28 Novembre 2025
 
Venerdì XXXIV Domenica  T. O.
 
Dn 7,2-14 ; Sal Cant. Dn 3,75-81; Lc 21,29-33
 
Colletta
Ridesta, o Signore, la volontà dei tuoi fedeli,
perché, collaborando con impegno alla tua opera di salvezza,
ottengano in misura sempre più abbondante
i doni della tua misericordia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Umiliato e glorioso - Catechismo degli Adulti [222]:  Denominandosi Figlio dell’uomo, Gesù si presenta come giudice e salvatore escatologico, che in futuro verrà nella gloria. Ma, innovando profondamente il significato di questa figura, dichiara che il Figlio dell’uomo esercita già ora il potere di giudicare e salvare; soprattutto aggiunge che egli adesso è umiliato e perseguitato.
Questa tensione tra presente e futuro corrisponde alla dinamica del Regno, ora nascosto e avversato, in futuro glorioso. Il Figlio dell’uomo impersona il Regno. Dopo la sua morte e risurrezione, ricevuto il dono dello Spirito Santo, i discepoli lo capiranno meglio e potranno constatare la verità della sua parola: «Vi sono alcuni qui presenti che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza» (Mc 9,1).
 
I Lettura: Il testo di Daniele rappresenta ancora una volta l’alterigia, l’arroganza e la prepotenza dei quattro imperi, ma l’interesse va tutto a “uno simile a un figlio d’uomo”: “l’aramaico bar nasha’, come l’ebraico ben ‘adam, equivale in primo luogo a «uomo» (cf. Sal 8,5). E così che in Ezechiele Dio chiama il profeta. Ma l’espressione ha qui un senso particolare, eminente, per cui designa un uomo che supera misteriosamente la condizione umana. Senso personale, così come fanno fede gli antichi testi giudei apocrifi, ispirati al nostro passo: Enoch e 4 Esdra, come anche l’interpretazione rabbinica più costante, e soprattutto l’uso che ne fa Gesù applicandolo a se stesso (cf. Mt 8,20+). Ma anche senso collettivo, fondato sul v 18 (e il v 22) dove il Figlio dell’uomo si identifica in qualche modo con i santi dell’Altissimo: ma il senso collettivo (ugualmente messianico) prolunga il senso personale, essendo il Figlio dell’uomo, nello stesso tempo, il capo, il rappresentante e il modello del popolo dei santi. È così che sant’Efrem pensava che la profezia avesse di mira dapprima i giudei (i Maccabei), poi, attraverso loro e in maniera perfetta, Gesù” (Bibbia di Gerusalemme).
In questa pagina è preconizzato palesemente l’avvento del Messia.
 
Vangelo
Quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino.
 
Gesù invita gli uomini a vigilare e vigilare significa non avere il cuore appesantito. Vigilare significa essere attenti ai segni dei tempi. Occorre vigilare perché la venuta del Giudice divino, anche se sarà preceduta da segni premonitori, avverrà all’improvviso. Ciò che conta, dunque, è stare attenti a non lasciarsi sorprendere dal sonno della insipienza.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 21,29-33
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: 
«Osservate la pianta di fico e tutti gli alberi: quando già germogliano, capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno».
 
