27 Novembre 2025
 
Giovedì XXXIV Settimana T. O.
 
Dn 6,12-28; Cant. Dn 3,68-74; Lc 21,20-28
 
 
Colletta
Ridesta, o Signore, la volontà dei tuoi fedeli,
perché, collaborando con impegno alla tua opera di salvezza,
ottengano in misura sempre più abbondante
i doni della tua misericordia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco (Omelia 2 Dicembre 2018): [...] per vivere bene il tempo dell’attesa del Signore è quello della preghiera. «Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (v. 28), ammonisce il Vangelo di Luca. Si tratta di alzarsi e pregare, rivolgendo i nostri pensieri e il nostro cuore a Gesù che sta per venire. Ci si alza quando si attende qualcosa o qualcuno. Noi attendiamo Gesù, lo vogliamo attendere nella preghiera, che è strettamente legata alla vigilanza. Pregare, attendere Gesù, aprirsi agli altri, essere svegli, non chiusi in noi stessi. Ma se noi pensiamo al Natale in un clima di consumismo, di vedere cosa posso comprare per fare questo e quest’altro, di festa mondana, Gesù passerà e non lo troveremo. Noi attendiamo Gesù e lo vogliamo attendere nella preghiera, che è strettamente legata alla vigilanza.
Ma qual è l’orizzonte della nostra attesa orante? Ce lo indicano nella Bibbia soprattutto le voci dei profeti. Oggi è quella di Geremia, che parla al popolo duramente provato dall’esilio e che rischia di smarrire la propria identità. Anche noi cristiani, che pure siamo popolo di Dio, rischiamo di mondanizzarci e di perdere la nostra identità, anzi, di “paganizzare” lo stile cristiano. Perciò abbiamo bisogno della Parola di Dio che attraverso il profeta ci annuncia: «Ecco, verranno giorni nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto […]. Farò germogliare per Davide un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra» (33,14-15). E quel germoglio giusto è Gesù, è Gesù che viene e che noi attendiamo. La Vergine Maria, che ci porta Gesù,  donna dell’attesa e della preghiera, ci aiuti a rafforzare la nostra speranza nelle promesse del suo Figlio Gesù, per farci sperimentare che, attraverso il travaglio della storia, Dio resta sempre fedele e si serve anche degli errori umani per manifestare la sua misericordia.
 
I Lettura: Il brano di Daniele 6,12-18 non va letto come un racconto storico, bensì un insegnamento teologico e morale. Daniele vuole sottolineare che Dio non abbandona il giusto e lo libera dalla morte, un prodigi che suscita nel re Dario, pagano, l’ammirazione e la lode per Iahvè, il Signore del popolo d’Israele, Con ciò vuole essere un messaggio di speranza per coloro che realmente soffrono la persecuzione: Dio non ha abbandonato il suo popolo, e giungerà il giorno della liberazione.
In tutto l’impero a me soggetto si tremi e si tema davanti al Dio di Daniele, perché egli è il Dio vivente: “La dossologia finale, sintesi dei sentimenti religiosi dell’autore, è posta in bocca al re pagano per produrre un maggior effetto psicologico-apologetico. Il suo contenuto dottrinale, profetico e apocalittico insieme, è un riassunto di credenze e di speranze. II suo Dio è il Dio vivo. Il Dio che salva e libera dando la vita, Dio il cui regno - e lo dice in un momento in cui questo regno terreno non esisteva punto - dura per sempre e non sarà mai distrutto fino alla fine. Storicamente abbiamo in questa dossologia finale una delle migliori testimonianze sulla fede e la speranza di quegli « hasidim» o uomini pii dei tempi dei Maccabei. Un vivo esempio per gli hasidim di tutti i tempi” (Epifanio Gallego).
 
Vangelo
Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.
 
Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti... chi va a Gerusalemme può accertarsi de visu come sono state vere queste parole di Gesù, e che il mondo passa e noi passiamo con esso è una verità che è sempre sotto i nostri occhi, e anche le rughe, la carne cadente, le ossa fiacche, le malattie che si moltiplicano sono eloquenti testimoni di questo passare degli anni. Alessandro Magno, Nerone, Cavour, Giuseppe Garibaldi, Stalin, Mao, i re, gli imperatori, tutto passa. Precipitiamo nell’eternità dalla quale non si torna più indietro. L’unica cosa da fare è: salvare la propria anima. Nessuno resta al mondo per sempre. Se riflettessimo su questo fatto, alzeremmo continuamente lo sguardo verso il cielo, che è la nostra patria: lì, affrancati da ogni pena, vivremo per sempre, liberi, figli nella casa del Padre.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 21,20-28
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti.
Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra.
Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».
 
