4 Novembre 2025
San Carlo Borromeo, Vescovo
Rm 12,5-16a; Salmo Responsoriale Dal Salmo 130 (131); Lc 14,12-14
Colletta
Custodisci nel tuo popolo, o Signore,
lo spirito di cui hai ricolmato il vescovo san Carlo [Borromeo],
perché la Chiesa si rinnovi incessantemente
e, conformandosi all’immagine del tuo Figlio,
manifesti al mondo il volto di Cristo Signore.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo ... - Benedetto XVI (Omelia, 12 Ottobre 2008): Il Vangelo con la parabola del banchetto nuziale ci fa riflettere sulla risposta umana. Alcuni invitati della prima ora hanno rifiutato l’invito, perché attratti da diversi interessi [...]. Il re però non si scoraggia e invia i suoi servi a cercare altri commensali per riempire la sala del suo banchetto. Così il rifiuto dei primi ha come effetto l’estensione dell’invito a tutti, con una predilezione speciale per i poveri e i diseredati. È quanto è avvenuto nel Mistero pasquale: lo strapotere del male è sconfitto dall’onnipotenza dell’amore di Dio. Il Signore risorto può ormai invitare tutti al banchetto della gioia pasquale, fornendo Egli stesso ai commensali la veste nuziale, simbolo del dono gratuito della grazia santificante. Alla generosità di Dio deve però rispondere la libera adesione dell’uomo. È proprio questo il cammino generoso che hanno percorso anche coloro che oggi veneriamo come santi. Nel battesimo essi hanno ricevuto l’abito nuziale della grazia divina, lo hanno conservato puro o lo hanno purificato e reso splendido nel corso della vita mediante i Sacramenti. Ora prendono parte al banchetto nuziale del Cielo. Della festa finale del Cielo è anticipazione il banchetto dell’Eucaristia, a cui il Signore ci invita ogni giorno e al quale dobbiamo partecipare con l’abito nuziale della sua grazia. Se capita di sporcare o addirittura lacerare col peccato questa veste, la bontà di Dio non ci respinge né ci abbandona al nostro destino, ma ci offre con il sacramento della Riconciliazione la possibilità di ripristinare nella sua integrità l’abito nuziale necessario per la festa.
I Lettura - L’apostolo Paolo dopo aver presupposto la dottrina della Chiesa come corpo mistico, e dopo aver ricordato che il “fatto di possedere dei «carismi», anziché essere motivo di orgoglio, deve piuttosto indurre a sentimenti di responsabilità e quasi di trepidazione” (Settimio Cipriani [Le Lettere di Paolo]), raccomanda ai cristiani di Roma “la «carità» soprattutto verso i «fratelli» (v. 10), sottolineandone anche le più delicate sfumature: carità «sincera», «affettuosa», «sollecita», «fervente», «perdonante», «ospitale», che «previene» perfino nei segni di stima e di «onore» e ci fa partecipare alle . gioie o ai dolori degli altri come se fossero nostri: «Gioire con chi gioisce, piangere con chi piange!» (v. 15). Le grandi «aspirazioni» poi avvelenano la carità e ci fanno ingiusti verso i fratelli: «Lasciatevi’ invece attirare dalle cose umili» (v. 16).
Indispensabile alimento della carità sono la «speranza», sempre gioiosa, dei beni futuri, la «pazienza» e lo spirito di «preghiera» (v. 12). 17-21 L’orizzonte della carità si allarga: non soltanto i fratelli nella fede (i «santi»: v. 13), ma anche gli estranei («tutti gli uomini»: v. 18) e soprattutto i nemici (cfr. v. 14) vengono abbracciati dal suo caldo palpito di fraternità.
«A nessuno rendete male per male» (v. 17), né «fatevi giustizia da voi stessi» (v. 19): Iddio saprà dare a ciascuno il suo (cfr. Ebr. 10, 30). Il vero modo di piegare il nemico è quello di dimostrargli amore e comprensione, soprattutto nel bisogno: di fronte a tale generosità egli sarà indotto al «rimorso» e al ravvedimento (v. 20). Tale è il senso della frase ripresa dai Proverbi 25, 22: «Accumulerai carboni ardenti sulla sua testa», la quale perciò non deve intendersi come preannuncio di castighi da parte di Dio. Il passo di Prov. 3, 4, al v. 17, è citato secondo i Settanta”(Settimio Cipriani [Le Lettere di Paolo]).
Vangelo
Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia.