Parola del Signore.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): versetto 29 La parabola del fico che con le sue gemme annunzia l’arrivo dell’estate è riportata anche dagli altri due evangelisti (Mt., 24, 32-36; Mc., 13, 28-31; se ne veda il commento); essa tuttavia in Luca subisce qualche ritocco stilistico. E disse loro una parabola; è una formula introduttiva che attenua il passaggio un po’ brusco che si ha in Marco e Matteo, nei quali si legge: «dal fico apprendete questa similitudine». Tutti gli altri alberi; estensione di Luca per generalizzare la portata del paragone.
versetti 30-31 Quando già buttano (le gemme); descrizione concisa e poetica in pari tempo. Sappiate che il regno di Dio è vicino; l’evangelista non lascia indeterminata la proposizione, ma indica il soggetto di essa dichiarando che si tratta del regno di Dio. Come il germogliare del fico costituisce un segno precursore dell’approssimarsi dell’estate, così il verificarsi dei perturbamenti cosmici descritti preannunzia l’imminente venuta del regno di Dio. Il prossimo avvento del regno si riferisce alla diffusione ed al consolidamento del regno di Dio sulla terra, non già alla parusia; Gesù quindi preannunzia un evento storico che si verificherà in un tempo relativamente vicino; infatti con la rovina di Gerusalemme, capitale religiosa dell’ebraismo, cadde il più grave ostacolo all’espansione del regno annunziato da Cristo.
versetti 32-33 Le parole, che hanno un accento particolarmente solenne, affermano il compimento di un fatto determinante per le sorti del regno di Dio. L’evangelista, in armonia a quanto aveva indicato precedentemente, segnala il passaggio dall’èra antica (l’ebraismo con Gerusalemme suo centro religioso) alla nuova (il regno di Dio cioè la Chiesa, che si diffonde e si afferma nel mondo dopo la rovina di Gerusalemme), passaggio predetto da Gesù stesso con termini solenni e categorici.
 
Figlio dell’uomo: il linguaggio delle apocalissi - Jean Delorme: 1. Il libro di Daniele. - Per rappresentare concretamente la successione degli imperi umani che crolleranno per far posto al regno di Dio, l’apocalisse di Daniele si serve di un’immagine sorprendente. Gli imperi sono bestie che salgono dal mare. Sono spogliate della loro potenza quando compaiono al tribunale di Dio, che è rappresentato sotto i tratti di un vegliardo. Allora sulle (o con le) nubi del cielo arriva «come un figlio d’uomo»; avanza fino al tribunale di Dio e riceve la sovranità universale (7,13s). L’origine di questa concezione è incerta. II «figlio dell’uomo» dei Salmi o di Ezechiele non basta a spiegarla. Certuni invocano il mito iranico dell’uomo primordiale che ritorna come salvatore alla fine dei tempi. Forse bisogna cercare dalla parte delle tradizioni che presuppongono la sapienza divina personificata o l’Adamo di Gen 1 e di Sal 8, creato ad immagine di Dio e «di poco inferiore a Dio». In Dan 7, Figlio d’uomo e bestie si oppongono come il divino al satanico. Nell’interpretazione che segue la visione, la sovranità tocca al «popolo dei santi dell’altissimo» (7,18.22.27); esso dunque viene rappresentato a quanto pare dal figlio d’uomo, non di certo nella sua condizione di perseguitato (7,25), ma nella sua gloria finale. Tuttavia le bestie raffiguravano sia gli imperi che i loro capi.
Non si può quindi escludere del tutto che ci sia allusione al capo del popolo santo a cui sarà dato il dominio, in partecipazione col regno di Dio. Ad ogni modo, le attribuzioni del figlio d’uomo trascendono quelle del messia, figlio di David: tutto il contesto lo pone in rapporto con il mondo divino e ne accentua la trascendenza.
2. La tradizione giudaica. - L’apocalittica giudaica posteriore al libro di Daniele ha ripreso il simbolo del figlio d’uomo, ma interpretandolo in modo strettamente individuale e accentuandone gli attributi trascendenti. Nelle parabole di Enoch (la parte più recente del libro), è un essere misterioso, dimorante presso Dio, possessore della giustizia e rivelatore dei beni della salvezza, tenuti in serbo per la fine dei tempi; allora egli siederà sul suo trono di gloria, giudice universale, salvatore e vendicatore dei giusti, che vivranno presso di lui dopo la loro risurrezione. Gli vengono attribuiti alcuni dei tratti del messia regale e del servo di Jahve (egli è l’eletto di giustizia, cfr. Is 42,1), ma non si parla a suo riguardo di sofferenza ed egli non ha una origine terrena. Benché la data delle parabole di Enoch sia discussa, esse rappresentano uno sviluppo dottrinale che doveva essere acquisito in taluni ambienti giudaici prima del ministero di Gesù. D’altronde l’interpretazione di Dan 7 ha lasciato tracce nel libro IV di Esdra e nella letteratura rabbinica. La fede in questo salvatore celeste che sta per rivelarsi prepara l’uso evangelico dell’espressione «figlio dell’uomo».
 