Parola del Signore.
 
Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti - Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): La fine di Gerusalemme - Quando la città sarà già circondata dall’esercito nemico, gli uomini si renderanno conto che è imminente la fine di essa e la sua distruzione. Ci saranno ancora alcuni che potranno fuggire ai monti e quelli che sono già fuori delle mura non vi devono far ritorno. Poiché la fine sarà spaventosa.
«Vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri tra tutti i popoli». Il popolo, che si crede ora così sicuro ed è così superbo della sua città e del tempio maestoso, vedrà cadere in rovina la città e il tempio stesso e assisterà alla fine dell’esistenza della propria nazione. Allora sarà troppo tardi ravvedersi. La fine sarà terrificante.
Questo segno terreno deve essere un segnale di allarme per gli uomini. Ciò che accade in piccolo a Gerusalemme, accadrà un giorno, in grande, al mondo intero.
La fine del mondo - Subitanea irromperà la fine. Quando verrà la catastrofe degli astri, un’angoscia spaventosa atterrirà gli uomini. Quando irromperanno terremoti e mareggiate, si abbatterà su di loro la disperazione. Allora il Figlio dell’uomo verrà nella gloria sulle nubi del cielo. È la fine del mondo e con essa la fine di tutti i nemici di Cristo, la fine di coloro che si credono al sicuro su questa terra e sono orgogliosi delle loro opere e conquiste. Naturalmente i simboli usati da Gesù per descrivere la fine non sono pronostici co­smici o storici ma elementi narrativi per stimolare l’attenzione e la vigilanza.
Così anche la fine del mondo è una fine terrificante. Ma solo per gli avversari. Per i cristiani viventi, che hanno aspettato il Signore e col desiderio e la preghiera ne hanno ottenuto la fine, è l’ora della liberazione. «Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina . Ciò che per gli altri significa terrore, è pace per i cristiani. Ciò che per gli altri è la fine, significa per essi l’inizio. Poiché questa fine è il rovesciamento e il rivolgimento di tutte le cose. Quel Cristo che ora è consegnato, in Gerusalemme, in potere dei nemici, e con la loro sentenza giudiziale sarà condannato a morte, è colui che verrà nella potenza e, come giudice, pronunzierà la condanna degli avversari. Perciò l’uomo non si deve lasciar invischiare dal mondo e dalle sue opere, né deve cadere sotto il fascino del mondo. Deve invece pensare alla fine e conformarvi la vita. Allora la fine non sarà per lui una fine di terrore, ma, con il lieto annunzio del ritorno di Cristo, l’inizio della gioia.
 
Saranno giorni di vendetta: Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Saranno giorni di vendetta; proposizione derivata dal Vecchio Testamento (cf. Deuteronomio, 32, 35;Osea 9, 7; Isaia, 34, 8; Geremia, 46, 10 etc.). Questo giorno di vendetta rappresenta l’avveramento di tutte le sventure comminate dai profeti contro la capitale ebraica (si compirà tutto quello che è stato scritto). Il versetto, che si legge soltanto nel passo lucano, pone in evidenza il motivo religioso che ha determinato la tragica sorte di Gerusalemme: tutto ciò che la città dovrà patire nel duro e lungo assedio è un castigo per la mancata risposta agli appelli che i profeti le avevano rivolto nel passato.
23a Guai alle donne che sono incinte...!; nel terzo vangelo queste parole di lamento non si trovano nel loro esatto contesto storico, come invece lo sono in Matteo e Marco; in Luca infatti il detto riguarda le donne, prossime alla maternità o di recente madri, che si trovano assediate a Gerusalemme; in Matteo e Marco invece esso richiama l’impedimento delle donne che si trovano in queste condizioni nel fuggire in un momento di estremo pericolo.
23b Nella seconda parte del versetto il testo si discosta notevolmente da quello di Marco. È omessa l’esortazione riferita da Marco («Pregate perché ciò non avvenga d’inverno», Mc., 13,18; cf. Mt., 24,20), perché non armonizza con l’idea dell’assedio; come anche viene tralasciata la riflessione sulla riduzione del periodo delle prove («e se il Signore non avesse abbreviato quei giorni, nessuno sarebbe salvo», Mc., 13,20; Mt., 24,22), perché in antecedenza Luca aveva esortato alla sopportazione per tutto il tempo della prova (cf. vers. 19). Lo scrittore qui rielabora le espressioni di Marco puntualizzando due idee: la grande calamità che si abbatterà sulla regione e l’ira, castigo divino, che si scatenerà contro il popolo ebraico.

