3 Novembre 2025
Lunedì XXXI Settimana T. O.
Rm 11,29-36; Salmo Responsoriale Dal Salmo 68 (69); Lc 14,12-14
Colletta
Dio onnipotente e misericordioso,
tu solo puoi dare ai tuoi fedeli
il dono di servirti in modo lodevole e degno;
fa’ che corriamo senza ostacoli verso i beni da te promessi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Bisogna testimoniare e vivere il cristianesimo mediante la carità disinteressata e concreta - Giovanni Paolo II (Omelia 31 Agosto 1986): [...] oggi Cristo ci invita ad aprire il cuore alle stesse dimensioni del suo cuore santissimo. Come lui, noi dobbiamo far nostre le sofferenze e le ansie di tutti gli umili del mondo, dei poveri, degli affamati, degli emarginati. Gesù è venuto per questo, come abbiamo cantato al versetto dell’Alleluia: “Il Signore mi ha mandato ad annunziare ai poveri la buona novella a proclamare ai prigionieri la liberazione” (Lc 4, 18).
E infatti il Vangelo oggi ascoltato è anche e soprattutto una grande lezione di amore ai fratelli più provati. Nell’accettare l’invito a pranzo, Gesù dimostra di gradire molto la gentilezza dell’ospite; ma lo invita a una più grande generosità: “Quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi”. Così Gesù dimostra la sua preferenza per i sofferenti, e lancia il messaggio fondamentale del Vangelo, che è servizio compiuto per amore di Dio e dei fratelli: “Sarai beato perché non hanno da ricambiarti . . . Riceverai la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti” (Lc 14, 13-14).
Tali parole sono una continua sfida alla nostra fede. Bisogna credere, ma bisogna anche agire, cioè testimoniare e vivere il cristianesimo mediante la carità disinteressata e concreta. Anche ai nostri giorni, nonostante tutte le conquiste della scienza e della tecnica e la più vasta dilatazione della cultura e del benessere, la carità continua ad essere necessaria, perché è sempre presente tra noi il fratello che soffre. Tutti devono esserne consapevoli, a livello sia personale sia sociale. Quindi ogni cristiano, come ogni diocesi e parrocchia, ogni famiglia cristiana e ogni gruppo laicale devono sentirsi impegnati nell’esercizio della carità, nelle forme che oggi si offrono alla disponibilità di ciascuno: “Caritas”, Volontariato, Conferenze di san Vincenzo, opere assistenziali e di ricupero, aiuto e assistenza alle persone anziane, inferme o in comunque handicappate. Per vivere in modo autentico la propria fede cristiana, bisogna fare in modo di giungere alla sera di ogni giorno dopo aver realizzato l’impegno della carità: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli - dice il divin Maestro - se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35).
Prima Lettura: L’apostolo Paolo, israelita, della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino (Rm 11,1), sulla via di Damasco, accecato dalla luce del Risorto (At 9,3), repentinamente ha abbandonato la sua antica fede, ma non ha dimenticato il suo popolo, ed è profondamente convinto che i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili, per cui è certo che anche Israele giungerà al porto della salvezza: “Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l’ostinazione di una parte d’Israele è in atto fino a quando non saranno entrate tutte quante le genti. Allora tutto Israele sarà salvato” (Rm 11,25-26).
Dio è fedele alle sue promesse: anche Israele sarà salvato, ma per grazia e non in base alle opere.
“Viene quindi spontanea l’esclamazione (33-36), che conclude tutta la parte dottrinale della lettera, sulla grandiosità sconvolgente e sconcertante dell’azione divina” (Pietro Rossano (Lettere di san Paolo).
Vangelo
Non invitare i tuoi amici, ma poveri, storpi, zoppi e ciechi.