Alessandro Pronzato: E a proposito del fico. Ci deve essere un motivo per l’attenzione speciale di Gesù verso questa pianta.
Al discorso sulle «realtà ultime» si sarebbe attagliata perfettamente l’immagine del fico seccato fino alle radici (Mc 11,12 ss.).
Invece lo ritroviamo con i «rami teneri», verdeggiante di gemme.
Un’immagine di vita, piazzata nel mezzo di un quadro che sembra richiamare la desolazione e la morte (quale lezione per i vari catastrofismi, presenti anche nel campo della fede con le loro diagnosi disperate e i loro «rapporti» allarmati che sembrano bollettini di una disfatta, cronache di uno sfacelo!).
Gesù non si serve della pianta «maledetta» per suggerirci che è la fine.
Lo dobbiamo comprendere - dobbiamo avvertire che Lui è alle porte - da un albero pieno di germogli.
O, forse, Lui continua a rimandare la fine, non si rassegna a chiudere il discorso con l’uomo, fino a quando la pianta non abbia finalmente imparato a non deludere le attese?
In questo caso, il discorso escatologico non documenta anche le «attese» di Dio?
Già. Lui non è disposto a rinunciare all’estate, alla stagione dei frutti.
Gesù non incarica nessuno a realizzare delle inchieste sulla fede.
Perché Lui solo sa che cos’è fede.
Semmai ci invita a guardare in direzione della pianta di fico (significativamente, uno dei simboli privilegiati della Terra Promessa).
E ad abbozzare, semmai, un rapporto sulla speranza.
 
La pianta di fico è un segno di fede e un segno di incredulità - Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca 10,45: Perciò, qui, la figura del fico ha due aspetti: sia quando la durezza comincia a diventar tenera, sia quando i peccati sono rigogliosi. A causa della fede dei credenti ciò che prima era inaridito si metterà a fiorire, e a causa dell’attrattiva provocante dei peccati, i peccatori si glorieranno. Là c’è il frutto della fede, qui la petulanza sfrenata dell’incredulità. La cura che ne ha l’agricoltore del Vangelo mi dà la garanzia che il fico fruttificherà (cf. Lc 13,9). Non dobbiamo perderei d’animo, se i peccatori si sono coperti di foglie di fico come di una veste ingannatrice, per nascondere la loro coscienza: le foglie, quando non han frutti, sono sospette. Tali sono le vesti di coloro che furono banditi da Paradiso.
 
Il santo del Giorno - 28 Novembre 2025 - San Giacomo della Marca: La fede può anche muovere l’economia, valorizzando i talenti di tutti e la dignità di ogni essere umano, costruendo così una società basata su solidarietà e giustizia. Ce lo ricorda la storia di san Giacomo della Marca, frate minore, predicatore e ideatore dei Monti di Pietà, creati per consentire l’accesso al credito a interessi minimi anche a chi si trovava in difficoltà. Era nato a Monteprandone (Ascoli Piceno) nel 1394 e a 22 anni aveva ricevuto il saio francescano da san Bernardino da Siena. Seguendo l’esempio del maestro, si dedicò alla predicazione in Italia, Polonia, Boemia, Bosnia e Ungheria. S’impegnò anche nella lotta contro le piaghe sociali dell’usura, dell’azzardo, della bestemmia e della superstizione. Debilitato dall’intensità con cui viveva l’impegno dell’apostolato, morì a Napoli nel 1476. (Matteo Liut)
 
Dio onnipotente,
che ci dai la gioia di partecipare ai divini misteri,
non permettere che ci separiamo mai da te,
fonte di ogni bene.
Per Cristo nostro Signore.