovate. E questa gioia divina che esplode “nel cielo” e “davanti agli angeli”, è l’aspetto più stupefacente, e consolante, dell’esperienza intensa della riconciliazione con Dio. Con l’incarnazione di Cristo la gioia invade la faccia della terra come un fiume in piena. In Gesù le promesse si adempiono e il regno di Dio viene inaugurato nella gioia. Giovanni Battista esulta di gioia nel grembo della madre all’avvicinarsi del Redentore (Lc 1,44): è l’amico dello sposo che esulta di gioia alla voce dello sposo (Gv 3,28). Maria esprime i suoi sentimenti nel Magnificat che è il canto della gioia per eccellenza: «Vicina al Cristo, essa ricapitola in sé tutte le gioie, essa vive la gioia perfetta promessa alla Chiesa: Mater plena sanctae laetitiae, e giustamente i suoi figli qui in terra, volgendosi verso colei che è madre della speranza e madre della grazia, la invocano come la causa della loro gioia: Causa nostrae laetitiae» (Paolo VI). Per il cristiano, la gioia è il frutto dello Spirito Santo (Gal 5,22) ed è l’elemento fondante del regno di Dio (Rom 14,17). La gioia cristiana nasce dalla carità (1Cor 13,6), dalla fede (1Pt 1,3-9; Fil 1,25), dalla speranza e dalla preghiera perseverante (Rom 12,12; 15,13). Si irrobustisce nelle prove e nelle persecuzioni procurando una quantità smisurata ed eterna di gloria (2Cor 4,17). Pur «afflitto da varie prove», il cristiano esulta di «indicibile gioia» (1Pt 1,8); vive nella gioia e la manifesta a tutti gli uomini: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! » (Fil 4,4-5). La gioia cristiana diventa così per gli uomini il segno reale della venuta del Signore e del suo perdono.
La parabola nel vangelo - Daniel Sesbüé - Il mistero del regno e della persona di Gesù è talmente nuovo che anch’esso non può manifestarsi se non gradualmente, e secondo la ricettività diversa degli uditori. Perciò Gesù, nella prima parte della sua vita pubblica, raccomanda a suo riguardo il «segreto messianico», posto in così forte rilievo da Marco (1, 34. 44; 3, 12; 5, 43 ...). Perciò pure egli ama parlare in parabole che, pur dando una prima idea della sua dottrina, obbligano a riflettere ed hanno bisogno di una spiegazione per essere perfettamente comprese. Si perviene così a un insegnamento a due livelli, ben sottolineato da Mc 4, 33-34: il ricorso a temi classici (il re, il banchetto, la vite, il pastore, le semine...) mette sulla buona strada l’insieme degli ascoltatori; ma i discepoli hanno diritto a un approfondimento della dottrina, impartito da Gesù stesso. I loro quesiti ricordano allora gli interventi dei veggenti nelle apocalissi (Mt 13, 10-13. 34 s 36. 51; 15, 15; cfr. Dan 2, 18 ss; 7, 16). Le parabole appaiono così una specie di mediazione necessaria affinché la ragione si apra alla fede: più il credente penetra nel mistero rivelato, più approfondisce la comprensione delle parabole; viceversa, più l’uomo rifiuta il messaggio di Gesù, più gli resta interdetto l’accesso alle parabole del regno. Gli evangelisti sottolineano appunto questo fatto quando, colpiti dalla ostinazione di molti Giudei di fronte al vangelo, rappresentano Gesù che risponde ai discepoli con una citazione di Isaia: le parabole mettono in evidenza l’accecamento di coloro che rifiutano deliberatamente di aprirsi al messaggio di Cristo (Mt 13, 10-15 par.).
Tuttavia, accanto a queste parabole affini alle apocalissi, ce ne sono di più chiare che hanno di mira insegnamenti morali accessibili a tutti (così Lc 8, 16 ss; 10, 30-37; 11, 5-8).
L’interpretazione della parabole - Se ci si pone in questo contesto biblico ed orientale in cui Gesù parlava, e si tiene conto della sua volontà di insegnamento progressivo, diventa più facile interpretare le parabole. La loro materia sono i fatti umili della vita quotidiana, ma anche, e forse soprattutto, i grandi avvenimenti della storia sacra. I loro temi classici, facilmente reperibili, sono già pregni di significato per il loro sfondo di VT, al momento in cui Gesù se ne serve. Nessuna inverosimiglianza deve stupire nei racconti composti con libertà ed interamente ordinati all’insegnamento; il lettore non dev’essere urtato dall’atteggiamento di taluni personaggi presentati per evocare un ragionamento a fortiori od a contrario (ad es. Lc 6, 1-8; 18, 1-5). Ad ogni modo bisogna anzitutto mettere in luce l’aspetto teocentrico, e più precisamente cristocentrico, della maggior parte delle parabole. Qualunque sia la misura esatta dell’allegoria, in definitiva il personaggio centrale deve per lo più evocare il Padre celeste (Mt 21, 28; Lc 15, 11), o Cristo stesso - sia nella sua missione storica (il «seminatore» di Mt 13, 3. 24. 31 par.), sia nella sua gloria futura (il «ladro» di Mt 24, 43; il «padrone» di Mt 25, 14; lo «sposo» di Mt 25, 1); e quando ve ne sono due, sono il Padre ed il Figlio (Mt 20, 1-16; 21, 33. 37; 22, 2). Infatti l’amore del Padre testimoniato agli uomini con l’invio del suo Figlio è la grande rivelazione portata da Gesù. A questo servono le parabole che mostrano il compimento perfetto che il nuovo regno dà al disegno di Dio sul mondo.
Tauler (Predica per la terza domenica dopo la Trinità): ... e i farisei e gli scribi mormoravano ... : essi appartenevano a quella categoria di persone che appaiono molto buone, praticano esercizi spirituali, fanno opere buone e offrono alla gente un’ottima impressione. In realtà sono ipocriti, pieni della propria volontà, amano se stessi e le loro proprietà e sono superbi. G li uomini di questa categoria sono essi pure dei grandi peccatori, ma non si ritengono tali ... Dio non fa alcun conto di questa gente pervertita, non vi pensa, non la conosce come dice il Vangelo: Non vi conosco (Mt. 7,23; Mt. 25,12).
Il Santo del Giorno - 6 Novembre 2025 - Beata Cristina di Stommeln: Dopo aver avuto nel 1247 - a 5 anni - una visione di Gesù Bambino, la beata Cristina di Stommeln, vicino a Colonia, sfuggì dodicenne a un matrimonio combinato ed entrò in un convento di Beghine. Quindicenne ricevette le stimmate a mani e piedi e i segni della corona di spine sul capo. Fu tentata più volte dal demonio, fin sull’orlo del suicidio. I segni esteriori di tali esperienze fecero credere alle Beghine che fosse pazza, perciò la allontanarono. Ebbe poi come guida spirituale Pietro di Dacia, un Domenicano allievo di Alberto Magno (anche un fratello di Cristina entrò nell’ordine). Nell’anno della morte di Pietro gli assalti del demonio cessarono e Cristina visse in pace fino al 1312, sempre indossando l’abito delle Beghine. (Avvenire)
La partecipazione ai santi misteri, o Signore,
ci comunichi lo spirito di fortezza
che rese san Carlo fedele nel ministero
e ardente nella carità verso i fratelli.
Per Cristo nostro Signore.