Gesù si era recato a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare, e lì aveva dato una magistrale lezione sulla umiltà e sulla generosità. A questo insegnamento fa seguito l’esultanza di uno dei commensali, gioia mista a un grande desiderio: Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!. L’espressione regno di Dio nella sacra Scrittura si riferisce al regno o alla sovranità di Dio su tutte le cose, e tutti i giusti anelavano entrarvi, ma spesso dimenticavano o ignoravano il come entrarci. Così Gesù approfitta dell’occasione offertagli dal commensale per spiegare come si entra nel regno di Dio, e si rivolge senza timore ai farisei che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri (Lc 18,9). Il significato della parabola del grande banchetto è tersa come la luce del sole: chi ha declinato l’invito, accampando mille scuse, è il popolo d’Israele, ad entrare saranno i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi, cioè tutti coloro che dai farisei erano disprezzati e considerati gli ultimi del popolo eletto. Ma nelle parole di Gesù si può cogliere anche mestizia intrisa a sofferenza: infatti, non c’è “gioia finale nel fatto di aver riempito la casa con i secondi e i terzi invitati. C’è piuttosto l’amarezza perché i primi non hanno accolto l’invito e sono stati esclusi, non solo dal banchetto, ma anche dalla casa” (Il Nuovo Testamento, Ed. Paoline).
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 14,15-24
In quel tempo, uno dei commensali, avendo udito questo, disse a Gesù: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!».
Gli rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. All’ora della cena, mandò il servo a dire agli invitati: “Venite, è pronto”. Ma tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Mi sono appena sposato e perciò non posso venire”.
Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: “Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi”.
Il servo disse: “Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto”. Il padrone allora disse al servo: “Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena”».
Parola del Signore.
Un uomo diede una grande cena e fece molti invitii - Giuliano Vigini (Dizionario del Nuovo Testamento): Il banchetto è chiaramente una metafora del regno di Dio, che viene rifiutato dai destinatari ufficiali, invitati per primi (il popolo d’Israele in genere e, più specificamente, i capi giudei, gli scribi e i farisei), e che viene invece accolto da altri, invitati in un secondo tempo (gli abbandonati, gli emarginati, gil ultimi). Il monito, l’esortazione e l’insegnamento della parabola è di non autoescludersi colpevolmente dal Regno, rifiutando, trascurando o sottovalutando il dono prezioso dell’invito di Dio, ma di rispondere prontamente alla sua chiamata e a quella di coloro che annunciano il suo vangelo. Tutti, “sia cattivi che buoni” (Mt 22,10), sono chiamati al regno di Dio, perché nessuno è ignorato e per ciascuno, in qualche momento, si spalanca una porta. Ma, nel giorno del giudizio finale, non basterà aver accolto l’invito, ma essersene mostrati degni con un impegno di fede coerente e perseverante nel corso della vita. Al banchetto, infatti, si accede con l’“abito nuziale” (Mt 22,11-13), vestiti cioè come si conviene ad una cerimonia di nozze: metaforicamente, il grande giorno dell’incontro col Padre attraverso il Figlio suo, Gesù.
Al suo ritorno il servo ... - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): vv. 21-22 Il rifiuto dell’invito all’ultimo momento rappresentava una vera villania. In Luca il padrone di casa si adira per il rifiuto dei primi invitati, ma non fa nulla contro di loro per rappresaglia, mentre secondo Mt (22,7) ordina la distruzione della loro città. La sua magnanimità davvero sorprendente, manifestata nell’invito alla cena degli emarginati, al di fuori d’ogni comportamento normale, lascia trasparire l’immagine del Padre celeste, la cui bontà supera ogni aspettativa umana. Nella redazione lucana «i poveri e storpi e ciechi e zoppi», raccolti nei vicoli della città, rappresentano i peccatori, gli esclusi dalle assemblee religiose giudaiche, perché considerati indegni o puniti da Dio.
v. 23 Gli altri invitati raccolti «per le vie e lungo le siepi», che sono presupposte fuori della città, simboleggiano i pagani. Luca «guarda retrospettivamente agli inizi della missione e giustifica questo passo con il riferimento alla nuova situazione creatasi all’interno della sala del banchetto» (Ernst, II, p. 628). La chiesa era ormai costituita in prevalenza da pagani convertiti. Il famoso «compelle intrare» (v. 23) non va inteso come una costrizione a entrare nella comunità cristiana. Si tratta di un semplice dettaglio letterario, che si riferisce ai convenevoli tipicamente orientali, per sforzare qualcuno, che per gentilezza opponeva qualche resistenza per un invito, considerato troppo onorevole. Forse viene anche espressa l’ineluttabilità del compimento del piano salvifico di Dio, nonostante le resistenze dell’uomo e il rifiuto dei giudei al suo invito definitivo, fatto per mezzo di Gesù.
v. 24 E la conclusione solenne che riporta la sentenza condannatoria di Gesù nei confronti di coloro che hanno rifiutato il messaggio del vangelo.
Le scuse e i prescelti - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): Gli invitati della parabola non sono pronti. Apparentemente hanno cose più importanti da fare e così trascurano ciò che più urge. Si danno a cose secondarie e perdono l’essenziale. La scusa che porta il primo è il materialismo della vita. Un pezzo di terra che ha comprato è per lui più importante dell’invito onorifico. Israele vuole un Messia che gli porti benessere terreno. Ancora una volta, pane e divertimento sono, per il popolo, più importanti della religione. Anche nella Chiesa ce ne sono a migliaia di quelli a cui importa di più possedere i beni materiali che possedere il regno di Dio. La terra è per essi più importante del cielo, il denaro più importante dello spirito, il tempo più importante dell’eternità.