Gesù disse al capo dei farisei che l’aveva invitato: Gesù continua il suo discorso durante il banchetto in casa di uno dei capi dei farisei parlando della scelta degli invitati, che non deve essere suggerita da motivi di tornaconto personale. È la logica del do ut des, una logica impastata di pregiudizi, di favoritismi, una logica che non tiene conto della carità, ma solo quella del vantaggio e del contraccambio. Gesù disapprovando questo modo di fare e di ragionare, con parole chiare suggerisce la via per giungere alla vera beatitudine: la via del disinteresse, della gratuità. Gesù non dà solo consigli morali, ma vuole far capire la nuova realtà messianica: i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi, una categoria bistrattata dai farisei e da essi considerata impura, sono gli amici che si deve procurare colui che vorrà far parte del convito dei giusti, seguendo l’esempio del Figlio di Dio: “«La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze». Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.” (Mt 22,9-10). Il passo lucano ci riporta al tema della carità fraterna, così cara all’evangelista. L’amore vero deve essere disinteressato, motivato non da un proprio vuoto da colmare, ma da un’eccedente pienezza interiore.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 14,12-14
In quel tempo, Gesù disse poi al capo dei farisei che l’aveva invitato:
«Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio.
Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».
Parola del Signore.
Gesù disse poi al capo dei farisei che l’aveva invitato - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 12 Disse a chi l’aveva invitato; formula di passaggio ad un nuovo insegnamento, introdotto da Luca per motivi redazionali; la circostanza di un invito a pranzo accolto dal Salvatore (cf. verss. 1-6) offre allo scrittore la situazione ideale per inserirvi questi preziosi ammaestramenti. Si noti come l’autore abbia rielaborato questi opportuni consigli presentandoli con una struttura letteraria ben studiata: nel vers. 7 l’evangelista parlava degli invitati, qui invece egli considera colui che ha rivolto l’invito. Non invitare i tuoi amici; «gli amici» sono ricordati per primi, sia perché a volte sono preferiti ai propri congiunti, sia anche perché l’amicizia, molto sentita ed apprezzata nell’antichità, rappresenta un intimo e nobile legame tra gli uomini che si fonda su una comunione di pensiero e di sentimento. I tuoi fratelli... i tuoi parenti; i «fratelli» sono i parenti più vicini; i tuoi «parenti» indicano le persone legate da vincoli di parentela meno stretta.
versetto 13 Invita i poveri, gli storpi, gli zoppi, i ciechi; sono elencati quattro tipi di infelici, come nel vers. precedente erano state nominate quattro specie di invitati. «I poveri» figurano per primi poiché per Luca la povertà è una caratteristica ed una condizione fondamentale per l’appartenenza al regno del cielo.
versetto 14 Allora sarai beato; l’espressione svela l’autentico senso religioso di questo singolare ammaestramento del Redentore; la vera beatitudine consiste nel dar prova di un amore disinteressato che si compiace di esser generoso con i più infelici e diseredati, i quali non possono dar nulla in ricompensa del bene ricevuto. Questo elevato insegnamento riprende e completa quello già riferito dall’evangelista in un testo precedente (cf. Lc., 6,32-34). Nella risurrezione dei giusti; cioè: alla risurrezione avrai parte con i giusti; l’espressione designa la vita beata ed eterna. Non bisogna fraintendere la presente dichiarazione evangelica, quasi che in essa si parli di una risurrezione riservata unicamente ai buoni, come ritenevano alcuni gruppi di Ebrei e come è attestato da affermazioni conservate negli scritti rabbinici. Per i giusti la risurrezione è piena di speranza, poiché introduce nella vita futura beata; essa quindi è ricordata come la più grande ricompensa riservata a coloro che hanno accolto gli insegnamenti di Cristo. Per la risurrezione universale si vedano i testi di Lc., 11,31-32; Mt., 12,41-42; Mc.,12,26. La dottrina racchiusa in questi pochi versetti è di notevole rilievo per il messaggio evangelico, poiché insiste sull’unico e superiore motivo - la carità disinteressata - al quale deve ispirarsi l’azione del discepolo di Gesù. La forma con cui tale dottrina è proposta rivela il metodo scelto dal Maestro nell’illustrare le verità più elevate e più caratteristiche del suo messaggio; Gesù, rifacendosi ad osservazioni semplici e quotidiane, che non sfuggono nemmeno allo sguardo più superficiale, sa elevare gli ascoltatori ad insegnamenti di alta spiritualità che aprono prospettive superiori ed inducono ad un’azione fruttuosa per la vita eterna.