La vostra liberazione è vicina - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli): «Quando cominceranno ad accadere queste cose, drizzate (vi) e alzate le vostre teste ...». I cristiani non dovranno spaventarsi per gli sconvolgimenti cosmici finali, ma, dopo tante sofferenze, persecuzioni e oppressioni che li hanno schiacciati, potranno finalmente drizzarsi e alzare con sicurezza le loro teste, essendo quello «il segnale della realizzazione della loro speranza» (Dupont, p. 130). Benché nel v. 27 sia implicito il giudizio di condanna per i nemici, Luca, tuttavia, mette in risalto il senso salvifico della venuta del Figlio dell’uomo, conferendo alla pericope una valenza parenetica di fiduciosa speranza. L’evangelista tralascia ogni riferimento all’attività giudiziaria del Figlio dell’uomo nella sua parusia (cf. Mc 13,27), per concentrare l’attenzione soltanto sulla liberazione (apolytrosis = redenzione, v. 28) dei credenti. Per costoro la fine del mondo non costituisce un motivo di angoscia e di spavento, bensì di gioia per la loro redenzione e per la fine delle tribolazioni e delle persecuzioni, come avvenne per gli ebrei la notte di Pasqua nella liberazione dalla schiavitù d’Egitto.
 
Noi vedremo il suo corpo crocifisso e risorto - Agostino (Le Lettere, 199, 11,41): E allora vedranno il Figlio dell’ uomo venire in una nube con gran potenza e maestà. Mi sembra che ciò possa intendersi in due modi: cioè che venga nella Chiesa come in una nube, allo stesso modo che ancora adesso non cessa di venire come egli stesso disse: Ormai vedrete il Figlio dell’uomo assiso alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo (Mt 26, 61), ma egli allora verrà con gran potenza e maestà, poiché queste appariranno più grandi ai santi, ai quali darà tanta forza da non soccombere alla persecuzione. Oppure si manifesterà con lo stesso corpo con cui è assiso alla destra del Padre (cf. Rm 8,34; Mc 16,19; Co1 3,1), con cui morì, risorse e ascese al cielo, come sta scritto negli Atti degli Apostoli: Ciò detto, si sollevò sopra una nube e span dalla loro vista (At 1, 9). E poiché anche allora gli angeli dissero: Ritornerà allo stesso modo che l’avete visto salire al cielo (At 1,11), con ragione si deve credere ch’egli tornerà non solo col medesimo corpo, ma anche in una nube, dato che tornerà allo stesso modo che se ne andò sopra una nube.
 
Il Santo del Giorno - 27 Novembre 2025 - San Valeriano di Aquileia. Difensore della corretta dottrina sulla vera natura del Figlio di Dio: Cristo è Dio e non un’«entità inferiore» anche se con un ruolo privilegiato e su questo oggi non c’è alcun dubbio dottrinale nella Chiesa, una certezza che fonda di fatto tutta la cultura europea e occidentale e che è stata raggiunta non senza fatica nei primi secoli di storia del Vangelo. Tra gli araldi di questa visione ortodossa, opposta a chi affermava che la divinità era presente in Gesù in una forma «depotenziata», appare anche il nome di san Valeriamo di Aquileia. Successore di Fortunaziano, Valeriano fu arcivescovo di Aquileia dal 369, anno in cui partecipò al Concilio indetto a Roma da Damaso I, fino al 388. Dopo un periodo ambiguo anche per la Chiesa aquileiese, Valeriano s’impegnò per ristabilire l’ortodossia contro il perdurare dell’arianesimo soprattutto nell’area balcanico-danubiana e nel 381 convocò un Concilio ad Aquileia che contribuì ad affermare la corretta dottrina sull’identità del Figlio di Dio. A questo fondamentale appuntamento, che si aprì il 3 settembre 381 e di cui ci sono giunti gli atti, assieme ai vescovi dell’Italia, della Gallia e dell’Africa prese parte anche sant’Ambrogio, che diede così a Milano un posto di primaria importanza nella costruzione dell’identità del nord Italia e del centro Europa. Durante il suo episcopato Aquileia diventò un centro di studi teologici e di formazione ascetica la cui eredità arrivò fino ai tempi moderni.  (Avvenire)
 
Dio onnipotente,
che ci dai la gioia di partecipare ai divini misteri,
non permettere che ci separiamo mai da te,
fonte di ogni bene.
Per Cristo nostro Signore.