La scusa che porta il secondo, è il lavoro. Egli deve provare i buoi che ha comprati. Avrebbe proprio interesse a venire, ma sarà per un’altra volta. Ora non ha proprio tempo disponibile. Questi uomini s’incontrano sempre e dappertutto. Sono schiavi del lavoro. La loro anima non è più libera. Trascinati nel vortice d’una attività senza soste, non hanno il tempo e l’agio di occuparsi delle cose terrene e di pensare al vero scopo della loro vita. L’attività inquieta e febbrile li perde e li uccide.
La terza scusa è il sesso e l’amore. Il sesso presso costoro ancora una volta è più forte delle esigenze religiose. L’istintività tiene schiavi molti uomini. Essi si abbandonano totalmente alla sensualità e non resta in essi più posto per lo spirito. La religione fa loro l’effetto d’una voce estranea e d’una realtà sconosciuta.
Nonostante tutto, il regno di Dio la spunta. Gesù stesso pratica ora quello che nel testo precedente ha raccomandato a chi invita ad un festino. Al banchetto sono invitati « poveri e storpi, ciechi e zoppi ». La povera gente, disprezzata dai dottori della legge, trova la strada del regno di Dio. Quelli che i farisei considerano rifiuti, sono in realtà i prescelti. Un secondo invito - questa volta fuori, per i viottoli e lungo le siepi - è diramato agli estranei, ai lontani, a coloro che erano esclusi. La caduta d’Israele ha per effetto la missione ai popoli pagani. Essi vengono numerosi. Paolo parla di questo mistero nella lettera ai Romani. Secondo l’immagine di cui si serve in quella lettera, Israele è il tronco d’ulivo dal quale germoglia il nuovo popolo di Dio non più legato a razze o confini. Infatti su di questo albero vengono innestati i rami dei popoli pagani, e così esso porta fiori e frutti, come mai ci si sarebbe aspettati. Siamo qui di fronte al mistero della scelta divina.
È un avvertimento che vale anche per i cristiani. Al banchetto celeste del regno di Dio mancheranno uomini, di cui ci si dovrebbe attendere la presenza: papi, vescovi, sacerdoti, monaci, monache, membri di primo piano delle organizzazioni cattoliche, uomini che hanno avuto posti di responsabilità nella Chiesa e donne facenti parte di opere di beneficenza; parte di costoro li si cercherà invano nel regno dei cieli. Vi si troveranno invece uomini che non ci si aspettava, uomini che non hanno fatto parte visibilmente della Chiesa, e che tuttavia sono stati interiormente uniti a Cristo, senza che conoscessero nulla della Chiesa
Agostino: Sermo 112.8: Esci nelle vie e lungo le siepi, spingili ad entrare, affinché la mia casa sia piena: qui troveranno la pace, poiché quelli che costruiscono siepi cercano le divisioni. Vengano trascinati via dalle siepi, vengano separati a forza dalle spine (cioè dalle sofferenze). Sono attaccati alle siepi e non vogliono essere spinti via. “Entreremo” - dicono - “di nostra propria volontà”.
Non è questo che ha ordinato il Signore: Spingeteli ad entrare, disse. Questa necessità esterna, farà nascere la volontà interiore.
Il Santo del Giorno - 4 Novembre 2025 - San Carlo Borromeo, Vescovo: Nato nel 1538 nella Rocca dei Borromeo, sul Lago Maggiore, era il secondo figlio del Conte Giberto e quindi, secondo l’uso delle famiglie nobiliari, fu tonsurato a 12 anni. Studente brillante a Pavia, venne poi chiamato a Roma, dove venne creato cardinale a 22 anni. Fondò a Roma un’Accademia secondo l’uso del tempo, detta delle «Notti Vaticane». Inviato al Concilio di Trento, nel 1563 fu consacrato vescovo e inviato sulla Cattedra di sant’Ambrogio di Milano, una diocesi vastissima che si estendeva su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere. Un territorio che il giovane vescovo visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli. Fondò seminari, edificò ospedali e ospizi. Utilizzò le ricchezze di famiglia in favore dei poveri. Impose ordine all’interno delle strutture ecclesiastiche, difendendole dalle ingerenze dei potenti locali. Un’opera per la quale fu obiettivo di un fallito attentato. Durante la peste del 1576 assistette personalmente i malati. Appoggiò la nascita di istituti e fondazioni e si dedicò con tutte le forze al ministero episcopale guidato dal suo motto: «Humilitas». Morì a 46 anni, consumato dalla malattia il 3 novembre 1584. (Avvenire)
La partecipazione ai santi misteri, o Signore,
ci comunichi lo spirito di fortezza
che rese san Carlo [Borromeo] fedele nel ministero
e ardente nella carità verso i fratelli.
Per Cristo nostro Signore.
e ardente nella carità verso i fratelli.
Per Cristo nostro Signore.