I poveri - Costante Brovetto: Gesù si presenta come il Messia dei poveri, inviato dallo Spirito a portare loro la buona novella (Is 61) e la consolazione. Si dichiara “mite ed umile di cuore” (Mt 11,29), come i “poveri” di JIIWH. Proclama beati i “poveri in spirito” (Mt 5,3), cioè coloro che hanno animo da poveri e vivono con piena fiducia nella Provvidenza di Dio, che viene incontro a tutte le umane necessità. Prova l’autenticità del suo messianesimo con la premura taumaturgica verso i bisognosi nel corpo e nello spirito e mostrando che così giunge il Regno di Dio (cfr. Mt 12,28). Infine annuncia che il giudizio finale avverrà in base alle opere di misericordia (Mt 25,3146). Gesù, chiamando i discepoli a seguirlo, esige da loro che lascino tutto (cfr. Mt 19,21), dando così inizio alla pratica della povertà evangelica volontaria, finalizzata all’avvento del Regno.
La tradizione cristiana. Nella Chiesa primitiva la povertà evangelica si esprime soprattutto come condivisione dei beni (cfr. At 2,44-45) in un clima di gioia escatologica. Le comunità fondate da Paolo dimostrano la loro comunione con i poveri della Chiesa madre mediante generose collette (cfr. 2 Cor 8-9). È poi soprattutto la vita monastica a mantenere lo spirito della povertà evangelica mediante la condivisione. Dal Medioevo i francescani e gli altri ordini mendicanti rendono ancor più radicale e gioiosa la povertà evangelica. Innumerevoli istituti religiosi sono nati a servizio d’ogni tipo di povertà, e oggi vi si aggiungono le molte forme di volontariato. La “Chiesa dei poveri” fa proprio lo stile di umiltà e abnegazione di Cristo e riscopre il valore attivo e creativo della povertà per la sua missione e il progresso dell’umanità. Infatti oggi paradossalmente si riscoprono la parsimonia e la sobrietà come l’unico stile di vita che consenta uno sviluppo mondiale “sostenibile”, viste le urgenze di tipo ambientale e quelle della giusta redistribuzione delle risorse tra le aree del pianeta.
Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti - Franco Giulio Brambilla: Il riferimento all’Antico Testamento e più in genere al contesto giudaico consente di mostrare come l’annuncio della risurrezione di Gesù si collochi sullo sfondo della fede nella risurrezione dei morti. Questa nasce in epoca piuttosto tarda, con la crisi del tempo dei Maccabei (II sec. a.C), anche se ha alcune anticipazioni importanti nel libro di Daniele (12,2-3). Il racconto dei Maccabei (2Mac 7) fonda la fede nella risurrezione sulla potenza-fedeltà creatrice di Dio che fa risorgere i giusti che gli sono rimasti fedeli nella persecuzione (martiri). I precedenti biblici della fede nella risurrezione dei morti si trovano nel libro di Osea (6,1-3) ed Ezechiele (37,1-14): si tratta di visioni che usano un linguaggio di risurrezione per indicare la fedeltà di Dio, che fa risorgere continuamente il popolo dalle sue sconfitte. La fede nella risurrezione dei morti poi si sviluppa e si accelera nel giudaismo ed entra in contatto con l’ellenismo e la credenza dell’immortalità dell’anima (libro della Sapienza). Su questo sfondo, la risurrezione di Gesù diventa la sorgente della risurrezione dei cristiani: è il senso del grande sviluppo del capitolo 15 sulla risurrezione della Prima lettera ai Corinzi. Paolo attraverso questa riflessione tenta di rispondere alle obiezioni dei corinzi, di mentalità greca: essi avevano difficoltà a pensare alla risurrezione del corpo e si chiedevano come fosse il corpo dei risorti. Paolo argomenta a partire dalla verità della risurrezione di Gesù, che fonda quella dei credenti, fornendo motivi presi dalla storia della salvezza e dall’esperienza degli uomini. Il discorso sulla risurrezione viene in tal modo collegato con l’attesa della sopravvivenza al di là della morte, presente in quasi tutte le culture antiche e moderne. La speranza cristiana risulta una specifica determinazione dell’universale attesa di una promessa di vita contenuta nell’umano sperare. Le attuali teologie, ispirate al tema della speranza, tentano di mediare tra la fede nella risurrezione dei morti e la speranza di salvezza finale contenuta nell’agire umano, volta a raggiungere un futuro buono e felice per l’umanità.
Paolino di Nola, Lettera 34, 2-4: Prestiamo al Signore i beni che egli ci ha donato. Infatti, non possediamo nulla che non sia dono del Signore, anzi senza la sua volontà non esistiamo nemmeno. Che cosa potremmo considerare nostro, dato che, in forza di un debito enorme, neppure ci apparteniamo? Non solo siamo stati creati, ma anche redenti da Dio. Rendiamo grazie: riscattati a gran prezzo, a prezzo del sangue del Signore, noi cessiamo di essere oggetti senza valore, perché la libertà di non essere sottomessi alla giustizia di Dio, è peggiore della schiavitù. Chi è libero in questo modo, è schiavo del peccato, prigioniero della morte. Rendiamo al Signore ciò che ci ha dato. Doniamo a colui che riceve nella persona di ogni povero. Doniamo con gioia e riceveremo in letizia i doni del Signore.
Il Santo del Giorno - 3 Novembre 2025 - San Martino de Porres. Un emarginato divenuto profeta del Vangelo che vive tra gli ultimi: Se imparassimo a guardare agli emarginati, agli ultimi, agli esclusi come portatori di profezia avremmo fatto un passo avanti enorme nella costruzione del Regno di Dio, regno d’amore e di giustizia. Un passo avanti che di sicuro si è fatto il 6 maggio 1962, quando fu riconosciuta la santità di san Martino de Porres, testimone di un Vangelo che si fa carne e si prende cura dei “piccoli della storia”. Nato a Lima in Perù nel 1579, era figlio dell’aristocratico spagnolo Juan de Porres, che non volle riconoscerlo subito, perché la madre era un’ex schiava nera d’origine africana. Quando il padre venne nominato governatore di Panama e dovette trasferirsi, Martino fu lasciato alla madre, con i mezzi per farlo studiare. Allievo di un barbiere-chirurgo, coltivava il sogno di entrare fra i Domenicani. Da mulatto, però, fu accolto solo come terziario e gli vennero assegnati solo compiti umili. Tuttavia, quando i Domenicani compresero la sua profonda spiritualità lo accettarono nell’Ordine come fratello cooperatore. E così Martino de Porres divenne per la sua nazione un testimone del Vangelo ricercato come consigliere dal viceré del Perù e dell’arcivescovo di Lima. Ma quando i potenti andavano da lui lo trovavano circondato da poveri e da malati. Quando a Lima arrivò la peste, curò da solo i 60 confratelli. Fondò a Lima un collegio per istruire i bambini poveri: il primo del Nuovo Mondo. Guarì anche l’arcivescovo del Messico, che avrebbe voluto portarlo con sé, ma Martino rimase a Lima, dove morì nel 1639. (Matteo Liut)
Rafforza in noi, o Signore, la tua opera di salvezza,
perché i sacramenti che ci nutrono in questa vita
ci preparino a ricevere i beni che promettono.
Per Cristo nostro Signore.